Archive pour la catégorie 'TRINITÀ (SS)'

DAL TRATTATO « SULLA TRINITÀ » DI SANT’ILARIO DI POITIERS

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DAL TRATTATO « SULLA TRINITÀ » DI SANT’ILARIO DI POITIERS

De Trinitate, III,20; VII,12. PL 10,87-88. 209.
Porgo ascolto al Signore e credo alle cose che sono state scritte. Perciò so che, subito dopo la risurrezione, Cristo spesso si offrì in corpo alla vista di molti ancora increduli. E precisamente si fece vedere a Tommaso, che non voleva credere se non avesse potuto toccare con mano le sue ferite, così come disse: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Il Signore si adatta alla nostra debole mente e, per chiarire i dubbi di chi non riesce a credere, opera un miracolo caratteristico della sua invisibile potenza.
Tu che indaghi minuziosamente le realtà celesti, chiunque tu possa essere, spiegami il modo con cui avviene questo fatto. I discepoli erano in un ambiente chiuso e tutti quanti insieme tenevano una riunione in un luogo appartato. Ed ecco il Signore, per rendere ferma la fede di Tommaso, accetta la sfida, si presenta e offre la possibilità di palpare il suo corpo, di toccare con mano la sua ferita. Naturalmente, poiché doveva essere riconosciuto per le sue ferite, egli dovette mostrarsi con il corpo che aveva ricevuto le ferite.
All’incredulo io domando attraverso quali parti dell’abitazione che era chiusa, Cristo, dotato di corpo com’era, poté penetrare. Con molta precisione l’Evangelista annota infatti: Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro. Forse che, penetrando nella struttura delle pareti e nella compattezza delle parti in legno, attraversò la loro natura impenetrabile? Infatti, eccolo lì in mezzo a loro con un corpo reale, non sotto apparenze simulate o false.
Segui, dunque, con gli occhi della tua mente la via battuta da lui nel penetrare, accompagnalo con la vista dell’intelletto mentre entra nell’abitazione chiusa.
Tutte le aperture sono intatte e sbarrate, ma ecco compare in mezzo colui al quale tutto è accessibile in virtù della sua potenza. Tu vai cavillando sui fatti invisibili, io a te domando la spiegazione di fatti visibili. Non viene meno in alcun modo la compattezza e il materiale ligneo e pietroso non lascia passare cosa alcuna attraverso gli elementi che lo compongono, per una specie di infiltrazione impercettibile. Il corpo del Signore non perde la sua natura fisica per poi riprenderla dal nulla: eppure di dove viene colui che si ferma in mezzo? A queste domande si arrendono pensiero e parola, e il fatto nella sua verità supera l’umana capacità di intendere.
Tommaso esclama: Mio Signore e mio Dio! Dunque, colui che egli confessa come Dio è il suo Dio. Senza dubbio Tommaso non ignorava le parole del Signore: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.Come la fede di un Apostolo, professando Cristo come Dio, poté dimenticare il massimo precetto che ordina di vivere nella confessione dell’unità divina? Ma la potenza della risurrezione fece intendere all’Apostolo il mistero della fede nella sua pienezza. Già sovente egli aveva udito le parole di Gesù: Io e il Padre siamo una cosa sola. Tutto quello che il Padre possiede è mio. Io sono nel Padre e il Padre è in me. Ormai, senza pericolo per la fede, Tommaso può attribuire a Cristo il nome che designa la natura divina.
La sua fede schietta non esclude di credere nell’unico Dio Padre proclamando la divinità del Figlio di Dio. Infatti, egli crede che il Figlio di Dio non possiede una natura diversa da quella del Padre.
E la fede nell’unica natura non correva il rischio di trasformarsi in empia confessione di un secondo Dio, perché la perfetta nascita di Dio non aveva portato una seconda natura divina. Pertanto, fu con piena conoscenza della verità contenuta nel mistero evangelico che Tommaso confessò il suo Signore e il suo Dio. Qui non si tratta di un titolo d’onore, ma del riconoscimento della sua natura. Egli credette che Cristo era Dio nella piena realtà della sua sostanza e della sua potenza.
Il Signore confermò che l’affermazione di Tommaso non era un semplice riconoscimento di onore, ma atto di fede, dicendo: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
Infatti, Tommaso credette perché vide. Ma tu mi puoi domandare: Che cosa ha creduto? Che cosa poté credere se non ciò che ha dichiarato: Mio Signore e mio Dio? Nessuna natura, se non quella divina, avrebbe potuto risorgere per propria virtù dalla morte alla vita; e la sicurezza di una fede ormai certa fa professare a Tommaso questa verità, cioè che è Dio.
Non possiamo pensare che il nome Dio non indichi una natura reale. Infatti quel nome non è forse stato pronunziato in base a una fede nella natura divina fondata su prove? Sicuramente quel Figlio, devoto al Padre suo, che faceva non la sua volontà, ma quella di colui che lo aveva mandato e cercava non la propria gloria, ma quella di colui dal quale era venuto, avrebbe ricusato nei propri confronti l’onore implicito in un nome del genere, per non distruggere l’unità divina che aveva proclamato.
Ma in realtà, egli conferma il mistero espresso dalla fede dell’Apostolo e accetta come suo il nome che indica la natura del Padre; così egli insegnò che erano beati coloro che, pur non avendo visto quando risorgeva dai morti, afferrando il senso della risurrezione avevano creduto che egli era Dio.

