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Papa Benedetto: « L’amore di Dio manifestato dai Martiri e dalle opere della Chiesa »

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Messaggio del Papa per la XII Seduta pubblica delle Pontificie Accademie 

« L’amore di Dio manifestato dai Martiri e dalle opere della Chiesa » 

 

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 8 novembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio che Benedetto XVI ha inviato questo giovedì, tramite il Sostituto della Segreteria di Stato, mons. Fernando Filoni, al Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Gianfranco Ravasi, e ai partecipanti alla XII Seduta pubblica delle Pontificie Accademie nell’Aula nuova del Sinodo in Vaticano: 

 

*** 

Al Venerato Fratello
Mons. Gianfranco Ravasi
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura 

In occasione della XII Seduta pubblica delle Pontificie Accademie, il cui Consiglio di Coordinamento Ella presiede, sono lieto di rivolgerLe, caro Fratello, uno speciale saluto insieme con l’augurio di un fecondo ministero, volto a promuovere e ad incrementare il dialogo della Chiesa con le culture del nostro tempo. In questa circostanza desidero, altresì, ringraziare molto cordialmente il Signor Cardinale Paul Poupard per il generoso e prezioso servizio offerto alla Chiesa durante il suo venticinquennale impegno quale Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nonché per l’impulso dato alle stesse Accademie Pontificie, di cui ha promosso il rinnovamento istituzionale e incoraggiato l’attività al servizio di tutta la Chiesa. Assecondando questa linea, il mio Predecessore di v. m., Papa Giovanni Paolo II, istituì nel 1996 uno speciale Premio volto a incoraggiare e sostenere la ricerca e l’impegno di giovani studiosi e di Istituzioni particolarmente meritevoli che, con le loro specifiche attività culturali o artistiche, contribuiscono in maniera significativa alla promozione dell’umanesimo cristiano all’inizio del terzo millennio. 

La celebrazione di questa Seduta pubblica rinnova di anno in anno una specifica occasione di incontro e di collaborazione tra le Pontificie Accademie, riunite nel loro Consiglio di Coordinamento, per armonizzare le diverse iniziative, tutte finalizzate ad un preciso obiettivo: promuovere, sia nella Chiesa che nel mondo profano, una cultura degna dell’esistenza umana, fecondata dalla fede, capace di proporre la bellezza della vita cristiana e di rispondere adeguatamente alle sempre più numerose sfide dell’odierno contesto culturale e religioso. 

Saluto, quindi, insieme con Lei, Signor Presidente, i Signori Cardinali, i Confratelli nell’Episcopato, gli Ambasciatori, i Sacerdoti, i Responsabili ed i Membri delle Pontificie Accademie e tutti i partecipanti all’incontro. Questa solenne Seduta pubblica vede protagoniste due Accademie – la Pontificia Accademia Romana di Archeologia e la Pontificia Accademia Cultorum Martyrum – le quali hanno proposto la tematica dell’incontro odierno: « Testimoni del suo amore (Sacramentum caritatis, 85). L’amore di Dio manifestato dai Martiri e dalle opere della Chiesa« . 

Mi compiaccio vivamente per la scelta di questa tematica, a me particolarmente cara, che rimanda ad un significativo capitolo dell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis. In essa ho voluto sottolineare ancora una volta il fondamentale nesso tra la celebrazione dei divini Misteri e la testimonianza della vita, tra l’esperienza di incontro col Mistero di Dio, fonte di stupore e di gioia interiore, ed il dinamismo di un rinnovato impegno che ci porta ad essere, appunto « testimoni del suo amore ». Ricordando che Gesù stesso è « il testimone fedele e verace » (cfr Ap 1,5), mandato dal Padre nel mondo per rendere testimonianza alla verità (cfr Gv 18,37), dobbiamo convincerci che è proprio la testimonianza coerente e convinta dei credenti « il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale » (ibid., 85). 

A tal proposito, è più che mai necessario riproporre l’esempio dei Martiri cristiani, sia dell’antichità sia dei nostri giorni, nella cui vita e nella cui testimonianza, spinta fino all’effusione del sangue, si manifesta in modo supremo l’amore di Dio. Anche il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, volle proporre a tutta la Chiesa, soprattutto nel contesto del Grande Giubileo dell’Anno 2000, l’esempio dei Martiri, e nella Bolla di indizione del Giubileo, Incarnationis mysterium, così scriveva: « Un segno perenne, ma oggi particolarmente eloquente, della verità dell’amore cristiano è la memoria dei martiri. Non sia dimenticata la loro testimonianza. Essi sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore. Il martire, soprattutto ai nostri giorni, è segno di quell’amore più grande che compendia ogni altro valore » (n. 13). 

Meritevoli di speciale menzione sono poi tutte le opere di carità fiorite nel corso dei secoli ad opera di fedeli generosi. Spinti dal fuoco interiore dell’amore di Cristo, moltissimi credenti, pastori o fedeli, si sono adoperati, in questi venti secoli di storia cristiana, a creare e promuovere iniziative di carità e istituzioni benefiche, per andare incontro ai bisogni dei più poveri e manifestare così concretamente lo stretto, indissolubile legame tra amore di Dio e amore del prossimo. Ancor oggi tante opere caritative promosse dai credenti rappresentano una straordinaria testimonianza di ciò che può fare l’amore di Dio, quando viene accolto nel cuore dell’uomo. 

Questa storia gloriosa è stata fatta oggetto di attenta analisi da alcuni studiosi. Seguendo la più che decennale tradizione, La prego, Signor Presidente, di voler ora conferire il Premio delle Pontificie Accademie, che su proposta del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie, è stato quest’anno attribuito al Dott. Antongiulio Granelli per la tesi di Dottorato dal titolo Il Cimitero di Panfilo sulla via Salaria vetus a Roma, discussa presso l’Università « La Sapienza » di Roma. In essa, attraverso uno studio approfondito, condotto con approccio interdisciplinare, si illustra il Cimitero di Panfilo, poco studiato in precedenza, collocandolo nel suggestivo spaccato della testimonianza cristiana sviluppatasi nel primo tratto della Salaria vetus, che trova nel martire Panfilo, documentato nel cimitero da un graffito, il suo simbolo più eloquente. 

