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La passione per Cristo, base di un rinnovato ecumenismo missionario

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12279?l=italian

La passione per Cristo, base di un rinnovato ecumenismo missionario 

Il fondatore di “Russia Cristiana” propone l’unità della missione 

BERGAMO, domenica, 21 ottobre 2007 (ZENIT.org).- “Il fatto che l’Europa diventi sempre più terra di missione obbliga l’ecumenismo, oggi più che mai, ad essere un ecumenismo missionario”. E’ questa la proposta che padre Romano Scalfi ha lanciato nel cinquantesimo anniversario della fondazione di “Russia Cristiana”.

“Se non siamo uniti in ciò che è essenziale alla fede, la passione di annunciare Cristo, salvezza del mondo, rischiamo di costruire sulla sabbia”, ha avvertito il sacerdote, che nel 1957 ha fondato questa realtà allo scopo di far conoscere in Occidente la ricchezza della tradizione spirituale, culturale e liturgica dell’ortodossia russa, favorire il dialogo ecumenico sulla base del contatto vivo di esperienze e contribuire alla presenza cristiana in Russia.

Per celebrare questa anniversario, sabato 20 ottobre, si è svolto nella Villa Ambiveri, a Seriate (Bergamo), il Convegno internazionale della Fondazione “Russia Cristiana” sul tema: “Russia Cristiana: la passione per l’unità. 1957-2007: cinquant’anni di storia”. 

Tra i tanti messaggi arrivati, spicca quello dell’Arcivescovo Antonio Mennini, Rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, il quale ha scritto a padre Scalfi lodando il suo impegno per “l’unità della Chiesa, non come un progetto da realizzare, ma come esperienza dell’accoglimento di un dono al quale convertirsi e al quale rispondere per il bene dell’umanità”.

“E di conseguenza – continua il messaggio – l’unità della persona, nel suo modo di concepire la propria vita personale e il senso della vita di tutto il mondo, che le conferisce una irriducibilità ultima, dalla quale ripartire per ricostruire un mondo in frantumi”.

Secondo l’Arcivescovo Mennini, “il prezioso lavoro di informazioni e testimonianza svolto da Russia Cristiana in Occidente, è accompagnato da un altrettanto prezioso cammino di amicizia con comunità cristiane e persone di buona volontà presenti in Russia”.

Il presule ha quindi ricordato i frutti derivanti dalla “proficua opera svolta dal Centro Biblioteca dello Spirito, nello spirito di un dialogo aperto e fraterno con le diverse componenti della società russa e in particolare la Chiesa ortodossa”.

Nato nel 1993, a Mosca, in collaborazione con la locale Chiesa cattolica e alcune importanti istituzioni della Chiesa ortodossa russa, il Centro Culturale “Biblioteca dello Spirito” svolge un lavoro culturale, editoriale e di distribuzione libraria.

Recentemente ha pubblicato in russo l’Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger, con la prefazione del Metropolita Kirill, Presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca.

A conclusione del Convegno, padre Romano Scalfi ha svolto una relazione sulle “Prospettive di lavoro per il futuro”, nel corso della quale ha ribadito che non c’è nessuna possibilità di unità se non in Cristo.

“La prima cosa che desideriamo, per i nostri fratelli ortodossi – ha spiegato il fondatore di Russia Cristiana – è che si rafforzi nella loro Chiesa l’unità personale ed ecclesiale fra di loro. Non siamo capaci di pensare all’unità fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa come l’accordo ai vertici di due Chiese disunite in se stesse”.

“Pensiamo alla futura unione fra le due Chiese come dono dello Spirito – ha sottolineato padre Scalfi – che chiede a noi il contributo della fede, che si esprime in Concordia fra noi e con i fratelli ortodossi”.

“Per concordia – ha continuato il sacerdote – intendiamo una amicizia che rispetta l’identità di ciascuno e vive in comunione gli stessi valori fondamentali del cristianesimo, fra i quali, soprattutto oggi, noi vediamo la missione”.

Padre Scalfi ha infine ricordato il commento di un teologo greco-ortodosso il quale avvertiva: “Non possiamo tranquillamente fare dell’ecumenismo, indifferenti al fatto che le chiese si spopolano”.

Secondo il fondatore di Russia Cristiana oggi più che mai vale il detto, caro ai pensatori russi: “La vera fede non si dimostra, ma si mostra”.

“Si mostra soprattutto – ha continuato padre Scalfi – nella concordia in nome di Cristo. Quando nasce e cresce un’amicizia nel nome di Cristo e nella passione di annunciarlo al mondo, siamo sicuramente sulla via che porta all’unità”.

Una dimostrazione pratica della possibilità di una missione concordemente svolta è l’accordo dei “Cento libri”, recentemente stipulato fra la Commissione teologica ortodossa russa, presieduta dal Metropolita Filaret di Minsk e Slutsk – Esarca del Patriarcato di Mosca per la Bielorussia – , la diocesi cattolica di Mosca e Russia Cristiana, che si realizza attraverso la “Biblioteca dello Spirito” di Mosca.

“In questa direzione – ha concluso padre Scalfi – Russia Cristiana intende impegnare tutti i suoi sforzi, compresi quelli economici, sperando nella Provvidenza divina e nella comprensione del popolo cristiano”.

In campo editoriale, “Russia Cristiana” dispone di una rivista (il bimestrale “La Nuova Europa”) e di una editrice (“La casa di Matriona”, che oltre a numerosi volumi pubblica anche il prestigioso libro-calendario di icone). 

