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Arcivescovo Ravasi: la Bibbia, riferimento per la civiltà

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http://www.zenit.org/article-14798?l=italian

Arcivescovo Ravasi: la Bibbia, riferimento per la civiltà

Conferenza in Portogallo del presidente del Pontificio Consiglio della Cultura 

di Alexandre Ribeiro

 

 LISBONA, martedì, 24 giugno 2008 (ZENIT.org).- La Bibbia “è uno dei punti di riferimento fondamentali non solo per la fede, ma anche per la nostra civiltà”, ha affermato monsignor Gianfranco Ravasi. 

Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura era venerdì scorso in Portogallo, dove ha presentato all’Università Cattolica Portoghese una conferenza dal titolo La Bibbia, ‘Grande Codice’ della cultura occidentale

Secondo il presule, la Bibbia è presente nella cultura occidentale come componente strutturale del dominio artistico, etico e sociale

‘Le Sacre Scritture sono l’universo su cui la letteratura e l’arte occidentali hanno operato fino al XVIII secolo e, in buona misura, ancora operano’, ha detto citando il critico letterario Northrop Frye. 

Monsignor Ravasi ha sottolineato che per secoli la Bibbia è stata un’immensa grammatica o un repertorio iconografico, ideologico e letterario al quale ci si è attenuti costantemente a livello sia della cultura elevata che di quella popolare

L’Arcivescovo ha indicato tre modelli che rappresentano questa enorme influenza, il primo dei quali sarebbe quello reinterpretativo o attualizzante: si assume il testo o il simbolo biblico che viene riletto all’interno di coordinate storico-culturali nuove e diverse

Un altro modello è quello che elabora i dati biblici in modo sconcertante e che possiamo definire degenerativo. Nella stessa storia della teologia e dell’esegesi si sono verificati frequentemente fraintendimenti e deformazioni ermeneutiche

In questo caso, il testo biblico corre il rischio della riduzione a una tenue base su cui si tessono nuove trame e nuovi significati, fenomeno che avviene con molte altre figure bibliche, ha affermato. 

Un terzo modello, quello trasfigurativo, appare quando l’arte riesce a rendere visibili dissonanze segrete del testo sacro, trascrivendolo in tutta la sua purezza, facendo nascere potenzialità che l’esegesi scientifica conquista solo con molta fatica o ignora del tutto

Su questa linea, secondo l’Arcivescovo, emerge la grande musica che, nel periodo storico che va dal ’600 all’inizio dell »800, ha superato spesso le arti figurative come interprete della Bibbia (Carissimi, Monteverdi, Schütz, Pachelbel, Bach, Vivaldi, Buxtehude, Telemann, Couperin, Charpentier, Haendel, Haydn, Mozart, Bruckner ecc.)

Immaginate cosa può significare un oratorio come Jefte di Carissimi o il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, o la Passione secondo Matteo di Bach o ancora, guardando ai nostri giorni, la Passione secondo San Luca di Penderecki o i Chichester Psalms di Bernstein, ha affermato. 

Secondo monsignor Ravasi, per studiare un caso specifico ed esistenziale, basterebbe seguire la suprema rilettura che Mozart fa di un salmo letterariamente modesto, il brevissimo 117 (116), caro a Israele perché proclama le due virtù fondamentali dell’alleanza che lega Dio al suo popolo, cioè veritas et misericordia, come dice la versione latina della Vulgata utilizzata dal musicista, o ‘amore e fedeltà‘, in una traduzione più vicina all’originale ebraico

E’ chiaro, il Laudate Dominum in Fa minore dei Vespri solenni di un Confessore (K 339) di Mozart riesce a ricreare tutta la carica teologica e spirituale ebraica e cristiana del salmo come non saprebbe fare nessuna esegesi testuale diretta, ha sottolineato. 

Ricordando che la Bibbia è uno dei punti di riferimento per la fede e la civiltà, monsignor Ravasi ha concluso il suo intervento citando le parole di Goethe, che diceva che il cristianesimo è ‘la lingua materna dell’Europa’. 

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI, ZENITH |on 25 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI presenta la figura di Sant’Isidoro di Siviglia

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14730?l=italian

Benedetto XVI presenta la figura di Sant’Isidoro di Siviglia

Intervento in occasione dell’Udienza generale

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 18 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato questo mercoledì mattina da Benedetto XVI nel corso dell’Udienza generale in piazza San Pietro in Vaticano, incentrata sulla figura di Sant’Isidoro di Siviglia.

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare di sant’Isidoro di Siviglia: era fratello minore di Leandro, Vescovo di Siviglia e grande amico del Papa Gregorio Magno. Il rilievo è importante, perché permette di tenere presente un accostamento culturale e spirituale indispensabile alla comprensione della personalità di Isidoro. Egli deve infatti molto a Leandro, persona molto esigente, studiosa e austera, che aveva creato intorno al fratello minore un contesto familiare caratterizzato dalle esigenze ascetiche proprie di un monaco e dai ritmi di lavoro richiesti da una seria dedizione allo studio. Inoltre Leandro si era preoccupato di predisporre il necessario per far fronte alla situazione politico-sociale del momento: in quei decenni infatti i Visigoti, barbari e ariani, avevano invaso la penisola iberica e si erano impadroniti dei territori appartenuti all’Impero romano. Occorreva conquistarli alla romanità e al cattolicesimo. La casa di Leandro e di Isidoro era fornita di una biblioteca assai ricca di opere classiche, pagane e cristiane. Isidoro, che si sentiva attratto simultaneamente sia verso le une che verso le altre, fu educato perciò a sviluppare, sotto la responsabilità del fratello maggiore, una disciplina molto forte nel dedicarsi al loro studio, con discrezione e discernimento.

Nell’episcopio di Siviglia si viveva, perciò, in un clima sereno ed aperto. Lo possiamo dedurre dagli interessi culturali e spirituali di Isidoro, così come essi emergono dalle sue stesse opere, che comprendono una conoscenza enciclopedica della cultura classica pagana e un’approfondita conoscenza della cultura cristiana. Si spiega così l’eclettismo che caratterizza la produzione letteraria di Isidoro, il quale spazia con estrema facilità da Marziale ad Agostino, da Cicerone a Gregorio Magno. La lotta interiore che dovette sostenere il giovane Isidoro, divenuto successore del fratello Leandro sulla cattedra episcopale di Siviglia nel 599, non fu affatto leggera. Forse si deve proprio a questa lotta costante con se stesso l’impressione di un eccesso di volontarismo che s’avverte leggendo le opere di questo grande autore, ritenuto l’ultimo dei Padri cristiani dell’antichità. Pochi anni dopo la sua morte, avvenuta nel 636, il Concilio di Toledo del 653 lo definì: « Illustre maestro della nostra epoca, e gloria della Chiesa cattolica ».

Isidoro fu senza dubbio un uomo dalle contrapposizioni dialettiche accentuate. E, anche nella sua vita personale, sperimentò un permanente conflitto interiore, assai simile a quello che avevano avvertito già san Gregorio Magno e sant’Agostino, fra desiderio di solitudine, per dedicarsi unicamente alla meditazione della Parola di Dio, ed esigenze della carità verso i fratelli della cui salvezza si sentiva, come Vescovo, incaricato. Scrive per esempio a proposito dei responsabili delle Chiese: « Il responsabile di una Chiesa (vir ecclesiasticus) deve da una parte lasciarsi crocifiggere al mondo con la mortificazione della carne e dall’altra accettare la decisione dell’ordine ecclesiastico, quando proviene dalla volontà di Dio, di dedicarsi al governo con umiltà, anche se non vorrebbe farlo » (Sententiarum liber III, 33, 1: PL 83, col 705 B). Aggiunge poi appena un paragrafo dopo: « Gli uomini di Dio (sancti viri) non desiderano affatto di dedicarsi alle cose secolari e gemono quando, per un misterioso disegno di Dio, vengono caricati di certe responsabilità… Essi fanno di tutto per evitarle, ma accettano ciò che vorrebbero fuggire e fanno ciò che avrebbero voluto evitare. Entrano infatti nel segreto del cuore e là dentro cercano di capire che cosa chieda la misteriosa volontà di Dio. E quando si rendono conto di doversi sottomettere ai disegni di Dio, umiliano il collo del cuore sotto il giogo della decisione divina » (Sententiarum liber III, 33, 3: PL 83, coll. 705-706).

Per capire meglio Isidoro occorre ricordare, innanzitutto, la complessità delle situazioni politiche del suo tempo, a cui ho già accennato: durante gli anni della fanciullezza aveva dovuto sperimentare l’amarezza dell’esilio. Ciò nonostante era pervaso di entusiasmo apostolico: sperimentava l’ebbrezza di contribuire alla formazione di un popolo che ritrovava finalmente la sua unità, sul piano sia politico che religioso, con la provvidenziale conversione dell’erede al trono visigoto Ermenegildo dall’arianesimo alla fede cattolica. Non si deve tuttavia sottovalutare l’enorme difficoltà di affrontare in modo adeguato problemi assai gravi come quelli dei rapporti con gli eretici e con gli Ebrei. Tutta una serie di problemi che appaiono molto concreti anche oggi, soprattutto se si considera ciò che avviene in certe regioni nelle quali sembra quasi di assistere al riproporsi di situazioni assai simili a quelle presenti nella penisola iberica in quel sesto secolo. La ricchezza delle conoscenze culturali di cui disponeva Isidoro gli permetteva di confrontare continuamente la novità cristiana con l’eredità classica greco-romana, anche se più che il dono prezioso della sintesi sembra che egli avesse quello della collatio, cioè della raccolta, che si esprimeva in una straordinaria erudizione personale, non sempre ordinata come si sarebbe potuto desiderare.

