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SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI (2012)

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SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano

Giovedì Santo, 5 aprile 2012

Cari fratelli e sorelle!

Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato. Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione.
Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita. Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità.
Durante questo cammino, Egli ha cantato con i suoi Apostoli i Salmi della liberazione e della redenzione di Israele, che rievocavano la prima Pasqua in Egitto, la notte della liberazione. Ora Egli va, come è solito fare, per pregare da solo e per parlare come Figlio con il Padre. Ma, diversamente dal solito, vuole sapere di avere vicino a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono i tre che avevano fatto esperienza della sua Trasfigurazione – il trasparire luminoso della gloria di Dio attraverso la sua figura umana – e che Lo avevano visto al centro tra la Legge e i Profeti, tra Mosè ed Elia. Avevano sentito come Egli parlava con entrambi del suo “esodo” a Gerusalemme. L’esodo di Gesù a Gerusalemme – quale parola misteriosa! L’esodo di Israele dall’Egitto era stato l’evento della fuga e della liberazione del popolo di Dio. Quale aspetto avrebbe avuto l’esodo di Gesù, in cui il senso di quel dramma storico avrebbe dovuto compiersi definitivamente? Ora i discepoli diventavano testimoni del primo tratto di tale esodo – dell’estrema umiliazione, che tuttavia era il passo essenziale dell’uscire verso la libertà e la vita nuova, a cui l’esodo mira. I discepoli, la cui vicinanza Gesù cercò in quell’ora di estremo travaglio come elemento di sostegno umano, si addormentarono presto. Sentirono tuttavia alcuni frammenti delle parole di preghiera di Gesù e osservarono il suo atteggiamento. Ambedue le cose si impressero profondamente nel loro animo ed essi le trasmisero ai cristiani per sempre. Gesù chiama Dio “Abbà”. Ciò significa – come essi aggiungono – “Padre”. Non è, però, la forma usuale per la parola “padre”, bensì una parola del linguaggio dei bambini – una parola affettuosa con cui non si osava rivolgersi a Dio. È il linguaggio di Colui che è veramente “bambino”, Figlio del Padre, di Colui che si trova nella comunione con Dio, nella più profonda unità con Lui.
Se ci domandiamo in che cosa consista l’elemento più caratteristico della figura di Gesù nei Vangeli, dobbiamo dire: è il suo rapporto con Dio. Egli sta sempre in comunione con Dio. L’essere con il Padre è il nucleo della sua personalità. Attraverso Cristo conosciamo Dio veramente. “Dio, nessuno lo ha mai visto”, dice san Giovanni. Colui “che è nel seno del Padre … lo ha rivelato” (1,18). Ora conosciamo Dio così come è veramente. Egli è Padre, e questo in una bontà assoluta alla quale possiamo affidarci. L’evangelista Marco, che ha conservato i ricordi di san Pietro, ci racconta che Gesù, all’appellativo “Abbà”, ha ancora aggiunto: Tutto è possibile a te, tu puoi tutto (cfr 14,36). Colui che è la Bontà, è al contempo potere, è onnipotente. Il potere è bontà e la bontà è potere. Questa fiducia la possiamo imparare dalla preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi.
Prima di riflettere sul contenuto della richiesta di Gesù, dobbiamo ancora rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli Evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che Egli “cadde faccia a terra” (Mt 26,39; cfr Mc 14,35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca.
Gesù lotta con il Padre. Egli lotta con se stesso. E lotta per noi. Sperimenta l’angoscia di fronte al potere della morte. Questo è innanzitutto semplicemente lo sconvolgimento, proprio dell’uomo e anzi di ogni creatura vivente, davanti alla presenza della morte. In Gesù, tuttavia, si tratta di qualcosa di più. Egli allunga lo sguardo nelle notti del male. Vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere. È lo sconvolgimento del totalmente Puro e Santo di fronte all’intero profluvio del male di questo mondo, che si riversa su di Lui. Egli vede anche me e prega anche per me. Così questo momento dell’angoscia mortale di Gesù è un elemento essenziale nel processo della Redenzione. La Lettera agli Ebrei, pertanto, ha qualificato la lotta di Gesù sul Monte degli Ulivi come un evento sacerdotale. In questa preghiera di Gesù, pervasa da angoscia mortale, il Signore compie l’ufficio del sacerdote: prende su di sé il peccato dell’umanità, tutti noi, e ci porta presso il Padre.
Infine, dobbiamo ancora prestare attenzione al contenuto della preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Gesù dice: “Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). La volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato. Tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu. Con ciò Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo. L’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero – solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi. Amen.

