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Sinodo della Parola “viva, tagliente ed efficace”

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Sinodo della Parola “viva, tagliente ed efficace”

Parla il Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma

di Miriam Díez i Bosch

ROMA, martedì, 19 agosto 2008 (ZENIT.org).- La Parola di Dio non è ridotta alla Bibbia ed è una Parola viva perché non è un testo.

A spiegarlo è padre Roberto Fornara, ocd, Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma (www.ocd.it), docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica Teresianum e la Pontificia Università Gregoriana nonché Direttore della Rivista di Vita Spirituale.

Il Sinodo vorrebbe favorire la riscoperta piena di stupore della Parola di Dio che è viva, tagliente ed efficace. Cosa si intende?

P. Fornara: La triplice annotazione prende spunto da Eb 4,12. La Parola è «viva», anzi «vivente» (zôn), perché non è un testo (il cristianesimo non è religione del Libro!), ma la persona viva del Verbo, per cui lascolto della Parola non si concepisce al di fuori di unesperienza orante di relazione con Cristo.

Si parla poi della Parola «efficace» (energès, piena di «energia», di «forza viva»). Noi occidentali, tendenti a considerare la parola come flatus vocis, dobbiamo ricuperare il concetto ebraico di dabar, parola e atto, che presiede alla logica della creazione del mondo: «Dio disse…» e tutte le cose furono fatte.La stessa efficacia creatrice, la Parola la esercita penetrando nel cuore dell

uomo, «più tagliente» (tomóteros) di ogni spada a doppio taglio. Supera le barriere dellesteriorità e dellapparenza, fa la verità in noi, penetra nellintimo, è «lama di luce» (come si esprimevano i medievali), perché illumina il cammino e perché ci illumina, mettendo a nudo ciò che in noi appartiene allo Spirito e ciò che, appartenendo alla carne, ha bisogno di conversione.

In questo «taglio», la spada della Parola ci fa male: il Signore ferisce e risana. Maria stessa – nella profezia di Simeone – comprese che la sua vita sarebbe stata attraversata dalla spada della Parola: ferita e gioia, ferita orientata alla gioia piena.

Qual è il legame tra Bibbia e spiritualità?

P. Fornara: La Parola di Dio (non la Bibbia) è sorgente della vita spirituale, vita secondo lo Spirito e vita dello Spirito in noi.

Dei Verbum 12 cita unespressione di san Girolamo secondo cui la Scrittura devessere letta e interpretata con lo stesso Spirito con cui fu scritta: lo Spirito allorigine dellispirazione biblica è lo stesso Spirito che ne opera linterpretazione e la vivificazione.

Nella Bibbia sono spesso accomunati il «soffio» e la «parola» divini; lo Spirito continua a soffiare perché la Parola diventi carne nel credente: è questa la vita spirituale. È litinerario della lectio divina, dalla lectio (studio, lettura attenta della Bibbia, da cui attingere la Parola) alla contemplatio (divento io stesso quel templum, quel tabernacolo che contiene la Parola e la comunica, talmente ne sono impregnato: non sono più io che vivo, ma Cristo – Parola del Padre – vive in me nella forza dello Spirito; cf Gal 2,20).

Il legame tra Parola e spiritualità, di cui siamo oggi più coscienti e convinti, è indispensabile per evitare derive razionalistiche nellinterpretazione biblica o sentimentalistiche e devozionistiche nel modo di concepire e vivere la vita spirituale.

Quali frutti ha portato il documento conciliare Dei Verbum nelle comunità cattoliche?

P. Fornara: È evidente la maggiore importanza della Parola di Dio nella vita delle comunità; penso al diverso respiro biblico della riflessione teologica, della predicazione e della catechesi, come pure alla maggiore formazione biblica del clero, dei religiosi e dei laici, o alla crescente importanza della lectio divina, sia personale che comunitaria.

Rispetto al 1965, possiamo usufruire di un numero molto più grande di traduzioni e di strumenti per la lettura della Bibbia. Leredità della Dei Verbum ci ha permesso di ricuperare molto terreno nei confronti delle comunità riformate, da sempre molto più centrate sulla Parola.

Tuttavia, molto resta ancora da fare, sia nel lavoro formativo, sia nella dimensione orante e spirituale, sia sotto laspetto più missionario di evangelizzazione. Alla presentazione dellInstrumentum laboris, mons. Eterovic, segretario generale del Sinodo, ricordava i dati di una recente indagine: solo il 38 % degli italiani praticanti (27 % se si considerano gli italiani adulti) avrebbe letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi. Oltre il 50 % considera la Scrittura difficile da comprendere. La gente ha bisogno di essere introdotta e guidata ad unintelligenza ecclesiale della Bibbia.

Concretamente, qual è stato il contributo dei santi carmelitani alle Sacre Scritture?

P. Fornara: I santi del Carmelo riformato (soprattutto i tre dottori della Chiesa) vivono nel periodo che va dal Concilio di Trento al Vaticano II, definito «esilio della Parola» dalla vita del popolo di Dio. Eppure tutti provano una sete grandissima di abbeverarsi alle sorgenti della Parola. Vivono, in modi diversi, un cammino di lectio, fedeli alla Regola del Carmelo.

Teresa dAvila si nutre di una sola parola delle Scritture più che di mille letture spirituali, e capisce che questo la preserva da «devozioni alla balorda». Giovanni della Croce dà importanza sia allo studio esegetico, sia allaccoglienza del linguaggio simbolico della Scrittura. Teresa di Gesù Bambino è maestra di unermeneutica spirituale della Bibbia, alla ricerca del volto di Cristo. Elisabetta della Trinità è forse la più contemplativa, non ascoltando la Parola per fare quello che le viene chiesto, ma per gustare, contemplare e adorare la Bellezza divina.

Tutti vivono il contatto con la Parola in una dimensione orante e con una tonalità affettiva. Si respira in tutti una certa passività” verso una Parola da non usare o comprendere, ma da ascoltare, accogliere, servire e lasciar operare. Io spero che dal Sinodo emerga una nuova coscienza passiva, una consegna, un abbandono totale alla Parola di Dio, una fede grande nella potenza della Parola che opera ciò che significa. Stupore, insieme alla docilità dellascolto obbediente, è forse latteggiamento di cui abbiamo maggiore necessità.

Publié dans:dalla Chiesa, ZENITH |on 6 octobre, 2008 |Pas de commentaires »

Il Papa: la Humanae vitae è un grande « sì » alla bellezza dell’amore

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Il Papa: la Humanae vitae è un grande « sì » alla bellezza dell’amore

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 3 ottobre 2008 (ZENIT.org).- A 40 anni dalla pubblicazione dell’Enciclica Humanae vitae, « possiamo capire meglio quanto questa luce sia decisiva per comprendere il grande ‘sì‘ che implica l’amore coniugale », ha affermato Papa Benedetto XVI in un Messaggio diffuso questo venerdì dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Il Papa si è rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale « Humanae vitae: attualità e profezia di un’Enciclica », organizzato congiuntamente dal Pontificio Istituto « Giovanni Paolo II » per Studi su Matrimonio e Famiglia e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e in svolgimento questo venerdì e questo sabato presso l’Università Cattolica.

Nel suo messaggio, il Pontefice si concentra sull’importanza che continua ad avere il messaggio fondamentale dell’Humanae vitae oggi, affrontando la questione dell’amore coniugale come dono « senza riserve » degli sposi e la vita umana come « dono di Dio » e non come « l’obiettivo di un progetto umano ».

« La possibilità di procreare una nuova vita umana è inclusa nell’integrale donazione dei coniugi », avverte il Papa. In questo modo, l’amore coniugale « non solo assomiglia, ma partecipa all’amore di Dio, che vuole comunicarsi chiamando alla vita le persone umane ».

« Escludere questa dimensione comunicativa mediante un’azione che miri ad impedire la procreazione significa negare la verità intima dell’amore sponsale, con cui si comunica il dono divino », ha aggiunto.