Da ammirare è, in ogni caso, il suo assillo di non trascurare nulla di ciò che l’esperienza umana aveva prodotto nella storia della sua patria e del mondo intero. Isidoro non avrebbe voluto perdere nulla di ciò che era stato acquisito dall’uomo nelle epoche antiche, fossero esse pagane, ebraiche o cristiane. Non deve stupire pertanto se, nel perseguire questo scopo, gli succedeva a volte di non riuscire a far passare adeguatamente, come avrebbe voluto, le conoscenze che possedeva attraverso le acque purificatrici della fede cristiana. Di fatto, tuttavia, nelle intenzioni di Isidoro, le proposte che egli fa restano sempre in sintonia con la fede cattolica, da lui sostenuta con fermezza. Nella discussione dei vari problemi teologici, egli mostra di percepirne la complessità e propone spesso con acutezza soluzioni che raccolgono ed esprimono la verità cristiana completa. Ciò ha consentito ai credenti nel corso dei secoli di fruire con gratitudine delle sue definizioni fino ai nostri tempi. Un esempio significativo in materia ci è offerto dall’insegnamento di Isidoro sui rapporti tra vita attiva e vita contemplativa. Egli scrive: « Coloro che cercano di raggiungere il riposo della contemplazione devono allenarsi prima nello stadio della vita attiva; e così, liberati dalle scorie dei peccati, saranno in grado di esibire quel cuore puro che, unico, permette di vedere Dio » (Differentiarum Lib II, 34, 133: PL 83, col 91A). Il realismo di un vero pastore lo convince però del rischio che i fedeli corrono di ridursi ad essere uomini ad una dimensione. Perciò aggiunge: « La via media, composta dall’una e dall’altra forma di vita, risulta normalmente più utile a risolvere quelle tensioni che spesso vengono acuite dalla scelta di un solo genere di vita e vengono invece meglio temperate da un’alternanza delle due forme » (o.c., 134: ivi, col 91B).

La conferma definitiva di un giusto orientamento di vita Isidoro la cerca nell’esempio di Cristo e dice: « Il Salvatore Gesù ci offrì l’esempio della vita attiva, quando durante il giorno si dedicava a offrire segni e miracoli in città, ma mostrò la vita contemplativa quando si ritirava sul monte e vi pernottava dedito alla preghiera » (o.c. 134: ivi). Alla luce di questo esempio del divino Maestro, Isidoro può concludere con questo preciso insegnamento morale: « Perciò il servo di Dio, imitando Cristo, si dedichi alla contemplazione senza negarsi alla vita attiva. Comportarsi diversamente non sarebbe giusto. Infatti come si deve amare Dio con la contemplazione, così si deve amare il prossimo con l’azione. E’ impossibile dunque vivere senza la compresenza dell’una e dell’altra forma di vita, né è possibile amare se non si fa esperienza sia dell’una che dell’altra » (o.c., 135: ivi, col 91C). Ritengo che questa sia la sintesi di una vita che cerca la contemplazione di Dio, il dialogo con Dio nella preghiera e nella lettura della Sacra Scrittura, come pure l’azione a servizio della comunità umana e del prossimo. Questa sintesi è la lezione che il grande Vescovo di Siviglia lascia a noi, cristiani di oggi, chiamati a testimoniare Cristo all’inizio di un nuovo millennio.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 18 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Incontro del Papa con i sacerdoti nella Cattedrale di Brindisi

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14717?l=italian

Incontro del Papa con i sacerdoti nella Cattedrale di Brindisi

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 16 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI in occasione dell’incontro con i sacerdoti svoltosi nella Cattedrale di Brindisi.

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Carissimi presbiteri, diaconi e seminaristi,

sono lieto di porgere il mio saluto cordiale a tutti voi, raccolti in questa bella Cattedrale, riaperta al culto dopo i restauri nel novembre scorso. Ringrazio lArcivescovo, Mons. Rocco Talucci, per il caloroso indirizzo di saluto che ha voluto rivolgermi a nome vostro e per tutti i suoi doni. Saluto i sacerdoti, ai quali desidero esprimere il mio compiacimento per il vasto e articolato lavoro pastorale che svolgono; saluto i diaconi, i seminaristi e tutti i presenti, esprimendo la gioia di vedermi attorniato da una folta schiera di anime consacrate allavvento del Regno di Dio. Qui, nella Cattedrale, che è il cuore della Diocesi, ci si sente tutti a casa, uniti dal vincolo dellamore di Cristo. Qui vogliamo fare grata memoria di quanti hanno diffuso il cristianesimo in queste terre: Brindisi è stata fra le prime città dellOccidente ad accogliere il Vangelo, giuntovi sulle vie consolari romane. Tra i santi evangelizzatori penso a san Leucio, Vescovo, a santOronzo, san Teodoro dAmasea e a san Lorenzo da Brindisi, proclamato Dottore della Chiesa da Giovanni XXIII. La loro presenza continua ad essere viva nel cuore della gente ed è testimoniata dai molti monumenti della città.Cari fratelli, nel vedervi raccolti in questa Chiesa, nella quale molti di voi hanno ricevuto l

ordinazione diaconale e sacerdotale, mi tornano alla mente le parole che santIgnazio di Antiochia scriveva ai cristiani di Efeso: Il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al Vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo, nellaccordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, sinnalzi un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ed il santo Vescovo aggiungeva: Ciascuno di voi si studi di far coro. Nellarmonia della concordia e allunisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà” (Lettera agli Efesini, 4). Perseverate, cari presbiteri, nella ricerca di tale unità di intenti e di aiuto reciproco, affinché la carità fraterna e lunità nel lavoro pastorale siano di esempio e di stimolo per le vostre comunità. A questo soprattutto ha mirato la Visita pastorale alle parrocchie, compiuta dal vostro Arcivescovo e terminata nel marzo scorso: proprio a motivo della vostra generosa collaborazione, essa non è stata un semplice adempimento giuridico, ma uno straordinario avvenimento di valore ecclesiale e formativo. Sono certo che essa porterà i suoi frutti, poiché il Signore farà crescere abbondantemente il seme gettato con amore nelle anime dei fedeli.

Con lodierna mia presenza vorrei incoraggiarvi a porvi con sempre crescente disponibilità a servizio del Vangelo e della Chiesa. So che già lavorate con zelo e intelligenza, senza risparmio di energie, allo scopo di propagare il lieto annuncio evangelico. Cristo, al quale avete consacrato la vita, è con voi! In Lui noi tutti crediamo, a Lui solo affidiamo la nostra vita, Lui vogliamo annunciare al mondo. Cristo, che è la Via , la Verità e la Vita (cfr Gv 14,6), sia il tema del nostro pensare, largomento del nostro parlare, il motivo del nostro vivere. Cari fratelli sacerdoti, perché la vostra sia una fede forte e vigorosa occorre, come ben sapete, alimentarla con unassidua preghiera. Siate pertanto modelli di preghiera, diventate maestri di preghiera. Le vostre giornate siano scandite dai tempi dellorazione, durante i quali, sul modello di Gesù, vi intrattenete in un colloquio rigenerante con il Padre. So che non è facile mantenersi fedeli a questi quotidiani appuntamenti con il Signore, soprattutto oggi che il ritmo della vita si è fatto frenetico e le occupazioni assorbono in misura sempre maggiore. Dobbiamo tuttavia convincerci: il momento della preghiera è il più importante nella vita del sacerdote, quello in cui agisce con più efficacia la grazia divina, dando fecondità al suo ministero. Pregare è il primo servizio da rendere alla comunità. E perciò i momenti di preghiera devono avere nella nostra vita una vera priorità. So che tante cose ci premono: per quanto mi riguarda, unudienza, una documentazione da studiare, un incontro o altro ancora. Ma se non siano interiormente in comunione con Dio non possiamo dare niente neppure agli altri. Perciò Dio è la prima priorità. Dobbiamo sempre riservare il tempo necessario per essere in comunione di preghiera con nostro Signore.Cari fratelli e sorelle, vorrei ora rallegrarmi con voi per il nuovo Seminario Arcivescovile, che

è stato inaugurato nel novembre scorso dal mio Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone. Da una parte, esso esprime il presente di una Diocesi, costituendo come il punto di arrivo del lavoro svolto dai sacerdoti e dalle parrocchie nei settori della pastorale giovanile, dellinsegnamento catechistico, dellanimazione religiosa delle famiglie. Dallaltra, il Seminario è un investimento quanto mai prezioso per il futuro, perché assicura, mediante un lavoro paziente e generoso, che le comunità cristiane non saranno prive di pastori danime, di maestri di fede, di guide zelanti e di testimoni della carità di Cristo. Oltre che sede della vostra formazione, cari seminaristi, vera speranza della Chiesa, questo vostro Seminario è anche luogo di aggiornamento e di formazione continua per giovani e adulti, desiderosi di offrire il loro contributo alla causa del Regno di Dio. La preparazione accurata dei seminaristi e la formazione permanente dei presbiteri e degli altri operatori pastorali costituiscono preoccupazioni prioritarie per il Vescovo, al quale Iddio ha affidato la missione di guidare, come saggio pastore, il Popolo di Dio che vive in questa vostra Città.