Publié dans:ZENITH |on 22 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Si moltiplicano le iniziative per ridestare interesse alla riconciliazione

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12267?l=italian

 

 Ritorno alla confessione 

Si moltiplicano le iniziative per ridestare interesse alla riconciliazione 

 

Di Padre John Flynn, L.C.

ROMA, domenica, 21 ottobre 2007 (ZENIT.org).- La confessione sta attraversando un momento di ripresa, dopo un lungo periodo in cui è stata messa da parte. Sulla stampa vi è stata un’ondata di articoli sul sacramento della confessione, o riconciliazione come spesso è definita.

Il 21 settembre, il Wall Street Journal ha riferito di un’iniziativa, a cui hanno partecipato più di 5000 persone, riguardante un fine settimana dedicato alla riconciliazione, che si è svolto a marzo nella diocesi di Orlando, in Florida.

Un editoriale del vescovo Thomas Wenski, pubblicato in quei giorni sul sito Internet della diocesi di Orlando, spiegava la necessità di ricorrere alla confessione. La perdita del senso del peccato è stata definita come “la crisi spirituale della nostra epoca”, ha affermato.

Lo scorso anno, il presule aveva scritto ai sacerdoti della sua diocesi per chiedere loro di dedicare più tempo alle confessioni. Quest’anno, ha spiegato, alcune parrocchie hanno organizzato uno speciale week-end di riconciliazione, in vista della Settimana Santa.

L’articolo del Wall Street Journal ha riferito poi che tra alcune denominazioni protestanti sta crescendo l’interesse verso la confessione. L’estate scorsa, un ramo nordamericano dei luterani ha approvato, nel corso di un incontro, un provvedimento a sostegno del rito della confessione dopo più di un secolo in cui è stata lasciata in disparte.

Confessioni on-line

Alcune forme di confessione praticate e diffuse dai protestanti sono, tuttavia, assai diverse dal sacramento cattolico. Il Wall Street Journal ha riferito di confessioni oggetto di riprese video che vengono persino diffuse su siti come YouTube.

Tra le altre iniziative vi è un sito Internet per le confessioni, gestito da una congregazione evangelica di Cooper City, in Florida. Sul sito, secondo il Wall Street Journal, figurano i peccati pubblicati da 7.700 people.

Il crescente interesse per la confessione segna un’inversione di tendenza, ha osservato l’articolo. Secondo un sondaggio del 2005, solo il 26% dei cattolici negli Stati Uniti dichiarava di confessarsi almeno una volta l’anno, rispetto al 74% dei primi anni ’80.

La ripresa della confessione, soprattutto nella forma pubblica, ha dato luogo ad una miriade di varianti, come evidenziato in un articolo della Reuters del 27 settembre. L’agenzia parla di un nuovo sito Internet di una grande società editrice di romanzi, la Harlequin Enterprises. Su questo sito, tutti possono confessare on-line, in anonimato, i propri peccati.

Altre varianti di confessione sono state riportate in un particolare articolo pubblicato il 31 agosto sul Los Angeles Times, secondo il quale in un sito internet è consentito persino di fare commenti sulle confessioni altrui e di dare consiglio a coloro che si sono confessati.

Accendere la luce 

Anche la Chiesa cattolica sta tentando di promuovere l’interesse per la confessione. Quest’anno, alcune diocesi hanno promosso campagne per incoraggiare il ricorso a questo sacramento nel periodo precedente alla Pasqua. A Washington, ad esempio, le 140 chiese dell’Arcidiocesi sono rimaste aperte per le confessioni ogni mercoledì sera.

L’iniziativa era inserita nell’ambito della campagna intitolata “The Light Is On for You” (Luci accese per te). Tra le altre attività della campagna vi erano gli annunci radiofonici e i cartelloni pubblicitari, nonché un sito Internet che offriva molto materiale diretto a favorire la partecipazione al sacramento. Inoltre sono state stampate e distribuite 100.000 guide in spagnolo e in inglese.

Lo stesso arcivescovo di Washington, mons. Donald Wuerl, ha scritto una Lettera pastorale intitolata “God’s Mercy and the Sacrament of Penance” (La misericordia divina e il sacramento della penitenza), nell’ambito della stessa campagna.

“Nonostante le migliori intenzioni, ciascuno di noi ha fatto esperienza di un fallimento personale”, ha osservato nell’introduzione alla Lettera. Siamo consapevoli, ha spiegato l’arcivescovo Wuerl, “che una parte di noi è determinata a fare il bene, mentre allo stesso tempo un elemento dentro di noi continua a distoglierci dal bene che sappiamo di poter fare”.

Dio non ci abbandona in questa situazione di umana debolezza immersa nella costante presenza della realtà del peccato, ha aggiunto il presule. “Gesù rinnova la nostra vita con la grazia e ci consente di recuperare il nostro rapporto con Dio per arrivare alla piena comunione con Lui nella gloria”.

Questo potere di perdonare i peccati è stato esteso da Gesù alla Chiesa ed è amministrato mediante il sacramento della confessione.

Il perdono di Dio

“Resta una delle grandi meraviglie dell’amore di Dio quella di renderci il perdono così prontamente disponibile”, ha osservato l’arcivescovo Wuerl.

“Il sacramento della riconciliazione è la storia dell’amore di Dio che mai ci abbandona”, ha affermato. “Come il padre nella parabola del figliol prodigo, Dio aspetta, guarda e spera in un nostro ritorno ogni volta che ci allontaniamo”.