Secondo il Papa, da ciò deriva la necessità di « riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo », per evitare che il figlio diventi uno strumento soggetto « all’arbitrio degli uomini ».

« E’ questo il nucleo essenziale dell’insegnamento che il mio venerato predecessore Paolo VI rivolse ai coniugi e che il Servo di Dio Giovanni Paolo II, a sua volta, ha ribadito in molte occasioni, illuminandone il fondamento antropologico e morale », ha osservato il Papa.

« In questa luce, i figli non sono più l’obiettivo di un progetto umano, ma sono riconosciuti come un autentico dono, da accogliere con atteggiamento di responsabile generosità verso Dio, sorgente prima della vita umana ».

« Questo grande ‘sì‘ alla bellezza dell’amore comporta certamente la gratitudine, sia dei genitori nel ricevere il dono di un figlio, sia del figlio stesso nel sapere che la sua vita ha origine da un amore così grande e accogliente ».

Il Papa ha anche ricordato che il ricorso ai metodi naturali permette alla coppia di « amministrare quanto il Creatore ha sapientemente iscritto nella natura umana, senza turbare l’integro significato della donazione sessuale ».

A questo proposito, il Pontefice si chiede « come mai oggi il mondo, ed anche molti fedeli, trovano tanta difficoltà a comprendere il messaggio della Chiesa, che illustra e difende la bellezza dell’amore coniugale nella sua manifestazione naturale ».

« La soluzione tecnica anche nelle grandi questioni umane appare spesso la più facile, ma essa in realtà nasconde la questione di fondo, che riguarda il senso della sessualità umana e la necessità di una padronanza responsabile, perché il suo esercizio possa diventare espressione di amore personale », ha osservato.

La tecnica, ha aggiunto, « non può sostituire la maturazione della libertà, quando è in gioco l’amore ».

In questo senso, Benedetto XVI ha spiegato che la Chiesa difende il ricorso ai metodi naturali di pianificazione familiare come l’atteggiamento più conforme alla dignità umana, perché tali metodi richiedono « una maturità nell’amore, che non è immediata, ma comporta un dialogo e un ascolto reciproco e un singolare dominio dell’impulso sessuale in un cammino di crescita nella virtù« .

« Solo gli occhi del cuore riescono a cogliere le esigenze proprie di un grande amore, capace di abbracciare la totalità dell’essere umano », ha dichiarato.

Rivolgendosi ai responsabili della pastorale matrimoniale e familiare, ha quindi chiesto loro di saper  » orientare le coppie a capire con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha iscritto nel corpo umano, aiutandole ad accogliere quanto comporta un autentico cammino di maturazione ».

Il Papa ha infine ringraziato e incoraggiato le ricerche che si stanno svolgendo sui ritmi naturali della fertilità e sul modo di combattere naturalmente la sterilità presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore attraverso l’Istituto Internazionale Paolo VI.

« Gli uomini di scienza vanno incoraggiati a proseguire nelle loro ricerche, allo scopo di prevenire le cause della sterilità e potervi rimediare, in modo che le coppie sterili possano riuscire a procreare nel rispetto della loro dignità personale e di quella del nascituro », ha concluso.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 4 octobre, 2008 |Pas de commentaires »

Papa Benedetto, udienza 1 ottobre 2008: sul (San Paolo) « Concilio » di Gerusalemme e l’incidente di Antiochia

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http://www.zenit.org/article-15597?l=italian

Benedetto XVI sul « Concilio » di Gerusalemme e l’incidente di Antiochia

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 1 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi tenuta da Benedetto XVI in occasione dellUdienza generale del mercoledì svoltasi in piazza San Pietro, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dallItalia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana, riprendendo il ciclo di catechesi sulla figura di San Paolo, il Papa si è soffermato in particolare su il « Concilio » di Gerusalemme e lincidente di Antiochia.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

il rispetto e la venerazione che Paolo ha sempre coltivato nei confronti dei Dodici non vengono meno quando egli con franchezza difende la verità del Vangelo, che non è altro se non Gesù Cristo, il Signore. Vogliamo oggi soffermarci su due episodi che dimostrano la venerazione e, nello stesso tempo, la libertà con cui lApostolo si rivolge a Cefa e agli altri Apostoli: il cosiddetto « Concilio » di Gerusalemme e l’incidente di Antiochia di Siria, riportati nella Lettera ai Galati (cfr 2,1-10; 2,11-14).

Ogni Concilio e Sinodo della Chiesa è « evento dello Spirito » e reca nel suo compiersi le istanze di tutto il popolo di Dio: lo hanno sperimentato in prima persona quanti hanno avuto il dono di partecipare al Concilio Vaticano II. Per questo san Luca, informandoci sul primo Concilio della Chiesa, svoltosi a Gerusalemme, così introduce la lettera che gli Apostoli inviarono in quella circostanza alle comunità cristiane della diaspora: « Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi… » (At 15,28). Lo Spirito, che opera in tutta la Chiesa, conduce per mano gli Apostoli nellintraprendere strade nuove per realizzare i suoi progetti: è Lui lartefice principale delledificazione della Chiesa. Eppure lassemblea di Gerusalemme si svolse in un momento di non piccola tensione allinterno della Comunità delle origini. Si trattava di rispondere al quesito se occorresse richiedere ai pagani che stavano aderendo a Gesù Cristo, il Signore, la circoncisione o se fosse lecito lasciarli liberi dalla Legge mosaica, cioè dallosservanza delle norme necessarie per essere uomini giusti, ottemperanti alla Legge, e soprattutto liberi dalle norme riguardanti le purificazioni cultuali, i cibi puri e impuri e il sabato. Dellassemblea di Gerusalemme riferisce anche san Paolo in Gal 2,1-10: dopo quattordici anni dall’incontro con il Risorto a Damasco siamo nella seconda metà degli anni 40 d.C. Paolo parte con Barnaba da Antiochia di Siria e si fa accompagnare da Tito, il suo fedele collaboratore che, pur essendo di origine greca, non era stato costretto a farsi circoncidere per entrare nella Chiesa. In questa occasione Paolo espone ai Dodici, definiti come le persone più ragguardevoli, il suo vangelo della libertà dalla Legge (cfr Gal 2,6). Alla luce dellincontro con Cristo risorto, egli aveva capito che nel momento del passaggio al Vangelo di Gesù Cristo, ai pagani non erano più necessarie la circoncisione, le regole sul cibo, sul sabato come contrassegni della giustizia: Cristo è la nostra giustizia e « giusto » è tutto ciò che è a Lui conforme. Non sono necessari altri contrassegni per essere giusti. Nella Lettera ai Galati riferisce, con poche battute, lo svolgimento dell’assemblea: con entusiasmo ricorda che il vangelo della libertà dalla Legge fu approvato da Giacomo, Cefa e Giovanni, « le colonne », che offrirono a lui e a Barnaba la destra della comunione eccelesiale in Cristo (cfr Gal 2,9). Se, come abbiamo notato, per Luca il Concilio di Gerusalemme esprime l’azione dello Spirito Santo, per Paolo rappresenta il decisivo riconoscimento della libertà condivisa fra tutti coloro che vi parteciparono: una libertà dalle obbligazioni provenienti dalla circoncisione e dalla Legge; quella libertà per la quale « Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi » e non ci lasciassimo più imporre il giogo della schiavitù (cfr Gal 5,1). Le due modalità con cui Paolo e Luca descrivono l’assemblea di Gerusalemme sono accomunate dallazione liberante dello Spirito, poiché « dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà« , dirà nella seconda Lettera ai Corinzi (cfr 3,17).