DALL’ OSANNA AL CRUCIFIGE, DI DON GIUSEPPE LIBERTO

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DALL’ OSANNA AL CRUCIFIGE

DI DON GIUSEPPE LIBERTO

L’Osanna del trionfo

Con l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, si entra nel cuore del mistero pasquale. Prima di soffrire la passione e la morte, Gesù fece un ingresso trionfale nella città santa. Lo realizzò non con l’alterigia di un re trionfatore su un esercito sconfitto, ma con l’umile semplicità di chi sta vivendo un evento importante e misterioso della sua vita.
Gli evangelisti raccontano che il Maestro, trovandosi presso il monte degli Ulivi, ordinò a due discepoli di prelevare un puledro. I personaggi importanti, come anche i guerrieri, montavano il cavallo, perché il puledro era la cavalcatura dei poveri, dei semplici, dei pacifici. Gesù salì sopra il puledro e si diresse verso Gerusalemme; mentre avanzava, la folla stendeva i mantelli sulla strada cantando: Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli! (Lc 19,37-38). Matteo e Marco, oltre ai mantelli, aggiungono anche rami d’ulivo e fronde tolti dagli alberi. Luca ci descrive la reazione di tenerezza di Gesù che, in vista della città santa, piange su di lei che lo rifiuta e lo condanna. Quelle lacrime non sono d’impotenza, ma di amore, di delusione, di sconfitta. Per la città che lo rifiuta, Gesù prova profondo dolore (cf 19,41-44).
L’ingresso trionfale non piacque ai farisei e agli avversari di Gesù. Luca, infatti, riferisce che alcuni farisei pretendevano che il Maestro imponesse ai discepoli di tacere, ma la risposta fu tagliente: Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre (v. 40).
Perché Gesù ha voluto compiere questo gesto di trionfo in Gerusalemme, centro dell’ebraismo e custode della promessa messianica? Matteo lo annota diligentemente: Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma (21,4-5). Ora, l’applauso e l’entusiasmo della folla, anche se sinceri e spontanei, si erano fermati ai soli gesti prodigiosi, al puro aspetto antropologico. Gli interessi umani impedivano di percepire pienamente Gesù di Nazareth come uomo-Dio.
Radicalmente diverso era l’atteggiamento dei farisei e degli avversari i quali pretendevano addirittura che non inneggiassero col grido degli Osanna. Contro loro Gesù lanciò la sfida che le pietre si sarebbero sostituite ai discepoli. Chi chiude gli occhi del cuore alla verità si rende non capace a percepirla. Il rifiuto di Cristo esclude l’uomo dal suo Regno di luce e di pace. Gesù non vuole discepoli muti ma credenti che nel silenzio del cuore credono e con il canto della bocca professano il loro credere.
Il vero credente non cade nell’equivoco della folla che vede in Gesù un personaggio che si accredita come re col potere temporale di questo mondo. Gesù, consapevole che la sua regalità è oblazione, offerta e immolazione, dinanzi a Pilato rivelerà la natura e l’identità del suo regno. Egli assume la condizione di Servo sofferente e s’immola sulla croce per redimere l’umanità e riconciliarla con Dio.
Ogni giorno Gesù fa l’ingresso nelle nostre città, nelle nostre case, nelle nostre chiese, nel nostro cuore: ai credenti sono richieste solo le opere che testimoniano la fede.

