buona notte

dal sito EAQ
San Massimo di Torino ( ? – circa 420), vescovo
Discorsi, 38 ; PL 57, 341s ; CCL 23, 149s
Il segno della salvezza
Nella sua Passione, il Signore ha assunto tutti i torti del genere umano affinché nulla in seguito potesse più arrecare torto all’uomo. La croce è dunque un grande mistero e, se proviamo a capirlo, vedremo che con questo segno il mondo viene salvato. Infatti quando i marinai fronteggiano il vento, drizzano prima l’albero della nave e tendono la vela perché si aprano i flutti; formano così la croce del Signore e, al sicuro grazie a questo segno del Signore, giungono al porto della salvezza e sfuggono al pericolo della morte. La vela sospesa all’albero è infatti l’immagine di questo segno divino, come Cristo è stato elevato sulla croce. Per questo, a motivo della fiducia che viene da questo mistero, gli uomini non si preoccupano delle burrasche di vento e giungono al porto auspicato. Allo stesso modo, così come la Chiesa non può stare in piedi senza la croce, una nave è indebolita senza il suo albero. Il diavolo infatti la tormenta e il vento colpisce la nave, ma appena si drizza il segno della croce, l’ingiustizia del diavolo è respinta, la burrasca si calma subito…
Anche l’agricoltore non intraprende il suo lavoro senza il segno della croce: nell’assemblare gli elementi del suo aratro, imita l’immagine di una croce… Anche il cielo è disposto come un’immagine di questo segno, con le sue quattro direzioni, Oriente, Occidente, Mezzogiorno e Nord. La forma dell’uomo stesso, quando eleva le mani, rappresenta una croce; soprattutto quando preghiamo con le mani alzate, proclamiamo con il nostro corpo la Passione del Signore… In questo modo ha vinto Mosè, il Santo, quando faceva la guerra contro Amalek, non con le arme cioè, bensì con le mani alzate verso Dio (Es 17,11)…
Con questo segno del Signore dunque, il mare viene aperto, la terra viene coltivata, il cielo viene governato, gli uomini vengono salvati. Anzi, lo affermo, con questo segno del Signore, gli abissi del soggiorno dei morti vengono aperti. Infatti l’uomo Gesù, il Signore, che portava la vera croce, è stato seppellito in terra, e la terra che egli aveva profondamente lavorata, che aveva, per così dire, spezzata da ogni parte, ha fatto germogliare tutti i morti che tratteneva.
Per il giovedì santo mi sembra bello rimanere un po’ concentrati sulla “cena del Signore” e vi presento, dopo le parole del Papa, solamente: “La liturgia delle ore” completa di salmi e letture, di questa mattina, dal sito Maranathà:
SETTIMANA SANTA – GIOVEDÌ
UFFICIO DELLE LETTURE INVITATORIO
V. Signore, apri le mie labbra
R. e la mia bocca proclami la tua lode.
Antifona
Venite, adoriamo Cristo Signore:
per noi ha sofferto tentazione e morte.SALMO 94 Invito a lodare Dio
( Il Salmo 94 può essere sostituito dal salmo 99 o 66 o 23 )
Esortandovi a vicenda ogni giorno, finché dura « quest’oggi » (Eb 3,13).Si enunzia e si ripete l’antifona.
Venite, applaudiamo al Signore, *
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie, *
a lui acclamiamo con canti di gioia (Ant.).Poiché grande Dio è il Signore, *
grande re sopra tutti gli dèi.
Nella sua mano sono gli abissi della terra, *
sono sue le vette dei monti.
Suo è il mare, egli l’ha fatto, *
le sue mani hanno plasmato la terra (Ant.).Venite, prostràti adoriamo, *
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.
Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo, *
il gregge che egli conduce (Ant.)
.
Ascoltate oggi la sua voce: †
« Non indurite il cuore, *
come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri: *
mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere (Ant.).Per quarant’anni mi disgustai di quella generazione †
e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato, *
non conoscono le mie vie;
perciò ho giurato nel mio sdegno: *
Non entreranno nel luogo del mio riposo » (Ant.).Gloria al Padre e al Figlio *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre *
nei secoli dei secoli. Amen (Ant.).