Tuttavia, come appare con grande chiarezza nelle Lettere di san Paolo, la libertà cristiana non s’identifica mai con il libertinaggio o con l’arbitrio di fare ciò che si vuole; essa si attua nella conformità a Cristo e perciò nellautentico servizio per i fratelli, soprattutto, per i più bisognosi. Per questo, il resoconto di Paolo sull’assemblea si chiude con il ricordo della raccomandazione che gli rivolsero gli Apostoli: « Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare » (Gal 2,10). Ogni Concilio nasce dalla Chiesa e alla Chiesa torna: in quell’occasione vi ritorna con l’attenzione per i poveri che, dalle diverse annotazioni di Paolo nelle sue Lettere, sono anzitutto quelli della Chiesa di Gerusalemme. Nella preoccupazione per i poveri, attestata, in particolare, nella seconda Lettera ai Corinzi (cfr 8-9) e nella parte conclusiva della Lettera ai Romani (cfr Rm 15), Paolo dimostra la sua fedeltà alle decisioni maturate durante l’assemblea.Forse non siamo più in grado di comprendere appieno il significato che Paolo e le sue comunità attribuirono alla colletta per i poveri di Gerusalemme. Si trattò di uniniziativa del tutto nuova nel panorama delle attività religiose: non fu obbligatoria, ma libera e spontanea; vi presero parte tutte le Chiese fondate da Paolo verso l’Occidente. La colletta esprimeva il debito delle sue comunità per la Chiesa madre della Palestina, da cui avevano ricevuto il dono inenarrabile del Vangelo. Tanto grande è il valore che Paolo attribuisce a questo gesto di condivisione che raramente egli la chiama semplicemente « colletta »: per lui essa è piuttosto « servizio », « benedizione », « amore », « grazia », anzi « liturgia » (2 Cor 9). Sorprende, in modo particolare, questultimo termine, che conferisce alla raccolta in denaro un valore anche cultuale: da una parte essa è gesto liturgico o « servizio », offerto da ogni comunità a Dio, dall’altra è azione di amore compiuta a favore del popolo. Amore per i poveri e liturgia divina vanno insieme, lamore per i poveri è liturgia. I due orizzonti sono presenti in ogni liturgia celebrata e vissuta nella Chiesa, che per sua natura si oppone alla separazione tra il culto e la vita, tra la fede e le opere, tra la preghiera e la carità per i fratelli. Così il Concilio di Gerusalemme nasce per dirimere la questione sul come comportarsi con i pagani che giungevano alla fede, scegliendo per la libertà dalla circoncisione e dalle osservanze imposte dalla Legge, e si risolve nellistanza ecclesiale e pastorale che pone al centro la fede in Cristo Gesù e lamore per i poveri di Gerusalemme e di tutta la Chiesa.

Il secondo episodio è il noto incidente di Antiochia, in Siria, che attesta la libertà interiore di cui Paolo godeva: come comportarsi in occasione della comunione di mensa tra credenti di origine giudaica e quelli di matrice gentile? Emerge qui laltro epicentro dellosservanza mosaica: la distinzione tra cibi puri e impuri, che divideva profondamente gli ebrei osservanti dai pagani. Inizialmente Cefa, Pietro condivideva la mensa con gli uni e con gli altri; ma con l’arrivo di alcuni cristiani legati a Giacomo, « il fratello del Signore » (Gal 1,19), Pietro aveva cominciato a evitare i contatti a tavola con i pagani, per non scandalizzare coloro che continuavano ad osservare le leggi di purità alimentare; e la scelta era stata condivisa da Barnaba. Tale scelta divideva profondamente i cristiani venuti dalla circoncisione e i cristiani venuti dal paganesimo. Questo comportamento, che minacciava realmente lunità e la libertà della Chiesa, suscitò le accese reazioni di Paolo, che giunse ad accusare Pietro e gli altri dipocrisia: « Se tu che sei giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei? » (Gal 2,14). In realtà, erano diverse le preoccupazioni di Paolo, da una parte, e di Pietro e Barnaba, dallaltra: per questi ultimi la separazione dai pagani rappresentava una modalità per tutelare e per non scandalizzare i credenti provenienti dal giudaismo; per Paolo costituiva, invece, un pericolo di fraintendimento delluniversale salvezza in Cristo offerta sia ai pagani che ai giudei. Se la giustificazione si realizza soltanto in virtù della fede in Cristo, della conformità con Lui, senza alcuna opera della Legge, che senso ha osservare ancora le purità alimentari in occasione della condivisione della mensa? Molto probabilmente erano diverse le prospettive di Pietro e di Paolo: per il primo non perdere i giudei che avevano aderito al Vangelo, per il secondo non sminuire il valore salvifico della morte di Cristo per tutti i credenti.Strano a dirsi, ma scrivendo ai cristiani di Roma, alcuni anni dopo (intorno alla metà degli anni 50 d.C.), Paolo stesso si troverà di fronte ad una situazione analoga e chiederà ai forti di non mangiare cibo impuro per non perdere o per non scandalizzare i deboli: « Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi » (Rm 14,21). Lincidente di Antiochia si rivelò così una lezione tanto per Pietro quanto per Paolo. Solo il dialogo sincero, aperto alla verità del Vangelo, poté orientare il cammino della Chiesa: « Il regno di Dio, infatti, non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo » (Rm 14,17). E una lezione che dobbiamo imparare anche noi: con i carismi diversi affidati a Pietro e a Paolo, lasciamoci tutti guidare dallo Spirito, cercando di vivere nella libertà che trova il suo orientamento nella fede in Cristo e si concretizza nel servizio ai fratelli. Essenziale è essere sempre più conformi a Cristo. E così che si diventa realmente liberi, così si esprime in noi il nucleo più profondo della Legge: lamore per Dio e per il prossimo. Preghiamo il Signore che ci insegni a condividere i suoi sentimenti, per imparare da Lui la vera libertà e lamore evangelico che abbraccia ogni essere umano.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 1 octobre, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI: il testamento spirituale di Papa Luciani? L’umiltà

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Benedetto XVI: il testamento spirituale di Papa Luciani? L’umiltà

Parole introduttive all’Angelus domenicale

CASTEL GANDOLFO, domenica, 28 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI, a Castel Gandolfo, a introduzione della preghiera mariana dell’Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti.

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Cari fratelli e sorelle!

Oggi la liturgia ci propone la parabola evangelica dei due figli inviati dal padre a lavorare nella sua vigna. Di questi, uno dice subito sì, ma poi non va; l’altro invece sul momento rifiuta, poi però, pentitosi, asseconda il desiderio paterno. Con questa parabola Gesù ribadisce la sua predilezione per i peccatori che si convertono, e ci insegna che ci vuole umiltà per accogliere il dono della salvezza. Anche san Paolo, nel brano della Lettera ai Filippesi che quest’oggi meditiamo, ci esorta all’umiltà. « Non fate nulla per rivalità o vanagloria – egli scrive -, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso » (Fil 2,3). Sono questi gli stessi sentimenti di Cristo, che, spogliatosi della gloria divina per amore nostro, si è fatto uomo e si è abbassato fino a morire crocifisso (cfr Fil 2,5-8). Il verbo utilizzato – ekenôsen – significa letteralmente che Egli « svuotò se stesso » e pone in chiara luce l’umiltà profonda e l’amore infinito di Gesù, il Servo umile per eccellenza. Riflettendo su questi testi biblici, ho pensato subito a Papa Giovanni Paolo I, di cui proprio oggi ricorre il trentesimo anniversario della morte. Egli scelse come motto episcopale lo stesso di san Carlo Borromeo: Humilitas. Una sola parola che sintetizza l’essenziale della vita cristiana e indica l’indispensabile virtù di chi, nella Chiesa, è chiamato al servizio dell’autorità. In una delle quattro Udienze generali tenute durante il suo brevissimo pontificato disse tra l’altro, con quel tono familiare che lo contraddistingueva: « Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore … Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili ». E osservò: « Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra » (Insegnamenti di Giovanni Paolo I, p. 51-52). L’umiltà può essere considerata il suo testamento spirituale. Grazie proprio a questa sua virtù, bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente. Nei discorsi usava esempi tratti da fatti di vita concreta, dai suoi ricordi di famiglia e dalla saggezza popolare. La sua semplicità era veicolo di un insegnamento solido e ricco, che, grazie al dono di una memoria eccezionale e di una vasta cultura, egli impreziosiva con numerose citazioni di scrittori ecclesiastici e profani. E’ stato così un impareggiabile catechista, sulle orme di san Pio X, suo conterraneo e predecessore prima sulla cattedra di san Marco e poi su quella di san Pietro. « Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio », disse in quella medesima Udienza. E aggiunse: « Non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma: si crede alla mamma, io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato » (ivi, p. 49). Queste parole mostrano tutto lo spessore della sua fede. Mentre ringraziamo Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo, facciamo tesoro del suo esempio, impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani. Invochiamo per questo Maria Santissima, umile Serva del Signore.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Il periodo estivo è ormai passato e dopodomani rientrerò in Vaticano. Ringrazio il Signore per tutti i doni che mi ha concesso in questo tempo. Penso in particolare alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney, al periodo di riposo trascorso a Bressanone, alla visita in Sardegna e al viaggio apostolico a Parigi e Lourdes; e penso alla possibilità di soggiornare in questa casa, dove posso meglio riposare e lavorare nei mesi più caldi. Un caro saluto rivolgo alla comunità di Castel Gandolfo, con un grazie sentito al Vescovo, al Sindaco e alle Forze dell’ordine. Grazie a tutti e arrivederci!

