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ANCORA SEI CADUTO? MA ORA “ALZATI E CAMMINA!”

http://www.collevalenza.it/Riviste/2002/Riv0102/Riv0102_06.htm

ANCORA SEI CADUTO? MA ORA “ALZATI E CAMMINA!”

STUDI
L. S.

Sembra inverosimile, ma Dio è dalla parte del peccatore, perché sa che il negativo esistente in lui si cambierà in positivo, che l’immaturità diverrà maturità. Dio, amando nell’uomo ciò che non c’è ancora, cioè la possibilità di rinascere, lo aiuta ad uscire dalla tenebra e lo attrae alla luce. La storia del figliol prodigo Gesù l’ha raccontata, perché sapeva che ciascuno di noi l’avrebbe vissuta personalmente.
E nella sua predicazione Gesù spostava l’accento dalla legge all’Amore, dal castigo alla misericordia: la novità in Lui era che anche l’uomo peccatore poteva essere amato. E quanti prendevano coscienza di essere in peccato sentivano Gesù a loro vicino; mentre i farisei non sopportavano l’atteggiamento di tolleranza e di compassione che animava Gesù.
Nella vita spirituale ciò che conta è il non aderire col cuore alle debolezze, e il ricominciare daccapo ogni volta, per vincere le proprie miserie e superare gli scoraggiamenti. Così l’ottimismo cristiano è iniziato in me quando, pur sentendo vivo il dramma della mia fragilità spirituale, mi sono aperto alla “comprensione” e allo stupore che Dio ancora ha il coraggio di amarmi, nonostante i miei demeriti.
Purtroppo l’uomo, radicalmente buono ma tuttora legato al suo peccato, vive una doppia vita e contabilità: come uno spettatore egli assiste a quel che diventa capace di fare: prende coscienza della sua debolezza, sperimenta il dominio di quel “forte” che lo lega. Ma arriva pure a far esperienza di vitalità interiore se non si rassegna al suo male, e si rivolge con grida verso il Redentore, perché Lui che è il “più forte” lo liberi e lo riporti alla pace interiore. Allora, non più paralitico, egli è trasformato, e porta agli altri il messaggio che è possibile guarire, essere un peccatore perdonato e risorto a vita rinnovellata.
San Bernardo raccomandava: “Ricordati di rientrare ogni tanto in te stesso”; e lo scrittore tedesco Goethe diceva: “La nostra gloria più grande non consiste nel non cadere mai, ma nel risollevarci sempre dopo ogni caduta”.
È faticoso perdonare se stesso per essere cascato nuovamente, è duro convivere con i propri errori; ma non esistono scorciatoie sulla via della maturità e della consapevolezza. Non si è persone mature, finché non si accettano anche gli errori.
C’è in noi un’esigenza innata per il giusto, per il vero, per il bene; e quando con il nostro comportamento ci allontaniamo da queste strade maestre, ne risentiamo un profondo disagio. Per cui un uomo peccatore ma autenticamente religioso ha il castigo di non trovare indulgenza di fronte a se stesso: è tormentato dal conflitto tra ideali e senso di colpa: perché, anche se zaverrato da debolezze umane, egli è permeato dall’anelito al sublime.
Ora tutta la Bibbia è pervasa da quel senso vivo del peccato, che non approda mai alla disperazione e all’impotenza, ma è sempre aperta alla fiducia, alla speranza, alla grazia divina. Girolamo Savonarola (in una omelia dedicata al “Miserere”) diceva che se lo disperava la paura dei peccati che scopriva in sé, lo sosteneva la speranza della misericordia divina: “O Signore, poiché la tua misericordia è più grande della mia miseria, io non cesserò mai di sperare”.
Siamo tutti figli del primo peccatore, e da lui abbiamo ereditato una congenita inclinazione al male. Sì, la virtù è ammirevole, ma il peccato è attraente: questo ci torna facile, quella molto difficile. Come pure, è precaria la nostra resistenza: siamo dei perenni convalescenti, bisognosi con frequenza di restaurare le forze interiori, di ritemprare la propria volontà devastata, e di essere trapanati dalla misericordia divina.
Una caduta può rivestire un significato totalmente diverso: si può cadere, ma rialzandosi subito per riprendere il cammino con uno slancio maggiore; e si può cadere, rinunciando a proseguire il cammino, perché avviliti dall’umiliazione e trattenuti dalle difficoltà. Il vero peccato, più che nella caduta, sta nello scoraggiarsi, nel rinunciare a rialzarsi.
E riguardo al proposito di “non commettere più” quel peccato, bisogna non dubitare della sincerità dei proponimenti qualora poi, per la propria fragilità, si constata di non correggere radicalmente la condotta personale da un giorno all’altro. Il Signore attende sempre da noi di ricominciare da capo, come tanti bambocci che buffamente si sforzano di rialzarsi dopo ogni caduta.
Dalla propria mente non va mai rimosso quel “chiodo solare” che Dio ci ama così come siamo, e che Lui è sempre pronto a perdonarci “settanta volte sette” (Mt. 18,22), e a trasformare in carica positiva anche le nostre esperienze negative.
Dio ci lascia liberi d’introdurre il male e la sofferenza dentro di noi. Ma ad ogni iniziativa umana risponde una stupenda invenzione divina. Lui Padre, pieno di tenerezza e di misericordia, può fare di una caduta una “felice colpa”, che a noi manterrà presente la magnanimità del suo perdono.
Soltanto a poco a poco noi riusciamo a guarire dalle malattie morali. Per molte persone occorre una “bella carriera” di peccati e di perdoni, prima che arrivi lo scossone di un terremoto interiore, capace di “stabilizzarle” nel grembo gioioso del Padre misericordioso. Ma è bene ripetere: ciò che conta è la buona volontà, il desiderio sincero di migliorare se stesso, nonostante tutto.
La vita cristiana è un atletismo spirituale (2 Tim. 4,7), è un camminare dietro a Gesù (Mt. 16,24).
Non è mai troppo tardi per vivere bene, nella pace e nella libertà interiore. Nulla è definitivamente perduto; e Dio si aspetta sempre da noi di deciderci a collaborare con Lui, per fare della nostra vita un capolavoro vivente della sua grazia. E allora smettiamola di essere indispettiti per i nostri ripetuti cedimenti, prendendocela con Dio e con noi stessi. Non c’è che da tuffarci nell’oceano della misericordia divina, per risentirci – insieme al nostro Poeta – come “piante novelle rinnovellate da novella fronda”

DIO AL CENTRO DELLA MIA VITA. OMELIA PER LE CENERI (22-02-2012)

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/24743.html

DIO AL CENTRO DELLA MIA VITA. OMELIA PER LE CENERI (22-02-2012)

Monaci Benedettini Silvestrini

Comincia oggi il cammino di Quaresima. Un tempo favorevole, propizio che dura quaranta giorni. La sua mèta è la Pasqua: un memoriale che rinnova la grazia della passione e della morte del Signore. E’ un tempo di penitenza, che vuole dire conversione e combattimento contro lo spirito del male. E’ anche un tempo che invita a ritornare al Signore con tutto il cuore, con digiuni e preghiere. Ecco, il tempo della salvezza, ovvero della riconciliazione con Dio, è giunto. Il Vangelo odierno ci indica quale deve essere il nostro atteggiamento e insiste sulla rettitudine interiore, dandoci anche il mezzo per crescere in questa purificazione di intenzioni: l’intimità con il Padre. Il Vangelo è davvero bellissimo e dovremmo leggerlo spesso perché ci dice anche qual’era l’orientamento stesso del Signore Gesù, che « non faceva niente per essere ammirato dagli uomini ma viveva nell’intimità del Padre suo. L’evangelista Matteo ci presenta tre esempi: dell’elemosina, della preghiera, del digiuno e mette in evidenzia in tutti e tre una tentazione comune, direi normale. Quando facciamo qualcosa di bene, subito nasce in noi il desiderio di essere stimati per questa buona azione, di essere ammirati: di avere cioè la ricompensa, una ricompensa falsa però perché è la gloria umana, la nostra soddisfazione, il nostro piacere. E questo ci rinchiude in noi stessi, mentre contemporaneamente ci porta fuori di noi, perché viviamo proiettati verso quello che gli altri pensano di noi, lodano ammìrano in noi. Il Signore ci chiede di fare il bene perché è Bene e perché Dio è Dio e ci dà anche il modo per vivere così: vivere in rapporto col Padre. Per fare il bene noi abbiamo bisogno di vivere nell’amore di qualcuno. Se viviamo nell’amore del Padre, nel segreto, con il Padre, il bene lo faremo in modo perfetto. Il nostro atteggiamento in questa Quaresima sia dunque di vivere nel segreto, dove solo il Padre ci vede, ci ama, ci aspetta. Certo, le cose esteriori sono importanti ma dobbiamo sempre sceglierle e vivere alla presenza di Dio. Se possiamo fare poco, facciamo nella preghiera, nella mortificazione, nella carità fraterna quel poco che possiamo fare, umilmente, sinceramente davanti a Dio; così saremo degni della ricompensa che il Signore Gesù ci ha promesso da parte del Padre suo e Padre nostro.