Inno
Creati per la gloria del tuo nome,
redenti dal tuo sangue sulla croce,
segnati dal sigillo del tuo Spirito,
noi t’invochiamo: salvaci, o Signore!Tu spezza le catene della colpa,
proteggi i miti, libera gli oppressi
e conduci nel cielo ai quieti pascoli
il popolo che crede nel tuo amore.Sia lode e onore a te, pastore buono,
luce radiosa dell’eterna luce,
che vivi con il Padre e il Santo Spirito
nei secoli dei secoli glorioso. Amen.1^ Antifona
Sono sfinito dal gridare
nell’attesa del mio Dio.
SALMO 68, 2-13 (I)
Mi divora lo zelo per la tua casa
Gli diedero da bere vino mescolato con fiele (Mt27, 34).Salvami, o Dio: *
l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; †
sono caduto in acque profonde *
e l’onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare, †
riarse sono le mie fauci; *
i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio. Più numerosi dei capelli del mio capo *
sono coloro che mi odiano senza ragione.
Sono potenti i nemici che mi calunniano: *
quanto non ho rubato, lo dovrei restituire?
Dio, tu conosci la mia stoltezza *
e le mie colpe non ti sono nascoste.
Chi spera in te, a causa mia non sia confuso, *
Signore, Dio degli eserciti;
per me non si vergogni *
chi ti cerca, Dio d’Israele.
Per te io sopporto l’insulto *
e la vergogna mi copre la faccia;
sono un estraneo per i miei fratelli, *
un forestiero per i figli di mia madre.
Poiché mi divora lo zelo per la tua casa, *
ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta.
Mi sono estenuato nel digiuno *
ed è stata per me un’infamia.
Ho indossato come vestito un sacco *
e sono diventato il loro scherno.
Sparlavano di me quanti sedevano alla porta, *
gli ubriachi mi dileggiavano.
Gloria al Padre e al Figlio, *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
nei secoli dei secoli. Amen.
1^ Antifona
Sono sfinito dal gridare
nell’attesa del mio Dio.
2^ Antifona
Hanno messo nel mio cibo veleno,
nella mia sete mi hanno fatto bere l’aceto.
SALMO 68, 14-22 (II) Mi divora lo zelo per la tua casa
Gli diedero da bere vino mescolato con fiele (Mt27, 34).
Ma io innalzo a te la mia preghiera, *
Signore, nel tempo della benevolenza;
per la grandezza della tua bontà, rispondimi, *
per la fedeltà della tua salvezza, o Dio. Salvami dal fango, che io non affondi, †
liberami dai miei nemici *
e dalle acque profonde. Non mi sommergano i flutti delle acque †
e il vortice non mi travolga, *
l’abisso non chiuda su di me la sua bocca. Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia; *
volgiti a me nella tua grande tenerezza.
Non nascondere il volto al tuo servo, *
sono in pericolo: presto, rispondimi.
Avvicinati a me, riscattami, *
salvami dai miei nemici.
Tu conosci la mia infamia, †
la mia vergogna e il mio disonore; *
davanti a te sono tutti i miei nemici.
L’insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. †
Ho atteso compassione, ma invano, *
consolatori, ma non ne ho trovati.
Hanno messo nel cibo veleno,
e quando avevo sete mi hanno fatto bere l’aceto.
Gloria al Padre e al Figlio, *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
nei secoli dei secoli. Amen.
2^ Antifona
Hanno messo nel mio cibo veleno,
nella mia sete mi hanno fatto bere l’aceto.
3^ Antifona
Cercate il Signore
e avrete la vita.
SALMO 68, 30-37 (III) Mi divora lo zelo per la tua casa
Gli diedero da bere vino mescolato con fiele (Mt27, 34).