Il Crucifige della Passione
Con i suoi miracoli e con la sua predicazione, diversa da quella insegnata dagli scribi e dai farisei, Gesù era diventato un personaggio scomodo, per questo motivo gli scribi e i farisei avevano deciso di eliminarlo. Si tratta di quel potere diabolico, sempre in atto, che, invece di servire, serve per eliminare chi ti è scomodo, chi non ti serve o chi non ti appartiene. Nella vita c’è sempre un “Giuda” che ti tradisce. Ed ecco, pronto il corrotto e il traditore che mette in atto il progetto dei sommi sacerdoti e degli scribi che volevano impadronirsi di Gesù per ucciderlo. Dopo aver celebrato la Pasqua con i suoi discepoli, Gesù è catturato nell’orto degli Ulivi mentre pregava. Sottoposto a giudizio sia dal tribunale religioso che da quello politico è condannato a morte mediante crocifissione. Gesù accetta, con straordinaria dignità e consapevolezza, il tradimento e il giudizio farsesco dei due tribunali. Anche se siamo abituati a vedere o a subire simili processi-farsa, tuttavia quello di Gesù ha toccato i vertici della pazzia diabolica. Quello che scombussola la ragione è il fatto che il potere religioso e politico erano convinti di agire in modo falso e perverso. Questi i capi d’accusa contro Gesù: è un menzognero, un sobillatore del popolo, un falsificatore della verità. Si proclama figlio di Dio, osa rimettere i peccati e guarire i malati di sabato, tenta, perfino, di distruggere il Tempio. Il Salvatore dell’umanità è subito catturato, processato, condannato al patibolo della croce come un malfattore.
Se il processo condotto dal potere religioso e politico fu una farsesca messa in scena, la passione e la morte che Gesù subì fu tremenda realtà che continua a scuotere il cuore e l’intelligenza dell’uomo. Siamo sempre più convinti che ogni ingiusta condanna dell’innocente grida vendetta al cospetto di Dio. Si vergognino e tremino quanti operano direttamente o indirettamente per condannare e crocifiggere i propri fratelli in umanità e fede.
Nel dramma della Passione di Gesù, Pilato, Erode, Anna, Caifa, Giuseppe d’Arimatea, i discepoli terrorizzati, Giuda il traditore suicida, sono tutti personaggi di spicco e simboli per l’umanità. Si è come Giuda quando si tradisce nell’amore e non si chiede perdono. Si è come Pilato, quando non si prende posizione chiara per la verità. Si è come Anna e Caifa, quando ci si ostina a non riconoscere Gesù come Figlio di Dio e Salvatore dell’uomo. Si è come gli apostoli, quando nelle prove, nelle persecuzioni, nel dramma del dolore ci si comporta come loro preferendo la fuga della paura all’abbandono confidente in Dio. I gesti del lavarsi le mani o di lanciare sfide a Cristo per scendere dalla croce hanno soltanto sapore di farsa. Nel dramma della Passione e della Morte, il vero trionfatore rimane Gesù Crocifisso e i fedeli discepoli uniti e configurati a Lui.

Publié dans:biblica, meditazioni, SETTIMANA SANTA |on 31 mars, 2015 |Pas de commentaires »

ESSERE PASQUALE, ESSERE TERRA DI PASSAGGIO (METR. GEORGES DEL MONTE LIBANO)

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ESSERE PASQUALE, ESSERE TERRA DI PASSAGGIO (METR. GEORGES DEL MONTE LIBANO)

A cosa devo allenarmi durante il periodo di Pasqua? Se Pasqua significa passaggio, altro non mi resta che abbandonare tutto per andare incontro a Cristo. Nella festa c’è Cristo e lui soltanto. Nel cristianesimo c’è Cristo e lui soltanto. Tutto il resto è una maniera per parlare di lui. L’universo non è un suo appendice bensì ne è una traduzione. Una volta mi fu chiesto: “Se fossi obbligato a vivere da solo su un’isola deserta, che cosa ti porteresti dietro dal mondo?” Risposi: “Il sermone della montagna in Matteo e il Vangelo di Giovanni”.
Tu sai Signore che noi ortodossi, durante la settimana santa, in casa, leggiamo tutti i vangeli perché il Vangelo sei tu.
In cosa esercitarmi a Pasqua? Cercare di diventare Vangelo, di diventare Parola così che la gente possa leggermi e vivere. Il Cristianesimo è fatto di volti che hanno ricevuto l’illuminazione perché a loro volta illuminino altri. Ecco la Pasqua viva. Questo è ciò che mi rende possibile portare la gente al volto del Padre, far sì che “passino”. Come vivere? “Non sono io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Il Cristianesimo non è un sistema religioso. E’ amore, è adesione a Cristo. Egli ci fa dimenticare il nostro volto per vedere il suo e in esso il mondo intero. Essere pasquali significa essere sempre al di là di noi stessi e del mondo affinché diventiamo mondo e il mondo diventi noi. Non si tratta di sistemi o di teorie. Tutto è suo volto fino al punto tale che tutti i volti svaniscono, o meglio, in essi leggiamo il volto di lui.
Come esercitarmi? Dimenticare me stesso fino a vedere in me soltanto lui, fino a vedermi affacciato sull’infinito. Come esercitarmi? Mettermi davanti a me stesso e vedere lui come unica cosa necessaria. Non devo dialogare: devo accoglierlo. Il tuo volto, Signore, il tuo volto, questo sarà il mio anelito fino alla fine del mondo.
Io sarò “passaggio”, Signore, fino al giorno in cui ti incontrerò. Fa che io non mi distragga con me stesso: “Fa’ splendere il tuo volto sul tuo servo” (Sal 30,17) perché io sia tua luce. Portami verso di te affinché ti conosca. Non mi lasciare nell’inospitalità di questo mondo. Non lasciarmi in preda alle fiere. Vieni, e in questo tuo venire io sarò creato. Venendo da me, Signore, continuerò a camminare verso il tuo volto. Vedendoti, il tuo volto diventerà per me il mondo. Che cosa può mai giovarmi se non il tuo volto solo? Esso è Pasqua. Non mi distragga da te altro volto. Inchioda su di te i miei occhi. Ogni giorno desidero il tuo volto, Sovrano. Esso solo mi basta, per me è vita. Addestrami a vederti tutto per me in questo secolo e nel secolo a venire cosicché io possa sentire che tu sei l’essere. Ammaestrami a lasciare tutto affinché ti veda. Quando ti raggiungerò, ti prenderai tu cura di me. Diventerò pasquale in te. Quando ti raggiungerò, sarà finito il mio peregrinare.
Nulla dopo Cristo, nulla senza Cristo. Ciò che non è dilatazione di lui o parlare di lui non è nulla. Nella Pasqua o divento lui o non sono niente. Amandolo, cresco per lui e in lui. Non voglio oltre a lui nulla perché egli è tutto. Tutti i santi sono in lui e verso di lui. Quando li guardi, non cercare loro. Cerca il volto di Gesù dipinto in loro.
Come esercitarmi? Tutto quello che c’è da fare è portarmi verso il Signore. Presso di lui, esisteremo, nel Padre, inizio e fine, verso il quale il Cristo della storia è tutto proteso. Non sono nulla se non divento pasquale, cioè con lo sguardo rivolto al Padre-meta.
Nulla sono se il Signore non mi porta al volto del Padre suo e ciò non avverrà se non quando diventerò terra pasquale, luogo di passaggio da me stesso al Padre per Cristo Gesù.