Nota bene!
Il Mercoledì delle Ceneri (come anche il Venerdì santo) è un giorno penitenziale in cui vige l’obbligo di digiuno e di astinenza dalle carni.

BENEDETTO XVI – MEDITAZIONE SUL SIGNIFICATO DEL TEMPO QUARESIMALE (2006)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060301.html

BENEDETTO XVI – MEDITAZIONE SUL SIGNIFICATO DEL TEMPO QUARESIMALE (2006)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì delle Ceneri, 1° marzo 2006

Cari Fratelli e Sorelle,

Inizia oggi, con la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri, l’itinerario quaresimale di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero della nostra salvezza. Questo è un tempo favorevole in cui la Chiesa invita i cristiani a prendere più viva consapevolezza dell’opera redentrice di Cristo e a vivere con più profondità il proprio Battesimo. In effetti, in questo periodo liturgico il Popolo di Dio fin dai primi tempi si nutre con abbondanza della Parola di Dio per rafforzarsi nella fede, ripercorrendo l’intera storia della creazione e della redenzione.
Nella sua durata di quaranta giorni, la Quaresima possiede un’indubbia forza evocativa. Essa intende infatti richiamare alcuni tra gli eventi che hanno scandito la vita e la storia dell’Antico Israele, riproponendone anche a noi il valore paradigmatico: pensiamo, ad esempio, ai quaranta giorni del diluvio universale, che sfociarono nel patto di alleanza sancito da Dio con Noè, e così con l’umanità, e ai quaranta giorni di permanenza di Mosè sul Monte Sinai, cui fece seguito il dono delle tavole della Legge. Il periodo quaresimale vuole invitarci soprattutto a rivivere con Gesù i quaranta giorni da Lui trascorsi nel deserto, pregando e digiunando, prima di intraprendere la sua missione pubblica. Anche noi quest’oggi intraprendiamo un cammino di riflessione e di preghiera con tutti i cristiani del mondo per dirigerci spiritualmente verso il Calvario, meditando i misteri centrali della fede. Ci prepareremo così a sperimentare, dopo il mistero della Croce, la gioia della Pasqua di risurrezione.
Si compie oggi, in tutte le comunità parrocchiali, un gesto austero e simbolico: l’imposizione delle ceneri, e questo rito viene accompagnato da due pregnanti formule, che costituiscono un pressante appello a riconoscersi peccatori e a ritornare a Dio. La prima formula dice: « Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai » (cfr Gn 3,19). Queste parole, tratte dal libro della Genesi, evocano la condizione umana posta sotto il segno della caducità e del limite, e intendono spingerci a riporre ogni speranza soltanto in Dio. La seconda formula si rifà alle parole pronunciate da Gesù all’inizio del suo ministero itinerante: « Convertitevi e credete al Vangelo » (Mc 1,15). È un invito a porre come fondamento del rinnovamento personale e comunitario l’adesione ferma e fiduciosa al Vangelo. La vita del cristiano è vita di fede, fondata sulla Parola di Dio e da essa nutrita. Nelle prove della vita e in ogni tentazione il segreto della vittoria sta nel dare ascolto alla Parola di verità e nel rifiutare con decisione la menzogna e il male. Questo è il vero e centrale programma del tempo della Quaresima: ascoltare la parola di verità, vivere, parlare e fare la verità, rifiutare la menzogna che avvelena l’umanità ed è la porta di tutti i mali. Urge pertanto riascoltare, in questi quaranta giorni, il Vangelo, la parola del Signore, parola di verità, perché in ogni cristiano, in ognuno di noi, si rafforzi la coscienza della verità a lui donata, a noi donata, perché la viva e se ne faccia testimone. La Quaresima a questo ci stimola, a lasciar penetrare la nostra vita dalla Parola di Dio e a conoscere così la verità fondamentale: chi siamo, da dove veniamo, dove dobbiamo andare, qual è la strada da prendere nella vita. E così il periodo della Quaresima ci offre un percorso ascetico e liturgico che, mentre ci aiuta ad aprire gli occhi sulla nostra debolezza, ci fa aprire il cuore all’amore misericordioso di Cristo.
Il cammino quaresimale, avvicinandoci a Dio, ci permette di guardare con occhi nuovi ai fratelli ed alle loro necessità. Chi comincia a vedere Dio, a guardare il volto di Cristo, vede con altri occhi anche il fratello, scopre il fratello, il suo bene, il suo male, le sue necessità. Per questo la Quaresima, come ascolto della verità, è momento favorevole per convertirsi all’amore, perché la verità profonda, la verità di Dio è nello stesso tempo amore. Convertendoci alla verità di Dio, ci dobbiamo necessariamente convertire all’amore. Un amore che sappia fare proprio l’atteggiamento di compassione e di misericordia del Signore, come ho voluto ricordare nel Messaggio per la Quaresima, che ha per tema le parole evangeliche: « Gesù, vedendo le folle, ne provò compassione » (Mt 9,36). Consapevole della propria missione nel mondo, la Chiesa non cessa di proclamare l’amore misericordioso di Cristo, che continua a volgere lo sguardo commosso sugli uomini e sui popoli d’ogni tempo. « Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità – ho scritto nel citato Messaggio quaresimale -, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo « sguardo di Cristo ». Il digiuno e l’elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello « sguardo »" (L’Oss. Rom. 1 febbraio 2006, p. 5), allo sguardo di Cristo, e vedere noi stessi, l’umanità, gli altri con questo suo sguardo. Con questo spirito entriamo nel clima austero ed orante della Quaresima, che è proprio un clima di amore per il fratello.
Siano giorni di riflessione e di intensa preghiera, in cui ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio, che abbondantemente la liturgia ci propone. La Quaresima sia, inoltre, un tempo di digiuno, di penitenza e di vigilanza su noi stessi, persuasi che la lotta al peccato non termina mai, poiché la tentazione è realtà d’ogni giorno e la fragilità e l’illusione sono esperienze di tutti. La Quaresima sia, infine, attraverso l’elemosina, il fare del bene agli altri, occasione di sincera condivisione dei doni ricevuti con i fratelli e di attenzione ai bisogni dei più poveri e abbandonati. In questo itinerario penitenziale ci accompagni Maria, la Madre del Redentore, che è maestra di ascolto e di fedele adesione a Dio. La Vergine Santissima ci aiuti ad arrivare, purificati e rinnovati nella mente e nello spirito, a celebrare il grande mistero della Pasqua di Cristo. Con questi sentimenti, auguro a tutti una buona e fruttuosa Quaresima.

09 APRILE 2017 |6A DOMENICA DI QUARESIMA: LE PALME – A | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/2017-Anno_A/03-Quaresima_A/Omelie/6-Le-Palme/10-06a-Palme-A-2017-UD.htm

09 APRILE 2017 |6A DOMENICA DI QUARESIMA: LE PALME – A | OMELIA

Gesù entra in Gerusalemme….

Per cominciare
Luca 19,28-40. Gesù entra in Gerusalemme dopo un periodo di apparente indecisione o di riflessione. In realtà Gesù aspettava solo che giungesse « la sua ora », la sua Pasqua. Entra in Gerusalemme e lo fa con solenne regalità, a cavallo di un puledro « su cui non è mai salito nessuno », secondo la parola dei profeti, mentre la gente gli spiana la strada stendendo a terra rami di fronde tagliate dai campi e i loro mantelli, e agitano rami di palme proclamandolo re. Ancora una volta i farisei non capiscono, qualcuno cerca di impedirlo. La scena ha tutto il sapore di una sfida. « Se tacessero loro, griderebbero le pietre », dice Gesù. Ma questo episodio apre la settimana più difficile della sua vita.

La parola di Dio
Isaia 50,4-7. Quando si dice che Isaia è il « quinto evangelista » non ci si sbaglia. Molte delle sofferenze del messia sono state previste e descritte con una straordinaria concordanza ai vangeli. Isaia prevede però anche la vittoria finale e l’assistenza da parte di Dio.
Filippesi 2,6-11. Paolo descrive l’abbassamento del Figlio di Dio, che non solo ha assunto la condizione umana, ma ha accettato l’umiliazione e l’obbedienza della croce. È per questo che Dio « lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome ».
Matteo 26,14-27,56. È il racconto della passione di Gesù secondo Matteo. Si tratta di un racconto « sinottico », parallelo a quello di Marco e Luca. La descrizione dettagliata ci ricorda che gli ultimi fatti della vita di Gesù sono rimasti più facilmente impressi nei suoi discepoli. Gesù per Matteo è colui che realizza le profezie: è il servo sofferente descritto da Isaia.