Io sono infelice e sofferente; *
la tua salvezza, Dio, mi ponga al sicuro. Loderò il nome di Dio con il canto, *
lo esalterò con azioni di grazie,
che il Signore gradirà più dei tori, *
più dei giovenchi con corna e unghie. Vedano gli umili e si rallegrino; *
si ravvivi il cuore di chi cerca Dio,
poiché il Signore ascolta i poveri *
e non disprezza i suoi che sono prigionieri. A lui acclamino i cieli e la terra, *
i mari e quanto in essi si muove.
Perché Dio salverà Sion, †
ricostruirà le città di Giuda: *
vi abiteranno e ne avranno il possesso.
La stirpe dei suoi servi ne sarà erede, *
e chi ama il suo nome vi porrà dimora.
Gloria al Padre e al Figlio, *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
nei secoli dei secoli. Amen.
3^ Antifona
Cercate il Signore
e avrete la vita.
Versetto
V. Quando sarò innalzato da terra,
R. attirerò a me ogni creatura.
Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 4, 14 – 5, 10
Gesù Cristo sommo sacerdote
Fratelli, poiché abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.
Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo.
Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse:
Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato (Sal 2, 7).
Come in un altro passo dice:
Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek (Sal 109, 4).
Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek.Responsorio Cfr. Eb 5, 8. 9. 7
R. Cristo, pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì, * e divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
V. Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere con forti grida e fu esaudito per la sua pietà,
R. e divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Seconda Lettura
Dall’«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
(Capp. 65-67; SC 123, 95-101)
L’agnello immolato ci strappò dalla morte
Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1, 5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l’iniquità e l’ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l’Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell’agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l’agnello che non apre bocca, egli è l’agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnello senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all’uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l’umanità dal profondo del sepolcro.Responsorio Cfr. Rm 3, 23-25; Gv 1, 29
R. Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio; ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione di Cristo. * Dio lo ha stabilito come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue.
V. Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!
R. Dio lo ha stabilito come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue.Orazione
O Dio, vita e salvezza di chi ti ama, rendici ricchi dei tuoi doni: compi in noi ciò che speriamo per la morte del Figlio tuo, e fa’ che partecipiamo alla gloria della sua risurrezione. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
Benediciamo il Signore.
R. Rendiamo grazie a Dio.
dal sito Zenith:
Omelia di Benedetto XVI per la Santa Messa Crismale
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 5 aprile 2006 (ZENIT.org).-
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel presiedere oggi, Giovedì Santo, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale con i Cardinali, i Vescovi e i Presbiteri – diocesani e religiosi – presenti a Roma.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
lo scrittore russo Leone Tolstoi narra in un piccolo racconto di un sovrano severo che chiese ai suoi sacerdoti e sapienti di mostrargli Dio affinché egli potesse vederlo. I sapienti non furono in grado di appagare questo suo desiderio. Allora un pastore, che stava giusto tornando dai campi, si offrì di assumere il compito dei sacerdoti e dei sapienti. Il re apprese da lui che i suoi occhi non erano sufficienti per vedere Dio. Allora, però, egli volle almeno sapere che cosa Dio faceva. « Per poter rispondere a questa tua domanda – disse il pastore al sovrano – dobbiamo scambiare i vestiti ». Con esitazione, spinto tuttavia dalla curiosità per l’informazione attesa, il sovrano acconsentì; consegnò i suoi vestiti regali al pastore e si fece rivestire del semplice abito dell’uomo povero. Ed ecco allora arrivare la risposta: « Questo è ciò che Dio fa ». Di fatto, il Figlio di Dio – Dio vero da Dio vero – ha lasciato il suo splendore divino: « …spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso … fino alla morte di croce » (cfr Fil 2,6ss). Dio ha – come dicono i Padri – compiuto il sacrum commercium, il sacro scambio: ha assunto ciò che era nostro, affinché noi potessimo ricevere ciò che era suo, divenire simili a Dio.