Accogliendo inoltre il suggerimento dello stesso Consiglio di Coordinamento, La prego di voler anche offrire, quale segno di apprezzamento e di incoraggiamento, una Medaglia del Pontificato allo studioso Dott. Massimiliano Ghilardi, per l’opera Gli arsenali della Fede. Tre saggi su apologia e propaganda delle catacombe romane, Roma 2006. Il volume ripercorre le vicende relative allo scoprimento di catacombe e ipogei cristiani, evidenziando l’uso apologetico di tali scoperte. 

Voglia infine esprimere, Signor Presidente, a tutti gli Accademici, e specialmente ai Membri della Pontificia Accademia Romana di Archeologia e della Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, il mio vivo incoraggiamento a proseguire con sempre rinnovato entusiasmo nella loro opera, affinché il loro impegno nei diversi ambiti culturali e artistici diventi davvero una luminosa e bella testimonianza, che risplenda anche davanti agli uomini di oggi spingendoli a glorificare il Padre che è nei cieli (cfr Mt 5,16). 

Con tali sentimenti, mentre affido ciascun componente delle Pontificie Accademie alla celeste intercessione dei Santi Martiri, testimoni dell’amore di Dio, nonché alla materna protezione della Beata Vergine Maria, Madre di Cristo e Regina dei Martiri, di cuore imparto a Lei, Signor Presidente, e a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica. 

Dal Vaticano, 8 Novembre 2007 

BENEDICTUS PP. XVI 

 

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Benedetto XVI presenta San Girolamo, “grande biblista”

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Benedetto XVI presenta San Girolamo, “grande biblista”

 CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 7 novembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questa mattina da Benedetto XVI in piazza San Pietro in Vaticano in occasione dell’udienza generale con i pellegrini e i fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. 

* * * 

Cari fratelli e sorelle!

Fermeremo oggi la nostra attenzione su san Girolamo, un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere, e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura..

Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Chron. Ad ann. 374) riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7), e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace « visione », della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).

Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la loro conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobildonne impararono anche il greco e l’ebraico.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contra Rufinum 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un’intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.

La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in greco e in ebraico e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Tenendo conto dell’originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta « Vulgata« , il testo « ufficiale » della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo « ufficiale » della Chiesa di lingua latina. E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, « anche l’ordine delle parole è un mistero » (Ep. 57,5), cioè una rivelazione. Ribadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contra Rufinum 1,16).

Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l’importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus, un’opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l’ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell’importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e di guida delle anime.

Che cosa possiamo imparare noi da San Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice San Girolamo: « Ignorare le Scritture è ignorare Cristo ». Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio che si rivolge anche a noi e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.

E così concludo con una parola di San Girolamo a San Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice San Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo ora un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Terni-Narni-Amelia, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Vincenzo Paglia. Cari amici, seguendo il cammino pastorale della vostra Comunità diocesana, riscoprite sempre più l’importanza della Liturgia eucaristica, cuore della domenica, e culmine e fonte della vita della Chiesa. Il mistero eucaristico vi introduca ad un rinnovato ascolto della Parola di Dio e vi orienti ad intraprendere con maggiore audacia la via della carità vissuta. Saluto, poi, voi, partecipanti al Corso di formazione permanente per missionari promosso dalla Pontificia Università Salesiana, ed auspico che queste giornate di studio e di aggiornamento vi spingano ad annunziare, con crescente entusiasmo, il Vangelo a tutti i popoli. Saluto, inoltre, voi, Seminaristi di Lodi, e vi incoraggio a prepararvi con serietà e impegno per essere domani fedeli servitori di Dio e del prossimo.

Il mio pensiero si rivolge, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Cari giovani, progettate il vostro futuro in fedeltà al Vangelo, lasciandovi guidare dall’insegnamento di Gesù. Voi, cari ammalati, offrite la vostra sofferenza al Signore, perché grazie pure alla vostra partecipazione ai suoi patimenti, Egli possa compiere la sua azione salvifica nel mondo. E voi, cari sposi novelli, guidati da una fede viva, cercate di formare comunità familiari animate da intenso fervore evangelico.

Publié dans:ZENITH |on 7 novembre, 2007 |Pas de commentaires »

Molte leggi democratiche reclamano l’obiezione di coscienza

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http://www.zenit.org/article-12444?l=italian 

 

Molte leggi democratiche reclamano l’obiezione di coscienza 

Parla Stefano Fontana, Direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” 

 

VERONA, martedì, 6 novembre 2007 (ZENIT.org).- “I casi di aborto ed eutanasia non sono più i soli a richiedere l’obiezione di coscienza”, avverte Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân”

www.vanthuanobservatory.org,

centro di promozione della dottrina sociale della Chiesa. Fontana trasforma in altoparlante di questo allarme l’ultimo bollettino dell’Osservatorio, di venerdì scorso, pubblicando un commento intitolato “L’obiezione di coscienza è un problema politico. Società democratica, relativismo e obiezione di coscienza”.

“Il relativismo che guida spesso la legislazione nei Paesi occidentali pone il cristiano di fronte a nuovi problemi di coscienza – constata –. E’ questo il caso di leggi che rendano legale l’aborto o l’eutanasia”.

Fontana ricorda che Giovanni Paolo II indicò che “leggi di questa natura non solo non creano alcun obbligo per la coscienza, anzi impongono un grave e preciso obbligo di opporvisi mediante l’obiezione di coscienza” (“Evangelium vitae”, 73).