Riflettere
Anche il profeta Zaccaria fa riferimento al messia e lo presenta con le caratteristiche che vediamo oggi in Gesù: « Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino… Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà pace alle genti » (9,9-10).
Gesù di fatto non raggiunge la città a cavallo, come di chi fa la guerra, ma avanza su un puledro d’asino, la cavalcatura di un re in tempo di pace.
L’entrata solenne in Gerusalemme è l’episodio che condurrà Gesù al dramma della morte, una morte che sarà un abisso di iniquità, in linea con tutte le atrocità e ingiustizie compiute nella storia.
Gesù è condannato a morte dal potere politico. Eppure Ponzio Pilato lo dichiara innocente: « Non vedo in lui nessuna colpa ».
Ma viene condannato anche dal potere religioso, preoccupato dalla popolarità di Gesù e dal suo modo libero di collocarsi di fronte a loro. Dice Caifa, sommo sacerdote: « È meglio che muoia uno piuttosto che perisca l’intera nazione » (Gv 18,14).
Per accusarlo viene calunniato: « È un bestemmiatore, un indemoniato, un agitatore del popolo, un bugiardo… ».
Viene abbandonato da quel popolo, che finora lo ha seguito e lo ha ascoltato con entusiasmo, ma che adesso è condizionato dal parere di chi sta guidando le folle contro di lui.
Viene abbandonato dagli apostoli, tradito dagli amici, venduto da Giuda. Dove sono finite le parole piene di coraggio di Pietro: « Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte »? (Lc 22,33). Ben presto affermerà per tre volte nemmeno di conoscerlo.
C’è poi contro di lui l’accanirsi di una violenza inaudita da parte della soldataglia. La Sindone presenta un corpo tumefatto e coperto di piaghe.
La passione secondo Matteo presenta tuttavia un Gesù che non è travolto dagli eventi, ma che è pienamente consapevole della propria identità. Dice apertamente che potrebbe avere a disposizione dodici legioni di angeli (26,53), ma ci rinuncia e non oppone violenza a violenza. Anche le molte citazioni bibliche confermano che Gesù ha scelto lucidamente la via dell’umiltà e dell’obbedienza alle Scritture e al Padre.

Attualizzazione
Al termine della Quaresima, un momento di bilancio: magari deludente. Non c’è più lo spirito di un tempo, quando tutto aiutava a fare penitenza e a darsi ad atteggiamenti religiosi. Il rischio è di ritrovarsi oggi a mani vuote
La « settimana santa » potrà però dare più intensità al nostro prepararci alla Pasqua.
Questa domenica ci apre al mistero della morte di Gesù, della morte di Dio. Mistero della sua impotenza, del silenzio di Dio, della sconfitta di Dio.
Lo stesso Gesù sembra non capire, ma si abbandona al Padre: « Nelle tue mani affido il mio spirito… ».
Ciò che più colpisce nella settimana di Passione è l’abbandono assoluto e la solitudine in cui Gesù viene a trovarsi. Una settimana in cui Gesù vive insieme tutti i drammi più faticosi della condizione umana. Dopo il trionfo di Gerusalemme e il momento della condivisione più amichevole del Cenacolo, ecco il tradimento di Giuda, la tristezza e lo strazio del Getsemani, il farsi avanti della soldataglia, l’abbandono nelle mani dei torturatori e dei carnefici, la perdita di ogni diritto e di ogni dignità davanti ai potenti.
Gli apostoli si fanno timorosi e vigliacchi, Pietro spergiura: « Io quell’uomo neanche lo conosco! ». E il voltafaccia del popolo, il cammino della croce, la crocifissione, il sentirsi solo anche di fronte al Padre: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».
Una settimana atroce, in cui si impara fino in fondo che cosa sono l’amicizia, la paura, il tradimento, la sofferenza, il martirio, il potere. Per questo la settimana di Passione è davvero rivelazione. Si impara realmente chi è l’uomo, di che cosa è capace l’uomo. « Ecce homo », questo è l’uomo.
Eppure proprio nella sera in cui fu tradito, in quella drammatica vigilia di Passione, Gesù decide di rimanere tra noi per sempre: « Ecco il mio corpo dato per voi; ecco il mio sangue sparso per voi ». « Uno di noi è Dio », ha scritto qualcuno. Fabrizio De André canta che non è del tutto normale un amore così grande, di un uomo che « rantola senza rancore, perdonando con l’ultima voce chi lo uccide fra le braccia di una croce ».

Alla luce del sole
Una delle scene più crudeli del recente film Alla luce del sole è quella conclusiva, quando don Pino Puglisi nel giorno del suo compleanno viene colpito a morte e si trova riverso a terra in una pozza di sangue, mentre le finestre si chiudono per non vedere e la gente si allontana frettolosa girando il capo dall’altra parte. Eppure la stessa mafia aveva capito le intenzioni nobilissime del prete quando parlava di dignità, dell’importanza di dare la scuola e un futuro ai ragazzi del Brancaccio.
La solitudine dei grandi può diventare addirittura drammatica. Ma è terribilmente ricorrente nella nostra storia. Diceva Ernesto Balducci: « Un giorno chiederemo a Dio perché gli uomini migliori se ne vanno, mentre ci governano gli uomini peggiori ».

Umberto DE VANNA sdb

PAPA FRANCESCO – LA SPERANZA CRISTIANA – 13. LA QUARESIMA CAMMINO DI SPERANZA

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2017/documents/papa-francesco_20170301_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – LA SPERANZA CRISTIANA – 13. LA QUARESIMA CAMMINO DI SPERANZA

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 1° marzo 2017

La Speranza cristiana – 13. La Quaresima cammino di speranza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questo giorno, Mercoledì delle Ceneri, entriamo nel Tempo liturgico della Quaresima. E poiché stiamo svolgendo il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana, oggi vorrei presentarvi la Quaresima come cammino di speranza.
In effetti, questa prospettiva è subito evidente se pensiamo che la Quaresima è stata istituita nella Chiesa come tempo di preparazione alla Pasqua, e dunque tutto il senso di questo periodo di quaranta giorni prende luce dal mistero pasquale verso il quale è orientato. Possiamo immaginare il Signore Risorto che ci chiama ad uscire dalle nostre tenebre, e noi ci mettiamo in cammino verso di Lui, che è la Luce. E la Quaresima è un cammino verso Gesù Risorto, è un periodo di penitenza, anche di mortificazione, ma non fine a sé stesso, bensì finalizzato a farci risorgere con Cristo, a rinnovare la nostra identità battesimale, cioè a rinascere nuovamente “dall’alto”, dall’amore di Dio (cfr Gv 3,3). Ecco perché la Quaresima è, per sua natura, tempo di speranza.
Per comprendere meglio che cosa questo significhi, dobbiamo riferirci all’esperienza fondamentale dell’esodo degli Israeliti dall’Egitto, raccontata dalla Bibbia nel libro che porta questo nome: Esodo. Il punto di partenza è la condizione di schiavitù in Egitto, l’oppressione, i lavori forzati. Ma il Signore non ha dimenticato il suo popolo e la sua promessa: chiama Mosè e, con braccio potente, fa uscire gli israeliti dall’Egitto e li guida attraverso il deserto verso la Terra della libertà. Durante questo cammino dalla schiavitù alla libertà, il Signore dà agli Israeliti la legge, per educarli ad amare Lui, unico Signore, e ad amarsi tra loro come fratelli. La Scrittura mostra che l’esodo è lungo e travagliato: simbolicamente dura 40 anni, cioè il tempo di vita di una generazione. Una generazione che, di fronte alle prove del cammino, è sempre tentata di rimpiangere l’Egitto e di tornare indietro. Anche tutti noi conosciamo la tentazione di tornare indietro, tutti. Ma il Signore rimane fedele e quella povera gente, guidata da Mosè, arriva alla Terra promessa. Tutto questo cammino è compiuto nella speranza: la speranza di raggiungere la Terra, e proprio in questo senso è un “esodo”, un’uscita dalla schiavitù alla libertà. E questi 40 giorni sono anche per tutti noi un’uscita dalla schiavitù, dal peccato, alla libertà, all’incontro con il Cristo Risorto. Ogni passo, ogni fatica, ogni prova, ogni caduta e ogni ripresa, tutto ha senso solo all’interno del disegno di salvezza di Dio, che vuole per il suo popolo la vita e non la morte, la gioia e non il dolore.
La Pasqua di Gesù è il suo esodo, con il quale Egli ci ha aperto la via per giungere alla vita piena, eterna e beata. Per aprire questa via, questo passaggio, Gesù ha dovuto spogliarsi della sua gloria, umiliarsi, farsi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Aprirci la strada alla vita eterna gli è costato tutto il suo sangue, e grazie a Lui noi siamo salvati dalla schiavitù del peccato. Ma questo non vuol dire che Lui ha fatto tutto e noi non dobbiamo fare nulla, che Lui è passato attraverso la croce e noi “andiamo in paradiso in carrozza”. Non è così. La nostra salvezza è certamente dono suo, ma, poiché è una storia d’amore, richiede il nostro “sì” e la nostra partecipazione al suo amore, come ci dimostra la nostra Madre Maria e dopo di lei tutti i santi.
La Quaresima vive di questa dinamica: Cristo ci precede con il suo esodo, e noi attraversiamo il deserto grazie a Lui e dietro di Lui. Lui è tentato per noi, e ha vinto il Tentatore per noi, ma anche noi dobbiamo con Lui affrontare le tentazioni e superarle. Lui ci dona l’acqua viva del suo Spirito, e a noi spetta attingere alla sua fonte e bere, nei Sacramenti, nella preghiera, nell’adorazione; Lui è la luce che vince le tenebre, e a noi è chiesto di alimentare la piccola fiamma che ci è stata affidata nel giorno del nostro Battesimo.
In questo senso la Quaresima è «segno sacramentale della nostra conversione» (Messale Romano, Oraz. colletta I Dom. di Quar.); chi fa la strada della Quaresima è sempre sulla strada della conversione. La Quaresima è segno sacramentale del nostro cammino dalla schiavitù alla libertà, sempre da rinnovare. Un cammino certo impegnativo, come è giusto che sia, perché l’amore è impegnativo, ma un cammino pieno di speranza. Anzi, direi di più: l’esodo quaresimale è il cammino in cui la speranza stessa si forma. La fatica di attraversare il deserto – tutte le prove, le tentazioni, le illusioni, i miraggi… –, tutto questo vale a forgiare una speranza forte, salda, sul modello di quella della Vergine Maria, che in mezzo alle tenebre della passione e della morte del suo Figlio continuò a credere e a sperare nella sua risurrezione, nella vittoria dell’amore di Dio.
Col cuore aperto a questo orizzonte, entriamo oggi nella Quaresima. Sentendoci parte del popolo santo di Dio, iniziamo con gioia questo cammino di speranza.