Metr. Georges Khodr del Monte Libano
19.4.2014 (fonte: al-Nahar)
traduzione dall’arabo
a cura di Natidallospirito.com

Publié dans:meditazioni, SETTIMANA SANTA |on 30 mars, 2015 |Pas de commentaires »

DOMENICA DELLE PALME – Gianfranco Ravasi

http://www.suoredimariabambina.org/tempoliturgico/tempoliturgico201503_8.html

DOMENICA DELLE PALME

Gianfranco Ravasi

Isaia 60, 4-7; Filippesi 2, 6-11; Marco 14,1 – 15,47

La liturgia di oggi ci presenta a commento del racconto della passione di Marco un brano tratto dal Libro delle consolazioni di Isaia e un inno della Chiesa primitiva che Paolo ha inserito nella lettera ai Filippesi.
Nel contesto dell’annuncio di speranza e di consolazione del Secondo Isaia (Is 40-55) si inseriscono i quattro Carmi del Servo di Jahweh nei quali la Chiesa ha sempre visto una prefigurazione del Messia, e soprattutto della sua passione. In effetti il terzo di questi Carmi, quello che leggiamo in questa domenica, è una composizione autobiografica che racconta l’esperienza di persecuzione di cui è vittima il profeta. Annunciatore della Parola di Dio agli sfiduciati (v. 4), ai quali si presenta come modello di costanza nella speranza, il profeta subisce persecuzione e violenza. È percosso sulla schiena, secondo il trattamento riservato agli stolti e alle bestie (Gb 16, 7-11; Prov 10, 13; 19, 29) lui che è il sapiente per eccellenza perché porta la Parola di Dio.
L’inno cristologico della lettera ai Filippesi era, con ogni probabilità, originariamente una professione di fede molto antica ad uso liturgico che Paolo inserisce nella lettera per invitare i cristiani di quella comunità a vivere secondo uno stile ispirato alla vita di Cristo.
Si parte proprio dalla preesistenza e dalla divinità (v, 6) per sottolineare il senso della vicenda terrena del Cristo. Egli da quella condizione si è abbassato, ha «svuotato» se stesso facendosi «servo», come l’uomo che è servo del peccato, e condividendo anche la morte (vv. 7-8), cioè la radicalità estrema della realtà umana. Fin qui il soggetto è stato Gesù; d’ora in poi l’inno descrive l’intervento di Dio su questa storia: il soggetto sarà il Padre.
«Perciò» il Padre lo ha esaltato al di sopra di tutto (v. 9), lo ha fatto oggetto di adorazione universale (v. 10) e gli ha dato il titolo di «Signore» (v. 11), termine col quale la Bibbia greca traduceva Jahweh (Kyrios).
La professione di fede nella divinità di Cristo è in stretta connessione con la sua vicenda terrena. Nelle coppie terminologiche «condizione di Dio» — «simile all’uomo» e «servo» — «Signore» è racchiuso il mistero di Gesù Cristo nostro Signore. Proprio perché il Cristo ha attraversato l’intera vicenda umana, l’uomo può essere recuperato a Dio e riconquistato nella sua totalità.
E, parallelamente, solo la vicenda di Gesù e in particolare la croce ci permettono di incontrare Dio che si rivela nel suo Figlio.
Guidati da queste due chiavi di lettura possiamo allora accingerci a leggere il racconto della passione. Andremo a cercare un uomo trattato come un buffone, rifiutato dai suoi contemporanei e che invece parla a nome di Dio (prima lettura), e un uomo che attraverso la sua vicenda mostrerà il vero volto di Dio, perché egli solo può dire di Dio Abbà-Padre (seconda lettura).
Con l’arresto (14, 43-51) Gesù è abbandonato dai discepoli che fuggono spaventati: il racconto del giovanetto che fugge nudo sembra il tipo dell’atteggiamento di chi finora ha seguito Gesù, ma non ha ancora capito quale mistero racchiuda veramente quest’uomo.
Quella domanda sulla vera identità di Gesù che ha fatto da motivo conduttore per tutto il vangelo di Marco comincia a ricevere ora una risposta definitiva: la croce dirà veramente chi egli sia. Durante il processo (14, 52-65) Gesù svela la sua vera identità, per la prima volta dice chiaramente che egli è il Figlio di Dio. Di fronte a questa rivelazione scattano però il rifiuto e la condanna del Sinedrio e il rinnegamento di Pietro (14, 66-72).
In modo quasi ironico anche l’autorità romana riconoscerà la verità di Gesù solo nella motivazione della condanna: in una coreografia che richiama le apparizioni pubbliche dei re, con un ministro alla destra e uno alla sinistra, è crocefisso il «re dei giudei». Di fronte alla croce, però, Marco colloca il vertice tematico del suo vangelo: ora è possibile professare veramente il riconoscimento del Cristo, ora è possibile la fede. Il centurione romano per primo riconoscerà in quell’uomo crocefisso il Figlio di Dio (15, 39).
Anche noi allora dobbiamo guardare alla croce per riconoscere il Figlio di Dio, per ripulire la nostra fede dagli idoli che ci siamo fatti, magari manipolando secondo i nostri schemi il Dio della croce, per professare la nostra fede limpida assieme al centurione romano.
Il Dio della croce ci si presenta come il Dio che si «svuota» e condivide la situazione dell’uomo: questa è la lettura della sua vicenda terrena secondo la professione di fede dell’inno di Filippesi. Il Dio della croce non è il Dio che sta lassù e al quale dobbiamo strappare la vita eterna, ma è il Dio che viene quaggiù per offrirci la sua comunione. Lui si è fatto nostro fratello chiamandoci a farci fratelli gli uni degli altri, perché così siamo in comunione con lui. La via della salvezza diventa allora la via della condivisione e della solidarietà contro l’egoismo e l’individualismo.
Il Dio della croce non è nemmeno un Dio che ci strappa al mondo, che cancella la vicenda di questa storia umana, è il Dio che è venuto nella storia dell’uomo per dare ad essa un significato. Anche la morte non è più un fallimento, una fine, ma è un momento decisivo, come per Cristo è stata il momento della completa adesione a Dio. La via della salvezza allora non è la via del disinteresse per questo mondo, della fuga per cercare qualcos’altro, ma la via in cui si vive la storia per il suo vero valore: una storia che Dio ha fatto la sua storia di salvezza.
Infine il Dio della croce non è il Dio della resa dei conti, non è il Dio che giudica secondo la giustizia dell’uomo, ma è il Dio misericordioso e disponibile, che aspetta che l’uomo torni a lui come il padre della parabola di Lc 15. Non è il Dio che pianifica giustiziando i cattivi, ma che aspetta che tutti possano salvarsi: il Dio della croce vuole che nessuno si perda (Gv 3, 17). La via della salvezza è allora quella della misericordia, quella che fugge i giudizi affrettati, quella protesa a sollevare gli uomini, quella che si preoccupa di perderne il meno possibile lungo la strada.
Questa liturgia è anche un concreto invito catechetico allo studio e alla meditazione del ciclo evangelico «Passione-Pasqua», una delle prime «schede» della predicazione cristiana apostolica, uno dei primi articoli di fede del credo cristiano (1 Cor 15, 3-5; At 13). Si tratta di pagine destinate a credenti che celebrano liturgicamente la Pasqua del Signore: At 4, 24-31 presenta appunto la Commemorazione della Passione in un contesto di preghiera. Non è quindi, come abbiamo visto, una mera biografia o un racconto drammatico che voglia suscitare commozione sentimentale.
È invece una narrazione «profetica» che cerca di svelare negli eventi la presenza salvifica di Dio che, divenendo nel Figlio uomo, può salvare l’uomo. Marco in particolare ci offre un testo fortemente kerigmatico pur secondo l’ottica del «segreto messianico»; l’obbiettività dei fatti è dura, realistica, scandalosa. Ma questa paradossalità diviene annuncio di salvezza. Infatti è dalla croce che si ha la piena e più alta adesione di fede.
La Passione, allora deve diventare il vero thesaurus credentium, come scriveva l’Imitazione di Cristo.
O, come suggeriva una glossa agostiniana, la narrazione della Passione, «diretta dalla fede, deve dirigere la fede».