Sono lieto di accogliere i volontari del Movimento dei Focolari, venuti da vari Paesi, e li incoraggio a testimoniare sempre la forza trasformatrice del Vangelo. Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Padova, la « Lega Marinara di Sant’Antonio » di Anzio, l’Associazione Cattolica Operatori Sanitari, la Scuola « Paolo VI » delle Maestre Pie Filippini, di Castel Gandolfo, i giovani dell’Opera della Chiesa dalla Spagna e dall’Italia e l’Associazione « Ars-Agape » di Abbiategrasso. Saluto inoltre il gruppo della Diocesi di Belluno-Feltre che, con il Vescovo Mons. Giuseppe Andrich, si trova in Piazza San Pietro. Mentre rivolgo un augurio a tutti gli studenti che da poco hanno iniziato l’anno scolastico, esprimo apprezzamento per la campagna della Società di San Vincenzo De Paoli intitolata « Fatemi studiare, conviene a tutti ». Nello spirito di San Vincenzo, che ieri abbiamo ricordato nella liturgia, questa iniziativa si propone di prevenire la povertà dell’analfabetismo. A tutti auguro un buon mese di ottobre, mese del santo Rosario, durante il quale, a Dio piacendo, mi recherò in pellegrinaggio al Santuario di Pompei, domenica 19. Buona domenica

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 28 septembre, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI: San Paolo e gli Apostoli (catechesi del 24 settembre 2008)

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Benedetto XVI: San Paolo e gli Apostoli

Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 24 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi tenuta da Benedetto XVI in occasione dellUdienza generale del mercoledì svoltasi nellAula Paolo VI, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dallItalia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana, riprendendo il ciclo di catechesi sulla figura di San Paolo, il Santo Padre si è soffermato sui suoi rapporti con gli Apostoli.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi parlare sulla relazione tra san Paolo e gli Apostoli che lo avevano preceduto nella sequela di Gesù. Questi rapporti furono sempre segnati da profondo rispetto e da quella franchezza che a Paolo derivava dalla difesa della verità del Vangelo. Anche se egli era, in pratica, contemporaneo di Gesù di Nazareth, non ebbe mai lopportunità d’incontrarlo, durante la sua vita pubblica. Per questo, dopo la folgorazione sulla strada di Damasco, avvertì il bisogno di consultare i primi discepoli del Maestro, che erano stati scelti da Lui perché ne portassero il Vangelo sino ai confini del mondo.

Nella Lettera ai Galati Paolo stila un importante resoconto sui contatti intrattenuti con alcuni dei Dodici: anzitutto con Pietro che era stato scelto come Kephas, la parola aramaica che significa roccia, su cui si stava edificando la Chiesa (cfr Gal 1,18), con Giacomo, « il fratello del Signore » (cfr Gal 1,19), e con Giovanni (cfr Gal 2,9): Paolo non esita a riconoscerli come « le colonne » della Chiesa. Particolarmente significativo è l’incontro con Cefa (Pietro), verificatosi a Gerusalemme: Paolo rimase presso di lui 15 giorni per « consultarlo » (cfr Gal 1,19), ossia per essere informato sulla vita terrena del Risorto, che lo aveva « ghermito » sulla strada di Damasco e gli stava cambiando, in modo radicale, l’esistenza: da persecutore nei confronti della Chiesa di Dio era diventato evangelizzatore di quella fede nel Messia crocifisso e Figlio di Dio, che in passato aveva cercato di distruggere (cfr Gal 1,23).Quale genere di informazioni Paolo ebbe su Gesù Cristo nei tre anni che succedettero allincontro di Damasco? Nella prima Lettera ai Corinzi possiamo notare due brani, che Paolo ha conosciuto a Gerusalemme, e che erano stati già formulati come elementi centrali della tradizione cristiana, tradizione costitutiva. Egli li trasmette verbalmente, così come li ha ricevuti, con una formula molto solenne: « Vi trasmetto quanto anchio ho ricevuto ». Insiste cioè sulla fedeltà a quanto egli stesso ha ricevuto e che fedelmente trasmette ai nuovi cristiani. Sono elementi costitutivi e concernono lEucaristia e la Risurrezione; si tratta di brani già formulati negli anni trenta. Arriviamo così alla morte, sepoltura nel cuore della terra e alla risurrezione di Gesù. (cfr 1 Cor 15,3-4). Prendiamo luno e laltro: le parole di Gesù nellUltima Cena (cfr 1 Cor 11,23-25) sono realmente per Paolo centro della vita della Chiesa: la Chiesa si edifica a partire da questo centro, diventando così se stessa. Oltre questo centro eucaristico, nel quale nasce sempre di nuovo la Chiesa – anche per tutta la teologia di San Paolo, per tutto il suo pensiero – queste parole hanno avuto un notevole impatto sulla relazione personale di Paolo con Gesù. Da una parte attestano che l’Eucaristia illumina la maledizione della croce, rendendola benedizione (Gal 3,13-14), e dall’altra spiegano la portata della stessa morte e risurrezione di Gesù. Nelle sue Lettere il « per voi » dellistituzione eucaristica diventa il « per me » (Gal 2,20), personalizzando, sapendo che in quel «voi» lui stesso era conosciuto e amato da Gesù e dell’altra parte « per tutti » (2 Cor 5,14): questo «per voi» diventa «per me» e «per la Chiesa (Ef 5, 25)», ossia anche «per tutti» del sacrificio espiatorio della croce (cfr Rm 3,25). Dalla e nell’Eucaristia la Chiesa si edifica e si riconosce quale « Corpo di Cristo » (1 Cor 12,27), alimentato ogni giorno dalla potenza dello Spirito del Risorto.

L’altro testo, sulla Risurrezione, ci trasmette di nuovo la stessa formula di fedeltà. Scrive San Paolo: « Vi ho trasmesso dunque, anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici » (1 Cor 15,3-5). Anche in questa tradizione trasmessa a Paolo torna quel « per i nostri peccati », che pone l’accento sul dono che Gesù ha fatto di sé al Padre, per liberarci dai peccati e dalla morte. Da questo dono di sé, Paolo trarrà le espressioni più coinvolgenti e affascinanti del nostro rapporto con Cristo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio » (2 Cor 5,21); « Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà » (2 Cor 8,9). Vale la pena ricordare il commento col quale lallora monaco agostiniano, Martin Lutero, accompagnava queste espressioni paradossali di Paolo: « Questo è il grandioso mistero della grazia divina verso i peccatori: che con un mirabile scambio i nostri peccati non sono più nostri, ma di Cristo, e la giustizia di Cristo non è più di Cristo, ma nostra » (Commento ai Salmi del 1513-1515). E così siamo salvati. Nelloriginale kerygma (annuncio), trasmesso di bocca in bocca, merita di essere segnalato l’uso del verbo « è risuscitato », invece del « fu risuscitato » che sarebbe stato più logico utilizzare, in continuità con « morì… e fu sepolto ». La forma verbale «è risuscitato» è scelta per sottolineare che la risurrezione di Cristo incide sino al presente dell’esistenza dei credenti: possiamo tradurlo con « è risuscitato e continua a vivere » nellEucaristia e nella Chiesa. Così tutte le Scritture rendono testimonianza della morte e risurrezione di Cristo, perché – come scriverà Ugo di San Vittore – « tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento » (De arca Noe, 2,8). Se sant’Ambrogio di Milano potrà dire che « nella Scrittura noi leggiamo Cristo », è perché la Chiesa delle origini ha riletto tutte le Scritture d’Israele partendo da e tornando a Cristo.