COSA È IL REGNO DI DIO ANNUNZIATO DA GESÙ DEL CARD.CARLO MARIA MARTINI

http://www.gliscritti.it/approf/2005/conferenze/martini01.htm

BRANI DI DIFFICILE INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA, XVI,

COSA È IL REGNO DI DIO ANNUNZIATO DA GESÙ DEL CARD.CARLO MARIA MARTINI

Il presente testo è tratto da una meditazione tenuta dal card. C.M.Martini ai preti del settore Sud di Roma, su invito di S.E.mons. Paolo Schiavon, nella Quaresima 2005, il 24 febbraio. Il titolo della meditazione era: Regno di Dio ed eucarestia. Il testo è stato trascritto da mons.Luciano Pascucci, che ringraziamo, e non è stato rivisto dall’autore.

L’Areopago
In ogni Eucaristia noi citiamo il Regno, per esempio recitando il Padre nostro: Padre nostro, venga il tuo Regno! E al termine della preghiera eucaristica proclamiamo: “Tuo è il Regno, tua la potenza e la gloria nei secoli!”. E questo Regno è il tema fondamentale della predicazione di Gesù fin dall’inizio. Da quando, cioè, Gesù, dopo che Giovanni fu arrestato, fu trasferito da Nazaret a Cafarnao. Dicono i vangeli che Gesù cominciò allora a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!” (Mt 4,17). Questa è il tema fondamentale della predicazione di Gesù. In Mt 4,23 troviamo questa frase sintetica: “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo”. Notiamo anche la differenza tra i verbi: insegnando (didàschein); predicando, proclamando il Regno (Kerissèin) e curando i malati. Le tre cose fanno come una unità.
Gesù, dunque, parla molto spesso del Regno di Dio, soprattutto nei sinottici; l’espressione non ricorre quasi mai in Giovanni; mentre nei sinottici è l’espressione corrente. Tuttavia sappiamo anche che non è facile definire il Regno, perché Gesù non conchiude mai in una definizione teorica che cosa è il Regno. Si contenta di alludervi con paragoni e con parabole. Il Regno è come un seme, è simile ad una rete, è simile ad una perla preziosa, è simile a un tesoro nascosto in un campo… Sono paragoni che descrivono alcuni aspetti del Regno, senza che mai se ne dia una definizione precisa e completa.
E qui c’è qualcosa di misterioso, tanto è vero che lo stesso Gesù in Mc 4,11, parla di “mistero del Regno”. Non dice ai discepoli: “A voi è stato dato il Regno!”, ma “A voi è stato dato il mistero del Regno!”. C’è quindi un mistero in questa parola “Regno”, almeno come è pronunciata agli inizi del ministero di Gesù, che lo rende necessariamente, da una parte affascinante e dall’altra un po’ enigmatico. E non poteva che essere enigmatico fino allo svelamento che avverrà appunto con la morte e la risurrezione di Gesù.
Ma noi possiamo cercare di domandarci: che cosa potevano intendere i primi uditori di Gesù in Galilea, quando sentivano che parlava del Regno di Dio? Una tale espressione era ben nota ai lettori della Bibbia ebraica. Essi sapevano perfettamente che Dio è Re da sempre; per esempio il salmo 29, dice: Il Signore siede re per sempre! Quindi era un termine acquisito. Salmo 96: Dite tra i popoli: il Signore regna! Ancora Salmo 97: Il Signore regna; esulti la terra!… Non era di per sé neanche necessaria la proclamazione di Gesù per far imparare alla gente che il Signore regna. Per esempio un inno molto antico, come il cantico di Mosè, diceva, alla fine, concludendo: Il Signore regna in eterno e per sempre! Da secoli, da millenni si tramandava l’idea della regalità di Dio. E un altro inno successivo, che si trova nel primo libro delle Cronache (cap. 29), cantava: Tuo è il Regno, Signore, tu ti innalzi sovrano su ogni cosa! (1 Cr 29,11). Quindi Gesù apparentemente non parla per dire una cosa nuova, dicendo che Dio è Re e suo è il Regno!
Però i lettori della Bibbia ebraica sapevano pure che il peccato oppone resistenza al Regno, sia il peccato individuale, sia il peccato sociale; per cui Dio regna di diritto, ma di fatto si ha spesso l’impressione che a condurre il gioco siano i malvagi, quelli che non si sottomettono a Dio. La Bibbia è piena di tali amare constatazioni e in particolare la disobbedienza a Dio che pure è re eterno sfocia in particolare nell’oppressione del popolo e, ad un certo punto, nella dipendenza del popolo dallo straniero, adoratore degli idoli e nemico del Dio di Israele. In tale contesto, dunque, il Regno c’è, ma non si vede.
E allora il venire del Regno significa che Dio viene a mettere le cose a posto, viene a mettere ordine, a sconfiggere i nemici, a punire i peccatori, a instaurare di fatto quel potere sulla storia che era da sempre suo di diritto. Ed era questa anche l’attesa degli ebrei devoti, che credevano e speravano in Dio, attesa che si trova in molti salmi e in molte altre pagine della Bibbia, per esempio il salmo 9, 18: Tornino gli empi negli inferi, tutti i popoli che dimenticano Dio. Cioè, la regalità di Dio spazzi via i nemici! Ancora salmo 9: Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l’empio! Quindi ti dimostri veramente re! Il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre! Hanno sfidato la tua regalità e sono stati schiacciati. E termina dicendo, presentando la regalità di Dio: Il Signore sta assiso in giudizio; erige per il giudizio il suo trono e da questo trono come re giudica il mondo. Ancora un altro salmo, il salmo 102, dice così: Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario, dal cielo ha guardato la terra e che cosa ha ascoltato? Il gemito del prigioniero, del suo popolo prigioniero. Quindi ha guardato la terra per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morti, perché sia annunziato in Sion il nome del Signore, la sua lode in Gerusalemme.
Segno di questa liberazione è appunto la libera proclamazione della gloria di Dio in Sion e in Gerusalemme. Si attendeva, perciò, che Dio regnasse, condannando tutti i nemici, distruggendo tutti i peccatori, eliminando tutti i malvagi, così che il popolo potesse vivere tranquillo nella sua casa, nella sua terra, nella sua città di Gerusalemme. Ma noi sappiamo che le cose non sono così semplici. Gesù nella sua rivelazione progressiva del Regno, non rivela come un semplice giudizio di condanna e di distruzione dei malvagi; anzi, a poco a poco, fa capire, in maniera anche un po’ enigmatica, che il regnare di Dio non significa che Dio voglia schiacciare i peccatori, ma che Dio intende piuttosto perdonarli e salvarli. Questo è certamente un fatto nuovo e perciò Gesù comincia con il prendere su di sé il male del mondo: questa è la novità assoluta della rivelazione di Gesù. Già lo faceva intuire Matteo, al capitolo ottavo, citando Isaia 53, là dove dice: Egli ha preso su di sé le nostre infermità, s’è addossato le nostre malattie. Di per sé immediatamente il brano si riferisce alle guarigioni di Gesù, però con questa frase misteriosa – “se le è prese su di sé, se le è addossate” – Gesù si rivela sempre più chiaramente come colui che assume su di sé il peccato del mondo. E questo diventa sempre più chiaro nel percorso di Gesù verso Gerusalemme, soprattutto come previsione della passione o con espressioni come quelle che troviamo in Marco 10,45: Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Così egli chiarisce a poco a poco il senso di come egli intende l’esercizio della regalità di Dio: non schiacciare i nemici, ma dare la sua vita per il perdono dei nemici, per il riscatto di molti. E anche poi nella passione, con parole come quelle del Getsemani: “Padre, non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu! E anche con l’affermazione dopo la cattura nell’orto degli ulivi: Tutto questo è avvenuto, perché si adempissero le Scritture dei profeti.
Gesù fa capire che questo – il suo prendere su di sé il male del mondo – è il disegno nel quale si rivela la regalità di Dio. Gesù attua dunque il Regno, anzitutto nella prima parte della sua vita, sconfiggendo le malattie, le infermità, ma facendo intuire misteriosamente che egli vuole a un certo punto assumersele. Le infermità e le malattie sono conseguenze e immagine del peccato; Gesù perdona i peccati, ma soprattutto offre in debolezza, in povertà, in infermità la sua vita per noi, nella morte in croce e risorge per darci la certezza del perdono di Dio. Ecco dunque come il Regno si svela a poco a poco. Per cui il Regno non è come una macchina già fatta che viene dall’alto e si instaura sulla terra; il Regno è qualcosa che si manifesta progressivamente nella vita di Gesù. Possiamo dire: è Gesù il Regno che viene, è lui! E in noi il Regno si attua qui attraverso un processo, un processo di rigenerazione che parte dal cuore dell’uomo, dall’interno dell’uomo, che ha inizio con la nascita – il Battesimo – che va verso la crescita, verso la pienezza della manifestazione definitiva di Gesù nella nostra umanità salvata. Dunque, il Regno lo incontriamo anzitutto in Gesù che è il Regno per eccellenza. Il regno si attua nella sua vita, morte e risurrezione. Il Regno si attua in tutta la sua vita, dall’annunciazione all’ascensione, si attua nella sua morte, si attua nella sua risurrezione. E poi il Regno si attua gradualmente in tutti noi, in tutti coloro che entrano negli atteggiamenti e nelle relazioni di Gesù, vivendo come lui ha vissuto, offrendo la propria vita come lui l’ha offerta.
Perciò il Regno viene, non in astratto, ma nella misura in cui ciascuno di noi entra nel progetto di Gesù e si fa in qualche modo uno con Gesù e instaura nella sua vita le relazioni con i fratelli e le cose del mondo, secondo il mandato e l’esempio di Gesù. E questo avviene non solo individualmente, ma collettivamente, anzitutto nella chiesa visibile e poi in tutte quelle situazioni nelle quali si rivive e si mette in pratica l’insegnamento e il modo di vivere di Gesù. L’insieme di coloro che vivono così e che attuano il Regno diviene, secondo la parola di Gesù, sale della terra, luce del mondo. E porta gli uomini a lodare il Padre che è nei cieli.
A questo punto possiamo anche comprendere perché il Regno nel Nuovo Testamento, al di là dei sinottici, non viene più espresso con la sola formula, un po’ enigmatica “il Regno di Dio”, ma con molte altre formule, anche se queste formule non citano espressamente il vocabolo “Regno”. Così formule come “Cristo è risorto!”, “il Crocifisso è risorto”, “Gesù è stato crocifisso per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione”, o formule come: “Io sono la via, la verità e la vita”, oppure formule come quelle paoline: “Vivo io, ma non più io, Cristo vive in me!”, sono formule brevi che esprimono la realtà del Regno. E di queste formule è pieno il Nuovo Testamento! Sappiamo poi che vi sono formule anche più lunghe, come – per esempio – l’inizio della lettera agli Efesini, ai Colossesi, il capitolo 2 della lettera ai Filippesi, che descrivono i vari momenti della venuta del Regno, esprimendo appunto la “carriera” di Gesù, il suo venire dal Padre, nell’umiltà della passione, della morte, del suo risorgere, della gloria, del riversare il suo Spirito nella chiesa. Tutto questo è il Regno di Dio che sta venendo in pienezza.