SPUNTI PASTORALI
1. Il Dio della croce è il Dio «svuotato» (11 lettura), solidale con l’uomo sino alla frontiera estrema, quella della morte. Da questa vicinanza estrema nasce una diversa concezione di Dio: egli non sta lassù, isolato nella sua splendida sfera trascendente, ma si fa solidale e fratello.
Da questa vicinanza estrema nasce una diversa concezione dell’uomo: la «carne» e la storia dell’uomo hanno un senso, contengono un seme di divinità e di eternità che sta crescendo e fiorendo.
Il mondo e l’uomo sono ora santi e consacrati dal passaggio di Dio: è nata la «storia della salvezza». Da questa vicinanza estrema nasce anche una diversa concezione del destino: alla visione del Dio giudice si sostituisce quella del Dio che ama e che si dona per riscattare dal male il suo fratello più debole. Scriveva J. Moltmann nella sua nota opera II Dio crocifisso: «Il Dio della libertà, il vero Dio, non lo si conosce dalla potenza e dalla gloria che egli manifesta nel mondo ma dalla sua impotenza e agonia sofferte sul legno della vergogna, sulla croce di Gesù. Gli dei del potere e dell’opulenza, che vivono nel mondo e nella sua storia, stanno dall’altra parte della croce, perché è in loro nome che Gesù viene crocifisso».

2. Davanti alla croce di Cristo sfila l’umanità con la sua risposta: c’è il rifiuto drammatico di Giuda, l’odio implacabile del potere sinedrale, la fragilità traditrice di Pietro, la paura del giovinetto anonimo, ma c’è anche il vertice dell’amore e della fede, quello del centurione romano che accoglie nella sua pro-fessione di fede (Mc 15, 39) le parole rivelatrici pronunziate da Gesù durante il suo processo. Si chiude così l’itinerario di tutti i credenti: «Veramente costui è Figlio di Dio!».Dio.

