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LA SESSUALITÀ NELLA PAROLA DI DIO (Giuseppe Barbaglio)

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LA SESSUALITÀ NELLA PAROLA DI DIO

SINTESI DELLA RELAZIONE DI GIUSEPPE BARBAGLIO

Verbania Pallanza, 11 aprile 1975

Dalla sacra scrittura non dobbiamo aspettarci una ricchezza descrittiva della realtà sessuale come le scienze umane oggi possono presentarci. Però forse nella Bibbia possiamo trovare un orizzonte, una valutazione su questa realtà che gli uomini hanno sempre vissuto, e che quindi hanno conosciuto sul piano esperienziale, pur non avendo gli strumenti offerti oggi dalle scienze umane.
Nell’impossibilità di prendere in considerazione nel breve tempo di una relazione tutti i passi biblici sull’argomento, porrò l’attenzione su di un testo abbastanza originale della bibbia.
Chi, dopo aver letto i libri storici e quelli profetici dell’Antico Testamento, si è imbattuto nel Cantico dei Cantici, ha corso il rischio di sentirsi totalmente spaesato. Infatti, nel panorama dei testi dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici è un libro del tutto originale, in cui non si parla mai del disegno salvifico di Dio, non si parla mai di Dio.
Con sorpresa ci troviamo di fronte ad un testo che ha una prospettiva umanistica. Al centro del testo c’è l’essere umano, nella relazione uomo-donna, cantata in termini lirici, poetici.
Si tratta di un libro composto da otto capitoli, molto breve, di una raccolta di canti d’amore profano ed erotico. A prima vista, uno potrebbe anche scandalizzarsi, leggendo questo libro. Ma è sintomatico che questo testo sia stato inserito nel canone biblico.
Non saranno presi in considerazione altri testi classici della bibbia, come quelli di Genesi sulla bipolarità sessuale voluta dal Creatore o della unione di maschio e femmina in un solo essere, oppure altri testi del Nuovo Testamento. E’ una prospettiva parziale, ma significativa.
Farò anzitutto qualche cenno alle interpretazioni che sono state date nel corso della storia a questo testo, per illustrare poi le tematiche presenti e infine fornire alcune prospettive di valutazione per noi oggi.
1. le interpretazioni