Questi casi, tuttavia, “non sono però più i soli a richiedere l’obiezione di coscienza”, sottolinea alludendo al recente discorso in cui Benedetto XVI ha sottolineato “l’obbligo di obiezione di coscienza per i farmacisti”.

“Pensiamo ad un infermiere che opera in un ospedale in cui si pratichino aborti”, o agli “impiegati di un Municipio ove si registrino unioni civili di persone dello stesso sesso”, o ancora “ad un lavoratore di un laboratorio in cui si pratichino selezioni di embrioni umani”, oppure “ai lavoratori di case editrici o televisive che producano materiale pornografico”, o “a tanti avvocati o magistrati che si trovano ormai spesso davanti a situazioni limite”, ha elencato il direttore dell’Osservatorio Internazionale.

“L’obiezione di coscienza è ormai un problema politico”, ha considerato.

Per questo motivo, è necessario secondo lui “intraprendere una approfondita riflessione sull’obiezione di coscienza in politica, vista come ‘resistenza’ ma anche come ‘ripresa’, ossia come un impegno non solo negativo ma anche positivo e propositivo”.

Stefano Fontana denuncia che “contemporaneamente all’allargamento dei casi in cui si è chiamati all’obiezione di coscienza si assiste anche a frequenti negazioni di questo diritto”.

“Ambedue le cose sono dovute al relativismo, il qualche mostra così la sua intima contraddizione”, sintetizza.

Il relativismo, spiega, “propone una libertà di coscienza pressoché totale, ma quando un impiegato comunale si rifiutasse di registrare una coppia omosessuale, quello stesso relativismo glielo impedirebbe”: “denuncerebbe quella libertà di coscienza come imposizione e violenza verso la libertà di coscienza”.

“E’ uno degli aspetti più sottili della ‘dittatura del relativismo’”, conclude. 

 

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L’Arcivescovo di Parigi, nuovo Presidente della Conferenza Episcopale Francese

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http://www.zenit.org/article-12439?l=italian 

 

L’Arcivescovo di Parigi, nuovo Presidente della Conferenza Episcopale Francese 

Il futuro Cardinale André Vingt-Trois 

 

LOURDES/ROMA, martedì, 6 novembre 2007 (ZENIT.org).- Questo lunedì, in occasione dell’assemblea che si sta tenendo in questi giorni a Lourdes, l’Arcivescovo di Parigi, monsignor André Vingt-Trois, è stato eletto Presidente della Conferenza Episcopale di Francia.

Monsignor Vingt-Trois sarà creato Cardinale da Papa Benedetto XVI nel concistoro del 24 novembre e riceverà l’anello cardinalizio nella Messa del giorno successivo, in piazza San Pietro in Vaticano. 

Come Presidente della Conferenza Episcopale, sostituisce nell’incarico il Cardinale Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux, che ha inaugurato l’assemblea venerdì scorso.

I Vescovi hanno eletto Vicepresidenti monsignor Laurent Ulrich, Arcivescovo di Chambéry, e monsignor Hippolyte Simon, Arcivescovo di Clermont.

Il mandato ha una durata di tre anni ed è rinnovabile una volta.

Arcivescovo di Parigi dal marzo 2005, monsignor Vingt-Trois è membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia e della Congregazione per i Vescovi.

L’assemblea, che si chiuderà il 10 novembre, riunisce i 110 Vescovi delle diocesi francesi (compresi i territori ultramarini), 16 Cardinali e Vescovi emeriti e il Nunzio apostolico, come rappresentante del Papa in Francia. 

 

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Il martirio nella vita ordinaria, fondamentale nelle società secolarizzate, afferma il Papa

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Il martirio nella vita ordinaria, fondamentale nelle società secolarizzate, afferma il Papa

 CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 28 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate da Benedetto XVI questa domenica a mezzogiorno, affacciandosi alla finestra del suo studio nel palazzo Apostolico Vaticano, in occasione della recita della preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro. 

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Questa mattina, qui in Piazza San Pietro, sono stati proclamati Beati 498 martiri uccisi in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso. Ringrazio il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che ha presieduto la celebrazione e rivolgo il mio saluto cordiale ai pellegrini convenuti per questa lieta circostanza. La contemporanea iscrizione nell’albo dei Beati di un così gran numero di Martiri dimostra che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni individui, ma un’eventualità realistica per l’intero Popolo cristiano. Si tratta, infatti, di uomini e donne diversi per età, vocazione e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Ad essi ben si addicono le espressioni di san Paolo, che risuonano nella liturgia di questa domenica: « Il mio sangue – scrive l’Apostolo a Timoteo – sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede » (2 Tm 4,6-7). Paolo, detenuto a Roma, vede approssimarsi la morte e traccia un bilancio pieno di riconoscenza e di speranza. E’ in pace con Dio e con se stesso ed affronta serenamente la morte, con la consapevolezza di avere speso tutta la vita senza risparmio al servizio del Vangelo.

Il mese di ottobre, dedicato in modo particolare all’impegno missionario, si chiude così con la luminosa testimonianza dei martiri spagnoli, che vanno ad aggiungersi ai martiri Albertina Berkenbrock, Emmanuel Gómez Gonzáles e Adilio Daronch, e Franz Jägerstätter, proclamati Beati nei giorni scorsi in Brasile e in Austria. Il loro esempio sta a testimoniare che il Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Regno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio della stessa vita. Non tutti, certo, sono chiamati al martirio cruento. C’è però un « martirio » incruento, che non è meno significativo, come quello di Celina Chludzińska Borzęcka, sposa, madre di famiglia, vedova e religiosa, beatificata ieri a Roma: è la testimonianza silenziosa ed eroica di tanti cristiani che vivono il Vangelo senza compromessi, compiendo il loro dovere e dedicandosi generosamente al servizio dei poveri.