Unulteriore occasione di crescita spirituale per le vostre Comunità è il Sinodo diocesano, il primo dopo il Concilio Vaticano II e dopo lunificazione delle due diocesi di Brindisi e di Ostuni. Esso è loccasione per rilanciare limpegno apostolico dellintera Diocesi, ma è soprattutto momento privilegiato di comunione, che aiuta a riscoprire il valore del servizio fraterno, come indica licona biblica da voi scelta della lavanda dei piedi (cfr Gv 13,12-17) con la parola di Gesù che la commenta: Come ho fatto io (Gv 13,5). Se è vero che il Sinodo ogni Sinodo – è chiamato a stabilire delle leggi, ad emanare norme adeguate per unorganica pastorale, suscitando e stimolando rinnovati impegni per levangelizzazione e la testimonianza evangelica, è anche vero che esso deve ridestare in ogni battezzato lanelito missionario che costantemente anima la Chiesa.Cari fratelli sacerdoti, il Papa vi assicura uno speciale ricordo nella preghiera, perch

é proseguiate nel cammino di autentico rinnovamento spirituale che state percorrendo insieme con le vostre Comunità. Vi aiuti in tale impegno lesperienza dello stare insieme nella fede e nellamore reciproco, come gli Apostoli attorno a Cristo nel Cenacolo. Fu lì che il divino Maestro li istruì, aprendo i loro occhi allo splendore della verità e donò ad essi il sacramento dellunità e dellamore: lEucaristia. Nel Cenacolo, durante lUltima Cena, al momento della lavanda dei piedi, emerse chiaramente come il servizio sia una delle dimensioni fondamentali della vita cristiana. È compito pertanto del Sinodo aiutare la vostra Chiesa locale, in tutte le sue componenti, a riscoprire il senso e la gioia del servizio: un servizio per amore. Ciò vale innanzitutto per voi, cari sacerdoti, configurati a Cristo Capo e Pastore, sempre pronti a guidare il suo gregge. Siate riconoscenti e lieti del dono ricevuto! Siate generosi nello svolgimento del vostro ministero! Poggiatelo su unassidua preghiera e una permanente formazione culturale, teologica e spirituale!

Mentre vi rinnovo lespressione del mio vivo apprezzamento e del più cordiale incoraggiamento, invito voi e lintera Diocesi a prepararvi allAnno Paolino, che inizierà prossimamente. Esso potrà essere loccasione per un generoso rilancio missionario, per un più profondo annuncio della Parola di Dio, accolta, meditata e tradotta in apostolato fecondo, come avvenne appunto per lApostolo delle genti. Conquistato da Cristo, Paolo visse interamente per Lui e per il suo Vangelo, spendendo la sua esistenza sino al martirio. Vi assista la Madonna, Madre della Chiesa e Vergine dellascolto; vi proteggano i Santi Patroni di questa amata terra di Puglia. Siate missionari dellamore di Dio; ogni vostra parrocchia sperimenti la gioia di appartenere a Cristo. Come pegno della grazia divina e dei doni del suo Spirito, imparto volentieri a tutti voi la Benedizione Apostolica.

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Papa Bendetto – Udienza 11 giugno 2008 – San Colombano

dal sito: 

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20080611_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 giugno 2008

San Colombano

Cari fratelli e sorelle

,

oggi vorrei parlare del santo abate Colombano, lirlandese più noto del primo Medioevo: con buona ragione egli può essere chiamato un santo europeo, perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dellEuropa occidentale. Insieme agli irlandesi del suo tempo, egli era consapevole dellunità culturale dellEuropa. In una sua lettera, scritta intorno allanno 600 ed indirizzata a Papa Gregorio Magno, si trova per la prima volta lespressione “totius Europae di tutta lEuropa, con riferimento alla presenza della Chiesa nel Continente (cfr Epistula I,1).Colombano era nato intorno all

anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dellIrlanda. Educato nella propria casa da ottimi maestri che lo avviarono allo studio delle arti liberali, si affidò poi alla guida dellabate Sinell della comunità di Cluain-Inis, nellIrlanda settentrionale, ove poté approfondire lo studio delle Sacre Scritture. Alletà di circa ventanni entrò nel monastero di Bangor nel nord-est dellisola, ove era abate Comgall, un monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena sintonia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote. La vita a Bangor e lesempio dellabate influirono sulla concezione del monachesimo che Colombano maturò col tempo e diffuse poi nel corso della sua vita.

Alletà di circa cinquantanni, seguendo lideale ascetico tipicamente irlandese della “peregrinatio pro Christo”, del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò lisola per intraprendere con dodici compagni unopera missionaria sul continente europeo. Dobbiamo infatti tener presente che la migrazione di popoli dal nord e dallest aveva fatto ricadere nel paganesimo intere Regioni già cristianizzate. Intorno allanno 590 questo piccolo drappello di missionari approdò sulla costa bretone. Accolti con benevolenza dal re dei Franchi dAustrasia (lattuale Francia), chiesero solo un pezzo di terra incolta. Ottennero lantica fortezza romana di Annegray, tutta diroccata ed abbandonata, ormai coperta dalla foresta. Abituati ad una vita di estrema rinuncia, i monaci riuscirono entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo. Così, la loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita. Con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime. Ben presto si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a pochi chilometri di distanza, sulle rovine di unantica città termale, Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro dellirradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu eretto a Fontaine, unora di cammino più a nord.A Luxeuil Colombano visse per quasi vent

anni. Qui il santo scrisse per i suoi seguaci la Regula monachorum – per un certo tempo più diffusa in Europa di quella di san Benedetto disegnando limmagine ideale del monaco. È lunica antica regola monastica irlandese che oggi possediamo. Come integrazione egli elaborò la Regula coenobialis, una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dellambiente. Con un’altra opera famosa intitolata De poenitentiarum misura taxanda, scritta pure a Luxeuil, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; fu detta penitenza tariffata per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore. Queste novità destarono il sospetto dei Vescovi della regione, un sospetto che si tramutò in ostilità quando Colombano ebbe il coraggio di rimproverarli apertamente per i costumi di alcuni di loro. Occasione per il manifestarsi del contrasto fu la disputa circa la data della Pasqua: lIrlanda seguiva infatti la tradizione orientale in contrasto con la tradizione romana. Il monaco irlandese fu convocato nel 603 a Châlon-sur-Saôn per rendere conto davanti a un sinodo delle sue consuetudini relative alla penitenza e alla Pasqua. Invece di presentarsi al sinodo, egli mandò una lettera in cui minimizzava la questione invitando i Padri sinodali a discutere non solo del problema della data della Pasqua, problema piccolo secondo lui, ma anche di tutte le necessarie normative canoniche che da molti cosa più grave sono disattese (cfr Epistula II,1). Contemporaneamente scrisse a Papa Bonifacio IV come qualche anno prima già si era rivolto a Papa Gregorio Magno (cfr Epistula I) per difendere la tradizione irlandese (cfr Epistula III).

Intransigente come era in ogni questione morale, Colombano entrò poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato aspramente il re Teodorico per le sue relazioni adulterine. Ne nacque una rete di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico che, nellanno 610, si tradusse in un decreto di espulsione da Luxeuil di Colombano e di tutti i monaci di origine irlandese, che furono condannati ad un definitivo esilio. Furono scortati fino al mare ed imbarcati a spese della corte verso lIrlanda. Ma la nave si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò allimpresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma. Essi, invece di tornare a Luxeuil, decisero di cominciare una nuova opera di evangelizzazione. Si imbarcarono sul Reno e risalirono il fiume. Dopo una prima tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, andarono nella regione di Bregenz presso il lago di Costanza per evangelizzare gli Alemanni.Poco dopo per

ò Colombano, a causa di vicende politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di attraversare le Alpi con la maggior parte dei suoi discepoli. Rimase solo un monaco di nome Gallus; dal suo eremo si sarebbe poi sviluppata la famosa abbazia di Sankt Gallen, in Svizzera. Giunto in Italia, Colombano trovò unaccoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dalleresia ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato la maggior parte delle Chiese dellItalia settentrionale dalla comunione col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo contesto, scrivendo un libello contro larianesimo e una lettera a Bonifacio IV per convincerlo a fare alcuni passi decisi in vista di un ristabilimento dellunità (cfr Epistula V). Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò un terreno a Bobbio, nella valle della Trebbia, Colombano fondò un nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro di cultura paragonabile a quello famoso di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni: morì il 23 novembre 615 e in tale data è commemorato nel rito romano fino ad oggi.