PAPA FRANCESCO – SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI (2015)

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PAPA FRANCESCO – SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di Santa Sabina

Mercoledì, 18 febbraio 2015

Come popolo di Dio incominciamo il cammino della Quaresima, tempo in cui cerchiamo di unirci più strettamente al Signore, per condividere il mistero della sua passione e della sua risurrezione.
La liturgia di oggi ci propone anzitutto il passo del profeta Gioele, inviato da Dio a chiamare il popolo alla penitenza e alla conversione, a causa di una calamità (un’invasione di cavallette) che devasta la Giudea. Solo il Signore può salvare dal flagello e bisogna quindi supplicarlo con preghiere e digiuni, confessando il proprio peccato.
Il profeta insiste sulla conversione interiore: «Ritornate a me con tutto il cuore» (2,12).
Ritornare al Signore “con tutto il cuore” significa intraprendere il cammino di una conversione non superficiale e transitoria, bensì un itinerario spirituale che riguarda il luogo più intimo della nostra persona. Il cuore, infatti, è la sede dei nostri sentimenti, il centro in cui maturano le nostre scelte, i nostri atteggiamenti. Quel “ritornate a me con tutto il cuore” non coinvolge solamente i singoli, ma si estende all’intera comunità, è una convocazione rivolta a tutti: «Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo» (v. 16).
Il profeta si sofferma in particolare sulla preghiera dei sacerdoti, facendo osservare che va accompagnata dalle lacrime. Ci farà bene, a tutti, ma specialmente a noi sacerdoti, all’inizio di questa Quaresima, chiedere il dono delle lacrime, così da rendere la nostra preghiera e il nostro cammino di conversione sempre più autentici e senza ipocrisia. Ci farà bene farci la domanda: “Io piango? Il Papa piange? I cardinali piangono? I vescovi piangono? I consacrati piangono? I sacerdoti piangono? Il pianto è nelle nostre preghiere?”. E proprio questo è il messaggio del Vangelo odierno. Nel brano di Matteo, Gesù rilegge le tre opere di pietà previste nella legge mosaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. E distingue, il fatto esterno dal fatto interno, da quel piangere dal cuore. Nel corso del tempo, queste prescrizioni erano state intaccate dalla ruggine del formalismo esteriore, o addirittura si erano mutate in un segno di superiorità sociale. Gesù mette in evidenza una tentazione comune in queste tre opere, che si può riassumere proprio nell’ipocrisia (la nomina per ben tre volte): «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro…Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti…Quando pregate, non siate simili agli ipocriti, che…amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. … E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti» (Mt 6,1.2.5.16). Sapete, fratelli, che gli ipocriti non sanno piangere, hanno dimenticato come si piange, non chiedono il dono delle lacrime.
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce in noi il desiderio di essere stimati e ammirati per questa buona azione, per ricavarne una soddisfazione. Gesù ci invita a compiere queste opere senza alcuna ostentazione, e a confidare unicamente nella ricompensa del Padre «che vede nel segreto» (Mt 6,4.6.18).
Cari fratelli e sorelle, il Signore non si stanca mai di avere misericordia di noi, e vuole offrirci ancora una volta il suo perdono – tutti ne abbiamo bisogno – , invitandoci a tornare a Lui con un cuore nuovo, purificato dal male, purificato dalle lacrime, per prendere parte alla sua gioia. Come accogliere questo invito? Ce lo suggerisce san Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor5,20). Questo sforzo di conversione non è soltanto un’opera umana, è lasciarsi riconciliare. La riconciliazione tra noi e Dio è possibile grazie alla misericordia del Padre che, per amore verso di noi, non ha esitato a sacrificare il suo Figlio unigenito. Infatti il Cristo, che era giusto e senza peccato, per noi fu fatto peccato (v. 21) quando sulla croce fu caricato dei nostri peccati, e così ci ha riscattati e giustificati davanti a Dio. «In Lui» noi possiamo diventare giusti, in Lui possiamo cambiare, se accogliamo la grazia di Dio e non lasciamo passare invano questo «momento favorevole» (6,2). Per favore, fermiamoci, fermiamoci un po’ e lasciamoci riconciliare con Dio.
Con questa consapevolezza, iniziamo fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresimale. Maria Madre Immacolata, senza peccato, sostenga il nostro combattimento spirituale contro il peccato, ci accompagni in questo momento favorevole, perché possiamo giungere a cantare insieme l’esultanza della vittoria nel giorno della Pasqua. E come segno della volontà di lasciarci riconciliare con Dio, oltre alle lacrime che saranno “nel segreto”, in pubblico compiremo il gesto dell’imposizione delle ceneri sul capo. Il celebrante pronuncia queste parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» (cfr Gen 3,19), oppure ripete l’esortazione di Gesù: «Convertitevi e credete al Vangelo» (cfr Mc 1,15). Entrambe le formule costituiscono un richiamo alla verità dell’esistenza umana: siamo creature limitate, peccatori sempre bisognosi di penitenza e di conversione. Quanto è importante ascoltare ed accogliere tale richiamo in questo nostro tempo! L’invito alla conversione è allora una spinta a tornare, come fece il figlio della parabola, tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a piangere in quell’abbraccio, a fidarsi di Lui e ad affidarsi a Lui.