San Paolo, per quanto accade nel Battesimo, usa esplicitamente l’immagine del vestito: « Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo » (Gal 3,27). Ecco ciò che si compie nel Battesimo: noi ci rivestiamo di Cristo, Egli ci dona i suoi vestiti e questi non sono una cosa esterna. Significa che entriamo in una comunione esistenziale con Lui, che il suo e il nostro essere confluiscono, si compenetrano a vicenda. « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » – così Paolo stesso nella Lettera ai Galati (2,2) descrive l’avvenimento del suo battesimo. Cristo ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete, la stanchezza, le speranze e le delusioni, la paura della morte, tutte le nostre angustie fino alla morte. E ha dato a noi i suoi « vestiti ». Ciò che nella Lettera ai Galati espone come semplice « fatto » del battesimo – il dono del nuovo essere – Paolo ce lo presenta nella Lettera agli Efesini come un compito permanente: « Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima! … [Dovete] rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira, non peccate… » (Ef 4,22-26).
Questa teologia del Battesimo ritorna in modo nuovo e con una nuova insistenza nell’Ordinazione sacerdotale. Come nel Battesimo viene donato uno « scambio dei vestiti », uno scambio del destino, una nuova comunione esistenziale con Cristo, così anche nel sacerdozio si ha uno scambio: nell’amministrazione dei Sacramenti, il sacerdote agisce e parla ora « in persona Christi« . Nei sacri misteri egli non rappresenta se stesso e non parla esprimendo se stesso, ma parla per l’Altro – per Cristo. Così nei Sacramenti si rende visibile in modo drammatico ciò che l’essere sacerdote significa in generale; ciò che abbiamo espresso con il nostro « Adsum – sono pronto » durante la consacrazione sacerdotale: io sono qui perché tu possa disporre di me. Ci mettiamo a disposizione di Colui « che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi… » (2Cor 5,15). Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attirare dentro il suo « per tutti »: essendo con Lui possiamo esserci davvero « per tutti ».
In persona Christi – nel momento dell’Ordinazione sacerdotale, la Chiesa ci ha reso visibile ed afferrabile questa realtà dei « vestiti nuovi » anche esternamente mediante l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici. In questo gesto esterno essa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi. Questo evento, il « rivestirsi di Cristo », viene rappresentato sempre di nuovo in ogni Santa Messa mediante il rivestirci dei paramenti liturgici. Indossarli deve essere più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel « sì » del nostro incarico – in quel « non più io » del battesimo che l’Ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede. Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti che stiamo lì « in persona di un Altro ». Gli indumenti sacerdotali, così come nel corso del tempo si sono sviluppati, sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa. Vorrei pertanto, cari confratelli, spiegare in questo Giovedì Santo l’essenza del ministero sacerdotale interpretando i paramenti liturgici che, appunto, da parte loro vogliono illustrare che cosa significhi « rivestirsi di Cristo », parlare ed agire in persona Christi.
L’indossare le vesti sacerdotali era una volta accompagnato da preghiere che ci aiutano a capire meglio i singoli elementi del ministero sacerdotale. Cominciamo con l’amitto. In passato – e negli ordini monastici ancora oggi – esso veniva posto prima sulla testa, come una specie di cappuccio, diventando così un simbolo della disciplina dei sensi e del pensiero necessaria per una giusta celebrazione della Santa Messa. I pensieri non devono vagare qua e là dietro le preoccupazioni e le attese del mio quotidiano; i sensi non devono essere attirati da ciò che lì, all’interno della chiesa, casualmente vorrebbe sequestrare gli occhi e gli orecchi. Il mio cuore deve docilmente aprirsi alla parola di Dio ed essere raccolto nella preghiera della Chiesa, affinché il mio pensiero riceva il suo orientamento dalle parole dell’annuncio e della preghiera. E lo sguardo del mio cuore deve essere rivolto verso il Signore che è in mezzo a noi: ecco cosa significa ars celebrandi – il giusto modo del celebrare. Se io sono col Signore, allora con il mio ascoltare, parlare ed agire attiro anche la gente dentro la comunione con Lui.