Publié dans:Santi, TRINITÀ (SS) |on 30 octobre, 2017 |Pas de commentaires »

IL MISTERO, UN FASCINO

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IL MISTERO, UN FASCINO  

La Trinità: un dogma che appare spesso arido, ininteressante, e che mette talvolta noi preti in imbarazzo per la predica. Dunque, sono tre Persone e una Natura divina: il Padre ab aeterno genera il Figlio, e il Padre e il Figlio ab aeterno spirano lo Spirito Santo. La dottrina è tutta qui. Sembra non dir molto al cuore e alla vita. La speculazione teologica tenta una qualche comprensione: ci deve pur essere un motivo per cui sono tre, come i tre moschettieri, i tre uomini in barca, i tre magi – come si usa pensare -; ma alla fine la speculazione s’arresta, incapace di penetrare il fondo di questo abisso di luce. È un mistero, diciamo noi. E magari – se proprio siamo a corto di documentazione e di fantasia – ricorriamo al solito esempio di sant’Agostino che sulla spiaggia voleva versare tutta l’acqua del mare in una piccola buca scavata; e l’Angelo che gli appare e gli fa notare l’assurdità della pretesa. Conclusione: così non ci può stare la realtà di Dio nella nostra piccola mente. La cosa ci irrita un po’. Facciamoci una domanda un po’ brusca: che ci importa di un mistero come quello della Trinità? e perché Dio si diverte ad umiliarci rivelandoci verità che non possiamo capire? Se le tenga per sé. Non ci scomodi per nulla… Il mistero. Devo essere onesto: durante gli anni di studio della teologia, al termine del trattato sulla Trinità, ho provato un’espressione penosa e deludente. Mi son trovato tra le mani un mucchio di definizioni astratte – astruse stavo per dire – e di ragionamenti al limite di una logica da funambuli o da trapezisti. Mi tornavano alla mente certe formule di chimica organica – una materia che non ho mai capita – dove gli atomi si disponevano secondo le valenze in disegni che mi sembravano geroglifici e mi mortificavano e mi intimorivano… Non vorrei snobbare l’indagine teologica. M’ha sempre messo rispetto e soggezione; ha un senso: è il tentativo umano di carpire il segreto di Dio, una sorta di lotta che si sa già terminerà con una nostra sconfitta e con la richiesta della benedizione, poiché il mistero rimane sempre il mistero. Va colto più col cuore che con la mente. Lo si intuisce più in ginocchio che a tavolino, con i pugni serrati alle tempia. E si avverte che non è una sorta di sfida beffarda che Dio ci lancia per tenerci in soggezione, ma un gesto di dilezione con cui Dio offre se stesso. II mistero è la realtà stessa di Dio che ci viene donata; non una sorta di rompicapo come certi indovinelli particolarmente difficili della nonna o certe sciarade da professionisti dell’enigmistica. Lo si ama più di quanto non lo si comprenda. Un poco come in ogni rapporto interpersonale. Un innamorato richiesto di descrivere la ragazza, non parla come un certificato d’anagrafe. Si trova impacciato nel tentativo, ma gli brillano gli occhi, lo si vede… Così è – e ancor più – per Dio. Il suo mistero non è da temere: è da desiderare; diversamente, avremmo un Dio a nostra immagine e somiglianza, non l’orizzonte infinito in cui ci perdiamo gioiosamente. Se si colgono bene le cose, non si dice: ahimè, un mistero; ma si dice: che bello, un mistero! Come da bambini di fronte alle fiabe, che sono più vere della realtà. Sant’Agostino, commenterebbe: se pensi d’aver compreso Dio, bada che non è Dio ciò che hai compreso. E qui nasce lo stupore, la gioia, la lode… Tanto più che questo mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito non è cosa lontana, una sorta di formula matematica chiusa in se stessa, ma l’aprirsi di Dio che ci introduce nel suo segreto. La Trinità ci ha raggiunti; o meglio: ci ha immessi nella sua vita. Lo Spirito è in noi, ci conforma a Cristo e ci porta al Padre. Siamo dentro questo mistero con tutta la storia e con tutte le nostre vicende più comuni. La vita intera ci è segnata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dalla culla alla tomba. La vita intera muta.