BENEDETTO XVI – TRIDUO PASQUALE (2009)

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BENEDETTO XVI – TRIDUO PASQUALE

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 8 aprile 2009

Cari fratelli e sorelle,

la Settimana Santa, che per noi cristiani è la settimana più importante dell’anno, ci offre l’opportunità di immergerci negli eventi centrali della Redenzione, di rivivere il Mistero pasquale, il grande Mistero della fede. A partire da domani pomeriggio, con la Messa in Coena Domini, i solenni riti liturgici ci aiuteranno a meditare in maniera più viva la passione, la morte e la risurrezione del Signore nei giorni del Santo Triduo pasquale, fulcro dell’intero anno liturgico. Possa la grazia divina aprire i nostri cuori alla comprensione del dono inestimabile che è la salvezza ottenutaci dal sacrificio di Cristo. Questo dono immenso lo troviamo mirabilmente narrato in un celebre inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2, 6-11), che in Quaresima abbiamo più volte meditato. L’apostolo ripercorre, in modo tanto essenziale quanto efficace, tutto il mistero della storia della salvezza accennando alla superbia di Adamo che, pur non essendo Dio, voleva essere come Dio. E contrappone a questa superbia del primo uomo, che tutti noi sentiamo un po’ nel nostro essere, l’umiltà del vero Figlio di Dio che, diventando uomo, non esitò a prendere su di sé tutte le debolezze dell’essere umano, eccetto il peccato, e si spinse fino alla profondità della morte. A questa discesa nell’ultima profondità della passione e della morte segue poi la sua esaltazione, la vera gloria, la gloria dell’amore che è andato fino alla fine. Ed è perciò giusto – come dice Paolo – che «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!» (2, 10-11). San Paolo accenna, con queste parole, a una profezia di Isaia dove Dio dice: Io sono il Signore, ogni ginocchio si pieghi davanti a me nei cieli e nella terra (cfr Is 45, 23). Questo – dice Paolo – vale per Gesù Cristo. Lui realmente, nella sua umiltà, nella vera grandezza del suo amore, è il Signore del mondo e davanti a Lui realmente ogni ginocchio si piega. Quanto meraviglioso, e insieme sorprendente, è questo mistero! Non possiamo mai sufficientemente meditare questa realtà. Gesù, pur essendo Dio, non volle fare delle sue prerogative divine un possesso esclusivo; non volle usare il suo essere Dio, la sua dignità gloriosa e la sua potenza, come strumento di trionfo e segno di distanza da noi. Al contrario, «svuotò se stesso» assumendo la misera e debole condizione umana – Paolo usa, a questo riguardo, un verbo greco assai pregnante per indicare la kénosis, questa discesa di Gesù. La forma (morphé) divina si nascose in Cristo sotto la forma umana, ossia sotto la nostra realtà segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dai nostri limiti umani e dalla morte. La condivisione radicale e vera della nostra natura, condivisione in tutto fuorché nel peccato, lo condusse fino a quella frontiera che è il segno della nostra finitezza, la morte. Ma tutto ciò non è stato frutto di un meccanismo oscuro o di una cieca fatalità: fu piuttosto una sua libera scelta, per generosa adesione al disegno salvifico del Padre. E la morte a cui andò incontro – aggiunge Paolo – fu quella di croce, la più umiliante e degradante che si potesse immaginare. Tutto questo il Signore dell’universo lo ha compiuto per amore nostro: per amore ha voluto “svuotare se stesso” e farsi nostro fratello; per amore ha condiviso la nostra condizione, quella di ogni uomo e di ogni donna. Scrive in proposito un grande testimone della tradizione orientale, Teodoreto di Ciro: «Essendo Dio e Dio per natura e avendo l’uguaglianza con Dio, non ha ritenuto questo qualcosa di grande, come fanno coloro che hanno ricevuto qualche onore al di sopra dei loro meriti, ma nascondendo i suoi meriti, ha scelto l’umiltà più profonda e ha preso la forma di un essere umano» (Commento all’epistola ai Filippesi, 2,6-7). Preludio al Triduo pasquale, che incomincerà domani – come dicevo – con i suggestivi riti pomeridiani del Giovedì Santo, è la solenne Messa Crismale, che nella mattinata il Vescovo celebra con il proprio presbiterio, e nel corso della quale insieme vengono rinnovate le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’ Ordinazione. E’ un gesto di grande valore, un’occasione quanto mai propizia in cui i sacerdoti ribadiscono la propria fedeltà a Cristo che li ha scelti come suoi ministri. Quest’incontro sacerdotale assume inoltre un significato particolare, perché è quasi una preparazione all’Anno Sacerdotale, che ho indetto in occasione del 150 anniversario della morte del Santo Curato d’Ars e che avrà inizio il prossimo 19 giugno. Sempre nella Messa Crismale verranno poi benedetti l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, e sarà consacrato il Crisma. Riti questi con i quali sono simbolicamente significate la pienezza del Sacerdozio di Cristo e quella comunione ecclesiale che deve animare il popolo cristiano, radunato per il sacrificio eucaristico e vivificato nell’unità dal dono dello Spirito Santo. Nella Messa del pomeriggio, chiamata in Coena Domini, la Chiesa commemora l’istituzione dell’Eucaristia, il Sacerdozio ministeriale ed il Comandamento nuovo della carità, lasciato da Gesù ai suoi discepoli. Di quanto avvenne nel Cenacolo, la vigilia della passione del Signore, san Paolo offre una delle più antiche testimonianze. «Il Signore Gesù, – egli scrive, all’inizio degli anni cinquanta, basandosi su un testo che ha ricevuto dall’ambiente del Signore stesso – nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1 Cor 11, 23-25). Parole cariche di mistero, che manifestano con chiarezza il volere di Cristo: sotto le specie del pane e del vino Egli si rende presente col suo corpo dato e col suo sangue versato. E’ il sacrificio della nuova e definitiva alleanza offerta a tutti, senza distinzione di razza e di cultura. E di questo rito sacramentale, che consegna alla Chiesa come prova suprema del suo amore, Gesù costituisce ministri i suoi discepoli e quanti ne proseguiranno il ministero nel corso dei secoli. Il Giovedì Santo costituisce pertanto un rinnovato invito a rendere grazie a Dio per il sommo dono dell’Eucaristia, da accogliere con devozione e da adorare con viva fede. Per questo, la Chiesa incoraggia, dopo la celebrazione della Santa Messa, a vegliare in presenza del Santissimo Sacramento, ricordando l’ora triste che Gesù passò in solitudine e preghiera nel Getsemani, prima di essere arrestato per poi venire condannato a morte. E siamo così al Venerdì Santo, giorno della passione e della crocifissione del Signore. Ogni anno, ponendoci in silenzio di fronte a Gesù appeso al legno della croce, avvertiamo quanto siano piene di amore le parole da Lui pronunciate la vigilia, nel corso dell’Ultima Cena. “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (cfr Mc 14, 24). Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità. Come di fronte all’Eucaristia, così di fronte alla passione e morte di Gesù in Croce il mistero si fa insondabile per la ragione. Siamo posti davanti a qualcosa che umanamente potrebbe apparire assurdo: un Dio che non solo si fà uomo, con tutti i bisogni dell’uomo, non solo soffre per salvare l’uomo caricandosi di tutta la tragedia dell’umanità, ma muore per l’uomo. La morte di Cristo richiama il cumulo di dolore e di mali che grava sull’umanità di ogni tempo: il peso schiacciante del nostro morire, l’odio e la violenza che ancora oggi insanguinano la terra. La passione del Signore continua nella sofferenze degli uomini. Come giustamente scrive Blaise Pascal, “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo” (Pensieri, 553). Se il Venerdì Santo è giorno pieno di tristezza, è dunque al tempo stesso, giorno quanto mai propizio per ridestare la nostra fede, per rinsaldare la nostra speranza e il coraggio di portare ciascuno la nostra croce con umiltà, fiducia ed abbandono in Dio, certi del suo sostegno e della sua vittoria. Canta la liturgia di questo giorno: O Crux, ave, spes unica – Ave, o croce, unica speranza!” . Questa speranza si alimenta nel grande silenzio del Sabato Santo, in attesa della risurrezione di Gesù. In questo giorno le Chiese sono spoglie e non sono previsti particolari riti liturgici. La Chiesa veglia in preghiera come Maria e insieme a Maria, condividendone gli stessi sentimenti di dolore e di fiducia in Dio. Giustamente si raccomanda di conservare durante tutta la giornata un clima orante, favorevole alla meditazione e alla riconciliazione; si incoraggiano i fedeli ad accostarsi al sacramento della Penitenza, per poter partecipare realmente rinnovati alle Feste Pasquali. Il raccoglimento e il silenzio del Sabato Santo ci condurranno nella notte alla solenne Veglia Pasquale, “madre di tutte le veglie”, quando proromperà in tutte le chiese e comunità il canto della gioia per la risurrezione di Cristo. Ancora una volta, verrà proclamata la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, e la Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore. Entreremo così nel clima della Pasqua di Risurrezione. Cari fratelli e sorelle, disponiamoci a vivere intensamente il Triduo Santo, per essere sempre più profondamente partecipi del Mistero di Cristo. Ci accompagna in questo itinerario la Vergine Santa, che ha seguito in silenzio il Figlio Gesù fino al Calvario, prendendo parte con grande pena al suo sacrificio, cooperando così al mistero della Redenzione e divenendo Madre di tutti i credenti (cfr Gv 19, 25-27). Insieme a Lei entreremo nel Cenacolo, resteremo ai piedi della Croce, veglieremo idealmente accanto al Cristo morto attendendo con speranza l’alba del giorno radioso della risurrezione. In questa prospettiva, formulo fin d’ora a tutti voi i più cordiali auguri di una lieta e santa Pasqua, insieme con le vostre famiglie, parrocchie e comunità.