I testi della preghiera che interpretano il camice e la stola vanno ambedue nella stessa direzione. Evocano il vestito festivo che il padre donò al figlio prodigo tornato a casa cencioso e sporco. Quando ci accostiamo alla liturgia per agire nella persona di Cristo ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da Lui; quanta sporcizia esiste nella nostra vita. Egli solo può donarci il vestito festivo, renderci degni di presiedere alla sua mensa, di stare al suo servizio. Così le preghiere ricordano anche la parola dell’Apocalisse secondo cui i vestiti dei 144.000 eletti non per merito loro erano degni di Dio. L’Apocalisse commenta che essi avevano lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello e che in questo modo esse erano diventate candide come la luce (cfr Ap 7,14). Già da piccolo mi sono chiesto: Ma quando si lava una cosa nel sangue, non diventa certo bianca! La risposta è: il « sangue dell’Agnello » è l’amore del Cristo crocifisso. È questo amore che rende candide le nostre vesti sporche; che rende verace ed illuminato il nostro spirito oscurato; che, nonostante tutte le nostre tenebre, trasforma noi stessi in « luce nel Signore ». Indossando il camice dovremmo ricordarci: Egli ha sofferto anche per me. E soltanto perché il suo amore è più grande di tutti i miei peccati, posso rappresentarlo ed essere testimone della sua luce.
Ma con il vestito di luce che il Signore ci ha donato nel Battesimo e, in modo nuovo, nell’Ordinazione sacerdotale, possiamo pensare anche al vestito nuziale, di cui Egli ci parla nella parabola del banchetto di Dio. Nelle omelie di san Gregorio Magno ho trovato a questo riguardo una riflessione degna di nota. Gregorio distingue tra la versione di Luca della parabola e quella di Matteo. Egli è convinto che la parabola lucana parli del banchetto nuziale escatologico, mentre – secondo lui – la versione tramandata da Matteo tratterebbe dall’anticipazione di questo banchetto nuziale nella liturgia e nella vita della Chiesa. In Matteo – e solo in Matteo – infatti il re viene nella sala affollata per vedere i suoi ospiti. Ed ecco che in questa moltitudine trova anche un ospite senza abito nuziale, che viene poi buttato fuori nelle tenebre. Allora Gregorio si domanda: « Ma che specie di abito è quello che gli mancava? Tutti coloro che sono riuniti nella Chiesa hanno ricevuto l’abito nuovo del battesimo e della fede; altrimenti non sarebbero nella Chiesa. Che cosa, dunque, manca ancora? Quale abito nuziale deve ancora essere aggiunto? » Il Papa risponde: « Il vestito dell’amore ». E purtroppo, tra i suoi ospiti ai quali aveva donato l’abito nuovo, la veste candida della rinascita, il re trova alcuni che non portano il vestito color porpora del duplice amore verso Dio e verso il prossimo. « In quale condizione vogliamo accostarci alla festa del cielo, se non indossiamo l’abito nuziale – cioè l’amore, che solo può renderci belli? », domanda il Papa. Una persona senza l’amore è buia dentro. Le tenebre esterne, di cui parla il Vangelo, sono solo il riflesso della cecità interna del cuore (cfr Hom. 38, 8-13).
Ora che ci apprestiamo alla celebrazione della Santa Messa, dovremmo domandarci se portiamo questo abito dell’amore. Chiediamo al Signore di allontanare ogni ostilità dal nostro intimo, di toglierci ogni senso di autosufficienza e di rivestirci veramente con la veste dell’amore, affinché siamo persone luminose e non appartenenti alle tenebre.