Nel Cantico dei Cantici sono due i protagonisti: l’amato, il diletto, e l’amata, che entrano in rapporto, che si amano.
A partire dal tardo giudaismo, non si è visto nel Cantico dei Cantici l’amore profano, l’amore terreno, ma si sono fatte delle interpretazioni di tipo allegorico. L’amato e l’amata non sono l’uomo e la donna che si amano ma sono simboli che rinviano ad altri significati profondi, spirituali.
Il tardo giudaismo ha visto nell’amato il simbolo di Dio e nell’amata il simbolo di Israele. Questa interpretazione si riallaccia ad un filone molto presente soprattutto nella letteratura profetica. In Osea, Geremia, Isaia, Ezechiele, è un tema classico il simbolismo matrimoniale o nuziale, che rappresenta Dio come lo sposo, e Israele, il popolo di Dio, come sposa. Questo tema appare anche nel Nuovo Testamento, nella famosa Lettera agli Efesini, e in altri testi.
E’ un’interpretazione allegorica: nella figura dell’amato e dell’amata, si vedono realtà religiose, straordinarie, soprannaturali, la storia di Dio, sposo del suo popolo.
Questa interpretazione allegorica poi è stata assunta dalla tradizione cristiana, con diverse accentuazioni.
Alla interpretazione di tipo teologico, storico-salvifico, si è data anzitutto una caratterizzazione cristologica. Cioè lo sposo è Cristo, e la sposa è la Chiesa. E’ un simbolismo presente in san Paolo e in altri scritti del Nuovo Testamento.
Su questo troncone si sono sviluppati altri tipi di interpretazione, sempre allegorica. E allora s’è detto, per esempio, che la sposa è Maria. L’immagine della sposa innamorata, bellissima, l’immagine della Sulamit, grande simbolo di femminilità, è stata applicata alla Madonna. E la liturgia mariana utilizza brani e immagini del Cantico dei Cantici, dove la donna che ama Dio è Maria.
Un terzo tipo di interpretazione, sempre allegorica, sempre spiritualizzante, è stata poi compiuta in termini più privatistici, più individualistici: la sposa, la donna, l’amata, innamorata, è l’anima, e l’amato è Dio. Soprattutto la corrente mistica ha introdotto questo simbolismo. S. Giovanni della Croce, S. Teresa d’Avila hanno visto nel rapporto tra l’amato e l’amata, il rapporto mistico, di amore, di nozze spirituali, tra l’anima e Dio, tra l’anima e Cristo.
Comunque, tutte queste letture di tipo teologico, di tipo cristologico, di tipo mariologico e di tipo privatistico, si muovono nell’ambito della interpretazione allegorica. Cioè si rifugge dal prendere la realtà in termini diretti dell’amato e dell’amata e dei loro amori.
Sennonché queste interpretazioni allegoriche, oggi, sul piano esegetico, lasciano un po’ il tempo che trovano. Cioè sul piano esegetico oggi si è d’accordo nel ritenere che il Cantico dei Cantici, almeno originariamente, quando è stato composto e quando è stato vissuto all’interno dell’esperienza di Israele, è una raccolta di canti di amore, di canti di amore profano tra un uomo e una donna. E quindi il significato è quello diretto, e non quello allegorico, simbolico, spiritualizzante. E’ un dato importante.
Il Cantico dei Cantici è un libro entrato nel canone della sacra scrittura come un canto lirico all’amore umano, all’amore terreno. Tra l’altro non si dice neppure che si tratta dell’amore tra sposo e sposa: la prospettiva matrimoniale non è considerata: non è negata, ma neppure è affermata, semplicemente se ne prescinde. La realtà del rapporto tra l’amato e l’amata è colta a prescindere dalla realtà matrimoniale. Per noi oggi, è importante leggere il Cantico dei Cantici in questa chiave umanistica. Perchè? Perchè ci mostra all’interno della Sacra Scrittura un filone preciso presente anche in certi testi della tradizione jahvistica, una grande tradizione che ha fatto una imponente sintesi storica a partire dalla creazione, con il racconto della storia patriarcale, poi quella dell’esodo e della peregrinazione nel deserto, fino all’entrata nella Terra. E’ una tradizione presente in modo significativo nei nostri libri della Genesi, dell’Esodo, dei Numeri. Questo filone è stato molto presente in Israele, dove l’interesse è l’uomo, dove l’interesse è la realtà umana, nelle sue dimensione terrene, nelle sue dimensioni concrete, nelle sue dimensioni profane.
Ho scelto questo testo perciò perché anzitutto, a mio avviso, si tratta di una delle trattazioni più interessanti della Bibbia sul nostro tema, e in secondo luogo proprio per questo taglio preciso, dove la realtà umana viene colta nelle sue dimensioni concrete, nelle sue dimensioni profane, nelle sue dimensioni terrene. Ed è di questo che io vorrei parlare.
2. le tematiche