DOMENICA DELLE PALME DALLE OMELIE DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

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DOMENICA DELLE PALME DALLE OMELIE DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

In Mt., hom. 66, 1-2. PG 57, 627-628.

Gesù era venuto spesso a Gerusalemme; mai però vi era entrato in modo così solenne. Quale ne è il motivo? All’inizio del suo ministero egli non era molto conosciuto e a quel tempo neppure era prossima l’ora della sua passione. Gesù si mescolava alla folla senza alcuna distinzione, cercando anzi di passare inosservato. Qualora si fosse manifestato troppo presto, non avrebbe riscosso ammirazione, ma l’ira degli avversari sì sarebbe scatenata ben più violenta. Più tardi, invece, quando la croce è alle porte, dà prova sufficiente del suo potere, dispiega in modo più lampante la sua grandezza e compie con maggiore solennità ogni cosa, anche se ciò inasprirà la parte avversa. Ripeto che egli avrebbe potuto fare ciò sin dall’inizio della sua predicazione, ma non sarebbe stato né utile né vantaggioso.
Non considerare la menzione dell’asina poco importante. Quelli che si lasciarono portare via i loro animali, erano povera gente, forse dei contadini. Chi li persuase a non opporsi? Che dico? Neppure aprirono bocca. Insomma, perché acconsentirono oppure tacendo dettero via l’asina?
Nell’uno e nell’altro caso il comportamento di costoro è ugualmente ammirevole: sia lo starsene zitti quando vengono portate via le loro bestie; sia il non opporre resistenza dopo aver chiesto e avuto la spiegazione dagli apostoli: Il Signore ne ha bisogno. E sono tanto più ammirevoli, perché non vedevano il Signore, ma solo i suoi discepoli.
Questo episodio ci insegna che Gesù avrebbe potuto ridurre al silenzio e atterrare i Giudei che stavano per impadronirsi di lui, ma non volle farlo. Non solo, ma in quella circostanza dà anche un altro insegnamento ai discepoli: essi dovranno senza opporsi fare quanto egli chiederà loro, foss’anche la vita stessa. Se quegli sconosciuti hanno ceduto obbedienti, essi dovranno abbandonare tutto senza recriminazioni.
Allorché Gesù entra in Gerusalemme cavalcando un’asina, ci insegna l’umiltà e la moderazione. Egli non viene solo a compiere le profezie e a seminare la parola di verità, ma anche a istituire un modello di vita che si limiti al necessario e si ispiri ad un comportamento onesto.
Ecco perché, quando nasce, non cerca un magnifico palazzo, e neppure una madre ricca e illustre, ma si contenta dell’umile sposa di un carpentiere; nasce in una grotta e viene deposto in una mangiatoia. Per discepoli non sceglie né retori e dotti, né ricchi e nobili ma povera gente di modesta estrazione, del tutto sconosciuta.
Al momento del pasto, a volte si ciba di pane d’orzo, altre volte di quello che manda i discepoli a comprare in piazza, e l’erba gli serve da tavola. Si veste poveramente, come usa la gente del popolo, e non ha neppure una casa. Quando deve spostarsi da un luogo all’altro, fa i viaggi a piedi, tanto da esserne affaticato.
Gesù non ha nessun trono per sedersi né cuscino per posare il capo. Che sia sulla montagna o presso un pozzo – come quando era solo a parlare con la Samaritana – si mette semplicemente a sedere per terra.
Ci dà l’esempio della misura anche nei nostri dolori e nella nostra tristezza: quando piange, versa poche lacrime, in modo che indica i limiti da non oltrepassare e l’equilibrio, da mantenere.
Ecco un altro esempio di semplicità: prevedendo che molti, deboli fisicamente, non potranno sempre viaggiare a piedi, insegna con il suo esempio la moderazione: non è necessario andare a cavallo, non c’è bisogno di muli aggiogati, ma basta un’asina, e così non si eccede oltre il necessario.
Ma vediamo più da vicino questa profezia che si realizza in parole e in atti. Quale è dunque? Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te, mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma. (Cf Zc 9,9) Gesù non guida carri da guerra, come gli altri re; non impone tributi, non avanza sconvolgente scortato da un corpo di guardia, ma presenta d’ora in poi il modello della mitezza e della moderazione.

20 MARZO 2016 | 6A DOMENICA DI QUARESIMA: LE PALME – ANNO C | OMELIA

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20 MARZO 2016 | 6A DOMENICA DI QUARESIMA: LE PALME – ANNO C | OMELIA

GESÙ ENTRA A GERUSALEMME

Per cominciare Con il rito suggestivo della benedizione dell’ulivo la chiesa dà inizio solenne alla « settimana santa ». La Domenica delle Palme è vissuta con particolare partecipazione dal popolo cristiano. La lettura del testo della passione ci fa entrare con forza nell’animo di Gesù, che in questi giorni vive fino in fondo il mistero dell’incarnazione. Ma nell’aria c’è già il profumo della Pasqua.

La parola di Dio Luca 19,28-40. Sin dal capitolo 9 Luca presenta Gesù che prende « la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme ». Ora eccolo qui, su un puledro, che avanza nella città santa, mentre la folla stende i mantelli sulla strada e piena di gioia loda Dio e tributa a Gesù onori regali. Una folla mutevole, che gli volterà ben presto la faccia, chiedendo la sua condanna a morte. Isaia 50,4-7. Quello che viene proposto oggi è il terzo dei quattro canti del servo di Iahvè presenti nel libro di Isaia. Il capitolo si apre con il lamento da parte di Iahvè che sembra non trovare nessuno che risponda alla sua chiamata. Poi compare questo misterioso servo fedele che assume su di sé incondizionatamente la missione che gli è affidata. Incoraggia gli sfiduciati, si fa attento alla parola di Iahvè, accetta fino in fondo le conseguenze della sua missione. La descrizione è impressionante, se confrontata con la vicenda vissuta da Gesù nella sua passione: viene flagellato, insultato, schiaffeggiato, gli sputano in faccia, ma continua a confidare nel Signore, rendendo la sua faccia « dura come pietra ». Non è stato difficile al cristiani della chiesa apostolica vedere nella passione di Gesù il realizzarsi di questo testo profetico. Filippesi 2,6-11. All’inizio del capitolo Paolo invita la comunità di Filippi a vivere unanimi e concordi, evitando rivalità e vanagloria, dando la precedenza all’attenzione agli altri, così come ha fatto Gesù. Quindi riporta uno dei più importanti inni cristologici in uso nella liturgia della prima comunità cristiana, un testo straordinario, che descrive in modo realistico l’umiliazione a cui si è sottoposto il Figlio di Dio con l’incarnazione, ma anche l’esaltazione seguita a questa obbedienza, che gli ha procurato « un nome che è al di sopra di ogni nome » e una gloria senza misura. Luca 22,14-23,56. L’anno C ci presenta la passione di Cristo secondo il racconto di Luca. Ogni evangelista ha dato ampio spazio agli ultimi episodi della vita di Gesù, che in modo più vivo sono rimasti impressi nella memoria degli apostoli e sono stati oggetto della predicazione apostolica. Si tratta fondamentalmente di racconti costruiti su una base comune, ma che ogni evangelista ha poi ricostruito riferendo episodi attinti da fonti personali che si completano a vicenda. Luca si conferma l’evangelista della misericordia senza misura di Gesù, che viene presentato come l’esempio del servo fedele, che porta a termine fino in fondo la sua missione.