Infine ancora una breve parola riguardo alla casula. La preghiera tradizionale quando si riveste la casula vede rappresentato in essa il giogo del Signore che a noi come sacerdoti è stato imposto. E ricorda la parola di Gesù che ci invita a portare il suo giogo e a imparare da Lui, che è « mite e umile di cuore » (Mt 11,29). Portare il giogo del Signore significa innanzitutto: imparare da Lui. Essere sempre disposti ad andare a scuola da Lui. Da Lui dobbiamo imparare la mitezza e l’umiltà – l’umiltà di Dio che si mostra nel suo essere uomo. San Gregorio Nazianzeno una volta si è chiesto perché Dio abbia voluto farsi uomo. La parte più importante e per me più toccante della sua risposta è: « Dio voleva rendersi conto di che cosa significa per noi l’obbedienza e voleva misurare il tutto in base alla propria sofferenza, all’invenzione del suo amore per noi. In questo modo, Egli può conoscere direttamente su se stesso ciò che noi sperimentiamo – quanto è richiesto da noi, quanta indulgenza meritiamo – calcolando in base alla sua sofferenza la nostra debolezza » (Discorso 30; Disc. teol. IV,6). A volte vorremmo dire a Gesù: Signore, il tuo giogo non è per niente leggero. È anzi tremendamente pesante in questo mondo. Ma guardando poi a Lui che ha portato tutto – che su di sé ha provato l’obbedienza, la debolezza, il dolore, tutto il buio, allora questi nostri lamenti si spengono. Il suo giogo è quello di amare con Lui. E più amiamo Lui, e con Lui diventiamo persone che amano, più leggero diventa per noi il suo giogo apparentemente pesante.
Preghiamolo di aiutarci a diventare insieme con Lui persone che amano, per sperimentare così sempre di più quanto è bello portare il suo giogo. Amen.
per questo sei Tu l’Amore
(poesia mia, h 1,45 del 5.4.07, giovedì santo)
desiderio di amare,
lacrime di passione,
dove c’è anelito di te,
mio Dio e speranza,
desiderio cocente,
luminare che discende
da un limpido luogo,
umile servo che si
china al delicato servizio,
sei tu colui che aspetto?
sei tu, povero servo,
il Signore? non ti spettavo così
eppure, per questo, sei Tu: l’Amore
Origene (circa 185-253), sacerdote e teologo
Commento su Giovanni, § 32, 25-35.77-83 ; SC 385, 199
« Se non ti laverò, non avrai parte con me »« Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò di tavola ». Ciò che non era prima nelle mani di Gesù è rimesso dal Padre nelle sue mani: non certe cose solamente, ma tutte. Davide aveva detto: « Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi » (Sal 109,1). I nemici di Gesù facevano parte infatti di quel ‘tutto’ che suo Padre gli donava… A causa di coloro che si erano allontanati da Dio, si è allontanato da Dio colui che per natura non vuole uscire dal Padre. È uscito da Dio affinché quanto si era allontanato da lui tornasse con lui, cioè nelle sue mani, presso Dio, secondo il suo disegno eterno…
Cosa dunque faceva Gesù lavando i piedi dei suoi discepoli? Lavandoli e asciugandoli con l’asciugatoio di cui si era cinto, Gesù non rendeva forse i loro piedi belli, per il momento in cui avrebbero avuto da annunciare la buona novella? Allora si compì, secondo me, la parola profetica: « Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi » (Is 52,7; Rm 10,15). Eppure se, lavando i piedi dei suoi discepoli, Gesù li rende belli, come esprimere la bellezza vera di coloro che egli immerge interamente nello « Spirito Santo e nel fuoco » (Mt 3,11)? I piedi degli apostoli sono divenuti belli affinché… possano porre il piede sulla strada santa e camminare in colui che ha detto: « Io sono la via » (Gv 14,6). Infatti chi ha avuto i piedi lavati da Gesù, e lui solo, segue quella via vivente che conduce al Padre; quella via non ha posto per i piedi sporchi… Per seguire quella via vivente e spirituale (Eb 10,20)…, occorre avere i piedi lavati da Gesù che ha deposto le vesti… per prendere nel suo corpo l’impurità dei loro piedi con quell’asciugatoio che era il suo solo vestito, perché « si è addossato i nostri dolori » (Is 53,4).
io so che non è facile « fare » un Blog in italiano, sia perché ce ne sono già molti, sia perché, in un certo senso credo che bisogna comprendere un poco la pesona che scrive, dargli un consenso, una sorta di fiducia anticipata, io non so se la merito, tuttavia quello che faccio è: « gratis et amore dei », ogni cosa che faccio è per il Signore, ho fatto tante cose nel mondo: ho lavorato, ho studiato, ho fatto sport, non ho fatto l’amore, mi sono donata a Dio, spero di non fare neppure questo per me stessa per sentirmi brava, ma solo per il Signore, non so se sono così « pura », ma il desiderio e l’intenzione ci sono,;
questo è tutto quello che volevo aggiungere stasera ai miei post;
Gabriella
dal sito:
http://it.encarta.msn.com/media_461529791_761564745_-1_1/Madox_Brown_Lavanda_dei_piedi_a_Pietro.html
da « Avvenire » on line, anno 2005:
PASQUA 2005.