La scansione delle apparizioni del Risorto a Cefa, ai Dodici, a più di cinquecento fratelli, e a Giacomo si chiude con laccenno alla personale apparizione, ricevuta da Paolo sulla strada di Damasco: « Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto » (1 Cor 15,8). Poiché egli ha perseguitato la Chiesa di Dio, in questa confessione esprime la sua indegnità nellessere considerato apostolo, sullo stesso livello di quelli che lhanno preceduto: ma la grazia di Dio in lui non è stata vana (1 Cor 15,10). Pertanto laffermarsi prepotente della grazia divina accomuna Paolo ai primi testimoni della risurrezione di Cristo: « Sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto » (1 Cor 15,11). È importante l’identità e l’unicità dell’annuncio del Vangelo: sia loro sia io predichiamo la stessa fede, lo stesso Vangelo di Gesù Cristo morto e risorto che si dona nella Santissima Eucaristia.L’importanza che egli conferisce alla Tradizione viva della Chiesa, che trasmette alle sue comunità, dimostra quanto sia errata la visione di chi attribuisce a Paolo linvenzione del cristianesimo: prima di evangelizzare Gesù Cristo, il suo Signore, egli lha incontrato sulla strada di Damasco e lo ha frequentato nella Chiesa, osservandone la vita nei Dodici e in coloro che lo hanno seguito per le strade della Galilea. Nelle prossime Catechesi avremo lopportunità di approfondire i contributi che Paolo ha donato alla Chiesa delle origini; ma la missione ricevuta dal Risorto in ordine allevangelizzazione dei gentili ha bisogno di essere confermata e garantita da coloro che diedero a lui e a Barnaba la mano destra, in segno di approvazione del loro apostolato e della loro evangelizzazione e di accoglienza nella unica comunione della Chiesa di Cristo (cfr Gal 2,9). Si comprende allora che l’espressione « anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne » (2 Cor 5,16) non significa che la sua esistenza terrena abbia uno scarso rilievo per la nostra maturazione nella fede, bensì che dal momento della sua Risurrezione, cambia il nostro modo di rapportarci con Lui. Egli è, nello stesso tempo, il Figlio di Dio, « nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti », come ricorderà Paolo all’inizio della Lettera ai Romani (1, 3-4).

Quanto più cerchiamo di rintracciare le orme di Gesù di Nazaret per le strade della Galilea, tanto più possiamo comprendere che Egli si è fatto carico della nostra umanità, condividendola in tutto, tranne che nel peccato. La nostra fede non nasce da un mito, né da unidea, bensì dallincontro con il Risorto, nella vita della Chiesa.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i giovani dellAssociazione Rondine-Cittadella della Pace, di Arezzo, tra i quali vi sono alcuni provenienti dal Caucaso. Cari amici, auspico che questo vostro incontro contribuisca ad affermare una giusta cultura della convivenza pacifica tra i popoli e a promuovere lintesa e la riconciliazione. Saluto poi i membri del Consiglio Nazionale dellOrdine dei Consulenti del Lavoro, qui convenuti numerosi, come pure gli esponenti dellAssociazione culturale cristiana italo-ucraina. Saluto, inoltre, con affetto i fedeli di Grignasco, accompagnati dal Cardinale Giovanni Lajolo.

Il mio pensiero va infine ai giovani , agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, siate sempre fedeli allideale evangelico, e realizzatelo nelle vostre quotidiane attività. Cari ammalati, vi sia ogni giorno di sostegno nelle vostre pene la grazia del Signore. Ed a voi, cari sposi novelli, rivolgo un paterno benvenuto invitandovi ad aprire lanimo allamore divino perché vivifichi la vostra esistenza familiare.

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Omelia del Papa per la dedicazione dell’altare della Cattedrale di Albano

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Omelia del Papa per la dedicazione dell’altare della Cattedrale di Albano

ALBANO, domenica, 21 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata questa domenica da Benedetto XVI ad Albano (Roma) in occasione della dedicazione dell’altare della Cattedrale.

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Cari fratelli e sorelle!

L’odierna Celebrazione è quanto mai ricca di simboli e la Parola di Dio che è stata proclamata ci aiuta a comprendere il significato e il valore di quanto stiamo compiendo. Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della purificazione del Tempio e della dedicazione del nuovo altare degli olocausti ad opera di Giuda Maccabeo nel 164 a.C., tre anni dopo che il Tempio era stato profanato da Antioco Epifane (cfr 1 Mac 4,52-59). A ricordo di quell’avvenimento, venne istituita la festa della Dedicazione, che durava otto giorni. Tale festa, legata inizialmente al Tempio dove il popolo si recava in processione per offrire sacrifici, era anche allietata dall’illuminazione delle case ed è sopravvissuta, sotto questa forma, dopo la distruzione di Gerusalemme.

L’Autore sacro sottolinea giustamente la gioia e la letizia che caratterizzarono quell’avvenimento. Ma quanto più grande, cari fratelli e sorelle, deve essere la nostra gioia sapendo che sull’altare, che ci accingiamo a consacrare, ogni giorno si offrirà il sacrificio di Cristo; su questo altare Egli continuerà ad immolarsi, nel sacramento dell’Eucaristia, per la salvezza nostra e del mondo intero. Nel Mistero eucaristico, che in ogni altare si rinnova, Gesù si fa realmente presente. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé; ci attira con la forza del suo amore facendoci uscire da noi stessi per unirci a Lui, facendo di noi una cosa sola con Lui.

La presenza reale di Cristo fa di ciascuno di noi la sua « casa », e tutti insieme formiamo la sua Chiesa, l’edificio spirituale di cui parla anche san Pietro. « Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio – scrive l’Apostolo -, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo » (1 Pt 2, 4-5). Quasi sviluppando questa bella metafora, sant’Agostino osserva che mediante la fede gli uomini sono come legni e pietre presi dai boschi e dai monti per la costruzione; mediante il battesimo, la catechesi e la predicazione vengono poi sgrossati, squadrati e levigati; ma risultano casa del Signore solo quando sono compaginati dalla carità. Quando i credenti sono reciprocamente connessi secondo un determinato ordine, mutuamente e strettamente giustapposti e coesi, quando sono uniti insieme dalla carità diventano davvero casa di Dio che non teme di crollare (cfr Serm., 336).