Il messaggio di san Colombano si concentra in un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista delleredità eterna. Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista. La sua austerità, tuttavia, non è mai fine a se stessa, ma è solo il mezzo per aprirsi liberamente allamore di Dio e corrispondere con tutto lessere ai doni da Lui ricevuti, ricostruendo così in sé limmagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana. Cito dalle sue Instructiones: Se luomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla sua anima allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amato, fin dallinizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo (cfr Instr. XI). Queste parole, il Santo irlandese le incarnò realmente nella propria vita. Uomo di grande cultura scrisse anche poesie in latino e un libro di grammatica si rivelò ricco di doni di grazia. Fu un instancabile costruttore di monasteri come anche intransigente predicatore penitenziale, spendendo ogni sua energia per alimentare le radici cristiane dellEuropa che stava nascendo. Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dellEuropa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa.

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Omelia di Benedetto XVI a Santa Maria di Leuca

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Omelia di Benedetto XVI a Santa Maria di Leuca

SANTA MARIA DI LEUCA, domenica, 15 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI durante la Messa che ha presieduto questo sabato sul piazzale del Santuario di Santa Maria de finibus terrae di Santa Maria di Leuca nel corso della sua visita pastorale in Puglia.

Cari fratelli e sorelle,

la mia visita in Puglia – la seconda, dopo il Congresso Eucaristico di Bari – inizia come pellegrinaggio mariano, in questo estremo lembo d’Italia e d’Europa, nel Santuario di Santa Maria de finibus terrae. Con grande gioia rivolgo a tutti voi il mio affettuoso saluto. Ringrazio con affetto il Vescovo Mons. Vito De Grisantis per avermi invitato e per la sua cordiale accoglienza; insieme con lui saluto gli altri Vescovi della Regione, in particolare il Metropolita di Lecce Mons. Cosmo Francesco Ruppi; come pure i presbiteri e i diaconi, le persone consacrate e tutti i fedeli. Saluto con riconoscenza il Ministro Raffaele Fitto, in rappresentanza del Governo italiano, e le diverse Autorità civili e militari presenti.

In questo luogo storicamente così importante per il culto della Beata Vergine Maria, ho voluto che la liturgia fosse dedicata a Lei, Stella del mare e Stella della speranza. « Ave, maris stella, / Dei Mater alma, / atque semper virgo, / felix caeli porta!« . Le parole di questo antico inno sono un saluto che riecheggia in qualche modo quello dell’Angelo a Nazaret. Tutti i titoli mariani infatti sono come gemmati e fioriti da quel primo nome con il quale il messaggero celeste si rivolse alla Vergine: « Rallegrati, piena di grazia » (Lc 1,28). L’abbiamo ascoltato nel Vangelo di san Luca, molto appropriato perché questo Santuario – come attesta la lapide sopra la porta centrale dell’atrio – è intitolato alla Vergine Santissima « Annunziata ». Quando Dio chiama Maria « piena di grazia », si accende per il genere umano la speranza della salvezza: una figlia del nostro popolo ha trovato grazia agli occhi del Signore, che l’ha prescelta quale Madre del Redentore. Nella semplicità della casa di Maria, in un povero borgo di Galilea, incomincia ad adempiersi la solenne profezia della salvezza: « Io porrò inimicizia tra te e la donna, / tra la tua stirpe / e la sua stirpe: / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno » (Gn 3,15). Perciò il popolo cristiano ha fatto proprio il cantico di lode che gli Ebrei elevarono a Giuditta e che noi abbiamo poc’anzi pregato come Salmo responsoriale: « Benedetta sei tu, figlia, / davanti al Dio altissimo / più di tutte le donne che vivono sulla terra » (Gdt 13,18). Senza violenza, ma con il mite coraggio del suo « sì« , la Vergine ci ha liberati non da un nemico terreno, ma dall’antico avversario, dando un corpo umano a Colui che gli avrebbe schiacciato la testa una volta per sempre.Ecco perch

é, sul mare della vita e della storia, Maria risplende come Stella di speranza. Non brilla di luce propria, ma riflette quella di Cristo, Sole apparso all’orizzonte dell’umanità, così che seguendo la Stella di Maria possiamo orientarci nel viaggio e mantenere la rotta verso Cristo, specialmente nei momenti oscuri e tempestosi. L’apostolo Pietro ha conosciuto bene questa esperienza, per averla vissuta in prima persona. Una notte, mentre con gli altri discepoli stava attraversando il lago di Galilea, fu sorpreso dalla tempesta. La loro barca, in balia delle onde, non riusciva più ad avanzare. Gesù li raggiunse in quel momento camminando sulle acque, e invitò Pietro a scendere dalla barca e ad avvicinarsi. Pietro fece qualche passo tra le onde ma poi si sentì sprofondare e allora gridò: « Signore, salvami! ». Gesù lo afferrò per la mano e lo trasse in salvo (cfr Mt 14,24-33). Questo episodio si rivelò poi un segno della prova che Pietro doveva attraversare al momento della passione di Gesù. Quando il Signore fu arrestato, egli ebbe paura e lo rinnegò tre volte: fu sopraffatto dalla tempesta. Ma quando i suoi occhi incrociarono lo sguardo di Cristo, la misericordia di Dio lo riprese e, facendolo sciogliere in lacrime, lo risollevò dalla sua caduta.

Ho voluto rievocare la storia di san Pietro, perché so che questo luogo e tutta la vostra Chiesa sono particolarmente legati al Principe degli Apostoli. A lui, come all’inizio ha ricordato il Vescovo, la tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in questa terra. Il Pescatore, « pescato » da Gesù, ha gettato le reti fin qui, e noi oggi rendiamo grazie per essere stati oggetto di questa « pesca miracolosa », che dura da duemila anni, una pesca che, come scrive proprio san Pietro, « ci ha chiamati dalle tenebre alla ammirabile luce [di Dio] » (1 Pt 2,9). Per diventare pescatori con Cristo bisogna prima essere « pescati » da Lui. San Pietro è testimone di questa realtà, come lo è san Paolo, grande convertito, di cui tra pochi giorni inaugureremo il bimillenario della nascita. Come Successore di Pietro e Vescovo della Chiesa fondata sul sangue di questi due eminenti Apostoli, sono venuto a confermarvi nella fede in Gesù Cristo, unico salvatore dell’uomo e del mondo.La fede di Pietro e la fede di Maria si coniugano in questo Santuario. Qui si pu

ò attingere al duplice principio dell’esperienza cristiana: quello mariano e quello petrino. Entrambi, insieme, vi aiuteranno, cari fratelli e sorelle, a « ripartire da Cristo », a rinnovare la vostra fede, perché risponda alle esigenze del nostro tempo. Maria vi insegna a restare sempre in ascolto del Signore nel silenzio della preghiera, ad accogliere con generosa disponibilità la sua Parola col profondo desiderio di offrire voi stessi a Dio, la vostra vita concreta, affinché il suo Verbo eterno, per la potenza dello Spirito Santo, possa ancora « farsi carne » oggi, nella nostra storia. Maria vi aiuterà a seguire Gesù con fedeltà, ad unirvi a Lui nell’offerta del Sacrificio, a portare nel cuore la gioia della sua Risurrezione e a vivere in costante docilità allo Spirito della Pentecoste. In modo complementare, anche san Pietro vi insegnerà a sentire e credere con la Chiesa, saldi nella fede cattolica; vi porterà ad avere il gusto e la passione dell’unità, della comunione, la gioia di camminare insieme con i Pastori; e, al tempo stesso, vi parteciperà l’ansia della missione, di condividere il Vangelo con tutti, di farlo giungere fino agli estremi confini della terra.

« De finibus terrae

« : il nome di questo luogo santo è molto bello e suggestivo, perché riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli. Proteso tra l’Europa e il Mediterraneo, tra l’Occidente e l’Oriente, esso ci ricorda che la Chiesa non ha confini, è universale. E i confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi sono per la Chiesa un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della « comunione delle diversità« . La Chiesa è nata a Pentecoste, è nata universale e la sua vocazione è parlare tutte le lingue del mondo. La Chiesa esiste – secondo l’originaria vocazione e missione rivelata ad Abramo – per essere una benedizione a beneficio di tutti i popoli della terra (cfr Gn 12,1-3); per essere, con il linguaggio del Concilio Ecumenico Vaticano II, segno e strumento di unità per tutto il genere umano (cfr Cost. Lumen gentium, 1). La Chiesa che è in Puglia possiede una spiccata vocazione ad essere ponte tra popoli e culture. Questa terra e questo Santuario sono in effetti un « avamposto » in tale direzione, e mi sono molto rallegrato nel constatare, sia nella lettera del vostro Vescovo come anche oggi nelle sue parole, quanto questa sensibilità sia tra voi viva e percepita in modo positivo, con genuino spirito evangelico.Cari amici, noi sappiamo bene, perch

é il Signore Gesù su questo è stato molto chiaro, che l’efficacia della testimonianza è proporzionata all’intensità dell’amore. A nulla vale proiettarsi fino ai confini della terra, se prima non ci si vuole bene e non ci si aiuta gli uni gli altri all’interno della comunità cristiana. Perciò l’esortazione dell’apostolo Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura (Col 3,12-17), è fondamentale non solo per la vostra vita di famiglia ecclesiale, ma anche per il vostro impegno di animazione della realtà sociale. Infatti, in un contesto che tende a incentivare sempre più l’individualismo, il primo servizio della Chiesa è quello di educare al senso sociale, all’attenzione per il prossimo, alla solidarietà e alla condivisione. La Chiesa, dotata com’è dal suo Signore di una carica spirituale che continuamente si rinnova, si rivela capace di esercitare un influsso positivo anche sul piano sociale, perché promuove un’umanità rinnovata e rapporti umani aperti e costruttivi, nel rispetto e nel servizio in primo luogo degli ultimi e dei più deboli.