da: Gianfranco Ravasi – Celebrare e vivere la Parola

OMELIA 29 MARZO – DOMENICA DELLE PALME

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/25108.html

OMELIA 29 MARZO – DOMENICA DELLE PALME

mons. Antonio Riboldi

Domenica delle Palme

Ci volle un gran coraggio – che è la natura dell’amore – da parte di Gesù per entrare in Gerusalemme quel giorno delle Palme. Lui sapeva molto bene e lo avevano avvertito i suoi, gli Apostoli, che il vaso dell’odio e della volontà di toglierLo di mezzo, in coloro che Gesù, disturbava, perché addirittura metteva in crisi la religione dei padri come da loro era interpretata e insegnata, ormai traboccava. Non si sapeva come questo odio potesse esplodere, ma gli Apostoli percepivano che questa volta poteva succedere qualcosa di tragico; certo non immaginavano neppure che sarebbe finita, come poi accadrà, con l’arresto, la passione e la morte in croce del loro amato Maestro. Eppure Gesù li aveva preparati alla Sua fine.
Aveva detto che Lui un giorno sarebbe salito a Gerusalemme e lì gli scribi e i farisei – ossia quei custodi della legge che Gesù non esitava a definire ‘ipocriti’ per il fatto che erano esigenti nel pretendere l’osservanza della legge, che trasgredivano con facilità, ‘nascondendosi’ dietro un’immagine di un Dio padrone e non il vero Dio d’Israele, che sempre è stato per il Suo popolo un Padre premuroso – innocente, Lo avrebbero fatto arrestare, flagellare e condannare a morte, con la sola colpa di essere la VERITA’ e l’AMORE.
Più volte Gesù aveva affermato che sarebbe stato arrestato e messo a morte, ma che poi il terzo giorno sarebbe risorto, e, con la sua morte e resurrezione, avrebbe aperto a tutti la possibilità della resurrezione, la nostra resurrezione!
Chissà con quanta tristezza nel cuore Gesù andava con il suo pensiero alla sorte che gli sarebbe toccata. E fa una grande impressione, al solo leggere il Vangelo, pensare a Gesù che nella notte del Giovedì, dopo avere celebrato la Pasqua con i suoi, si ritira solo nel Getsemani a pregare, chiedendo la compagnia dei tre diletti apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.
Quante volte, anche noi, nel momento del dolore e della prova, ci sentiamo come Gesù che suda sangue e cerca la compagnia e il sostegno degli amici, che erano a due passi da Lui.
Ma li trova addormentati. Era davvero solo a soffrire: una sofferenza che, sapendo quello che Lo attendeva, gli fa dire: ‘Padre, se è possibile, passi da me questo calice ‘.
Una preghiera che, se fosse stata accolta dal Padre, avrebbe annullato la nostra possibilità di partecipare alla resurrezione.
Ma Gesù è l’Amore, un Amore che non conosce confini e limiti, ecco dunque la sua consapevole scelta e decisione, come uomo e come Dio: ‘ma si compia in me la tua volontà ».
Suscita tanta tristezza il racconto di Gesù che cerca conforto negli apostoli, che aveva scelto, con cui aveva condiviso tutto, volendoli in quel sublime momento vicino a Sé, e… li trova addormentati! Sono scene che richiamano tante volte la nostra storia nel dolore.
Quante volte cerchiamo compagnia e conforto e troviamo solitudine! E, ancor peggio, quante volte siamo ‘addormentati’ di fronte alle richieste di aiuto di chi è nel dolore!!
Quanti insegnamenti ci offre Gesù per la nostra vita, quando soffriamo o quando dovremmo essere un sostegno per chi soffre.
Ma Gesù conosce la nostra debolezza e non si scandalizza. Infatti solo qualche giorno prima della Sua Passione, si era abbandonato all’amore espresso da chi lo accoglieva portando le palme.
Oggi, ricordiamo quel momento di festa, in cui prevalse in tutti un senso o una voglia di pace.
E’ bello anche per noi metterci al seguito di Gesù nel solenne ingresso in Gerusalemme.
Così lo racconta Marco:
« Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il Monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse: ‘Andate nel villaggio, che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale mai nessuno è salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: ‘Perché fate questo?’ rispondete: ‘Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito’.
Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada e lo sciolsero.