Questo martirio della vita ordinaria è una testimonianza quanto mai importante nelle società secolarizzate del nostro tempo. E’ la pacifica battaglia dell’amore che ogni cristiano, come Paolo, deve instancabilmente combattere; la corsa per diffondere il Vangelo che ci impegna sino alla morte. Ci aiuti e ci assista, nella nostra quotidiana testimonianza, la Vergine Maria, Regina dei Martiri e Stella dell’Evangelizzazione.

[Dopo l’Angelus, il Papa ha salutato i pellegrini in diverse lingue. Queste le sue parole in italiano:]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare quelli venuti in occasione della beatificazione di Celina Chludzińska Borzęcka, fondatrice delle Suore della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Saluto inoltre la parrocchia e la Corale carpoforiana di Novedrate e l’Accademia Italiana della Vite e del Vino. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana, nella quale celebreremo la solennità di Tutti i Santi e la commemorazione di tutti i fedeli defunti. 

 

Publié dans:ZENITH |on 29 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

La ricetta di Benedetto XVI per cambiare il mondo, spiegata dal portavoce vaticano

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La ricetta di Benedetto XVI per cambiare il mondo, spiegata dal portavoce vaticano 

Analisi della sua partecipazione all’incontro di rappresentanti religiosi a Napoli 

 

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 28 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha mostrato che mettere Dio al primo posto nella vita è il modo più adatto per rendere il mondo migliore, spiega il portavoce vaticano. 

É la conclusione dell’editoriale di padre Federico Lombardi, S.J., direttore della Sala Stampa vaticana, nell’ultimo numero di “Octava Dies”, rotocalco del Centro Televisivo Vaticano, di cui è anche direttore. 

Il portavoce ha compiuto un’analisi della visita del Papa a Napoli, dove ha partecipato all’inaugurazione dell’incontro mondiale di rappresentanti religiosi per la pace, convocato dalla Comunità di Sant’Egidio e svoltosi dal 21 al 23 ottobre. 

Da quel viaggio, riconosce padre Lombardi, “tutti si aspettavano delle forti denunce dei gravi problemi sociali della città. Ed effettivamente ci sono state – e molto chiare –, ma a conclusione di una omelia impostata a partire dalle letture bibliche della Messa di quella domenica, centrate sulla necessità della preghiera, anzi, per essere più esatti, come dice il Vangelo: ‘la necessità di pregare sempre senza stancarsi mai’”. 

Il direttore del Centro Televisivo Vaticano spiega che “spesso Benedetto XVI riprende il tema della preghiera cristiana di fronte a una esperienza quotidiana che nella sua durezza induce allo scoraggiamento”. 

“Egli sostiene che la fede è la forza che silenziosamente cambia il mondo e lo trasforma nel regno di Dio, e la preghiera perseverante ne è appunto l’espressione e l’alimento”, aggiunge. 

“Non fatalismo né inerzia, ma speranza di poter vincere il male con il bene, arma dei piccoli e dei poveri nello spirito, che ripudiano la violenza e testimoniano la verità dell’amore più forte della morte”. 

Anche l’augurio del Papa ai leader delle diverse religioni, che aprivano a Napoli il loro incontro, “si è concluso con un’invocazione a Dio, ‘perché liberi il cuore da ogni odio e da ogni radice di violenza e ci renda tutti artefici della civiltà dell’amore’”, ha ricordato padre Lombardi. 

“Non c’è dubbio – conclude l’editoriale –: Benedetto XVI ci aiuta veramente a rimettere Dio al primo posto nella nostra vita e nel nostro modo di guardare al mondo intorno a noi per renderlo migliore”. 

 

Publié dans:ZENITH |on 28 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Il regista Zeffirelli racconta i retroscena del film “Gesù di Nazareth”

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http://www.zenit.org/article-12340?l=italian 

 

Il regista Zeffirelli racconta i retroscena del film “Gesù di Nazareth” 

Papa Paolo VI lo volle ringraziare personalmente 

 

ROMA, venerdì, 26 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Questo giovedì il Maestro Franco Zeffirelli, ospite d’onore all’inaugurazione ufficiale del nuovo anno accademico della Pontificia Università Lateranense di Roma, ha raccontato alcuni retroscena del film “Gesù di Nazareth” (1977), il suo più alto capolavoro in quanto a intensità poetica.

Tra le tante sue opere come regista – sono almeno 20 i film che portano la sua firma, – il Gesù di Nazareth, il cui copione venne buttato giù in sole quattro settimane dallo scrittore cattolico Anthony Burgess, è infatti quella in cui in modo più mirabile seppe coniugare fede, storia e tecnica cinematografica.

Per la sua bravura, in seguito venne scelto per trasmettere le immagini dell’apertura del Grande Giubileo del 2000.

Zeffirelli, che da subito si è schernito definendosi “un artigiano e non un filosofo o un artista”, ha rivelato di essersi accorto nel corso della sua carriera dell’“arma che avevo in mano e di come poteva essere decisiva per la vita di migliaia di persone tanto nel bene come nel male”.

“Quando hai la possibilità di ristorare l’animo della gente che soffre e allargare i suoi orizzonti di speranza senti una responsabilità eccessiva per il povero uomo che sei”, ha confessato.

A questo proposito, il regista fiorentino ha raccontato di aver ricevuto ininterrottamente, dall’uscita della sua pellicola, lettere di ringraziamento o di partecipazione da parte di miriadi di persone in ogni angolo del mondo, che erano state toccate profondamente e molto spesso avevano abbracciato la vita religosa dopo aver visto il suo “Gesù di Nazareth”.

“Io ho solamente fatto quel che si poteva fare da cristiano quale sono fin nelle profonde viscere dello spirito”, ha detto il regista che, ai tempi del collegio nel Convento di San Marco a Firenze, ebbe come suo istitutore Giorgio La Pira.