Qui, nel Salento, come in tutto il Meridione d’Italia, le Comunità ecclesiali sono luoghi dove le giovani generazioni possono imparare la speranza, non come utopia, ma come fiducia tenace nella forza del bene. Il bene vince e, se a volte può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dalla furbizia, in realtà continua ad operare nel silenzio e nella discrezione portando frutti nel lungo periodo. Questo è il rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sulla formazione morale, sulla preghiera; sì, perché la preghiera dà la forza di credere e lottare per il bene anche quando umanamente si sarebbe tentati di scoraggiarsi e di tirarsi indietro. Le iniziative che il Vescovo ha citato in apertura e le altre che portate avanti nel vostro territorio, sono segni eloquenti di questo stile tipicamente ecclesiale di promozione umana e sociale. Al tempo stesso, cogliendo l’occasione della presenza delle Autorità civili, mi piace ricordare che la Comunità cristiana non può e non vuole mai sostituirsi alle legittime e doverose competenze delle Istituzioni, anzi, le stimola e le sostiene nei loro compiti e si propone sempre di collaborare con esse per il bene di tutti, a partire dalle situazioni di maggiore disagio e difficoltà.

Il pensiero torna, infine, alla Vergine Santissima. Da questo Santuario di Santa Maria de finibus terrae

desidero recarmi in spirituale pellegrinaggio nei vari Santuari mariani del Salento, vere gemme incastonate in questa penisola lanciata come un ponte sul mare. La pietà mariana delle popolazioni si è formata sotto l’influsso mirabile della devozione basiliana alla Theotokos, una devozione coltivata poi dai figli di san Benedetto, di san Domenico, di san Francesco, ed espressa in bellissime chiese e semplici edicole sacre, che vanno curate e preservate come segno della ricca eredità religiosa e civile della vostra gente. Ci rivolgiamo dunque ancora a Te, Vergine Maria, che sei rimasta intrepida ai piedi della croce del tuo Figlio. Tu sei modello di fede e di speranza nella forza della verità e del bene. Con le parole dell’antico inno ti invochiamo: « Spezza i legami agli oppressi, / rendi la luce ai ciechi, / scaccia da noi ogni male, / chiedi per noi ogni bene ». E allargando lo sguardo all’orizzonte dove cielo e mare si congiungono, vogliamo affidarti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo e quelli del mondo intero, invocando per tutti sviluppo e pace: « Donaci giorni di pace, / veglia sul nostro cammino, / fa’ che vediamo il tuo Figlio, / pieni di gioia nel cielo ». Amen.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 15 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Padre Lang spiega i fondamenti liturgici per l’architettura e l’arte sacra

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Verità, giustizia e bellezza per tornare al sacro

Padre Lang spiega i fondamenti liturgici per l’architettura e l’arte sacra

di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 12 giugno 2008 (ZENIT.org).- Oggi, più che mai, la Chiesa ha bisogno di proclamare al mondo la bellezza di Dio che brilla nelle opere darte che la fede ha generate, sostiene padre Uwe Michael Lang. Con queste parole, il sacerdote, membro della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Londra e officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha spiegato a ZENIT, gli obiettivi del Master dell

Università Europea di Roma in “Architettura, arti sacre e liturgia”.

Padre Lang è anche docente e coordinatore per il prossimo anno accademico 2008/2009 del Master in questione. Sul tema liturgico ha pubblicato prima in tedesco, poi in inglese, italiano, francese, ungherese e spagnolo, il libro Rivolti al signore (Cantagalli editore), con la prefazione dellallora cardinale Joseph Ratzinger.Recentemente, padre Lang curato il volume « 

Die Anaphora von Addai und Mari: Studien zu Eucharistie und Einsetzungsworten” (Nova & Vetera, Bonn 2007).

Secondo il coordinatore accademico del Master, nella Chiesa sono nati i grandi capolavori darte sacra e di musica sacra che hanno il potere di sollevare i nostri cuori e di condurci al di là di noi stessi verso Dio, che è la bellezza stessa.Di fronte a quella che sembra una grande riscoperta dell

arte religiosa, padre Lang ha voluto precisare una distinzione fra arte religiosa e arte sacra.

Larte religiosa, ha detto, è caratterizzata dallespressione soggettiva e nasce dal modo di sentire la religione da parte di una persona di qualsiasi luogo o tempo, mentre larte sacra tende ad una traduzione di una realtà che oltrepassa i limiti dellindividualità umana e contiene dati anche oggettivi che nascono dalla meditazione della verità di una religione positiva e storica dalla parte dellartista.

Larte sacra ha aggiunto è destinata alla lode e alla gloria di Dio e, allo stesso tempo, è popolare, perché deve e può essere capita e toccare i cuori dei fedeli, anche dei fedeli semplici. Nella storia, larte della Chiesa funzionava anche come una Biblia pauperum”.

Facendo riferimento all’importanza data dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica riconosce allarte sacra e all’utilizzo di molte opere darte come veicolo dei misteri della fede, padre Lang ha sottolineato che oggi più che mai, nella civiltà dellimmagine, limmagine sacra può esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico.

In merito alla relazione che intercorre tra verità, bellezza e arte sacra, lofficiale della Congregazione del Culto Divino ha rilevato che la fondazione più profonda dellarte sacra è la bellezza che è attributo di Dio.

Secondo la formula tomistica, il bello, il vero e il buono sono commutabili. Quindi, larte come espressione del bello manifesta la realtà, la verità e la bontà di Dio.

Ma larte sacra è in crisi. Ed è un sintomo che, come ha rilevato il Cardinale Ratzinger nel libro Spirito della Liturgia, rivela la crisi dellumanità”, una sorta di accecamento dello spirito.Per padre Lang,

si tratta di una crisi dalle radici profonde, una crisi che ha travolto, ancora prima dellarte, la stessa bellezza di cui dovrebbe essere portatrice. Infatti, la stessa concezione delle belle arti di cui parla la Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia è contestata.

Il coordinatore accademico del Master ha sottolineato, citando Hans Urs von Balthasar, che insieme alla perdita del bello, si sono persi anche il bene e il vero cosicché da un lato c’è un falso tipo di bellezza che non ci innalza verso Dio e il suo Regno, ma invece ci trascina verso il basso e suscita desideri disordinati e dallaltro bisogna opporsi a ciò che Remo Bodei ha chiamato lapoteosi del brutto, in cui si afferma che tutto ciò che è bello sia un inganno e che solo la rappresentazione di ciò che è crudo sia la verità”.

Questo culto del brutto non fa meno danni alla fede cattolica che la falsa bellezza, ha osservato.

Ricordando poi le parole di Fyodor Dostoevskij, secondo cui Il mondo sarà salvato dalla bellezza, padre Lang ha precisato che Dostoevskij non intende qualsiasi bellezza, ma si riferisce alla bellezza redentrice di Cristo che è la bellezza della verità” che abbraccia anche il dolore, e persino la morte, e che la bellezza può essere trovata solo nellaccettare la sofferenza e la croce.A questo proposito, in un testo del 2002, l

allora Cardinale Ratzinger parla di bellezza redentrice di Cristo come di una paradossale bellezza.

Per quanto riguarda la frattura tra la Chiesa, le arti ed il sacro, così evidente in certe chiese di nuova costruzione, padre Lang ha riportato una frase celebre del poeta tedesco Friedrich Hölderlin: Dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva, per sottolineare che ci troviamo in un momento propizio per lanciare di nuovo la ricerca di unarte sacra a servizio del culto cristiano.

Ed è proprio per questo che è stato ideato un progetto formativo come il Master in Architettura, arti sacre e liturgia.

Il suo scopo ha sostenuto padre Lang è di dare risposte a domande provenienti da molti ambienti ecclesiali e artistici per listituzione di un corso dove i progettisti, ma anche i committenti, possano ricevere una formazione adeguata.

In conclusione, il padre oratoriano ha ribadito che la prospettiva del Master è di andare al di là di una visione solo ‘normativa’ della progettazione verso una maggior consapevolezza e devozione a ciò di cui ci si occupa, quando si agisce nellambito dell’architettura e delle arti sacre.

Publié dans:liturgia, ZENITH |on 15 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Gli Stati Uniti hanno “scoperto” Benedetto XVI

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Gli Stati Uniti hanno “scoperto” Benedetto XVI

Il Nunzio Apostolico a Washington commenta il viaggio papale negli USA

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 10 giugno 2008 (ZENIT.org).- Il viaggio che Benedetto XVI ha compiuto negli Stati Uniti dal 15 al 20 aprile scorsi ha permesso al Paese di “scoprire” il Papa, ha affermato l’Arcivescovo Pietro Sambi, Nunzio Apostolico a Washington.

Fino alla visita papale, ha rivelato in un’intervista rilasciata a “L’Osservatore Romano”, il Pontefice “era poco e mal conosciuto negli Stati Uniti”.