il Cantico dei Cantici è una raccolta di canti diversi, con una unità di tipo redazionale. Non c’è uno sviluppo o approfondimento organico del tema. Ogni canto ha una propria autonomia.
Non sono canti scritti a tavolino, ma predisposti e cantati per le feste nuziali, nelle grandi feste della primavera (rifiorire della vita e della fecondità), sull’aia.
Quali sono gli aspetti caratteristici di questi canti? Intanto occorre dire che « cantico dei cantici » in ebraico significa « il canto sommo ». Poiché la lingua ebraica non ha la forma del superlativo, per esprimere un superlativo si ripete al genitivo lo stesso sostantivo. Il « cantico dei cantici » vuol dire « la canzonissima », come il « santo dei santi » vuol dire « il santissimo ».
Il tema è l’amore, l’amore tra maschio e femmina, tra l’amato e l’amata. Come viene presentato questo amore?
aspetto contemplativo
Un primo aspetto con cui ci viene presentato questo amore è l’ammirazione per la bellezza reciproca: l’amato canta la bellezza dell’amata, e l’amata canta la bellezza dell’amato, la bellezza corporea. I canoni letterari di queste descrizioni sono presi soprattutto dalla letteratura egiziana, dove si hanno paragoni per noi abbastanza impressionanti e inconsueti. Per esempio, l’amato si rivolge all’amata e esclama: « tu sei una cavalla, per me! » Oppure dice: « i tuoi seni sono come due cerbiatti ». Cioè, il termine di paragone è sempre un termine preso dalla natura, dal mondo animale. Oppure: « il tuo collo è come la torre di David » , o anche: « le tue guance sono come delle melograne » Sono immagini molto belle, che ci lasciano un po’ sconcertati per la lontananza culturale, radicate come sono nella sensibilità culturale di un mondo dedito alla pastorizia.
E’ importante notare l’esaltazione della bellezza, della bellezza del corpo. Cioè l’amore dei due è un amore contemplativo, è un amore estatico. L’amato è pieno di ammirazione per la bellezza dell’amata. Dice, per esempio, l’amata in 1,5-6: « O figlie di Gerusalemme, io sono bruna, e tuttavia sono bella, come le tende di Kedar (Kedar era una tribù di beduini, che avevano tende di colore bruno) « come le tende di Salma » (un’altra tribù di beduini). « Non fate caso alla mia pelle scura, è il sole che mi ha bruciato ».
E in 1, 9 l’amato dice: « Ecco, l’amata è come una cavalla attaccata al carro del Faraone »
Ecco, l’amata è come una cavalla, è una cavalla però di grande parata… E’ l’amore contemplativo di ammirazione per la bellezza.
aspetto di godimento
Un secondo aspetto che caratterizza l’incontro dell’amato e dell’amata è il godimento. E’ una dimensione trattata già nella lezione di Valsecchi, che ha parlato dell’aspetto del piacere. L’amato dice: « Mi baci coi baci della sua bocca! Le tue carezze, o amata mia, sono più dolci per me che non il vino ». Questi paragoni esprimono l’ebbrezza dell’amore dei due che si incontrano, si contemplano, si ammirano. E’ la dimensione della gioia del piacere.
aspetto di integrazione con la natura
Questo amore di gioia è ambientato – terzo aspetto – in una natura primaverile. E’ l’aspetto ecologico, diremmo oggi, presente nel Cantico dei Cantici. Difatti l’amato dice all’amata: andiamo fuori, usciamo all’aperto: ecco ormai ci sono gli uccelli che cantano, la colomba, ci sono le vigne in fiore, i profumi della natura. C’è un’esplosione di vita, di bellezza, di godinento.
aspetto di unione
Un altro aspetto, forse il più caratteristico, oltre l’aspetto contemplativo della bellezza, oltre quello di godimento e di contemplazione in una natura piena di colori e di profumi, è quello della unione dei due, del loro incontro. C’è un ritornello in cui si dice: « tu sei mio e io sono tua ». Questa unione che si consuma nei corpi è una unione profondissima, di mutua appartenenza, descritta in termini molto veristici.
aspetto di ricerca
Sennonché, un quinto aspetto, l’unione non è qualcosa di statico, di dato una volta per sempre. C’è sempre una minaccia, un pericolo, che comporta anche momenti di abbandono e di lontananza. C’è la distanza, c’è il dramma dei due che hanno momenti di estasiante comunione tra loro, ma anche momenti in cui si perdono. Ci sono due bellissime descrizioni, una all’inizio e una posta verso la fine, dell’amata che va in cerca dell’amato. Entra nella città e trova le ronde, le guardie di notte, e dice: « ditemi dov’è il mio amato, perché io non posso riposare senza di lui ». Cioè l’amore è una ricerca di unione tra i due, una ricerca anche drammatica, una ricerca che comporta anche momenti di separazione. C’è un bellissimo testo in cui i due sono vicinissimi, e poi, improvvisamente, si trovano separati l’uno dall’altro. L’amore non è solo beatificante, altamente poetico, ma è anche un amore drammatico, un amore dove l’unione è una conquista faticosissima, risultato di una ricerca appassionata l’uno dell’altro.