E’ dunque l’amore di Cristo, la carità che « non avrà mai fine » (1 Cor 13,8), l’energia spirituale che unisce quanti partecipano allo stesso sacrificio e si nutrono dell’unico Pane spezzato per la salvezza del mondo. E’ infatti possibile comunicare con il Signore, se non comunichiamo tra di noi? Come allora presentarci all’altare di Dio divisi, lontani gli uni dagli altri? Quest’altare, sul quale tra poco si rinnova il sacrificio del Signore, sia per voi, cari fratelli e sorelle, un costante invito all’amore; ad esso vi accosterete sempre con il cuore disposto ad accogliere l’amore di Cristo e a diffonderlo, a ricevere e a concedere il perdono. A tale proposito ci offre un’importante lezione di vita il brano evangelico che poc’anzi è stato proclamato (cfr Mt 5,23-24). E’ un breve, ma pressante e incisivo appello alla riconciliazione fraterna, riconciliazione indispensabile per presentare degnamente l’offerta all’altare; un richiamo che riprende l’insegnamento ben presente già nella predicazione profetica. Anche i profeti infatti denunciavano con vigore l’inutilità di quegli atti di culto privi di corrispondenti disposizioni morali, specialmente nei rapporti verso il prossimo (cfr Is 1,10-20; Am 5, 21-27; Mic 6, 6-8). Ogni volta quindi che vi accostate all’altare per la Celebrazione eucaristica, si apra il vostro animo al perdono e alla riconciliazione fraterna, pronti ad accettare le scuse di quanti vi hanno ferito e pronti, a vostra volta, a perdonare. Nella liturgia romana il sacerdote, compiuta l’offerta del pane e del vino, inchinato verso l’altare, prega sommessamente: « Umili e pentiti accoglici, Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te ». Si prepara così ad entrare, con l’intera assemblea dei fedeli, nel cuore del mistero eucaristico, nel cuore di quella liturgia celeste a cui fa riferimento la seconda lettura, tratta dall’Apocalisse. San Giovanni presenta un angelo che offre « molti profumi insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro posto dinanzi al trono » di Dio (cfr Ap 8, 3). L’altare del sacrificio diventa, in un certo modo, il punto d’incontro fra Cielo e terra; il centro, potremmo dire, dell’unica Chiesa che è celeste ed al tempo stesso pellegrina sulla terra, dove, tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, i discepoli del Signore ne annunziano la passione e la morte fino al suo ritorno nella gloria (cfr Lumen gentium, 8). Anzi, ogni Celebrazione eucaristica anticipa già il trionfo di Cristo sul peccato e sul mondo, e mostra nel mistero il fulgore della Chiesa, « sposa immacolata dell’Agnello immacolato, Sposa che Cristo ha amato e per lei ha dato se stesso, al fine di renderla santa » (ibid., 6).

Queste riflessioni suscita in noi il rito che ci apprestiamo a compiere in questa vostra Cattedrale, che oggi ammiriamo nella sua rinnovata bellezza e che giustamente volete continuare a rendere sempre più accogliente e decorosa. Un impegno che tutti vi coinvolge e che, in primo luogo, chiede all’intera Comunità diocesana di crescere nella carità e nella dedizione apostolica e missionaria. In concreto, si tratta di testimoniare con la vita la vostra fede in Cristo e la totale fiducia che riponete in Lui. Si tratta pure di coltivare la comunione ecclesiale che è anzitutto un dono, una grazia, frutto dell’amore libero e gratuito di Dio, qualcosa cioè di divinamente efficace, sempre presente e operante nella storia, al di là di ogni apparenza contraria. La comunione ecclesiale è però anche un compito affidato alla responsabilità di ciascuno. Vi doni il Signore di vivere una comunione sempre più convinta ed operosa, nella collaborazione e nella corresponsabilità ad ogni livello: tra presbiteri, consacrati e laici, tra le diverse comunità cristiane del vostro territorio, tra le varie aggregazioni laicali.

Rivolgo ora il mio cordiale saluto al vostro Vescovo Mons. Marcello Semeraro, che ringrazio per l’invito e per le cortesi parole di benvenuto con cui ha voluto accogliermi a nome di tutti voi. Desidero pure esprimergli sentimenti di fervido augurio, nella ricorrenza del decimo anniversario della sua consacrazione episcopale. Un pensiero speciale dirigo al Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, Titolare di questa vostra Diocesi Suburbicaria, che oggi si unisce alla nostra gioia. Saluto gli altri Presuli presenti, i sacerdoti, le persone consacrate, i giovani e gli anziani, le famiglie, i bambini, gli ammalati, abbracciando con affetto tutti i fedeli della Comunità diocesana spiritualmente qui riunita. Un saluto alle Autorità che ci onorano della loro presenza, ed in primo luogo al Signor Sindaco di Albano, al quale pure sono riconoscente per le cortesi parole che mi ha indirizzato all’inizio della Santa Messa. Su tutti invoco la celeste protezione di san Pancrazio, titolare di questa Cattedrale, e dell’apostolo Matteo, del quale la liturgia oggi fa memoria.

Invoco, in particolare, la materna intercessione della Beata Vergine Maria. In questa giornata, che corona gli sforzi, i sacrifici e l’impegno da voi compiuti per dotare la Cattedrale di un rinnovato spazio liturgico, con opportuni interventi che hanno interessato la Cattedra episcopale, l’Ambone e l’Altare, vi ottenga la Madonna di poter scrivere in questo nostro tempo un’altra pagina di santità quotidiana e popolare, che vada ad aggiungersi a quelle che hanno segnato nel corso dei secoli la vita della Chiesa di Albano. Non mancano certo, come ha ricordato il vostro Pastore, difficoltà, sfide e problemi, ma grandi sono anche le speranze e le opportunità per annunciare e testimoniare l’amore di Dio. Lo Spirito del Signore risorto, che è lo Spirito della Pentecoste, vi apra ai suoi orizzonti di speranza ed alimenti in voi lo slancio missionario verso i vasti orizzonti della nuova evangelizzazione. Per questo preghiamo, proseguendo la nostra Celebrazione eucaristica.

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Discorso del Papa ai partecipanti a un corso promosso dal dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli (c’è il pensiero di San Paolo)

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Discorso del Papa ai partecipanti a un corso promosso dal dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli

CASTEL GANDOLFO, domenica, 21 settembre 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo sabato mattina ricevendo in udienza i Vescovi di recente nomina partecipanti a un Corso di aggiornamento promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

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Carissimi Fratelli nell’Episcopato!

Vi accolgo con gioia in occasione del Seminario di aggiornamento promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Ringrazio sentitamente per il fraterno saluto che mi è stato rivolto dal Prefetto, il Signor Cardinale Ivan Dias, a nome di tutti voi. Il Convegno a cui partecipate si situa nel corso dell’Anno Paolino, che stiamo celebrando in tutta la Chiesa con l’intento di approfondire la conoscenza dello spirito missionario e della personalità carismatica di san Paolo, da tutti considerato il grande Apostolo delle genti.

Sono certo che lo spirito di questo « maestro delle genti nella fede e nella verità

 » (1 Tm 2,7; cfr 2 Tm 1,11) si è fatto presente nella vostra preghiera, nelle vostre riflessioni e condivisioni, e non mancherà di illuminare e di arricchire il vostro ministero pastorale ed episcopale. Nell’omelia per l’inaugurazione dell’Anno Paolino, commentando l’espressione « maestro delle genti », osservavo come questa parola si apra sul futuro, proiettando l’animo dell’Apostolo verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi semplicemente una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, è l’apostolo e il banditore di Gesù Cristo anche per noi. Sì, egli è il nostro maestro e da lui dobbiamo imparare a guardare con simpatia i popoli ai quali siamo inviati. Da lui dobbiamo anche imparare a cercare in Cristo la luce e la grazia per annunciare oggi la Buona Novella; al suo esempio dobbiamo rifarci per essere instancabili nel percorrere i sentieri umani e geografici del mondo odierno, portando il Cristo a quelli che Gli hanno già aperto il cuore e a quelli che non Lo hanno ancora conosciuto.La vostra vita di Pastori per molti aspetti rassomiglia a quella dell’apostolo Paolo. Spesso il campo del vostro lavoro pastorale è molto vasto ed estremamente difficile e complesso. Geograficamente, le vostre Diocesi sono, per la maggior parte, molto estese e non di rado prive di vie e di mezzi di comunicazione. Ciò rende difficile il raggiungimento dei fedeli più lontani dal centro delle vostre comunità diocesane. Per di più, sulle vostre società, come altrove, si abbatte con sempre maggiore violenza il vento della scristianizzazione, dell’indifferentismo religioso, della secolarizzazione e della relativizzazione dei valori. Ciò crea un ambiente di fronte al quale le armi della predicazione possono apparire, come nel caso di Paolo ad Atene, prive della forza necessaria. In molte regioni i cattolici sono una minoranza, a volte anche esigua. Ciò vi impegna a confrontarvi con altre religioni ben più forti e non sempre accoglienti nei vostri confronti. Non mancano, infine, situazioni in cui, come Pastori, dovete difendere i vostri fedeli di fronte alla persecuzione e ad attacchi violenti.