“Tutto attorno a questo film è come se avesse avuto il vento nelle vele”, ha poi esclamato richiamando alla mente un episodio in particolare, quando cioè Elisabeth Taylor, che doveva vestire i panni di Maria Maddalena, si ammalò gravemente e venne sostituita fortuitamente da Anne Bancroft, che accettò un compenso minore a quelli cui era normalmente abituata, facendo anche risparmiare la produzione.

Il regista ha poi ricordato il ruolo di monsignor Pietro Rossano, già Rettore della Pontificia Università Lateranense, come consulente durante la preparazione del film girato in Marocco e, soprattutto, la figura di Papa Paolo VI, che ebbe la possibilità di conoscere molto bene agli inizi degli anni ’50.

Infatti attorno alla Convento di San Marco, dove si era andato formando un gruppo di giovani cristiani universitari vicini all’Azione Cattolica, il Cardinale Montini, allora Arcivescovo di Milano, passava ogni tanto per trascorrere – così diceva – “le ore più felici” della sua giornata.

Un volta, ha ricordato il regista, il Cardinale, venuto a sapere della sua vocazione per il teatro, gli disse ironicamente: “Un tempo ti avrebbero impedito di essere seppellito in terra consacrata, ma adesso la Chiesa è cambiata, anzi ti accogliamo come uno strumento di diffusione di buone idee e di buona speranza”.

“Più tardi, una volta eletto, fu lui che portò avanti con la sua discreta rete di influenza il progetto del Gesù”, che stentava un po’ a partire..

“Ma alla fine venne dato quest’ordine: Zeffirelli o nessuno”, ha affermato il regista fiorentino.

Incalzato dalle domande di tre studenti dell’Ateneo sulla sua esperienza di regista e sul suo rapporto con la figura di Gesù di Nazareth, Zeffirelli ha spiegato che la sua fede si è andata sempre più rinvigorendo con il tempo e i tanti “segnali prodigiosi” che ha potuto osservare.

Come in occasione dell’Eucaristia, durante la scena dell’Ultima Cena del film, quando l’atmosfera di silenzio assoluto e di densa spiritualità che si era creata all’interno, mentre fuori infuriava una tempesta di sabbia, veniva rotta dai singhiozzi dei suoi collaboratori.

“Voglio pensare che c’era una energia al di fuori di noi che veniva evocata perché si ricreasse quel momento sublime. E infatti è uno dei momenti più belli e agghiaccianti del film”, ha detto.

“Avevamo il sospetto dell’intrusione di una forza suprema che ci guidava”, ha aggiunto e per questo “tutti quanti sapevamo che stavamo facendo qualcosa di molto importante”.

“Curiosamente la troupe, la sera dopo il lavoro, doveva esplodere ballando e divertendosi, facendo ogni sorta di cose pagane per difendersi da questo assedio che ti prendeva alla gola”, ha raccontato.

“In seguito, quando Paolo VI nel 1977 mi ricevette in udienza privata dopo aver visto il film – ha concluso Zeffirelli – mi ringraziò e mi chiese che cosa la Chiesa poteva fare per me. Gli risposi: ‘Vorrei che quest’opera arrivasse anche in Russia’”.

“Lui mi guardò e mi mi rispose profeticamente: ‘Abbia fede, presto sul Cremlino sventoleranno le bandiere della Madonna al posto di quelle rosse”.

L’8 dicembre del 1991, giorno della Festa dell‘Immacolata Concezione, la bandiera rossa con la falce e il martello che aveva sventolato per decenni sul Cremlino, venne rimpiazzata con la bandiera della Federazione Russa. 

 

Publié dans:ZENITH |on 28 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Il Rosario cresce anche nel mondo secolarizzato (Parte II)

dal sito:

 

 http://www.zenit.org/article-12316?l=italian 

 

Il Rosario cresce anche nel mondo secolarizzato  (Parte II) 

Intervista al sacerdote domenicano Ennio Staid 

 

ROMA, giovedì, 25 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Molti giovani in Italia sono distanti emotivamente da Maria perché – anche a causa di un certo tipo di clero – non la conoscono come “’donna’ dall’esperienza umana e religiosa”, sostiene un esperto del Rosario, padre Ennio Staid.

Allo stesso tempo, avverte il sacerdote domenicano, esiste sempre una mentalità che predilige l’attivismo e l’azione alla preghiera.

La prima parte dell’intervista è stata pubblicata il 24 ottobre.

La preghiera del Rosario ci fa pensare a Maria. Potrebbe indicarci in sintesi quali sono le chiavi per comprendere il Mistero grande di una donna che è stata fondamentale per l’incarnazione, l’educazione e la realizzazione della storia della salvezza nella persona di Gesù Cristo?

Padre Staid: Comprendere il mistero di Maria significa riuscire a entrare nel mistero della Incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Il Credo, con cui i cristiani esprimono il contenuto della fede, recita: “nacque da Maria Vergine”.

E’ questa un’affermazione per molti sconcertante, ma il dato rivelato rimane nella sua provocazione. I credenti accettano e credono a un intervento personale di Dio e di conseguenza all’adesione totale di fede operata da parte di Maria. La sua grandezza sta non tanto nel partorire, quanto nell’accettare un piano che la sua ragione non comprende.

Non credo vi siano preghiere o studi che possano far comprendere il Mistero che rimane tale, ma la preghiera insieme alla Madre di Gesù ci fa dire: “Non comprendo ma conservo nel cuore”. San Tommaso D’Aquino definisce la fede come “un assenso dato dall’intelligenza alla verità divina sotto la spinta della volontà mossa dalla grazia di Dio”.

Nella fede come nella preghiera (qualsiasi preghiera), prima o poi si fa l’esperienza del silenzio di Dio, della sua discrezione. La fede e di conseguenza la preghiera non sono il gettone magico che una volta inserito nel juke-box ci fa sentire la voce di Dio.