E alcuni dei presenti però dissero loro: ‘Perché fate questo?’. Risposero: ‘Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito’ e li lasciarono fare.
Essi condussero l’asinello da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed Egli vi montò sopra.
E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e venivano dietro, gridavano: ‘Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! ‘. (Mc. 11, 1-10)
E’ stato davvero un atto di gioia e coraggio quello di Gesù, osannato da gente semplice che vedeva in Lui il Messia che suscitava tanta speranza: una speranza che non ha le sue basi nella pomposità degli uomini, che amano esibirsi, ma nella semplicità che ha radici nella povertà di spirito.
Sono davvero gli umili, la gente semplice, quella che, anche oggi, ‘vede’ oltre le apparenze e fa festa a Gesù, che è tra di noi.
Entrare nella vita, cavalcando un asino e attorniato da gente modesta, non so se possiamo chiamarlo, secondo i nostri parametri moderni, un ‘trionfo’. Noi siamo abituati ad altro ed è per questo che non riusciamo a scorgere ed accogliere la bellezza della Pasqua.
Ma per i credenti ci si commuove oggi, celebrando la domenica delle Palme, anche solo tentando di intuire i sentimenti nel cuore di GESÙ, che, conoscendo le Scritture sul Servo sofferente, ben sapeva ciò che lo attendeva in settimana: non più la dolcezza e spontaneità dei ‘piccolì, ma la furia dell’odio di altri che non Lo sopportavano.
Il racconto della passione di Gesù, che la Chiesa ci offre oggi, in chi sa entrare nello spirito del Vangelo, ha sempre un effetto profondo nel suo cuore.
Subito ci viene da identificarci con qualche personaggio che ha un ruolo, più o meno importante nella vicenda. Viene da chiederci « Io chi sono? ». Forse Pietro che nel pericolo Lo rinnega? O Maria di Magdala che lo segue nella via del Calvario fin sotto la croce, condividendo dolore e umiliazione? O Pilato che si lava le mani per non avere fastidi, anche se questo suo non assumersi responsabilità, significa aprire la strada a ingiustizie e crimini? O forse, seppur in momenti diversi, un po’ di ciascuno di loro vive in noi?
Per questo, nonostante le nostre fragilità e le nostre infedeltà, siamo chiamati, come ogni uomo, ad accompagnare Gesù sul Calvario, per essere inondati dal fiume di misericordia che sgorga dal suo costato. Sarà questo lo spirito con cui vogliamo vivere in questa settimana Santa?
Lo auguro di cuore a tutti per uscire ‘nuovi’, davvero risorti a vita nuova nella Pasqua.
Auguri di una buona e santa Settimana!
INVITO ALLA PARTECIPAZIONE, NELLA FEDE, AI RITI DELLA SETTIMANA SANTA.
Chiamiamo, quella che precede la Pasqua, Settimana santa, perché in essa non solo ricordiamo, ma siamo chiamati a partecipare alle stupende liturgie, in cui si compiono i Misteri che si celebrano. Partecipando alle varie celebrazioni, si ha come l’impressione di vedere all’opera l’amore di Dio, che, per associarci di nuovo alla Sua famiglia, ‘si serve’ del Figlio per farci persone nuove, degne di far parte della Loro stessa famiglia, compiendo atti che non sono un ricordo, ma memoria attuale e fondamenta della vita della Sua Chiesa.
Non è concepibile per un fedele fermarsi al ‘folklore’ esterno, che tante volte circonda le varie liturgie. Basta pensare ai cosiddetti ‘sepolcri’, che si allestiscono, la sera del giovedì santo, o alle tante ‘scenografie’ della Via Crucis nella notte della Pasqua di Resurrezione.
Sono simboli o rappresentazioni degli avvenimenti, ma occorre, nella fede, ‘entrare e partecipare’ alla grande Opera divina, al Mistero, che si compie.
Non dobbiamo restare solo spettatori, ma diventare credenti, che vogliono farsi coinvolgere, con tutto il loro essere, dal Mistero di Amore che è la Pasqua di resurrezione di Cristo e nostra.
GIOVEDÌ SANTO: in tutte le cattedrali delle Diocesi al mattino i presbiteri celebrano la festa del sacerdozio, alla presenza e in comunione con il proprio vescovo.
La S. Messa è detta del S. Crisma, perché vengono benedetti e consacrati gli OLI SANTI.
Alla sera vi è la solenne celebrazione Eucaristica, definita ‘In Coena Domini’, ossia ‘nella Cena del Signore’. È la solennità della ‘prima Comunioné della Chiesa, rappresentata dagli Apostoli, con il