Non abbiate paura e non vi scoraggiate per tutti questi inconvenienti, a volte anche pesanti, ma lasciatevi consigliare ed ispirare da san Paolo che dovette soffrire molto per le stesse cause, come apprendiamo dalla sua Seconda Lettera ai Corinzi. Nel percorrere i mari e le terre, egli subì persecuzioni, flagellazioni ed anche la lapidazione; affrontò i pericoli dei viaggi, la fame, la sete, frequenti digiuni, freddo e nudità, lavorò senza stancarsi vivendo fino in fondo la preoccupazione per tutte le Chiese (cfr 2 Cor 11,24ss). Egli non sfuggiva le difficoltà e le sofferenze, perché era ben conscio che esse fanno parte della croce che da cristiani bisogna portare ogni giorno. Capì fino in fondo la condizione a cui la chiamata di Cristo espone il discepolo: « Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16,24). Per tale motivo raccomandava al figlio spirituale e discepolo Timoteo: « Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo » (2 Tm 1,8), indicando in questo modo che l’evangelizzazione ed il suo successo passano attraverso la croce e la sofferenza. La sofferenza unisce a Cristo ed ai fratelli ed esprime la pienezza dell’amore, la cui fonte e prova suprema è la stessa croce di Cristo.

Paolo era giunto a questa convinzione a seguito dell’esperienza delle persecuzioni che aveva dovuto affrontare nella predicazione del Vangelo; ma aveva scoperto per quella via la ricchezza dell’amore di Cristo e la verità della sua missione di Apostolo. Nell’omelia dell’inaugurazione dell’Anno Paolino dicevo in proposito: « La verità che aveva sperimentato nell’incontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza. Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era 1′essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore ». Sì, Paolo fu un uomo « conquistato » (Fil 3,12) dall’amore di Cristo e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro.

Carissimi Fratelli nell’Episcopato! Siete all’inizio del vostro ministero episcopale. Non esitate a ricorrere a questo potente maestro dell’evangelizzazione, imparando da lui come amare Cristo, come sacrificarvi nel servizio degli altri, come identificarvi con i popoli in mezzo ai quali siete chiamati a predicare il Vangelo, come proclamare e testimoniare la sua presenza di Risorto. Sono lezioni per il cui apprendimento è indispensabile invocare con insistenza l’aiuto della grazia di Cristo. A tale grazia Paolo fa costantemente appello nelle sue Lettere. Voi che, come successori degli Apostoli, siete i continuatori della missione di Paolo nel portare il Vangelo alle genti, sappiate ispirarvi a lui nel comprendere la vostra vocazione in stretta dipendenza dalla luce dello Spirito di Cristo. Egli vi guiderà sulle strade spesso impervie, ma sempre appassionanti, della nuova evangelizzazione. Vi accompagno nella vostra missione pastorale con la mia preghiera e con un’affettuosa Benedizione Apostolica, che imparto ad ognuno di voi e a tutti i fedeli delle vostre Comunità cristiane.

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Predicatore del Papa: “Dio chiama tutti e chiama a tutte le ore”

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Predicatore del Papa: “Dio chiama tutti e chiama a tutte le ore”

Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima

ROMA, venerdì, 19 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia -, alla liturgia di domenica prossima, XXV del tempo ordinario.

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XXV Domenica del tempo ordinario

Isaia 55, 6-9; Filippesi 1,20c-27a; Matteo 20 1-16a

Andate anche voi nella mia vigna

La parabola degli operai mandati a lavorare nella vigna in ore diverse del giorno ha creato sempre grosse difficoltà ai lettori del Vangelo. È accettabile il modo di fare del padrone che dà la stessa paga a chi ha lavorato un’ora e a chi ha lavorato un’intera giornata? Non viola, esso, il principio della giusta ricompensa? I sindacati insorgerebbero in coro oggi, se qualcuno facesse come quel padrone.

La difficoltà nasce da un equivoco. Si considera il problema della ricompensa in astratto e in generale, oppure in riferimento alla ricompensa eterna in cielo. Vista così, la cosa contraddirebbe in effetti il principio secondo cui Dio « rende a ciascuno secondo le sue opere » (Rom 2, 6). Ma Gesù si riferisce qui a una situazione concreta, a un caso ben preciso. L’unico denaro che viene dato a tutti è il regno dei cieli che Gesù ha portato sulla terra; è la possibilità di entrare a far parte della salvezza messianica. La parabola comincia dicendo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba… ». Il problema è, ancora una volta, quello della posizione di ebrei e pagani, o di giusti e peccatori, nei confronti della salvezza annunciata da Gesù. Anche se i pagani (rispettivamente, i peccatori, i pubblicani, le prostitute ecc.) solo davanti alla predicazione di Gesù si sono decisi per Dio, mentre prima erano lontani (« oziosi »), non per questo occuperanno nel regno una posizione diversa e inferiore. Anch’essi siederanno alla stessa mensa e godranno della pienezza dei beni messianici. Anzi, poiché essi si mostrano più pronti ad accogliere il Vangelo, che non i cosiddetti « giusti », ecco che si realizza quello che Gesù dice a conclusione della parabola odierna: « Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi ».

Una volta conosciuto il regno, cioè una volta abbracciata la fede, allora sì che c’è posto per le diversificazioni. Non è più identica la sorte di chi serve Dio per tutta la vita, facendo fruttare al massimo i suoi talenti, rispetto a chi dà a Dio solo i rimasugli della vita, con una confessione rimediata, in qualche modo, all’ultimo momento. La parabola contiene anche un insegnamento di ordine spirituale di massima importanza: Dio chiama tutti e chiama a tutte le ore. Il problema, insomma, della chiamata, più che quello della ricompensa. Questo è il modo con cui la nostra parabola è stata utilizzata nell’esortazione di Giovanni Paolo II su « vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo » (Christifideles laici). « I fedeli laici appartengono a quel popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna…Andate anche voi nella mia vigna. La chiamata non riguarda soltanto i pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti. Anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore » (nr.1-2).

Vorrei attirare l’attenzione su un aspetto che è forse marginale nella parabola, ma quanto mai sentito e vitale nella società moderna: il problema della disoccupazione. Alla domanda del padrone: « Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? », gli operai risposero: « Nessuno ci ha presi a giornata ». Questa risposta sconsolata potrebbe essere data oggi da milioni di disoccupati.

Gesù non era insensibile a questo problema. Se egli descrive così bene la scena è perchè tante volte il suo sguardo si era posato con compassione su quei crocchi di uomini seduti per terra, o appoggiati a qualche muricciolo, con un piede contro la parete, in attesa di essere « ingaggiati ». Quel padrone sa che gli operai dell’ultima ora hanno le stesse necessità degli altri, hanno anche loro bambini da sfamare, come ce l’hanno quelli della prima ora. Dando a tutti la stessa paga, il padrone mostra di non tener conto soltanto del merito, ma anche del bisogno. Le nostre società capitalistiche basano la ricompensa unicamente sul merito (spesso più nominale che reale) e sull’anzianità di servizio, e non sul bisogno di ogni persona. Nel momento in cui un giovane operaio o un professionista ha più bisogno di guadagnare per farsi una casa e una famiglia, la sua paga risulta la più bassa, mentre alla fine della carriera, quando ormai ne ha meno bisogno, la ricompensa (specie presso certe categorie sociali), arriva alle stelle. La parabola degli operai nella vigna ci invita a trovare un più giusto equilibrio tra le due esigenze del merito e del bisogno.