un aspetto liberante
C’è finalmente un sesto elemento, che stranamente nelle traduzioni del Cantico dei Cantici che abbiamo tra le mani, non appare. E’ un fatto che ha dell’incredibile, che sarebbe anche da analizzare nel profondo. Ci sono alcuni testi nel capitolo 2 e poi più avanti anche, credo il capitolo 7 o 8 verso la fine, dove in ebraico c’è un testo chiarissimo che dice: « ecco, l’amato dice all’amata: vattene! » Sennonché tutte le traduzioni, ed è un fenomeno stranissimo, traducono: vieni! invece che: vattene! « Vieni, amica mia », per esprimere il grande desiderio dell’unione. Cioè il traduttore rimane sconcertato davanti al termine: « vattene » e traduce: « vieni ». Mi sono accorto anch’io per caso, perché sono delle « bevues » che fanno tutti. Ho letto un articolo di Chouraqui su « Le Monde » del 72, in cui sostiene che la traduzione corrente, infedele al testo, sarebbe da analizzare in termini psichiatrici, quasi che traduttori maschi non possano concepire che l’amata se ne vada. Invece: « Vattene », cioè, anche nei momenti della grande estasi dell’unione questo amore è un amore liberante, liberante l’altro. Non è una unione che porta alla fusione dei due, all’annientamento dell’individualità dell’uno e dell’altra. No, è una grande comunione dei due, ma è una comunione che libera, che dà autonomia, che dà libertà di realizzazione. I due si amano, i due uniscono, ma i due rispettano l’individualità dell’amato. Noi diremmo oggi, è un amore altamente personalizzante. Nel cantico si descrive un amore liberante: due si cercano, i due si uniscono, e si separano. Cioè restano due nell’amore.
Ho esposto i temi principali, che si ripetono continuamente in questa raccolta di canti di amore: il motivo della bellezza, cioè dell’amore contemplativo, il motivo del godimento estremo l’uno dell’altro, il motivo della grande festa di gioia e di amore dentro il mondo, dentro una natura piena di colori, di profumi, di vita, il motivo del rapporto che tende ad un’unione profonda dei due, un’unione corporea, tale per cui ci si appartiene (io sono per te, tu sei per me), il motivo della ricerca l’uno dell’altro, quindi di un’unione che è una conquista, e infine il motivo di un’unione che non è fusione dei due, ma che è liberante l’uno dall’altro, che è personalizzante.
Questi sono i motivi principali che appaiono in questi canti, raccolti nella « canzonissima » della Bibbia.
3. prospettive di valutazione
un amore che vale per se stesso
L’amore tra maschio e femmina non ha bisogno di benedizioni sacre. Non c’entrano per niente il tempio, le feste liturgiche, tanto meno il sacerdote: è l’amore più profano che esista, l’amore più terreno. Il Cantico è il canto dell’amore profano, che vale per se stesso. La profanità di questo amore cantato non ha niente a che fare con il tempio, non ha niente a che fare con il sacramento, non ha niente a che fare con le benedizioni, con il sacro: è una realtà di questa terra. Questo aspetto è abbastanza singolare, perché siamo in un contesto culturale, come quello dell’antico Medio Oriente, nel quale la sessualità è caricata fortemente di sacralità. Cioè la sessualità era percepita come l’espressione massima della religiosità, tanto è vero che gli dei naturalistici di Canaan, della Mesopotamia e dell’Egitto erano il simbolo della mascolinità e della femminilità. Il dio Baal era il simbolo dell’elemento maschio, e l’Astarte di quello femminile. La prima unione avveniva nel tempio, come espressione di consacrazione divina della realtà sessuale. Nel Cantico invece la realtà sessuale esula completamente da ogni forma di sacralizzazione, da ogni benedizione, e viene presentata come una realtà di questo mondo.
un amore che prescinde dal matrimonio