“Quelli che si aspettavano ‘l’inflessibile carabiniere del Sant’Ufficio’ sono stati conquistati dal pastore, dal padre, dal maestro suadente”, ha ammesso.

“Il Papa è stato ‘scoperto’ come un attento conoscitore di ciò che passa dentro il cuore dell’uomo di oggi, come portatore di risposte sostanziose e vivificanti, offerte con chiarezza, con umiltà, quasi con timidezza; come un appassionato conoscitore di Gesù Cristo e servitore della sua Chiesa, come apostolo della speranza”; “e sono esplosi la simpatia, l’attenzione, il rispetto, l’amore di un popolo intero”.

Il successo del Papa, secondo l’Arcivescovo, dipende dalla “capacità di Benedetto XVI di capire l’animo americano e di apportarvi, con umiltà, le risposte di cui ha bisogno”.

Le parole del Vescovo di Roma alla radio cattolica dell’Arcidiocesi di New York – “Io ero venuto per confermarvi nella fede, ma in realtà siete stati anche voi che mi avete confermato, con la vostra risposta, con il vostro entusiasmo, con il vostro affetto” – “hanno raggiunto il cuore dei cattolici americani e sono state percepite come apprezzamento e incoraggiamento”, ha aggiunto Sambi.

Nel Regina Caeli del 27 aprile, il Papa ha ringraziato Dio “perché io stesso sono stato confermato nella speranza dai cattolici americani: ho trovato infatti una grande vitalità e la decisa volontà di vivere e di testimoniare la fede in Gesù”.

“Questo popolo non si è mai separato dalla Parola di Dio – ha affermato l’Arcivescovo –: la Bibbia resta il libro che maggiormente accompagna il cittadino americano; non si è mai separato dalla preghiera, che continua a scandire i momenti più significativi della vita personale, familiare e nazionale; il Giorno del ringraziamento a Dio è la festività più sentita negli Stati Uniti e non vi è cittadino che non si senta in dovere di osservarla”.

“Gesù Cristo non è mai stato qui un’icona, ma una persona, il termine ultimo della speranza”, ha aggiunto.

Ad ogni modo, riconosce il presule, anche gli Stati Uniti come tutti i Paesi del mondo hanno bisogno oggi di una nuova evangelizzazione, che “deve cominciare in casa, cioè in seno alla Chiesa stessa perché il cristiano ritrovi la gratitudine, la gioia e la forza di esserlo”.

“Tutti i settori della Chiesa sono stati chiamati a questo impegno, a essere gli strumenti dello Spirito Santo per una nuova Pentecoste”.

Soprattutto quando si è minoranza, ha proseguito il Nunzio, “quattro atteggiamenti fondamentali sono necessari per avere un influsso positivo sulla società”: “una chiara identità cattolica” – “sapere cosa si è e si vuole essere” -, “un forte senso di appartenenza” – “ciascuno ha bisogno di una comunità e la comunità ha bisogno di ciascuno; chi cammina da solo finisce per perdersi” -, “il culto dell’eccellenza nella vita personale, familiare, professionale, per essere la lampada sul moggio, la città sul monte”, e infine “piena disponibilità a collaborare con chiunque vuole costruire un futuro migliore”.

Durante il suo viaggio “Benedetto XVI non ha dimenticato di trovarsi sul territorio di una super-potenza mondiale e ha delineato la missione della Chiesa locale in tale contesto”, affermando che deve “svolgere con libertà e impegno la sua missione di evangelizzazione e promozione umana, e anche di ‘coscienza critica’ contribuendo alla costruzione di una società degna della persona umana” e stimolando gli Stati Uniti alla “solidarietà globale” e all’“esercizio paziente del dialogo nelle relazioni internazionali”.

Dopo la partenza del Papa, ha ricordato il Nunzio, sono stati compiuti alcuni sondaggi di opinione circa la sua visita: “è impressionante e non comune negli Stati Uniti l’altissima percentuale di gradimento”.

“È cambiata l’immagine che gli americani avevano di Benedetto XVI – ha commentato –; è cambiata anche l’immagine della Chiesa cattolica, che ha ripreso coraggio” ed è “cosciente e desiderosa di continuare il cammino aperto dal Papa: ‘Fare nuova ogni cosa in Cristo, nostra speranza’”.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 11 juin, 2008 |Pas de commentaires »

La “porta d’accesso” al pensiero teologico di Benedetto XVI

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La “porta d’accesso” al pensiero teologico di Benedetto XVI

“Introduzione al Cristianesimo”, a 40 anni di distanza

di Gisèle Plantec

ROMA, domenica, 8 giugno 2008 (ZENIT.org).- « La voce della fede cristiana. Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, quarant’anni dopo » è stato il tema del Convegno interdisciplinare tenutosi di recente a Roma.

A conclusione dei lavori ZENIT ha chiesto a padre Juan Pablo Ledesma, L.C., Decano della Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio « Regina Apostolorum », di tracciare un bilancio dei temi affrontati nell’incontro tenutosi dal 12 al 13 maggio presso questo stesso Ateneo.

Secondo lei, come nasce la Teologia di Papa Benedetto?

Padre Ledesma: Basta ricordare il suo iter

formativo. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, cominciò il lavoro come vicario di una parrocchia e lì risaltarono le sue doti intellettuali. Nel 1954 si addottorò in Teologia con una tesi sul concetto di Chiesa come casa e popolo di Dio nel pensiero di Sant’Agostino. Più tardi si abiliterà con un’altra tesi su San Bonaventura. Questo dimostra la sua grande cultura e l’approfondimento teologico delle fonti patristiche e medievali. Ha insegnato in varie università: Monaco, Tubinga… Nel 1961 ha preso la cattedra di Teologia Fondamentale e nel 1964 ha partecipato come perito teologo al Vaticano II.

Quali sono le qualità che più ammira in Papa Benedetto XVI?

Padre Ledesma: Sono tante. Forse quelle che mi colpiscono sono la sua semplicità e profondità. Ancora esercitano un grande fascino le sue prime parole come Papa: « Servo della Vigna del Signore… strumento insufficiente ». Queste parole evocano la regola di San Benedetto, il sesto grado dell’umiltà, che è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto quello che gli impone l’obbedienza.

Mi impressionano anche le espressioni profonde, semplici e spontanee del suo amore tanto personale a Gesù Cristo. È un amore che si manifesta nelle sue parole e nei suoi gesti, e soprattutto, nel suo modo di celebrare l’Eucaristia. Tutto, nella sua persona e nel suo ministero, è centrato in Gesù Cristo. Mi attira anche la maniera nella quale il Papa saluta ogni singola persona. Si trattiene, senza frette, sa ascoltare, accogliere, incoraggiare, sorridere. È facile sentire la bontà di Cristo nel suo sguardo e nella sua forma di accogliere il prossimo.

Mi impressiona vedere il Papa mentre suona il pianoforte, salutando ai grandi della terra o spiegando ai bambini come Gesù è presente nell’Eucaristia con l’esempio della corrente elettrica o del microfono, per mostrare come le cose invisibili sono le più profonde e importanti.

In due parole, quali sarebbero le idee portanti che reggono il pensiero di Joseph Ratzinger?

Padre Ledesma: Una risposta difficile e molto azzarda… A me sembra che una potrebbe essere il concetto di fede. Per lui la fede richiede un « Tu » che la sostenga; necessita un Tu che ci conosce e ci ama, in modo che possiamo fidarci ed affidarci a Lui come un « bimbo svezzato in braccio a sua madre. » Di conseguenza, fede, fiducia e amore conformano un tutto unico, un’identica realtà indistruttibile. Questa fede è per Papa Benedetto una Fede vissuta.

Mi piace molto la sua interpretazione della parola « Amen », che non è soltanto la risposta di fede al Credo della Chiesa. Pronunciare « Amen » significa fede, fiducia, verità, abbandono, fedeltà ed amore. Amen non è una particella conclusiva di tutte le preghiere, bensì l’adesione totale della persona che prega, che crede, che ama all’Amore rivelato (logos-veritas) in quanto amore incarnato. Amen, infine, è la risposta totale e radicale all’intero simbolo-credo: tutto o nulla. Non ci sono alternative, appigli o mezzi termini. Così come la persona è totalità, la risposta della fede e dell’amore deve essere totale: amen è sinonimo di « tutto ».

Penso anche che la verità sia il punto cruciale nella mente e nell’insegnamento di Joseph Ratzinger. Per lui il maggiore problema che esiste e che affronta l’uomo di oggi è la mancanza della verità: il relativismo; la negazione della verità.

Vi è qualche rapporto tra l’ “Introduzione al Cristianesimo” e le due ultime encicliche?

Padre Ledesma: Sia in Deus caritas est

che in Spe salvi troviamo il medesimo pastore, pensatore e teologo che rende accessibili concetti. Quaranta anni fa lo stesso professore Ratzinger affermava: « L’amore genera l’immortalità e l’immortalità scaturisce unicamente dall’amore… Se Egli è risorto, anche noi risorgeremo, perché l’amore è più forte della morte… O l’amore è più potente della morte, oppure non lo è ». L’amore dunque se è vero amore deve esigere infinità, indistruttibilità, infinito…Questa riflessione mi sembra importante perché è la base di tutto e la chiave per capire l’escatologia che Papa Benedetto XVI ci offre nella sua Spe salvi.