Essa ci mette in contatto con l’invisibile. Perché stupirci allora se non lo si vede? La preghiera pone in dialogo con l’Inaccessibile, l’Assoluto; perché allora meravigliarsi se Dio risponde al nostro richiamo come Dio? Imitare Maria significa aver compreso cosa significa pregare e seguire Colui che invita i suoi a “pregare sempre senza stancarci mai”. In fondo anche noi siamo chiamati, come Maria, ad accogliere il Figlio di Dio nella fede e, come lei, a ridonarlo.

La devozione popolare per la Vergine Maria, la recita del Rosario, sono pratiche che hanno una grande diffusione tra la gente. Tale pratica, almeno negli ultimi decenni, non sembra però molto diffusa tra il clero e nei giovani. E’ solo un’impressione o la situazione sta cambiando? E in che direzione?

Padre Staid: L’obiezione che si fa al Rosario è sempre la stessa: “Non è meglio lavorare un’ora per il fratello bisognoso che dire una sfilza di Ave Maria?”. Tra l’altro il lavoro è qualcosa di tangibile, di controllabile, di nostro, mentre la preghiera è qualcosa di assolutamente incontrollabile.

È in questa realtà psicologica che ci si deve muovere con i piedi di piombo per non rompere ciò che vi è di buono nell’animo della gente semplice. Il discorso sulla preghiera in genere e sul Rosario in particolare va ritrovato e rinnovato. Nessun chirurgo è dichiarato bravo e valido soltanto perché va in giro per vari atenei a dettare dotte lezioni, ma acquista stima quando lo si vede esercitare in maniera eccellente la chirurgia: solo allora le sue conferenze hanno una validità perché si vedono gli ammalati da lui operati guariti.

Così avviene per noi che parliamo spesso di preghiera mentre ci affoghiamo nell’azione, contraddicendo con la vita le nostre parole. Un discorso sulla preghiera è tanto più valido quanto più colui che lo fa vive coerentemente ciò che annuncia.

Altro fattore importante, dovendo presentare la figura della Beata Vergine, è la necessità di focalizzare la figura della Madonna sul piano redentivo di Cristo. Maria ha un senso e una funzione importantissimi nella Chiesa, ed è errato separarla da questa e farne quasi una quarta persona della Trinità. Non è una dea e la sua giusta collocazione non nuoce al culto a lei attribuito, ma la rafforza e dà a questa creatura il posto che le compete nel piano della salvezza (cfr. VIII capitolo della Lumne Gentium).

La direzione da prendere, secondo il mio modesto parere, è quella di non calcare mai la mano per muovere troppo il sentimento: è necessario ricordare che la Madonna non è la parte sentimentale della nostra preghiera. Solo quando si sarà focalizzato il problema della necessità della preghiera e verrà spiegato il significato e la funzione della Vergine nel mistero di Cristo si potrà parlare del Rosario.

Inoltre è importante sapere che il Rosario non è propriamente una preghiera rivolta a Maria, ma una preghiera con Maria. Non è quindi una preghiera mariana ma è una preghiera cristologica. I misteri che esso propone mettono al centro un solo personaggio: Cristo Gesù. Il Rosario ci permette di guardare, contemplare il Figlio di Dio con gli occhi di Maria. Si prende la sua mano e con lei si scorre la vita di Gesù.

Tempo fa ho pubblicato un’indagine fatta in Italia tesa a verificare il rapporto dei giovani, preti compresi, con la figura di Maria. I giovani intervistati (400) secondo un criterio statistico in tutta la penisola mi hanno dato 256 risposte valide. L’età degli intervistati oscillava dai 18 ai 25 anni. L’indagine mi ha presentato uno spaccato in cui i giovani appaiono distanti da Maria, distanti emotivamente, indifferenti dal punto di vista culturale-pastorale, perfino, taluni, distanti per presa di posizione intellettuale, d’impronta filosofico-sociale.

Questi non sanno che farsene di una Vergine eccelsa, culmine di tutti i privilegi, che proprio per la sua esclusiva perfezione non agisce come modello, paradigma, stimolo, ideale. D’altro canto, nella prassi pastorale quotidiana da parte di un certo tipo di clero, prassi talvolta ben lungi dal mettere in atto le preziose indicazioni della riflessione mariologica della Chiesa, non si cerca di stare al passo coi tempi nel dimenticare Maria?

Ho constatato che note come mansuetudine, umiltà, tenerezza di cuore sono perdenti perché vissute come pericolose, come annullamento passivo della propria personalità. Questi giovani rifiutano, dunque, Maria? No: semplicemente non hanno riflettuto e non è stata loro presentata in piena luce la storia della salvezza. Non la conoscono come “donna” dall’esperienza umana e religiosa compromettente e difficile, non la conoscono come la Madre il cui figlio è stato il mistero di tutta la sua vita. Cioè non conoscono realmente Maria, modello dei cristiani come il Concilio Vaticano II e la Marialis cultus hanno cercato di presentarcela. 

 

Publié dans:ZENITH |on 25 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Il Rosario cresce anche nel mondo secolarizzato (Parte I)

dal sito: 

 

http://www.zenit.org/article-12313?l=italian

 

Il Rosario cresce anche nel mondo secolarizzato  (Parte I) 

Intervista al sacerdote domenicano Ennio Staid, esperto della preghiera 

 

ROMA, mercoledì, 24 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Nell’Angelus di domenica 7 ottobre, il Santo Padre Benedetto XVI ha chiesto di recitare il Rosario per la pace nelle famiglie e nel mondo, ricordando che “è la consegna che la Madonna ha lasciato anche in diverse sue apparizioni”.

“Penso, in particolare, a quella di Fatima avvenuta 90 anni fa – ha precisato il Pontefice –. Ai tre pastorelli Lucia, Giacinta e Francesco, presentandosi come ‘la Madonna del Rosario’, raccomandò con insistenza di recitare il Rosario tutti i giorni, per ottenere la fine della guerra”.