Non tutti sono convinti, tuttavia, che questo sforzo di riabilitare la confessione possa avere successo. La rivista Time, che ha fatto molto parlare di sé con il servizio di copertina del 3 settembre, in cui ha tentato di sollevare dubbi sulla fede di Madre Teresa di Calcutta, ha pubblicato il 27 settembre, sul sito Internet Time.com, un articolo dal titolo “The Unrepentant” (Gli impenitenti).

Osservando l’ormai decennale declino di questo sacramento tra noi cattolici, l’articolo tenta di sostenere che le reazioni all’Enciclica “Humanae Vitae” hanno portato ad “una più ampia revisione di cosa sia il peccato e se la confessione sia veramente necessaria”.

L’articolo pone in dubbio inoltre che i recenti sforzi delle diocesi americane di promuovere la confessione abbiano ottenuto un qualche successo concreto e conclude che anche in futuro tali sforzi non potranno che avere lo stesso destino.

Il dono

Un’altra recente iniziativa per ridestare interesse per la confessione è rappresentata dal libro intitolato “The Gift of Confession” (Il dono della confessione) (Connor Court Publishing). L’autore, padre Michael de Stoop, sacerdote dell’Arcidiocesi di Sydney, in Australia, tenta di presentare la confessione in modo positivo, sottolineando i numerosi benefici che questo sacramento offre ai fedeli.

Molte persone, si osserva nell’introduzione, non conoscono i fondamenti teologici che potrebbero farci maggiormente comprendere e apprezzare la confessione. Oltre a liberarci dal peccato, il sacramento restituisce e aumenta le nostre possibilità di condividere la vita divina di Dio, spiega padre de Stoop.

Quindi, la confessione ci libera dal peccato e ci restituisce la libertà di vivere una vita di virtù, grazie al dono dello Spirito Santo. La grazia che riceviamo rafforza la nostra volontà di resistere al peccato, consentendoci di progredire nella santità.

Rendendoci più consapevoli del male insito nel peccato e della necessità di evitarlo, la regolare partecipazione alla confessione – osserva l’autore – ci aiuta anche a rafforzare il nostro carattere e ad adottare buone abitudini. Avvicinarsi a Dio per mezzo del sacramento della riconciliazione ci facilita anche la preghiera.

Benedetto XVI, nelle sue parole indirizzate ai giovani di Roma, radunatisi il 29 marzo nella Basilica di San Pietro, in preparazione della locale celebrazione diocesana della Giornata mondiale della gioventù del 1° aprile, ha riflettuto sull’importanza della confessione.

L’amore di Dio per noi, espresso dalla morte di Cristo sulla croce, ci ha ottenuto il dono dello Spirito Santo, attraverso il quale i nostri peccati sono perdonati e la pace ci è donata, ha commentato il Papa.

“Cristo ci attira a sé per unirsi a ciascuno di noi, affinché, a nostra volta, impariamo ad amare i fratelli con lo stesso suo amore, come Lui ci ha amati”, ha aggiunto il Pontefice.

Ricolmi di questo amore – ha raccomandato Benedetto XVI ai giovani – siamo chiamati a dare il nostro contributo in questo mondo, attraverso un’autentica testimonianza cristiana. Parole che ci incoraggiano a partecipare ad un sacramento messo in disparte da troppo tempo. 

 

Publié dans:ZENITH |on 21 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Predicatore del Papa: “Il cristiano esiste per l’Eucaristia e l’Eucaristia per il cristiano”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12255?l=italian

 

 

Predicatore del Papa: “Il cristiano esiste per l’Eucaristia e l’Eucaristia per il cristiano”

 Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima 

 

ROMA, venerdì, 19 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima, XXIX del tempo ordinario. 

* * * 

XXIX Domenica del tempo ordinario [C]
Esodo 17, 8-13a; 2 Timoteo 3, 14-4,2; Luca 18, 1-8 

DISSE LORO UNA PARABOLA SULLA NECESSITA’ DI PREGARE 


Il vangelo comincia così: « In quel tempo, Gesú disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai ». La parabola è quella della vedova importuna. Alla domanda: « Quante volte si deve pregare? », Gesú risponde: Sempre! La preghiera, come l’amore, non sopporta il calcolo delle volte. Ci si chiede forse quante volte al giorno una mamma ama il suo bambino, o un amico il suo amico? Si può amare con gradi diversi di consapevolezza, ma non a intervalli più o meno regolari. Così è anche della preghiera. 

Questo ideale di preghiera continua si è realizzato, in forme diverse, sia in Oriente che in Occidente. La spiritualità orien¬tale l’ha praticato con la cosiddetta preghiera di Gesú: « Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me! ». L’Occidente ha formulato il principio di una preghiera continua, ma in modo più duttile, tanto da poter essere proposto a tutti e non solo a quelli che fanno professione esplicita di vita monastica. Sant’A¬gostino dice che l’essenza della preghiera è il deside¬rio. Se continuo è il desiderio di Dio continua è pure la preghie¬ra, mentre se manca il desiderio interiore, si può gridare quanto si vuole, per Dio si è muti. Ora questo desiderio segreto di Dio, fatto di ricordo, di bisogno di infinito, di nostalgia di Dio, può rimanere vivo, anche mentre si è costretti a fare altre cose: « Pregare a lungo non equivale a stare a lungo in ginocchio o a mani giunte o dire molte parole. Consiste piuttosto nel suscitare un continuo e devoto impulso del cuore verso colui che invochiamo ». 