Alessandro Maggiolini

Publié dans:TRINITÀ (SS) |on 6 juillet, 2016 |Pas de commentaires »

LA VIA DELL’AMORE CI CONDUCE A DIO: IL COMMENTO DI MONS. BRUNO FORTE ALLE PAROLE DEL PAPA SUL MISTERO DELLA TRINITÀ

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LA VIA DELL’AMORE CI CONDUCE A DIO: IL COMMENTO DI MONS. BRUNO FORTE ALLE PAROLE DEL PAPA SUL MISTERO DELLA TRINITÀ

Posted on 9 giugno 2009

Da: RADIO VATICANA

Dagli atomi alle galassie, dalle particelle minuscole all’universo, “tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore”: è una delle belle immagini che Benedetto XVI ha utilizzato ieri all’Angelus nella Solennità della Santissima Trinità. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, il Papa ha inoltre affermato che “l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore”. Una considerazione sulla quale si sofferma l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, intervistato da Alessandro Gisotti: R. – L’ispirazione profonda delle parole di Papa Benedetto sulla Trinità è certamente la teologia agostiniana. Sappiamo quanto Joseph Ratzinger ami Sant’Agostino, quanto vi abbia lavorato; e nel “De Trinitate” ci sono pagine straordinarie in cui Agostino presenta la Trinità alla luce della contemplazione del mistero dell’amore. In altre parole, Agostino dice: “Vides Trinitatem si caritatem vides” – vedi la Trinità se vedi l’amore. Dunque, l’amore dove ci sono sempre i due – l’amante e l’amato – e il loro vincolo di unità è la chiave per entrare, sia pure con la modestia delle nostre capacità e restando in punta di piedi sulla soglia, nel mistero divino di un Dio che è l’eterno amante, il Padre, e l’eterno amato, il Figlio e il loro vincolo d’amore, lo Spirito. Questo messaggio forte, con il linguaggio della scienza e della biologia, che Papa Benedetto ha voluto darci parlando della Trinità inscritta nel genoma umana, cioè nella vocazione stessa dell’uomo a essere se stesso e ad esserlo nell’amore. D. – Siamo nell’Anno dell’astronomia e il Papa ieri ha sottolineato che l’Universo proviene e tende verso l’amore: sembra riecheggiare Dante: “L’amor che move il sole e l’altre stelle” … R. – Questo è certamente un’eco presente nella profonda cultura teologica, letteraria, spirituale di Papa Benedetto. E naturalmente, in questa contemplazione della rete di rapporti che regge l’universo e che è fondamentalmente una rete di sinergie, dunque di relazioni d’amore – potremmo dire – c’è il seguire ancora la via agostiniana delle “vestigia Trinitatis”. Agostino si concentrerà poi in modo speciale sulla psicologia dell’uomo e dunque vedrà la Trinità attraverso un’analisi dell’intelligenza, della memoria, dell’amore. Benedetto estende questa lettura dell’impronta trinitaria nell’essere umano all’armonia e alla sinergia che reggono tutte le forze dell’universo. D. – Per spiegare l’inspiegabile mistero della Trinità, Benedetto XVI ha fatto riferimento a ciò che è immediatamente comprensibile, sperimentabile da ogni uomo: l’amore … R. – Credo che questa via sia la via privilegiata per entrare nel mistero della Trinità. Come tale ce l’ha presentata ieri Papa Benedetto e credo che questo sia molto bello perché abbia anche un forte impatto catechetico-pastorale. E in questo, Papa Benedetto, libero, naturalmente, rispetto ad Agostino, dai vincoli dell’influenza del pensiero essenzialistico del mondo antico, si apre ad una prospettiva più personalistica ed esistenzialistica e ci aiuta a contemplare la Trinità lungo la via dell’amore in maniera semplice e profonda. Credo che sia un apporto bello al kerygma, all’annuncio del Dio-amore che è l’annuncio del Dio-Trinità.