Riflettere

Si sa che i vangeli sinottici sono molti simili. In particolare per quel che riguarda il racconto della passione, Marco e Matteo sono quasi intercambiabili, pur nelle loro diverse sensibilità, dovute probabilmente sia ai diversi ricordi personali, che alla diversa destinazione del loro vangelo. Il racconto della passione secondo Luca invece, pur conservando un fondo comune, si stacca maggiormente dagli altri due. Il suo racconto è più breve, descrive gli avvenimenti da una diversa prospettiva teologica e appare personale anche nell’uso del vocabolario. Come dice all’inizio del suo vangelo, Luca nella sua ricerca ha probabilmente attinto a una fonte personale diversa. In particolare Luca presenta Gesù come il servo fedele, il modello del martire cristiano. Lo presenta in ginocchio nel giardino degli ulivi nel momento della prova, che accoglie nella preghiera come volontà del Padre, mentre, nella fatica della lotta, versa sangue come sudore. Accetta nel silenzio, con sovrana padronanza di sé, il processo e la condanna; si consegna agli aguzzini con il suo corpo e il suo sangue; muore con un grande atto di affidamento: « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito ». Luca è poi attentissimo a presentare la passione di Gesù come l’icona della tutta la sua vita. Lo descrive a tavola con i suoi discepoli in atteggiamento di servizio, accoglie amichevolmente Giuda nel momento che gli conduce la soldataglia per prenderlo; risana l’uomo a cui è stato staccato l’orecchio; con uno sguardo tocca il cuore di Pietro che incredibilmente ha detto per tre volte di non conoscerlo; muore perdonando chi lo crocifigge e spalanca il paradiso al malfattore che gli sta accanto: « Oggi con me sarai nel paradiso ». È ancora lo stesso Gesù, che nella sua vita ha sempre privilegiato la misericordia e la disponibilità al perdono. Gesù rivela la sua grandezza proprio nel momento in cui la sua umanità viene umiliata e ferita. Nello stesso tempo la passione di Cristo, proprio nel suo annientamento, proprio nel modo con cui il Figlio dell’uomo affronta la crocifissione e la morte, rivela il volto di Dio. « Veramente quest’uomo era giusto », dice il centurione. Più esplicito è il racconto di Marco, che fa dire al centurione: « Davvero quest’uomo era Figlio di Dio! » (15,39). Proprio per farci conoscere come e in che misura Dio ci ama, Gesù ha scelto quel modo di soffrire e di morire. Dice Gesù nel vangelo di Giovanni: « Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo » (10,17-18). « Quanto accadde a Gesù nel Calvario non fu frutto del caso, né del destino, neppure di un perverso processo giudiziario. Non fu altro che un perfetto atto di obbedienza alla volontà del Padre. La ignominiosa morte in croce del Figlio fu la più luminosa gloria del Padre. A dar luce sfolgorante a questa gloria del Padre fu appunto la tragica morte del suo Figlio che nella sua umanità portò il peso di tutti i peccati degli uomini di tutti i tempi » (mons. Giovanni Benedetti). Tuttavia il racconto di Luca presenta la passione di Gesù come l’effetto della coalizione di tutte le forze del male, come lo scatenamento di satana. Gesù viene tradito dagli amici, e uno dei suoi apostoli addirittura lo vende e lo consegna ai nemici; i capi religiosi e le autorità politiche si coalizzano contro di lui, pur sapendolo innocente; subisce gli insulti e le beffe di Erode e le violenze della soldataglia; la folla è scatenata contro di lui e ne chiede a gran voce la condanna, mentre Pilato pensava di liberarlo. Luca conserva in tanti particolari la sua peculiarità narrativa, che è quella di attutire i toni, di alleggerire le accuse: gli apostoli nel Getsemani dormono non per indifferenza, ma per la tristezza; Pietro tradisce, ma pentito piange poi amaramente; Matteo e Marco dicono che i due ladroni insultavano Gesù, invece Luca racconta che uno dei due, commosso per il castigo ingiusto subìto da Gesù, rimprovera l’altro. Infine Gesù è accompagnato nel suo Calvario dal pianto di alcune donne venute dalla Galilea, che si battono il petto. Donne che quasi per un misterioso sentire, dopo la crocifissione di Gesù, insieme ad altri conoscenti, stanno da lontano a osservare ogni cosa. Quasi ad attendere l’imminente Pasqua di risurrezione.

Attualizzare

Da cinque settimane ci prepariamo alla Pasqua. Giorni scivolati veloci, che forse non hanno lasciato un traccia significativa nella nostra vita. Un tempo tutto aiutava a viverli più seriamente. Le molte attenzioni e le stesse piccole rinunce venivano accolte con maggior disponibilità e convinzione, mentre oggi molti di noi non sono più capaci di dare alla quaresima il tradizionale carattere di austerità. Ci rimane l’ultima settimana, la « settimana santa », quella che ci farà rivivere i momenti più drammatici della vita di Gesù, eventi umanissimi e tragici che non mancano ancora oggi di emozionarci. La « Domenica delle Palme » si apre con l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme. Piace a tutti questo Gesù regale e pacifico che cavalca un puledro tra due ali di folla osannante. Ci sembra giusto che alla vigilia della sua più drammatica umiliazione gli venga riconosciuta la sua dignità regale che gli spetta come messia. La sua è una sfida aperta, destinata a condurlo alla croce. Racconta Giovanni che dopo la risurrezione di Lazzaro la popolarità di Gesù è ancora cresciuta. Per questo i giudei si sono decisi di ucciderlo. Lo dice Caifa a nome di tutti: « È conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera! » (Gv 11,50). La condanna a morte di Gesù è senza dubbio uno degli episodi più infamanti dell’umanità. Un atto di ingiustizia compiuto contro un innocente da parte di una coalizione di potenti che si liberano di lui per calcolo politico. Anche il popolo, influenzato dalle autorità, si fa corresponsabile e chiede la morte di un giusto. Nello stesso tempo è qualcosa che facciamo fatica a capire, perché Gesù si consegna alla croce volontariamente per obbedienza al Padre; « Perché si compiano le Scritture, secondo le quali così deve avvenire » (Mt 26,54). Per questo la sua morte in croce rappresenta il vertice dell’amore del Figlio di Dio, che ha voluto per amore condividere fino in fondo l’esperienza umana, anche quella della sofferenza: « Svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini… facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce » (Fil 2,7-8). « Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta. Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio, solo il Dio sofferente può aiutare » (Dietrich Bonhöffer). La passione di Luca si chiude con la deposizione di Gesù nel sepolcro e ricorda che « era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato ». Le donne osservano ogni cosa e il giorno dopo preparano aromi e oli profumati. Tutto annuncia ormai la Pasqua di Gesù.

Per amore « Quelle mani che hanno benedetto tutti ora sono inchiodate alla croce, e i piedi che hanno tanto camminato per seminare speranza e amore ora sono attaccati al patibolo. Perché, Signore, non sei sceso dalla croce rispondendo alle nostre provocazioni? Non sono sceso dalla croce perché altrimenti avrei consacrato la forza come signora del mondo, mentre è l’amore l’unica forza che può cambiare il mondo. Perché, Signore, questo pesantissimo prezzo? Per dirvi che Dio è amore, infinito amore, amore onnipotente » (card. Angelo Comastri).

Eliminare il crocifisso dai luoghi pubblici? « Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. È là, muto e silenzioso. È il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Per i cattolici, è il Figlio di Dio. Per i non cattolici può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti e traditi e martoriati per la loro fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è l’immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti… Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli, tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi… Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici. È il contrario di tutte le guerre… il contrario degli aerei che gettano bombe… » (Natalia Ginsburg).

Don Umberto DE VANNA sdb

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