S’inginocchiò davanti ai suoi discepoli e lavò i loro piedi.
Tre intellettuali riflettono su questo rito misterioso e sul servizio al prossimo
Ultimo tra gli ultimi
Gianfranco Ravasi;Franco La Cecla;Erri De Luca
Ravasi
Così ci ha detto di essersi donato
per riscattarci dal peccato
«Sei risalito dal fonte. Hai ascoltato la lettura. Il vescovo, raccolte le vesti, ti ha lavato i piedi». Così sant’Ambrogio nella sua opera I sacramenti (III, 4) attestava che il rito che oggi si celebra in molte chiese era anticamente connesso al battesimo, anche se ben presto fu riportato al giovedì santo, come sembra testimoniare s. Agostino. Gesù, infatti, stando al Vangelo di Giovanni (13, 1-15), aveva compiuto quel gesto durante l’ultima cena, mentre scendeva il tramonto su Gerusalemme.
Il suo era stato un atto simbolico ma anche provocatorio, come era emerso dalla reazione iniziale di Pietro: «Tu non mi laverai i piedi, mai!». Infatti nella prassi orientale antica era usanza offrire acqua all’ospite perché si lavasse i piedi impolverati dal viaggio (e coperti solo da sandali). Ma un testo giudaico di commento all’Esodo esplicitamente ammoniva che non si poteva esigere neppure da uno schiavo che lavasse i piedi al padrone o al suo ospite. Siamo, quindi, di fronte a un atto estremo di umiliazione che Gesù, maestro e Signore, compie nei confronti dei suoi discepoli.
Egli in quel momento attuava in pienezza le parole che un giorno aveva proclamato: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli… Egli si cingerà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Luca 12, 37). Un atto, certo, di umiltà ma anche di amore e di servizio. E’ significativo che in un’opera giudaica del I secolo a.C. intitolata Giuseppe e Aseneth, la moglie egiziana di questo famoso personaggio della Genesi si dichiarava pronta a lavargli i piedi al posto delle serve perché «i tuoi piedi – diceva – sono i miei piedi! Nessun altro laverà i tuoi piedi».
Al di là delle molteplici interpretazioni che il gesto di Gesù ha ricevuto nella storia dell’esegesi della pagina giovannea (battesimale, eucaristico, sacrificale, morale), è indubbio che con questo atto simbolico egli – alla m aniera dei profeti – ha voluto rappresentare la sua donazione assoluta all’umanità nell’umiliazione della morte. Un’umiltà che non è fine a se stessa, ma ha una meta d’amore. Il gesto diventa in tal modo esemplare. E’ Gesù stesso a ricordarlo dopo che si è rialzato e ha ripreso il suo posto a mensa: «Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». E’ questa la lezione del Giovedì Santo.
La cecla
Quel gesto più che l’umiltà
ci chiede la reciprocità
Essere ai piedi di qualcuno. Toccargli i piedi. Slacciargli le scarpe, sciogliere i legacci dei calzari. Lavargli i piedi, asciugarglieli. Le figure dell’ossequio, dell’umiliazione, del sottomettersi, del subordinarsi. Cultura per cultura, i gesti del prendere i piedi a qualcuno stanno per una declinazione variegata del campo prossemico della subordinazione. Il corpo significa, con la sua posizione rispetto al corpo dell’altro, più di quanto possa dire uno scusarsi, un promettere fedeltà e obbedienza, un dichiarare sudditanza e rispetto. I discepoli del guru in India si chinano a toccarne i piedi, in segno di ammirata inferiorità. In molte culture i figli si inchinano a toccare con rispetto i piedi dei genitori.