L’amato e l’amata non sono marito e moglie, ma semplicemente sono maschio e femmina. L’amore tra questi due non ha bisogno di essere coonestato da una struttura giuridica qual è la struttura matrimoniale. Nel Cantico si esalta un amore che prescinde dalla struttura matrimoniale, non la esclude, ma neppure la afferma. Sono l’amato e l’amata che si incontrano, che si lasciano, ecc. Questo sta a significare che l’amore tra maschio e femmina non può trovare il suo metro di onestà nella struttura matrimoniale, semmai il matrimonio sarà il luogo dove si vive l’amore, ma non ciò che rende onesto l’incontro tra due persone. Il matrimonio non cambia la natura dell’incontro, che è valido per se stesso.
un amore erotico
Questo amore, che non ha bisogno di benedizioni né di strutture coonestanti dall’esterno, ha una dimensione profondamente corporea, anzi, è l’amore erotico.
Il testo trasuda di simbolismi erotici. Non è un erotismo superficiale, ma è l’incontro profondo e personalizzante di due persone nella totalità, nella corporeità, nella bellezza, dei due corpi.
E’ un aspetto che colpisce chi è stato educato a visioni sospettose della corporeità, a elevazioni dell’anima.
Non c’è bisogno di benedizioni, non c’è bisogno di uno schema giuridico matrimoniale per coonestare, non c’è bisogno di spiritualizzazioni.
la fede nel Dio creatore
Che ci sta a fare questo libro del Cantico dei Cantici nella Bibbia, che rapporto ha con la fede, che rapporto ha con Dio che non viene mai nominato? Come hanno fatto gli israeliti a esaltare un amore che non ha bisogno di nessuna benedizione sacra, di nessuna struttura matrimoniale, di nessuna spiritualizzazione?
Coloro che hanno scritto questi libri, coloro che hanno cantato nelle aie di primavera, nelle feste di matrimonio, erano dei credenti, credevano in Jahvè. Se questi canti sono stati accolti nella Bibbia vuol dire che si muovono in un orizzonte di fede.
Non appare mai esplicitamente, ma uno sfondo c’è.
Da dove nasce l’esaltazione così poetica e accattivante dell’amore tra maschio e femmina?
Dobbiamo supporre dietro questo cantico dei cantici, questa esaltazione dell’amore contemplativo, unitivo, personalizzante, liberante, di ricerca, ecc. la fede nel Dio Creatore.
E’ la fede in Dio che ha fatto l’uomo e il mondo e li ha collocati nella loro completa autonomia. La realtà sessuale, dell’incontro tra maschio e femmina in tutte le sue dimensioni, in tutte le sue ricchezze, in tutte le sue sfumature, è una realtà di questo mondo, di questa terra, che Dio ha voluto nella sua autonomia. E allora la profanità, la libertà di questo amore, è la libertà di questo mondo che Dio ha creato, che Dio ha voluto separare da sé, e che vive secondo leggi proprie intrinseche, immanenti, senza bisogno di benedizioni dall’alto, di giustificazioni e di legittimazioni divine.
La fede di Israele si distingueva da tutte le religioni proprio per la dichiarata profanità di questo mondo, un mondo dove non ci sono i boschetti sacri, dove non ci sono delle benedizioni speciali.
E’ un mondo profano, con le proprie leggi, come Dio lo ha voluto.
L’esaltazione dell’amore profano, dell’amore terreno, dell’amore umano nel Cantico dei Cantici, è una espressione antropologica della fede nel Dio della creazione e non negli dei della natura. Dio ha consegnato questo mondo, questa terra, nelle mani dell’uomo. E l’uomo è chiamato a vivere secondo le leggi intrinseche, terrene, umane, senza cercare delle legittimazioni, dalle giustificazioni esterne, sacrali, ecc.
Emerge da tutto questo l’esaltazione enorme dell’amore terreno, mondano, dell’amore come incontro tra l’amato e l’amata, che si contemplano, che godono, che si uniscono, che si ricercano drammaticamente, che si liberano. Il dio della creazione è un Dio che si ritira dalla realtà sessuale, da questo mondo.
Su questa base umanistica noi possiamo poi parlare di sacramento, che non è una benedizione divina che viene a legittimare qualcosa di torbido, di peccaminoso.
Il sacramento sarà solo una finalizzazione di questa bellissima realtà, onesta in se stessa, che è l’incontro in tutte le sue sfumature, fra maschio e femmina.
E anche nel matrimonio cristiano, non si pensi di superare le difficoltà del rapporto ricorrendo al sacramento. Il rapporto è onesto solo se è un rapporto secondo le leggi intrinseche di onestà, di contemplazione, di bellezza, di personalizzazione, ecc. Il sacramento non è una garanzia esterna. I due devono vivere l’amore nella sua totale profanità. Se credono, poi, e nella misura in cui credono, daranno una finalità a questo loro amore.