Gesú ci ha dato lui stesso l’esempio della preghiera incessante. Di lui si dice nei vangeli che pregava di giorno, sul far della sera, al mattino presto e che passava a volte l’intera notte in preghiera. La preghiera era il tessuto connettivo di tutta la sua vita. 

Ma l’esempio di Cristo ci dice anche un’altra cosa importante. È illusorio pensare di poter pregare sempre, fare della preghiera una specie di respiro costante dell’anima anche in mezzo alle attività quotidiane, se non si riservano alla preghiera anche dei tempi fissi, in cui si attende alla preghiera, liberi da ogni altra occupazione. Quel Gesú che vediamo pregare sempre, è lo stesso che, come ogni altro ebreo del suo tempo, tre volte al giorno – al sorgere del sole, nel pomeriggio durante i sacrifici del tempio, e al tramonto – si fermava, si voltava verso il tempio di Gerusalemme e recitava le preghiere di rito, tra cui lo Shemà Israel, Ascolta Israele. Il Sabato partecipava anch’egli, con i discepoli, al culto nella sinagoga e diversi episodi evangelici avvengono proprio in questo contesto. 

La Chiesa ha fissato anch’essa, si può dire fin dal primo momento di vita, un giorno speciale da dedicare al culto e alla preghiera, la Domenica. Sappiamo tutti cosa è diventata, purtroppo, la Domenica nella nostra società; lo sport, e in particolare il calcio, da fattore di svago e di distensione, è diventato qualcosa che spesso avvelena la Domenica… Dobbiamo fare il possibile perché questo giorno torni ad essere, come era nelle intenzioni di Dio nel comandare il riposo festivo, un giorno di serena gioia che rinsalda la nostra comunione con Dio e tra di noi, nella famiglia e nella società. 

È di stimolo a noi cristiani moderni ricordare le parole che i martiri Saturnino e compagni rivolgono, nel 305, al giudice romano che li aveva fatti arrestare per aver partecipato alla riunione domenicale: « Il cristiano non può vivere senza l’Eucaristia domenicale. Non sai che il cristiano esiste per l’Eucaristia e l’Eucaristia per il cristiano? » 

 

 

Publié dans:ZENITH |on 19 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Padre Betti, già Rettore della Lateranense, sarà Cardinale

ho conosciuto Padre Betti, ma non bene, dal sito: 

http://www.zenit.org/article-12225?l=italian 

 

Padre Betti, già Rettore della Lateranense, sarà Cardinale

 

 CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 17 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Padre Umberto Betti, O.F.M., già Rettore della Pontificia Università Lateranense, sarà nominato Cardinale nel Concistoro del 24 novembre prossimo, ha annunciato questo mercoledì Benedetto XVI.

Padre Umberto Betti è nato a Pieve di S. Stefano, in provincia di Arezzo, il 7 marzo 1922. Ha conseguito il Dottorato in Teologia nel 1951 presso il Pontificio Ateneo Antonianum ed ha frequentato un corso di specializzazione nell’Università cattolica di Lovanio.

È docente di Teologia Dommatica fondamentale nello stesso Ateneo Antonianum dal 1954, è stato Decano della Facoltà Teologica dal 1966 al 1969 e Rettore Magnifico dal 1975 al 1978.

Ha partecipato al Concilio Vaticano II sia come Consultore della Commissione teologica preparatoria ed in seguito come Perito del Concilio e teologo dell’Arcivescovo di Firenze, monsignore Ermenegildo Florit.

Dal 1964 è Qualificatore della Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio ed in seguito Consultore della Congregazione per la dottrina della Fede. È stato Consultore di Stato e dal 1991 al 1995, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense.

È Accademico ordinario della Pontificia Accademia Teologica Romana, membro della Commissione « Fede e Costituzione » del Consiglio Mondiale delle Chiese. Nel 1995 il Papa Giovanni Paolo II gli ha conferito la Croce « Pro Ecclesia et Pontefice ». 

Ha anche collaborato all’elaborazione delle due Costituzioni dogmatiche Lumen gentium e Dei verbum.

Ha scritto numerosi libri tra cui « Summa de sacramentis Totus homo » (1955), « La Costituzione dommatica Pastor aeternus » del Concilcio Vaticano II (1961), « La dottrina sull’Episcopato del Concilio Vaticano II » (1984) e « La dottrina del Concilio Vaticano II sulla trasmissione della Rivelazione ». 

 

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Solo Dio Amore può guarire la lebbra dello spirito, ricorda il Papa

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12200?l=italian

 

 Solo Dio Amore può guarire la lebbra dello spirito, ricorda il Papa 

In occasione dell’Angelus domenicale 

 

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 15 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della recita dell’Angelus insieme ai pellegrini e ai fedeli riuniti in piazza San Pietro in Vaticano. 

* * * 

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa domenica presenta Gesù che guarisce dieci lebbrosi, dei quali solo uno, samaritano e dunque straniero, torna a ringraziarlo (cfr Lc 17,11-19). A lui il Signore dice: « Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato! » (Lc 17,19). Questa pagina evangelica ci invita ad una duplice riflessione. Innanzitutto fa pensare a due gradi di guarigione: uno, più superficiale, riguarda il corpo; l’altro, più profondo, tocca l’intimo della persona, quello che la Bibbia chiama il « cuore », e da lì si irradia a tutta l’esistenza. La guarigione completa e radicale è la « salvezza ». Lo stesso linguaggio comune, distinguendo tra « salute » e « salvezza », ci aiuta a capire che la salvezza è ben più della salute: è infatti una vita nuova, piena, definitiva. Inoltre, qui Gesù, come in altre circostanze, pronuncia l’espressione: « La tua fede ti ha salvato ». E’ la fede che salva l’uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l’aprirsi dell’uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: « grazie »!