Anche se nel mondo moderno a volte non piace il fedele che prega il Rosario e all’interno della stessa Chiesa c’è chi teme l’accusa di devozionismo, sono centinaia di milioni i fedeli che ogni giorno lo recitano.

Per comprendere la realtà di questa preghiera che attraversa in tutte le sue parti la Chiesa cattolica, ZENIT ha intervistato un grande esperto del Rosario, il sacerdote domenicano Ennio Staid.

Padre Staid vive attualmente a Novara, dove ha fondato una fraternità domenicana di presbiteri e di laici – uomini e donne. Scopo della fraternità è far prendere coscienza del fatto che anche i laici sono chiamati ad annunciare il Vangelo, soprattutto in quest’epoca in cui mancano presbiteri.

Alla base della pratica spirituale della fraternità c’è la recita e la diffusione del Rosario.

Il mondo moderno soffre di secolarizzazione, e Maria non sembra sempre troppo amata, ma sono miliardi le Ave Maria e i Rosari recitati ogni giorno nel mondo. Può darci un’idea di quanto è diffusa e di come cresce la recita del Rosario?

Padre Staid: Che il mondo soffra di secolarizzazione è vero, ma è altrettanto vero che esso sente un grande bisogno di trascendenza, di silenzio, di contatto con il divino. Molti cercano di dare delle risposte al perché della vita. Si ha bisogno di sapere da dove si viene, dove si va e che senso ha il vivere.

E nonostante i tanti problemi che affliggono i credenti, credo che ancora molti recitino il Rosario, ma il Rosario non è un punto di partenza nel cammino della fede. Per me è un punto di arrivo. Voglio dire che quando uno riesce davvero a pregare con il Rosario significa che ha già compiuto una buona parte del cammino di fede.

Non so dire se e quanto sia diffuso il Rosario. Come non so dire, come chiede Gesù, se al suo ritorno vi sarà ancora la fede sulla terra. Certo è che se al suo ritorno glorioso vi sarà ancora la fede, allora tra i fedeli vi saranno i devoti di Maria e fruitori di questa splendida e semplice preghiera.

Senza preghiera la fede non esiste, perché significa dare l’assenso della nostra ragione ad un’idea più o meno giusta di Dio. Si filosofeggia più o meno coscientemente su un’entità astratta che non incide sulle nostre giornate, sulla nostra vita. Il Cardinale Newman definì il Rosario “un credo fatto preghiera” e chi prega sa di non parlare a vuoto, di non affidare al vento parole e pensieri, ma è cosciente di essere alla presenza, non tanto di qualcuno, ma di uno che è Unico, Eterno, Tutto.

Una certa cultura moderna, diffusa anche in ambito cattolico, non ama il Rosario, perché lo considera espressione popolare e conservatrice. Cosa pensa in proposito?

Padre Staid: Ogni tanto, qua o là, si sente parlare di un ritorno al devozionismo, si critica il Papa perché, così dicono alcuni, vuole tornare al passato e vuole far risorgere pratiche tradizionali considerate alienanti. Purtroppo fra alcuni cristiani vi è chi ha già pronto un certo numero di etichette fatte, comperate a buon mercato sulle bancarelle d’una teologia di moda che si è messa in vendita prima di verificare se stessa. E le attacca a tutto ciò che non rientra nei propri modelli mentali.

Così il Rosario è spesso bollato per devozionismo o riformismo sconsiderato. A costoro vorrei dire che un cristianesimo senza devozioni non è avallato dall’esperienza di nessun santo, né dall’insegnamento autorevole della Chiesa. Dove si è tentato, e si tenta, questo cristianesimo impopolare, inumano, senza cuore, ha creato solo dei disastri nella fede.

Certo il Rosario non è l’essenza della fede o della vita cristiana, ma esso si rivela ovunque anche oggi come un ausilio importante per proteggere e sviluppare la fede nel cuore del Popolo di Dio. Papa Giovanni XXIII diceva che “il Rosario è un esercizio avvincente, insostituibile di preghiera. Con esso si rende omaggio alla SS. Trinità; si invoca il Padre celeste per impetrarne l’assistenza e i doni; si fa appello alla possente intercessione della Madre di Dio”.

“Con il Rosario le mani si congiungono: quelle innocenti dei bambini, quelle tremanti dei vecchi, quelle robuste dei lavoratori: dalle varie parti del mondo s’innalza una vera salmodia, che, in un certo qual modo, può ben stare accanto all’Ufficio Divino recitato dai monaci” (Discorsi e messaggi I, 796).

Può darci un’idea di com’è nata la preghiera del Rosario, come si è diffusa nel mondo e quanto è attuale?

Padre Staid: Se a qualcuno interessa conoscere più dettagliatamente la storia del Rosario mi permetto di rimandarlo a ciò che ho scritto alla voce Rosario del nuovo dizionario di Mariologia delle edizioni Paoline. Comunque il fondamento biblico-teologico di questo ausilio mariano va ricercato nel parallelismo cristologico Adamo-Cristo (I Cor 15,45-47; Rom 5,12-14), che è anche implicitamente parallelismo mariologico. Accanto al nuovo Adamo (Cristo), c’è la nuova Eva (Maria), il nuovo aiuto simile (adiutorium simile sibi – Gen 2,18) all’uomo nuovo.

Maria è immagine della Chiesa e nella nuova creazione la collaboratrice di Gesù Cristo nell’opera della salvezza. Premesso ciò, la devozione al soccorso mariano sorge ben presto nel popolo cristiano, soprattutto quando esso si trova sotto le minacce di gravi pericoli per la fede e la sopravvivenza della Chiesa. Si sviluppano già nel IV secolo il “Sub tuum Praesidium” (sotto la tua protezione) e nel secolo successivo l’inno “Akatistos”, che esprimono il ricorso fiducioso del popolo alla Madre di Gesù.