Breve riassunto
Non si può pretendere che la Sacra Scrittura descriva la realtà sessuale con la stessa ricchezza con cui ci viene presentata oggi dalle scienze umane. Dalla Bibbia peró è possibile ricavare delle indicazioni, delle prospettive di valutazione della realtà sessuale.
Il Cantico dei Cantici
Il Cantico dei Cantici è un libro molto originale nella prospettiva dell’Antico Testamento: non si parla mai di Dio, del suo disegno salvifico. Questo libro è formato da diversi canti d’amore, in una prospettiva umanistica. Due sono i protagonisti: l’amato e l’amata, che entrano in rapporto.
1.- Le interpretazioni
Nel tardo giudaismo si è visto nel Cantico dei Cantici non l’a more profano, terreno, ma si è data una interpretazione allegorica. L’amato e l’amata sono simboli di Dio e del suo popolo.
Questa interpretazione è stata assunta nella tradizione cristiana con diverse accentuazioni:
interpretazione cristologica: lo sposo è Cristo, la sposa è la Chiesa;
interpretazione mariologica: la sposa è Maria (v. testi liturgici);
interpretazione privatistica: la sposa è l’anima (corrente mistica: rapporto mistico di amore, nozze spirituali tra l’anima e Dio).
Lo studio esegetico ha mostrato peró l’infondatezza di tutte queste interpretazioni allegoriche. Il Cantico dei Cantici è una raccolta di canti di amore profano tra uomo e donna.
2.- Le tematiche
Il tema di questi canti è l’amore, che viene presentato sotto diversi aspetti:
a. aspetto contemplativo. Ammirazione per la bellezza reciproca: l’amato canta la bellezza corporea b. dell’amata e viceversa;
c. aspetto di godimento. Ebbrezza dell’amore dell’amato e della amata che si incontrano, che si contemplano estaticamente. E’ un’amore di gioia;
d. aspetto di integrazione con la natura. Questo amore è ambientato in una natura primaverile, in una esplosione di vita, di bellezza, di godimento;
e. aspetto di unione. L’amore è un incontro tra i due, un’unione tra i due nel corpo;
f. unione che è ricerca. L’unione non è una situazione stabile: è sempre minacciata. L’amore è una ricerca;
g. unione che è liberante. L’amore non è fusione: libera e non limita o riduce la personalità dell’altro.
3.- Prospettive di valutazione
a. L’amore tra maschio e femmina vale per se stesso: non ha bisogno di benedizioni sacre.
b. L’amato e l’amata non sono marito e moglie, ma maschio e femmina. L’amore non ha bisogno di essere coonestato da una struttura giuridica. Non è il matrimonio che rende onesto l’amore, se mai sarà il luogo dove lo si vive.
c. L’amore ha una dimensione profondamente corporea, erotica: non ha bisogno di essere coonestato da spiritualizzazioni.
Ma che rapporto può esistere tra questo Cantico dei Cantici con la fede, con Dio, che non viene mai nominato?
Si deve supporre come sfondo la fede in Dio creatore, che ha fatto l’uomo e il mondo, volendoli nella loro autonomia. La profanità dell’amore è la profanità, la libertà, l’autonomia di questo mondo, che va avanti con leggi proprie, senza bisogno di benedizioni, giustificazioni divine. E’ l’aspetto che distingue la fede di Israele da tutte le religioni dei popoli vicini.
Il Cantico dei Cantici è l’esaltazione dell’amore terreno, dell’incontro tra l’amato e l’amata che si contemplano, che godono, che si ricercano.
A partire da queste indicazioni si potrà poi parlare di sacramento, non come una legittimazione di un qualcosa di torbido, di peccaminoso, ma come una finalizzazione della realtà sessuale.