Gesù guarisce dieci malati di lebbra, infermità allora considerata una « impurità contagiosa » che esigeva una purificazione rituale (cfr Lv 14,1–37). In verità, la lebbra che realmente deturpa l’uomo e la società è il peccato; sono l’orgoglio e l’egoismo che generano nell’animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell’umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male.

« Convertitevi e credete al Vangelo » (cfr Mc 1,15). Gesù dette inizio alla sua vita pubblica con quest’invito, che continua a risuonare nella Chiesa, tanto che anche la Vergine Santissima nelle sue apparizioni specialmente degli ultimi tempi, ha sempre rinnovato quest’appello. Oggi, pensiamo in particolare a Fátima dove, proprio 90 anni or sono, dal 13 maggio al 13 ottobre 1917, la Vergine apparve ai tre pastorelli: Lucia, Giacinta e Francesco. Grazie ai collegamenti radiotelevisivi, vorrei rendermi spiritualmente presente in quel Santuario mariano, dove il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha presieduto a mio nome le celebrazioni conclusive di un così significativo anniversario. Saluto cordialmente lui, gli altri Cardinali e Vescovi presenti, i sacerdoti che lavorano nel Santuario ed i pellegrini venuti da ogni parte del mondo per l’occasione. Alla Madonna chiediamo per tutti i cristiani il dono di una vera conversione, perché sia annunciato e testimoniato con coerenza e fedeltà il perenne messaggio evangelico, che indica all’umanità la via dell’autentica pace.

[Il Papa ha quindi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Continuano a giungere quotidianamente dall’Iraq gravi notizie di attentati e violenze, che scuotono la coscienza di quanti hanno a cuore il bene di quel Paese e la pace nella Regione. Tra queste, apprendo oggi la notizia del sequestro di due buoni sacerdoti dell’Arcidiocesi siro-cattolica di Mossul, minacciati di morte. Faccio appello ai rapitori perché rilascino prontamente i due religiosi e, nel ribadire ancora una volta che la violenza non risolve le tensioni, elevo al Signore un’accorata preghiera per la loro liberazione, per quanti soffrono violenza e per la pace.

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al folto gruppo venuto da Desio nel 150° anniversario della nascita del Papa Pio XI. Saluto inoltre i fedeli di Lamezia Terme, Altamura e Padova, come pure l’Associazione Musici e Sbandieratori di Floridia. A tutti auguro una buona domenica. 

Publié dans:ZENITH |on 15 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Una marcia ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943

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http://www.zenit.org/article-12184?l=italian

 

Una marcia ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943

 ROMA, venerdì, 12 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Domenica prossima, 14 ottobre, una marcia ricorderà la deportazione di oltre 1.000 ebrei romani da parte delle forze naziste dopo la retata del 16 ottobre 1943.

Di tutti i deportati, condotti nel campo di concentramento di Auschwitz, solo 16 – tra cui un’unica donna – riuscirono a tornare a casa.

La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma, dal 1993, ricordano ogni anno questa tragica pagina della storia romana organizzando, come ricorda un comunicato di Sant’Egidio, un “pellegrinaggio della memoria”, perché – come spiega una nota dell’associazione ecclesiale – “non c’è futuro senza memoria”.

L’appuntamento è per le 18.00 in Piazza di S. Maria in Trastevere, nel cuore di Roma. Una marcia silenziosa si snoderà lungo il percorso dei deportati di quel 16 ottobre 1943, che dal ghetto vennero condotti al Collegio Militare di Trastevere prima di essere imprigionati nei treni che li avrebbero portati nell’orrore di Auschwitz.

La manifestazione si concluderà alle 19.00 in Largo 16 ottobre 1943, accanto alla Sinagoga.

Prenderanno la parola nel corso dell’evento il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, il Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna, il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Leone Paserman e il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

La retata di Roma iniziò verso le 5.30 del 16 ottobre. Più di cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico, mentre altri duecento militari si distribuivano nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Alla fine del rastrellamento erano stati catturati 1022 ebrei romani.

Due giorni dopo vennero trasferiti ad Auschwitz in 18 vagoni piombati.

“La memoria del 16 ottobre è uno degli eventi maggiori della storia della nostra Roma contemporanea”, ha affermato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

“A partire da questa memoria si costruisce un’idea di Roma e di solidarietà tra i romani – ha aggiunto –. E’ la memoria di una ferita all’intera città, ma soprattutto alla Comunità ebraica perpetrata, come un ladro nella notte, dopo che si era provveduto a isolare quella Comunità con le leggi razziste e con la politica fascista”.

“A partire da quella memoria si afferma la volontà di un patto tra i romani per non dimenticare, per non isolare mai più nessuna comunità, per considerare la Comunità ebraica di questa città come uno dei luoghi decisivi per la nostra identità”, ha sottolineato infine. 

 

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Visita dell’Arcivescovo Cordes al Patriarca ortodosso di Mosca

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12159?l=italian

 

Visita dell’Arcivescovo Cordes al Patriarca ortodosso di Mosca

 CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 10 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Il 18 ottobre il Presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, l’Arcivescovo Paul Josef Cordes, incontrerà a Mosca il Patriarca Alessio II.