Nel VI secolo San Germano di Costantinopoli parla di una presenza di Maria in mezzo a noi, che si manifesta come potenza e che copre dall’alto i fedeli. Dello stesso periodo è l’invocazione “Auxilium christianorum” (aiuto dei cristiani) che passerà poi nelle litanie lauretane. All’inizio del secondo millennio sorgono l’Ave Maria e i salteri della Vergine, che più tardi si chiameranno Rosario, che si legherà indissolubilmente al mistero dell’ausilio mariano, arma della fede.

Certamente il saluto angelico era conosciuto prima. Esso è contenuto nel Vangelo e costituiva fino al secolo VII l’antifona offertoriale della quarta domenica d’avvento, domenica che aveva una particolare accentuazione mariana. Mi sembra di cogliere in quel periodo la novità della ripetizione devota dell’Ave, analoga alla coeva ripetizione dei Pater, per 150 volte, in contrappunto col salterio davidico.

Questi salteri, dei Pater o delle Ave, erano nei monasteri sostitutivi del salterio biblico per i monaci illetterati. L’Ave Maria era conosciuta e recitata solo nella sua prima parte evangelica contenente il saluto dell’angelo e la benedizione di Elisabetta. Il nome di Gesù e l’Amen finale verranno introdotti solo verso la fine del sec. XV, quando nel 1483 si diffonderà l’uso del recitare il Santa Maria.

La storia del Rosario si intreccia ormai nella storia dell’aiuto mariano alla Chiesa, alle Nazioni cristiane, al Papa. A Lourdes e alla Salette Maria si affaccia come il grande segno, come una promessa di vittoria, come una sicura speranza e a Fatima si proclama: “Io sono la Madonna del Rosario”.

[Giovedì, la seconda parte dell'intervista] 

 

Publié dans:ZENITH |on 25 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Il Cardinal Ruini esorta le suore a navigare su Internet e a scrivere sui blog

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12295?l=italian

 

 

Il Cardinal Ruini esorta le suore a navigare su Internet e a scrivere sui blog

 ROMA, martedì, 23 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Il Cardinale Camillo Ruini, vicario per la diocesi di Roma, ha auspicato che le religiose utilizzino di più gli strumenti che la tecnologia informatica mette a disposizione di tutti nel mondo della comunicazione.

“Suore, navigate su internet e scrivete sui blog”, ha esortato prendendo la parola mercoledì scorso nell’aula magna della Pontificia Università Urbaniana nel corso dell’assemblea diocesana dell’Unione Superiori Maggiori d’Italia (USMI), che a Roma rappresenta 1.287 comunità e oltre 22.000 suore.

“Un sacerdote di Novara mi ha riferito che il tema ‘Gesù’ è molto dibattuto sui blog dai ragazzi. Il loro approccio però è impostato da libri distruttivi oggi molto diffusi, e non dal testo di Benedetto XVI su ‘Gesù di Nazaret’”, ha spiegato il Cardinal Ruini, secondo quanto riportato dal settimanale della diocesi di Roma “RomaSette”.

“Quale sarà tra dieci anni l’idea di Cristo se queste idee dovessero avere la meglio? – si è chiesto –. Io non mi intendo di Internet, ma specialmente le giovani suore dovrebbero entrare nei blog per correggere le opinioni dei ragazzi e mostrare loro il vero Gesù”.

Le suore, ha sottolineato il Cardinale, possono fare molto in questa “nuova forma di apostolato”.

L’obiettivo per il programma annuale dell’USMI della diocesi di Roma, d’altronde, è proclamare che “Gesù è il Signore, educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza”.

“L’emergenza educativa – ha ricordato il Cardinal Ruini – è al centro delle preoccupazioni di Benedetto XVI, per il quale l’educazione alla fede coincide con il servizio alla società, perché formare alla fede significa formare la persona umana”.

“Solo dando motivazioni al vivere si sconfigge il nichilismo e si dà valore alla persona umana – ha osservato –. Valore che si misura a partire da Cristo, dal fatto che Dio stesso si è fatto uomo”.

Più delle tecniche di educazione, per il porporato, conta la testimonianza dell’educatore e il suo contenuto.

Per questo, il Cardinale ha fatto appello alla “creatività” degli educatori di fede per trovare le occasioni di diffondere il libro di Benedetto XVI, che dimostra la “saldezza della fede” nel Gesù storico dei Vangeli e fonda l’identità del cristiano nel suo incontro con la persona di Gesù Cristo.

Una di queste occasioni, ricorda “RomaSette”, sarà l’incontro “Dialoghi in cattedrale” – che si svolgerà il 13 novembre a San Giovanni in Laterano – tra l’Arcivescovo Gianfranco Ravasi e il giornalista Giuliano Ferrara.

Ci sono poi le scuole cattoliche, in cui “le suore possono testimoniare Cristo in tutti gli insegnamenti, nelle scienze, nella storia e perfino nella letteratura italiana, in un inscindibile connubio di fede e cultura”.

“La vostra creatività deve trovare strade nuove per la sfida vocazionale, che deve evolversi di pari passo con la società”, ha detto il Cardinal Ruini alle quasi 450 suore presenti.

“Ciò vale in modo speciale per il mondo femminile che è cambiato profondamente e per il quale le religiose devono trovare nuovi linguaggi”, ha aggiunto.

Il porporato ha proposto tre linee-guida per l’azione dell’USMI per l’anno 2007/2008: educazione, vocazioni e missioni.

“Nelle nostre azioni agisce lo Spirito di Gesù Cristo e senza Cristo il mondo diventa sempre più povero di scopi”, ha concluso. 

 

Publié dans:ZENITH |on 23 octobre, 2007 |Pas de commentaires »
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