I piedi altrui stanno a significare una indegnità di confronto, un potersi permettere solo questa confidenza con la parte altrui più vicina alla terra. Gli amanti non fanno diversamente, mettendo in scena una adorazione illegittima, una messinscena del preferire essere calpestati piuttosto che perdere l’amato. Solo ai malati e ai morenti si prendono i piedi in segno di estrema pietà e vicinanza, come accade nel racconto di Tolstoj, La morte di Ivan Illich. Pietà al posto di umiliazione, i piedi come il luogo da consolare, come la parte più fragile dell’umanità dell’altro.
Quando Cristo lava i piedi ai discepoli compie un gesto fuori da questi significati e da queste norme. Non corrisponde nemmeno al gesto del lavare i piedi ai po veri, che il Giovedì santo si ripete nelle basiliche.
Cristo lava i piedi di gente come lui, di poveri come lui. Non c’è ossequio e nemmeno umiliazione. Cosa significa lavare i piedi dei propri pari? Che significa lavare i piedi degli amici? Il gesto della lavanda dei piedi è qui disorientante rispetto ai codici tradizionali. Non corrisponde nemmeno al gesto della Maddalena, più simile a quello dell’amante o di chi presagisce la Passione prossima dell’altro.
Cristo lava i piedi dei discepoli per infrangere il senso dell’umiltà, per ricordare che da ora in poi è possibile solo come gesto reciproco. Lavando i piedi agli apostoli dichiara che loro sono maestri al pari di lui e che comunque lui abolisce la possibilità che loro lavino omaggianti i piedi di lui. Nel gesto evengelico si annullano e assimilano umiltà e umiliazione.
Qualcuno può rintracciarvi l’invenzione dell’umiltà cristiana, di chi si abbassa fino all’estremo sacrificio. Io vi vedo anche qualcos’altro. Un’eversione della tradizione, dove si rovescia l’inchino del suddito, si annulla la gerarchia, pur anche quella dei meriti e della santità. Cristo taglia corto con la simbolica del corpo riverente. E proclama l’accoglimento della comune radice dell’ossequio tra figli di Dio.
De Luca
Fu il segno della rinuncia
a ogni potenza su questa terra
Prima di finire rinchiusi nelle scarpe, i piedi andavano a spasso all’aria aperta. Le calzature della scrittura sacra erano sandali. In quei tempi si camminava assai, pochi avevano una cavalcatura. Viaggi, pellegrinaggi, spostamenti avvenivano a piedi: da qui l’importanza della loro salute. Nel cammino si impolverano, si feriscono e a ogni sosta vanno ristorati. Lavarli, ungerli, trattarli come il prezioso cuoio dei sandali, era l’atto di migliore accoglienza.
Oggi ognuno di noi possiede varie paia di calzature, mette il piede in molte scarpe. A quel tempo chi possedeva un paio di sandali li teneva in gran conto. La mossa di lavare i piedi al l’ospite l’inaugura Abramo alle querce di Mamre (Genesi/Bereshit 18,4) quando accoglie tre messaggeri e come prima mossa d’ospitalità offre loro ombra per sedersi e acqua per i piedi.
Nei precipitosi giorni di Gesù a Gerusalemme, nel tumulto di folla venuta da tutto Israele per la festa maggiore, la Pasqua ebraica, l’opera di lavare i piedi non è strana. È però strepitoso che sia Gesù e non un servo a compiere il lavaggio.
Molti da lui si aspettano un gesto politico, la città santa è sotto occupazione militare romana, gremita di popolo commosso e offeso. Gesù non dice una sola parola a proposito. Al termine della cena rituale s’inginocchia e lava i piedi ai suoi. Sono ebrei, nel rito hanno ricordato l’uscita a strappo dall’Egitto, il profumo selvatico del deserto e della libertà. Ora sono oppressi.
Gesù al culmine della maturità e della missione fa il gesto di abbassarsi, l’opposto di innalzarsi. Difficile da intendere anche per i presenti scelti, Gesù rinuncia a ogni potere, a ogni potenza in terra. Abbraccia gli uomini ai piedi, là dove poggia il peso e la statura di ognuno, i piedi che non portano corona.