“La visita si inserisce nell’ambito di una serie di incontri che il Presidente di ‘Cor Unum’ realizzerà dal 15 al 21 ottobre nella Federazione Russa”, spiega un comunicato diffuso dalla Santa Sede questo mercoledì.

Dal 15 al 17 sarà a Novosibirsk, la capitale della regione siberiana. Accompagnato dal Vescovo Joseph Werth visiterà la Caritas, la scuola francescana e le Suore di Madre Teresa di Calcutta.

“In questa vasta zona la chiesa cattolica si è segnalata in questi ultimi anni per il moltiplicarsi di realtà caritative su tutto il territorio”, spiega la nota.

Dal 18 al 21 ottobre monsignor Cordes parteciperà – ospitato dall’Arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz – ai lavori delle Caritas di tutta la Federazione.

“In Russia questo ambito è alla base di molte esperienze di fruttuosa collaborazione con la Chiesa ortodossa. L’incontro è particolarmente significativo perché si svolge a distanza di un anno e mezzo dall’uscita della prima Enciclica di Papa Benedetto XVI sulla carità. Sarà perciò un momento di verifica di come la ‘Deus caritas est’ abbia ispirato l’impegno caritativo in questo vasto Paese”.

“Il colloquio sulla portata della ‘Deus caritas est’ con i Vescovi e i volontari delle Caritas russe, la visita in Siberia e l’incontro con Alessio II fanno di questo viaggio una tappa importante della missione del Pontificio Consiglio ‘Cor Unum’”, conclude il comunicato. 

 

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Quasi 500 nuovi martiri spagnoli per la beatificazione più numerosa della storia

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12142?l=italian

 Quasi 500 nuovi martiri spagnoli per la beatificazione più numerosa della storia 

Il 28 ottobre prossimo, in piazza San Pietro 

 

ROMA, lunedì, 8 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Il 28 ottobre prossimo, la Chiesa celebrerà la beatificazione più numerosa della storia elevando alla gloria degli altari quasi cinquecento martiri della persecuzione religiosa che ha avuto luogo in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso.

Lo ha affermato venerdì pomeriggio padre Juan Antonio Martínez Camino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Spagnola, in un atto accademico tenutosi in vista di questa beatificazione nell’Aula Magna del Pontificio Istituto Agostiniano, situato nei pressi del Vaticano.

Il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, presiederà quel giorno, in piazza San Pietro in Vaticano, la beatificazione dei 498 martiri del XX secolo in Spagna.

“Non erano mai stati beatificati tanti servi di Dio in un’unica cerimonia – ha spiegato il portavoce della Conferenza Episcopale –: è la più numerosa della storia”.

“Dal punto di vista organizzativo, è la prima volta che varie e numerose cause (23), iniziate e portate avanti dalle rispettive postulazioni, sono accolte al servizio offerto dall’Ufficio per le Cause dei Santi, creato dalla Conferenza Episcopale Spagnola, in dialogo con la Congregazione per le Cause dei Santi, per incoraggiare, accompagnare e coordinare il lavoro delle parti, rispettando sempre le competenze di queste ultime”.

“Dal punto di vista pastorale – ha aggiunto –, praticamente tutte le diocesi spagnole, per ragioni di nascita, vita apostolica o martirio dei nuovi beati, si vedono beneficiate da questa grande festa della fede e della santità”.

Il Segretario della Conferenza Episcopale ha spiegato che “una beatificazione così numerosa non è stata preparata per coltivare alcuna megalomania. La cerimonia e la festa saranno grandi perché grande è la pagina della storia della Chiesa in Spagna che in esse si riflette”.

“Sono molti i casi di martirio già riconosciuti dalla Chiesa per questo periodo degli anni Trenta del secolo scorso – ha rivelato –. Con questi nuovi beati si avvicinano già ai mille (per l’esattezza 977, tra cui 11 santi)”.

“E sono molti i casi suscettibili di essere riconosciuti in futuro – ha proseguito padre Martínez Camino –. Di circa 2.000 sono già avviati i processi. Ed è prevedibile che si continuino a proporre molti altri casi fino ad avvicinarsi, forse, alla decina di migliaia”.

“La persecuzione religiosa degli anni Trenta del XX secolo ha caratteristiche proprie in Spagna, ma non è un caso isolato né originale spagnolo. Si inserisce nella grande persecuzione subita dai cristiani di tutte le confessioni nel XX secolo nel mondo e, in particolare, in Europa”, ha chiarito.

“La Chiesa non cerca colpevoli quando beatifica i suoi martiri. Cerca solo la gloria di Dio e il bene degli uomini. Cerca di promuovere la causa di Gesù Cristo, che è la causa dell’essere umano”.

All’atto accademico è intervenuto monsignor Vicente Cárcel Ortí, studioso della Storia della Chiesa in Spagna, che ha spiegato come la persecuzione religiosa degli anni 1934 e 1936-39 sia stata l’aspetto più negativo della Seconda Repubblica Spagnola. Una pagina buia della storia che si è voluto occultare mescolandolo, confondendolo o giustificandolo con la Guerra Civile, quando in realtà è iniziato due anni prima.

Papa Pio XI, nell’enciclica “Dilectissima nobis” (3 giugno 1933), denunciò davanti al mondo la situazione di autentica persecuzione religiosa che viveva la Chiesa in Spagna, ha ricordato lo storico.