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L’aborto è la sconfitta dell’Europa

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L’aborto è la sconfitta dell’Europa

Carlo Casini lancia una petizione per riconoscere la vita dal concepimento

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 10 settembre 2008 (ZENT.org).- Intervenendo il 7 settembre al XXIII Congresso Internazionale per la Famiglia che si è svolto nell

Università Cattolica di Ruzomberok in Slovacchia, Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita (MpV), ha denunciato la vasta diffusione dellaborto in Europa e ha rilanciato la petizione per riconoscere la vita fin dal concepimento. Al congresso promosso dal

World Organisation for the Family (Washington, DC) e dalla fondazione Famille de Demain, il Presidente del MpV ha spiegato che “il più grande problema politico del momento è quello di restituire verità ai diritti delluomo” e che per questo motivo “il tema della vita e quello della famiglia sono centrali”. Il giurista ha precisato che il tema della vita è legato “alla stessa identificazione del soggetto titolare dei diritti. Se non sappiamo chi è luomo, tutto il quadro dei diritti umani cade e va in frantumi”.

Mentre il tema della famiglia è collegato con “la dignità umana, di cui la famiglia è rivelatrice in quanto luogo dove si può fare esperienza di un amore che vuole vincere i limiti del tempo e di una libertà che è bella perché accetta la regola”.

Il Presidente del MpV ha ribadito che “il compito della politica è quello di perseguire il bene comune attraverso una complessa organizzazione della società civile” ed ha ricordato che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell

Uomo “afferma che la dignità umana, e quindi il valore della vita e della famiglia, è fondamento della costruzione civile”. A questo proposito, ha sottolineato l

eurodeputato, “è urgente che la politica definisca in modo chiaro che luomo è sempre uomo dal concepimento fino alla morte naturale. The man is the man: lo slogan che ha liberato gli schiavi dAmerica deve essere ripetuto per liberare i bambini non ancora nati, i malati e i morenti”.

Parlando dell

Europa, Casini ha valutato positivamente il processo di unificazione, ma ha criticato aspramente le politiche antivita.“Proprio dai vertici europei

ha sottolineato giungono sempre più forti i segnali di una cultura di morte che nega dignità umana e diritti ai più deboli, quali sono i bambini non ancora nati, i malati e i morenti e che disconosce nella famiglia il nucleo fondamentale della società e dello Stato basato sul matrimonio di un uomo e di una donna”.

“Questa negativa deriva europea

ha aggiunto non deve essere sottovalutata”.L

onorevole Casini ha infatti espresso il proprio disappunto perchè nella Carta di Nizza “la tendenza sessuale ha sostituito la distinzione dei sessi”: vi è “la dimenticanza dei concepiti nella proclamazione del diritto alla vita” ed è stata “abbandonata la formula con cui la Dichiarazione Universale (art. 16) aveva definito la famiglia nucleo fondamentale”.

Inoltre, viene ammessa la cosiddetta “clonazione terapeutica implicitamente risultante dalla proibizione della sola cosiddetta clonazione riproduttiva”.

Il Presidente del MpV ha ricordato che “laborto è la sconfitta dellEuropa”, come disse ai Vescovi Europei nel 1985, Giovanni Paolo II.

Casini ha anche ricordato che lo stesso Pontefice, il 19 dicembre 1987, rivolgendosi ai Movimenti per la Vita europei lanciò un forte richiamo alla responsabilità dei popoli europei.

“Il nostro compito ha affermato Casini è farci sentire. E rompere la congiura del silenzio che favorisce il diffondersi della cultura antivita e antifamiglia promossa da pochi, ma che si avvale della potenza schiavizzante dei grandi mezzi di comunicazione. E nostra responsabilità dare voce a chi non ha voce”.

Tra le tante iniziative di cui il Presidente del MpV è promotore, una il particolare è stata sollecitata ai popoli dei 27 Paesi dell

Unione Europea. Si tratta della petizione per riconoscere il diritto alla vita di ogni essere umano come esistente fin dal concepimento e il riconoscimento della famiglia in quanto fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, cui spetta il diritto-dovere di scegliere leducazione da dare ai figli. Casini ha poi ricordato che a Strasburgo l

11 e il 12 dicembre 2007 e a Roma l’11 maggio 2008 un primo nucleo di rappresentanti di Movimenti e Associazioni per la vita e la famiglia di vari paesi dEuropa si sono riuniti ed hanno approvato il progetto di petizione. “Il nostro impegno a difesa della vita e della famiglia deve influenzare anche la politica e quindi il voto dei cittadini europei”, ha poi concluso ricordando che nel 2009 si svolgeranno le elezioni europee.

Publié dans:bioetica, ZENITH |on 11 septembre, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI ricorda « l’ardore missionario” di Papa Paolo VI

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-15346?l=italian

Benedetto XVI ricorda « l’ardore missionario” di Papa Paolo VI

Invia una lettera in occasione del 30° anniversario della sua morte

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 8 settembre 2008 (ZENIT.org).- « L’ardore missionario » è il tratto più saliente della personalità di Papa Paolo VI che Benedetto XVI ha voluto sottolineare nella lettera che ha inviato, in occasione del 30° anniversario della sua morte, al Vescovo di Brescia, Diocesi d’origine del defunto Pontefice.

Il Papa ha voluto indirizzare il suo messaggio a monsignor Luciano Monari, al Presbiterio e all’intera comunità diocesana di Brescia, dalla quale Paolo VI « ha ricevuto il dono della fede ed ha attinto quei grandi valori di pietà, cultura ed umanità, ai quali ha sempre conformato la sua esistenza, di Sacerdote, di Vescovo e di Successore di Pietro ».

« A codesta Chiesa, alla quale fu introdotto da zelanti Sacerdoti, egli fu sempre legato da un amore mai sopito e da sentimenti di profonda e sincera riconoscenza, che non mancò di esprimere in diverse circostanze con gesti colmi di affetto e di venerazione », ha ricordato.

Il Pontefice ha quindi confessato di essere « personalmente grato » al Servo di Dio Paolo VI « per la fiducia che ebbe a mostrarmi nominandomi, nel marzo 1977, Arcivescovo di Monaco di Baviera, e, tre mesi dopo, annoverandomi nel Collegio Cardinalizio ».

« Egli fu chiamato dalla Provvidenza divina a guidare la Chiesa in un periodo storico segnato da non poche sfide e problematiche », ha riconosciuto il Vescovo di Roma nel testo, datato il 26 luglio scorso.

Nel ripercorrere col pensiero gli anni del suo pontificato, ha spiegato, « colpisce l’ardore missionario che lo animò e che lo spinse ad intraprendere impegnativi viaggi apostolici anche in nazioni lontane e a compiere gesti di alta valenza ecclesiale, missionaria ed ecumenica ».

Il nome di Paolo VI, ad ogni modo, resta legato soprattutto al Concilio Ecumenico Vaticano II.

« Il Signore ha voluto che un figlio della terra bresciana diventasse il timoniere della barca di Pietro proprio durante la celebrazione dell’Assise conciliare e negli anni della sua prima attuazione », ha ricordato il Papa.

« Con il passare degli anni – ha sottolineato – diventa sempre più evidente l’importanza per la Chiesa e per il mondo del suo pontificato, come pure l’inestimabile eredità di magistero e di virtù che egli ha lasciato ai credenti e all’intera umanità ».

Paolo VI morì nella residenza estiva di Castel Gandolfo il 6 agosto 1978, « giorno in cui la Chiesa celebra il mistero luminoso della Trasfigurazione di Cristo ».

« Nel ricordarne la pia scomparsa – conclude Benedetto XVI -, rendo fervide grazie a Dio per aver donato alla Chiesa un Pastore, fedele testimone di Cristo Signore, così sinceramente e profondamente innamorato della Chiesa e così vicino alle attese e alle speranze degli uomini del suo tempo, auspicando vivamente che ogni membro del Popolo di Dio sappia onorare la sua memoria con l’impegno di una sincera e costante ricerca della verità ».

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 9 septembre, 2008 |Pas de commentaires »
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