Allora, amore ed escatologia: non sembra una contraddizione?

Padre Ledesma: Tutto il contrario. L’amore – se è vero amore – esige il giudizio perché è anche giusto. Un amore che giudica è necessario, perché l’ingiustizia del mondo non può avere l’ultima parola. Sarebbe ingiusto. Un amore che distruggesse la giustizia sarebbe anche ingiusto, non sarebbe amore. Più che il giorno del rendiconto, temuto e minaccioso, il cristiano sa che il suo giudice sarà la Verità, la Trinità, l’Amore, una Persona che essendo uomo, è anche nostro fratello: Gesù Cristo. Dinanzi al giudizio ci consolano e ci fanno sperare queste parole scritte 40 anni fa: « L’uomo non può sparire totalmente, perché è conosciuto ed amato da Dio. Se ogni amore anela l’eternità, l’amore di Dio non solo la brama, ma la realizza e la impersona ».

Qualche aspetto più personale, meno accademico della personalità di Papa Benedetto, da rilevare?

Padre Ledesma: A me piace soprattutto la leggenda dell’orso di Corbiniano, motivo anche dello stemma di Papa Benedetto. È un’antica leggenda… Il santo fondatore della diocesi di Frisinga, il monaco Corbiniano si dirigeva a Roma. Portava con sé un animale da soma. Un orso li assalì e uccise l’animale. Il santo lo rimproverò e gli ordinò di portare i suoi bagagli al posto dell’animale. Così arrivarono insieme a Roma. Il Cardinal Ratzinger applicava a se stesso questo fatto, servendosi delle parole di Sant’Agostino commentando il salmo 72,22: « Sono diventato un animale da soma, e proprio per questo sono con te ». Dio si serve di Lui, lo « utilizza », lo carica, però proprio per questo Dio gli è vicino.

Quale è il messaggio di Papa Benedetto per questo mondo, per oggi?

Padre Ledesma: Ogni mercoledì ascoltiamo la sua parola di Pastore universale della Chiesa, tante omelie, discorsi, messaggi… È il messaggio di sempre, con accenti particolari. A me piace molto quella espressione nella sua visita all’abbazia di Heiligenkreuz: « Dio non ci ha abbandonati in un deserto del nulla… Gli occhi di Cristo sono lo sguardo del Dio che ama ». In altre parole, il suo messaggio è lo stesso di Cristo nel Vangelo: Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Egli è sempre presente per gli uomini, ieri, oggi domani. Il Gesù dei Vangeli è il Gesù reale, il « Gesù storico », il Cristo. Dio è Amore. Nella speranza siamo stati salvati.

Per vedere il video realizzato sul Convegno tenutosi alla “Regina Apostolorum”:

 http://www.h2onews.org/_page_videoview.php?id_news=741

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 9 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI: la vera religione, “l’amore di Dio e del prossimo”

dal sito

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Benedetto XVI: la vera religione, “l’amore di Dio e del prossimo”

Parole introduttive all’Angelus

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 8 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questa domenica da Benedetto XVI in occasione della recita della preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in Piazza San Pietro in Vaticano.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Al centro della liturgia della Parola di questa Domenica sta unespressione del profeta Osea che Gesù riprende nel Vangelo: « Voglio lamore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti » (Os 6,6). Si tratta di una parola-chiave, una di quelle che ci introducono nel cuore della Sacra Scrittura. Il contesto, in cui Gesù la fa propria, è la vocazione di Matteo, di professione « pubblicano », vale a dire esattore delle tasse per conto dellautorità imperiale romana: per ciò stesso, egli veniva considerato dai Giudei un pubblico peccatore. Chiamatolo proprio mentre era seduto al banco delle imposte illustra bene questa scena un celeberrimo dipinto del Caravaggio , Gesù si recò a casa di lui con i discepoli e si pose a mensa insieme con altri pubblicani. Ai farisei scandalizzati rispose: « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt 9,12-13). Levangelista Matteo, sempre attento al legame tra lAntico e il Nuovo Testamento, a questo punto pone sulle labbra di Gesù la profezia di Osea: « Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio ».

E tale limportanza di questa espressione del profeta che il Signore la cita nuovamente in un altro contesto, a proposito dellosservanza del sabato (cfr Mt 12,1-8). Anche in questo caso Egli si assume la responsabilità dellinterpretazione del precetto, rivelandosi quale « Signore » delle stesse istituzioni legali. Rivolto ai farisei aggiunge: « Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato persone senza colpa » (Mt 12,7). Dunque, in questo oracolo di Osea Gesù, Verbo fatto uomo, si è, per così dire, « ritrovato » pienamente; lha fatto proprio con tutto il suo cuore e lha realizzato con il suo comportamento, a costo persino di urtare la suscettibilità dei capi del suo popolo. Questa parola di Dio è giunta a noi, attraverso i Vangeli, come una delle sintesi di tutto il messaggio cristiano: la vera religione consiste nellamore di Dio e del prossimo. Ecco ciò che dà valore al culto e alla pratica dei precetti.

Rivolgendoci ora alla Vergine Maria, domandiamo per sua intercessione di vivere sempre nella gioia dellesperienza cristiana. Madre di Misericordia, la Madonna susciti in noi sentimenti di filiale abbandono nei confronti di Dio, che è misericordia infinita; ci aiuti a fare nostra la preghiera che santAgostino formula in un noto passo delle sue Confessioni: « Abbi pietà di me, Signore! Ecco, io non nascondo le mie ferite: tu sei il medico, io il malato; tu sei misericordioso, io misero Ogni mia speranza è posta nella tua grande misericordia » (X, 28.39; 29.40).

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 9 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI: Gregorio Magno, « bocca di Cristo e della sua Chiesa »

 dal sito:

http://www.zenit.org/article-14587?l=italian

Benedetto XVI: Gregorio Magno, « bocca di Cristo e della sua Chiesa »

Intervento nell’Udienza generale

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 4 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì in occasione dell’Udienza generale in Piazza San Pietro, dove ha incontrato fedeli e pellegrini giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.


Cari fratelli e sorelle,

ritornerò oggi, in questo nostro incontro del mercoledì, alla straordinaria figura di Papa Gregorio Magno, per raccogliere qualche ulteriore luce dal suo ricco insegnamento. Nonostante i molteplici impegni connessi con la sua funzione di Vescovo di Roma, egli ci ha lasciato numerose opere, alle quali la Chiesa nei secoli successivi ha attinto a piene mani. Oltre al cospicuo epistolario – il Registro a cui accennavo nella scorsa catechesi contiene oltre 800 lettere – egli ci ha lasciato innanzitutto scritti di carattere esegetico, tra cui si distinguono il Commento morale a Giobbe – noto sotto il titolo latino di Moralia in Iob -, le Omelie su Ezechiele, le Omelie sui Vangeli. Vi è poi un’importante opera di carattere agiografico, i Dialoghi, scritta da Gregorio per l’edificazione della regina longobarda Teodolinda. L’opera principale e più nota è senza dubbio la Regola pastorale, che il Papa redasse all’inizio del pontificato con finalità chiaramente programmatiche.

Volendo passare in veloce rassegna queste opere, dobbiamo anzitutto notare che, nei suoi scritti, Gregorio non si mostra mai preoccupato di delineare una « sua » dottrina, una sua originalità. Piuttosto, egli intende farsi eco dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, vuole semplicemente essere la bocca di Cristo e della sua Chiesa sul cammino che si deve percorrere per giungere a Dio. Esemplari sono a questo proposito i suoi commenti esegetici. Egli fu un appassionato lettore della Bibbia, a cui si accostò con intendimenti non semplicemente speculativi: dalla Sacra Scrittura, egli pensava, il cristiano deve trarre non tanto conoscenze teoriche, quanto piuttosto il nutrimento quotidiano per la sua anima, per la sua vita di uomo in questo mondo. Nelle Omelie su Ezechiele, ad esempio, egli insiste fortemente su questa funzione del testo sacro: avvicinare la Scrittura semplicemente per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza significa cedere alla tentazione dell’orgoglio ed esporsi così al rischio di scivolare nell’eresia. L’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro. L’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio; ma per far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile. Solo con questo atteggiamento interiore si ascolta realmente e si percepisce finalmente la voce di Dio. D’altra parte, quando si tratta di Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione non conduce all’azione. In queste omelie su Ezechiele si trova anche quella bella espressione secondo cui « il predicatore deve intingere la sua penna nel sangue del suo cuore; potrà così arrivare anche all’orecchio del prossimo ». Leggendo queste sue omelie si vede che realmente Gregorio ha scritto con il sangue del suo cuore e perciò ancora oggi parla a noi.Questo discorso Gregorio sviluppa anche nel

Commento morale a Giobbe. Seguendo la tradizione patristica, egli esamina il testo sacro nelle tre dimensioni del suo senso: la dimensione letterale, la dimensione allegorica e quella morale, che sono dimensioni dell’unico senso della Sacra Scrittura. Gregorio tuttavia attribuisce una netta prevalenza al senso morale. In questa prospettiva, egli propone il suo pensiero attraverso alcuni binomi significativi – sapere-fare, parlare-vivere, conoscere-agire -, nei quali evoca i due aspetti della vita umana che dovrebbero essere complementari, ma che spesso finiscono per essere antitetici. L’ideale morale, egli commenta, consiste sempre nel realizzare un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai doveri del proprio stato: è questa la strada per realizzare quella sintesi grazie a cui il divino discende nell’uomo e l’uomo si eleva fino alla immedesimazione con Dio. Il grande Papa traccia così per l’autentico credente un completo progetto di vita; per questo il Commento morale a Giobbe costituirà nel corso del medioevo una specie di Summa della morale cristiana.