“E’ stata la più grande conosciuta nella storia della Spagna, e forse in tutta la storia della Chiesa cattolica. Ci sono stati circa 10.000 martiri per motivi religiosi”, ha osservato. 

 

Publié dans:ZENITH |on 9 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

“Accanimento terapeutico”, “espressione fasulla”

posto questo articolo perché mi sembra interessante, le argomentazioni non sono alla portata della mia conoscenza medica, quindi io seguo ciò che dice la Chiesa, comunque non avendo neppure motivo di dubitare della validità del testo lo posto perché mi sembra interessante ed importante, dal sito:

 

http://www.zenit.org/article-12131?l=italian

 

 

“Accanimento terapeutico”, “espressione fasulla”

 

 ROMA, domenica, 7 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento di Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario « Le Scotte » di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita. 

* * * 

C’è un’espressione nelle lingue latine che difficilmente è traducibile in inglese: “accanimento terapeutico”. Questa difficoltà di traduzione ha una motivazione profonda: si tratta di un’espressione “fasulla”. In realtà è un “ossimoro”, cioè un’espressione che racchiude due concetti opposti e inconciliabili, un po’ come dire “cadavere vivente”, o “ghiaccio bollente”. Perché si usa quest’espressione, nel sud Europa, mentre nei Paesi anglosassoni si usa distinguere più correttamente tra terapia futile e terapia utile? Probabilmente perché alle nostre latitudini c’era bisogno di creare uno stato d’ansia verso le cure di fine-vita, per formare l’idea nell’opinione pubblica che esistano medici che contro il parere degli assistiti si scatenano a far trapianti, interventi e cure dolorose per prolungare indefinitamente la vita.

Non credo che questi medici esistano, in primis perché la vita non la si può prolungare più di tanto. Scrive Giovanni Battista Guizzetti, gerontologo: “È incredibile come ormai tutti siamo convinti che malati e disabili vivano nel terrore dell’accanimento terapeutico, di diventare vittima del delirio di onnipotenza di una classe medica che ha perso il vero significato del suo compito. La mia esperienza di medico, ma anche l’esperienza umana di tutti noi, ci dice ben altro. Ci dice che quello che l’ammalato teme veramente è di essere abbandonato(…). Teme una pratica medica che, superata la fase della guaribilità, non si faccia più carico di lui” (Avvenire, 12 ottobre, 2006).

L’altro motivo per cui tali medici non esistono non è perché i medici siano “buoni”, ma semplicemente e utilitaristicamente perché prolungare la vita non conviene a nessuno. E non intendo qui parlare del paziente. Non conviene agli ospedali, che avrebbero posti letto poco redditizi occupati, aumento del tempo medio di degenza, occupazione del personale spesso scarso. Non conviene neanche al singolo medico, che non si capisce per quale motivo passerebbe giornate intere a fare trattamenti inutili e dolorosi, mentre sicuramente avrebbe altro da fare con altri pazienti più collaborativi e interessanti.

Ma perché nel sud Europa si usa allora questa terminologia? Forse perché creando ansia è più facile far passare l’idea che il suicidio assistito o l’eutanasia siano un diritto, per salvarsi da questi medici “torturatori”. Un accanimento terapeutico (cioè, dicendolo correttamente, un “uso inutile” delle terapie) può esistere, ma molto in teoria: chi andrebbe a fare un trapianto di cuore ad un paziente morente, o inizierebbe una pesante chemioterapia a chi ha pochi giorni di vita?

E qui urgono due precisazioni.

La prima è che mentre per la maggioranza delle persone “accanimento terapeutico” è quello volto proditoriamente a non far morire chi sta morendo, purtroppo per alcuni l’espressione intende invece il continuare le cure in caso di prognosi sfavorevole non per la sopravvivenza, ma soprattutto dal punto di vista neurologico. Questo è inquietante, perché in fondo si sottende che esista una “vita che è peggiore della morte”, cosa che se così fosse come primo effetto porterebbe a un alto tasso di suicidi tra i disabili, cosa che invece non si ha. E’ il caso dei bambini altamente prematuri, che hanno un alto rischio di morte e di disabilità, ma in cui questo rischio è oltretutto solo statistico, non essendo possibile determinare né alla nascita né nelle prime ore di vita una prognosi valida al 100% in quel singolo bambino. Ma anche se il bambino suddetto risultasse con danni cerebrali, questi hanno, lo sappiamo, vari livelli di gravità, ma anche il livello più grave non ha la potenza di rendere la vita “sbagliata” (wrongful life). D’altronde una recente ricerca neozelandese mostra che i neonatologi che sospendono più facilmente le cure ai neonati, sono quelli che più hanno paura per se stessi di ammalarsi o di morire; indipendentemente dal grado di malattia del bambino. Insomma: trasponiamo sui pazienti le nostre ansie, facendo due errori: il primo è credere che tutti la pensino come noi e abbiano le nostre fobie; il secondo è pensare che da malati (senza una gamba, con una paralisi) ragioneremmo come da sani, cioè se da sani pensiamo “se non potessi camminare preferirei morire”, non è certo che lo ripeteremmo se fossimo paralizzati dopo un incidente di auto. Tanti sportivi disabili ce lo dimostrano.