Corpo e Sangue di Gesù, donato per sempre quella sera. Una Cena che è la grande manifestazione di Dio che si fa Dono, Pane di Vita, per noi: ‘Mistero grande della fede’.
È qui che si misura quanto conta l’Eucarestia per noi: se poco o se tanto. Ognuno deve chiederselo. Durante la S. Messa vi è la lavanda dei piedi: da Gesù impariamo cosa voglia dire ‘essere servi’ del fratello, chinandosi con gioia per ‘lavargli i piedi’. Non è dare cose, ma ‘donare noi stessi’, la nostra attenzione, il nostro ascolto, il nostro tempo, la nostra accoglienza….
Segue quindi l’esposizione del SS. mo Sacramento per l’adorazione, in quello che un tempo si chiamava ‘sepolcrò.
Al Gloria vengono ‘legate’ le campane che non suoneranno più fino alla Resurrezione.
VENERDÌ SANTO: alle tre del pomeriggio si legge il Passio, quindi vi è il bacio della Croce, come atto di devozione ed amore e la S. Comunione. In tanti luoghi dopo si partecipa alla Via Crucis per le vie cittadine. Noi con chi siamo, il venerdì santo?
Con Maria, Giovanni e le donne a ricordare in Chiesa la passione e baciare il Crocifisso, in attesa della speranza… della resurrezione? O siamo vittime della paura, propria di chi fugge perché non trova più una ragione nella speranza e nel perdono? Ma, se così, dove possiamo andare?
Oppure, Dio non voglia, siamo tra quelli che giocano la vita sull’egoismo, a cui non interessa più che Dio abbia fatto dono del Figlio, per permetterci di uscire dal sepolcro dei nostri peccati e tornare a conoscere la vera vita, senza avere consapevolezza che questa è la vera strada per crocifiggersi… ma senza speranza?
Non si può conoscere la bellezza della vita, se non si conosce l’amore e….. Colui che è l’Amore! SABATO SANTO: la Chiesa, in attesa della resurrezione ‘tace’. Normalmente verso mezzanotte si celebra la Pasqua di Resurrezione, preceduta dalle letture che sono il racconto dell’amore di Dio verso di noi. Si accende il cero pasquale che sarà esposto come segno di Cristo, Luce del mondo. Fino al canto del Gloria e il rinnovato suono delle campane, espressione della gioia ritrovata per la Resurrezione del Maestro, anticipazione della nostra stessa resurrezione.
SONO GIORNI CHE RACCONTANO, CELEBRANO E FANNO MEMORIA – CIOÈ ATTUALIZZANO – LA NOSTRA. SALVEZZA. È UN GRANDE ATTO DI FEDE E DI RINGRAZIAMENTO PARTECIPARE.
Noi ci saremo?
Invochiamo lo Spirito, che ci introduca nel cuore del Mistero della Settimana santa.
Consentiamo a Dio, con fiducia nella Sua Misericordia, di operare nella nostra esistenza, donandoci la Sua pienezza di Vita eterna, oggi quaggiù e domani presso di Lui.

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