Di notevole rilievo e bellezza sono pure le Omelie sui Vangeli.

La prima di esse fu tenuta nella basilica di San Pietro durante il tempo di Avvento del 590 e dunque pochi mesi dopo l’elezione al Pontificato; l’ultima fu pronunciata nella basilica di San Lorenzo nella seconda domenica dopo Pentecoste del 593. Il Papa predicava al popolo nelle chiese dove si celebravano le « stazioni » – particolari cerimonie di preghiera nei tempi forti dell’anno liturgico – o le feste dei martiri titolari. Il principio ispiratore, che lega insieme i vari interventi, si sintetizza nella parola « praedicator »: non solo il ministro di Dio, ma anche ogni cristiano, ha il compito di farsi « predicatore » di quanto ha sperimentato nel proprio intimo, sull’esempio di Cristo che s’è fatto uomo per portare a tutti l’annuncio della salvezza. L’orizzonte di questo impegno è quello escatologico: l’attesa del compimento in Cristo di tutte le cose è un pensiero costante del grande Pontefice e finisce per diventare motivo ispiratore di ogni suo pensiero e di ogni sua attività. Da qui scaturiscono i suoi incessanti richiami alla vigilanza e all’impegno nelle buone opere.Il testo forse pi

ù organico di Gregorio Magno è la Regola pastorale, scritta nei primi anni di Pontificato. In essa Gregorio si propone di tratteggiare la figura del Vescovo ideale, maestro e guida del suo gregge. A tal fine egli illustra la gravità dell’ufficio di pastore della Chiesa e i doveri che esso comporta: pertanto, quelli che a tale compito non sono stati chiamati non lo ricerchino con superficialità, quelli invece che l’avessero assunto senza la debita riflessione sentano nascere nell’animo una doverosa trepidazione. Riprendendo un tema prediletto, egli afferma che il Vescovo è innanzitutto il « predicatore » per eccellenza; come tale egli deve essere innanzitutto di esempio agli altri, così che il suo comportamento possa costituire un punto di riferimento per tutti. Un’efficace azione pastorale richiede poi che egli conosca i destinatari e adatti i suoi interventi alla situazione di ognuno: Gregorio si sofferma ad illustrare le varie categorie di fedeli con acute e puntuali annotazioni, che possono giustificare la valutazione di chi ha visto in quest’opera anche un trattato di psicologia. Da qui si capisce che egli conosceva realmente il suo gregge e parlava di tutto con la gente del suo tempo e della sua città.

Il grande Pontefice, tuttavia, insiste sul dovere che il Pastore ha di riconoscere ogni giorno la propria miseria, in modo che l’orgoglio non renda vano, dinanzi agli occhi del Giudice supremo, il bene compiuto. Per questo il capitolo finale della Regola

è dedicato all’umiltà: « Quando ci si compiace di aver raggiunto molte virtù è bene riflettere sulle proprie insufficienze ed umiliarsi: invece di considerare il bene compiuto, bisogna considerare quello che si è trascurato di compiere ». Tutte queste preziose indicazioni dimostrano l’altissimo concetto che san Gregorio ha della cura delle anime, da lui definita « ars artium », l’arte delle arti. La Regola ebbe grande fortuna al punto che, cosa piuttosto rara, fu ben presto tradotta in greco e in anglosassone.Significativa

è pure l’altra opera, i Dialoghi, in cui all’amico e diacono Pietro, convinto che i costumi fossero ormai così corrotti da non consentire il sorgere di santi come nei tempi passati, Gregorio dimostra il contrario: la santità è sempre possibile, anche in tempi difficili. Egli lo prova narrando la vita di persone contemporanee o scomparse da poco, che ben potevano essere qualificate sante, anche se non canonizzate. La narrazione è accompagnata da riflessioni teologiche e mistiche che fanno del libro un testo agiografico singolare, capace di affascinare intere generazioni di lettori. La materia è attinta alle tradizioni vive del popolo ed ha lo scopo di edificare e formare, attirando l’attenzione di chi legge su una serie di questioni quali il senso del miracolo, l’interpretazione della Scrittura, l’immortalità dell’anima, l’esistenza dell’inferno, la rappresentazione dell’aldilà, temi tutti che abbisognavano di opportuni chiarimenti. Il libro II è interamente dedicato alla figura di Benedetto da Norcia ed è l’unica testimonianza antica sulla vita del santo monaco, la cui bellezza spirituale appare nel testo in tutta evidenza.

Nel disegno teologico che Gregorio sviluppa attraverso le sue opere, passato, presente e futuro vengono relativizzati. Ciò che per lui conta più di tutto è l’arco intero della storia salvifica, che continua a dipanarsi tra gli oscuri meandri del tempo. In questa prospettiva è significativo che egli inserisca l’annunzio della conversione degli Angli nel bel mezzo del Commento morale a Giobbe: ai suoi occhi l’evento costituiva un avanzamento del Regno di Dio di cui tratta la Scrittura; poteva quindi a buona ragione essere menzionato nel commento ad un libro sacro. Secondo lui le guide delle comunità cristiane devono impegnarsi a rileggere gli eventi alla luce della Parola di Dio: in questo senso il grande Pontefice sente il dovere di orientare pastori e fedeli nell’itinerario spirituale di una lectio divina illuminata e concreta, collocata nel contesto della propria vita.

Prima di concludere è doveroso spendere una parola sulle relazioni che Papa Gregorio coltivò con i patriarchi di Antiochia, di Alessandria e della stessa Costantinopoli. Si preoccupò sempre di riconoscerne e rispettarne i diritti, guardandosi da ogni interferenza che ne limitasse la legittima autonomia. Se tuttavia san Gregorio, nel contesto della sua situazione storica, si oppose al titolo di « ecumenico » da parte del Patriarca di Costantinopoli, non lo fece per limitare o negare questa legittima autorità, ma perché egli era preoccupato dell’unità fraterna della Chiesa universale. Lo fece soprattutto per la sua profonda convinzione che l’umiltà dovrebbe essere la virtù fondamentale di ogni Vescovo, ancora più di un Patriarca. Gregorio era rimasto semplice monaco nel suo cuore e perciò era decisamente contrario ai grandi titoli. Egli voleva essere – è questa la sua espressione – servus servorum Dei. Questa parola da lui coniata non era nella sua bocca una pia formula, ma la vera manifestazione del suo modo di vivere e di agire. Egli era intimamente colpito dall’umiltà di Dio, che in Cristo si è fatto nostro servo, ci ha lavato e ci lava i piedi sporchi. Pertanto egli era convinto che, soprattutto un Vescovo, dovrebbe imitare questa umiltà di Dio e così seguire Cristo. Il suo desiderio veramente fu di vivere da monaco in permanente colloquio con la Parola di Dio, ma per amore di Dio seppe farsi servitore di tutti in un tempo pieno di tribolazioni e di sofferenze, seppe farsi « servo dei servi ». Proprio perché fu questo, egli è grande e mostra anche a noi la misura della vera grandezza.

[Il Papa ha quindi salutato i presenti in varie lingue. Queste le sue parole in italiano:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i religiosi Fratelli di San Giuseppe Benedetto Cottolengo e li incoraggio, sull’esempio del venerato Fondatore, ad essere sempre più segni eloquenti dell’amore di Dio, servendo con ardente carità i poveri e i bisognosi. Saluto con affetto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’Ordine dei Chierici Regolari Minori, a conclusione dell’anno giubilare del loro fondatore San Francesco Caracciolo. Cari amici, formulo voti che questa significativa circostanza contribuisca a rinnovare in tutti il vivo desiderio di servire Cristo, seguendo gli insegnamenti di questo grande Santo, innamorato dell’Eucarestia, umile servitore dei poveri, asceta immerso costantemente nella contemplazione di Gesù crocifisso. Saluto gli atleti con la fiaccola della pace, che brillerà nel pellegrinaggio notturno da Macerata a Loreto, qui convenuti con i Vescovi Mons. Giancarlo Vecerrica e Mons. Claudio Giuliodori, ed auguro ogni migliore successo alla trentesima edizione di tale importante iniziativa pastorale.

Saluto infine i giovani

, i malati e gli sposi novelli. Ricorre proprio oggi la memoria liturgica di San Francesco Caracciolo. La sua eroica testimonianza evangelica sostenga voi, cari giovani, nell’impegno di quotidiana fedeltà a Cristo; incoraggi voi, cari ammalati, a seguire pazientemente il Signore nel cammino della prova e della sofferenza; aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra famiglia un cenacolo di preghiera e di carità fraterna.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 5 juin, 2008 |Pas de commentaires »
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