La seconda è che invece esiste, purtroppo, un altro accanimento. È l’accanimento diagnostico. Questo è un vero problema. Inizia, come ha spiegato il presidente del Comitato Nazionale Francese di Bioetica, in epoca prenatale col diffondersi degli screening a tappeto per la ricerca delle minime anomalie, e continua in ogni stadio della vita creando ipermedicalizazzione, talora favorita dalle industrie in un cosiddettodisease mongering”, cioè il “mercato delle malattie”. C’è alla base spesso una cosiddetta “medicina difensiva”: si tratta del moltiplicarsi di indagini e esami per ripararsi dal rischio di possibili richieste di risarcimenti qualora un minimo (o grave) particolare fosse sfuggito durante un esame di routine.

Insomma: attenzione a non confondere il trattamento inutile (che raramente viene fatto, a meno di non trovare medici negligenti) con il prodigarsi per assicurare ai disabili tutte le cure, al pari degli altri. E attenzione piuttosto a non accanirsi a medicalizzare la vita: noi e i nostri figli valiamo più dei nostri acciacchi, dei nostri disordini e della nostra disabilità. 

 

Publié dans:ZENITH |on 7 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Strasburgo Alessio II all’Europa: «Fronte comune sui valori»

 dal sito on line del giornale « Avvenire »

Strasburgo Alessio II all’Europa: «Fronte comune sui valori» 


 DAL NOSTRO INVIATO A STRASBURGO 


 CARLO BARONI 


Viene da Mosca, dal Paese che per settant’anni ha pensato di potere fare a meno di Dio, della religione. Che l’ha soffocata e oppressa.
  Credendo così di ridare «libertà» ai suoi cittadini. Invece ha creato solo milioni di schiavi disperati. E un vuoto che fa paura solo a guardarlo. Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II, ieri era nel cuore del continente, ospite del Consiglio d’Europa, a Strasburgo. È in Francia su invito della Chiesa cattolica transalpina.
  Un viaggio, per molti versi, storico. Il leader degli ortodossi ha rivolto un appello all’Assemblea per la «difesa dei valori», una battaglia di civiltà che l’Europa non può permettersi di perdere o, peggio, di non combattere. Nel luogo che ha fatto dei Diritti dell’uomo una bandiera, il patriarca ha ricordato come per il cristianesimo la dignità umana sia un valore imprescindibile. «L’essere umano non deve diventare un bene di consumo, un oggetto di esperimenti, un qualcuno che vive sotto il controllo delle nuove tecnologie» ha detto Alessio II. Già, l’essere umano che non è mai un mezzo, come diceva Kant, filosofo «laico». Il patriarca ha ricordato come dai comportamenti morali discenda un bene per tutta la società: «La moralità è libertà in azione». Concetti che sembrano controcorrente in un’Europa che va in tutt’altra direzione.
  Il leader ortodosso punta il dito contro il «relativismo morale» ma ricorda altresì che la moralità «dipende dalle scelte individuali e non c’è potere dello Stato che possa interferire in ciò». Ma è sbagliato pensare di «estromettere la religione dalla sfera pubblica per relegarla nel privato». Alessio II ha ribadito l’importanza dello studio della religione nelle scuole, strumento, appunto, per indirizzare a quel comportamento morale che è uno dei pilastri sui quali si regge la società.
  Il patriarca ha anche risposto alle domande che gli hanno rivolto i rappresentanti di tutti i gruppi politici presenti al Consiglio d’Europa. Toccando anche temi sociali e politici. Ha opposto un secco «no» alla pena di morte ricordando come la Chiesa sia a «favore della tutela della vita in tutte le sue fasi». Un deputato lo ha accusato di «intolleranza» per aver manifestato contrarietà al gay pride che si era tenuto a Mosca. Alessio II ha ribadito che il cristianesimo insegna «l’amore e la compassione per tutti gli esseri umani. Ma scostarsi dagli insegnamenti morali con l’adulterio, l’infedeltà, rapporti sessuali disordinati, sfruttamento della donna, porta la coscienza dell’uomo a soffrire». Quindi, nessuna discriminazione verso gli omosessuali ma no alla propaganda del gay pride che fa pubblicità ad un comportamento peccaminoso. I comportamenti omossessuali, ha detto, «cambiano la personalità dell’uomo, in questo senso sono una distorsione, una malattia».
  Un accenno anche agli estremismi e alterrorismo che minacciano il vecchio Continente. «Alcuni mascherano sotto spoglie religiose queste azioni – ha detto il leader ortodosso – e un terreno favorevole per questa forza distruttrice è proprio l’ignoranza religiosa ». Infine la vicenda del Kosovo. Il patriarca ha ricordato come la regione sia la «culla della nazione serba», piena di monumenti che testimoniano questo legame profondo. Concetto ripreso più tardi dal primo ministro di Belgrado, Vojislav Kostunica, disposto a concedere uno status privilegiato alla comunità albanese che vive nell’area, ma di indipendenza, nemmeno a parlarne. Per il capo del governo serbo è necessario che la comunità internazionale si spenda per non arrivare a soluzioni unilaterali che avebberol’unico risultato di irrigidire Belgrado e allontanare tutte le parti in causa da uno sbocco positivo. Kostunica ha chiesto al Consiglio d’Europa che nel dirimere la questione del Kosovo si tenga conto di tre principi irrinunciabili: «Il rispetto dei diritti umani, la salvaguardia della democrazia e il rispetto del Diritto intrnazionale».
 Appello davanti al Consiglio di Strasburgo del patriarca ortodosso: «L’essere umano non deve diventare un bene di consumo». Polemica per le dichiarazioni sugli omosessuali «malati»
 

Publié dans:ZENITH |on 3 octobre, 2007 |Pas de commentaires »
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