BENEDETTO XVI – Sarà sempre necessario Fabio Zavattaro “La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione, e viviamo per amare e per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio genoma la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore”. Come si fa a non partire proprio da questa frase per iniziare una riflessione sulle parole di Papa Benedetto pronunciate all’Angelus domenicale. Nel giorno in cui la chiesa celebra la festa della Santissima Trinità, Benedetto XVI è tornato a toccare uno dei temi che gli sono più cari, quello di Dio-amore, al quale ha dedicato la sua enciclica Deus Caritas est. Alle 20mila persone presenti in piazza San Pietro, ha detto: “tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore” che è Dio, “Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno”. La festa di Pentecoste, celebrata l’ultima domenica di maggio, ricorda il Papa, apre a tre altre solennità liturgiche, e cioè la Santissima Trinità, il Corpus Domini e la festa del Sacro Cuore. In queste tre ricorrenze liturgiche ritroviamo l’intero mistero della fede cristiana; ciascuna è un aspetto “dell’unico mistero della salvezza”, che in un certo senso riassume “tutto l’itinerario della rivelazione di Gesù, dall’incarnazione alla morte e risurrezione fino all’ascensione e al dono dello Spirito Santo”. Così nella festa della Trinità, Cristo ci rivela che “Dio è amore non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza: è creatore e Padre misericordioso; è Figlio unigenito, eterna sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale”. Il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore: “non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica”. Bella anche l’immagine del donarsi e del comunicarsi che Benedetto XVI usa per ricordare come l’amore di Dio sia fonte inesauribile di vita. Dice: “lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è impresso il nome della Santissima Trinità, perché tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà”. Nel Dio amore, ricorda il Papa citando le parole di Paolo nell’Aeropago di Atene “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. Scrive il Papa nell’enciclica Deus Caritas est, l’amore deve essere comunicato agli altri, perché Dio ci ricolma del suo amore e questo “è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto” in un mondo in cui “al nome di Dio a volte viene collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza”. Amore, dunque, che “sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo”. La Chiesa attenta alle gioie e speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini di oggi, dei poveri, come recita la Gaudium et spes, vuole essere vicina all’uomo non solo dal punto di vista materiale ma anche da quello spirituale. È chiamata a offrire la testimonianza della comunione, diceva il Papa nell’omelia pronunciata a Genova il 18 maggio dello scorso anno. “Questa realtà non viene dal basso ma è un mistero che ha, per così dire, le radici in cielo: proprio in Dio uno e trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Vengono alla mente le parole pronunciate a Savona il 17 maggio dello scorso anno: “È qui tutta l’essenza del cristianesimo, perché è l’essenza di Dio stesso. Dio è uno in quanto è tutto e solo amore, ma proprio essendo amore è apertura, accoglienza, dialogo; e nella sua relazione con noi, uomini peccatori, è misericordia, compassione, grazia, perdono. Dio ha creato tutto per l’esistenza e la sua volontà è sempre soltanto vita.        

Publié dans:Bruno Forte, TRINITÀ (SS) |on 20 mai, 2016 |Pas de commentaires »

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