Publié dans:DOCENTI - STUDI, sessualità  |on 18 juin, 2013 |Pas de commentaires »

Di fronte a una cultura della morte, una visione integrale dell’uomo e della donna

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21662?l=italian

Di fronte a una cultura della morte, una visione integrale dell’uomo e della donna

Intervista a Laura Tortorella, dell’Istituto « Mulieris Dignitatem »

di Carmen Elena Villa

ROMA, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Perché l’uomo e la donna comprendano meglio la propria identità, è necessario che guardino a se stessi come a esseri creati a immagine e somiglianza di Dio e scoprano e apprezzino i loro doni, che vengono arricchiti quando si vive la reciprocità.

Le ideologie che riducono questa visione integrale e che portano conseguenze come le conferenze mondiali del Cairo nel 1992 sulla crescita della popolazione mondiale o di Pechino nel 1995 sulla « salute sessuale e riproduttiva » intaccano in modo allarmante la dignità dell’uomo e della donna e promuovono sempre più nuove manifestazioni della « cultura della morte ».

Su questo tema e su come assumere la mascolinità e la femminilità in modo integrale, ZENIT ha intervistato Laura Tortorella, dell’Istituto Mulieris Dignitatem per studi sull’identità dell’uomo e della donna, della Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura – Seraphicum.

Laura Tortorella è direttrice del master in « Gestione delle crisi personali e interpersonali », che mira ad offrire soluzioni alle crisi che l’essere umano – uomo e donna – può attraversare in varie tappe della sua vita.

L’Assemblea del Consiglio d’Europa di Strasburgo ha approvato il 27 gennaio un documento sulla salute sessuale e riproduttiva. Quali saranno le conseguenze dell’applicazione di questo documento per la mentalità antivita e il femminismo?

Laura Tortorella: Il documento parla di « salute sessuale e riproduttiva » riferendosi alla possibilità data anche ai minori senza informare i genitori di accedere alla contraccezione, all’aborto gratuito e sicuro, alla sterilizzazione, alla fecondazione artificiale e al libero « orientamento sessuale ». Le conseguenze di tale Documento saranno certamente allarmanti: un’alleanza (femministe ed altre ideologie, lobby farmaceutiche) a favore della « cultura della morte ».

Si compiono 15 anni dalla Conferenza di Pechino sulla salute sessuale e riproduttiva. Com’è cambiata, secondo lei, la mentalità verso l’aborto come diritto e verso la concezione della donna?

Laura Tortorella: I programmi d’azione della Conferenza Mondiale del Cairo e poi di Pechino, carichi di istanze di liberalizzazione, hanno contribuito a creare il clima di « cultura della morte » e lo stesso documento dell’Assemblea del Consiglio d’Europa di Strasburgo, prima menzionato, trova spunti proprio in essi.

E’ chiaro che tali ideologie hanno profondamente segnato e ferito i diritti dell’uomo e il diritto alla vita. In questi documenti in cui si parla di « diritto alla salute sessuale e riproduttiva » in realtà si sollecita non tanto il diritto alla salute, quanto piuttosto quello all’aborto.

Credo che sia ci sia solo un’arma da usare per fermare questa cultura della morte, quella di formare, soprattutto le nuove generazioni, alla cultura della vita. Tutte le Nazioni, comprese quelle latinoamericane, dovrebbero mantenere saldo quel valore che ancora può fungere da gancio per salvare l’intera società: la famiglia. Diventa quanto mai urgente difendere la prima cellula della società dai molti attacchi che le arrivano.

E’ proprio nella famiglia che le nuove generazioni possono imparare a rispettare la vita umana. Pensiamo alla nascita di una nuova vita, alla dimostrazione quotidiana della cura, dell’educazione, dell’amore reciproco, del rispetto, pensiamo al fatto che è sempre in famiglia che si impara ad accogliere la morte e a capirne il senso.

Come ha ferito questo documento il significato di maschio e femmina, della reciprocità tra i due?

Laura Tortorella: Liberando la sessualità da ogni preoccupazione e timore, si cancellano la maternità, la paternità, la famiglia, il matrimonio, la responsabilità nell’ambito della sessualità. I diritti si trasformano così in bisogni, scelte, esigenze degli adulti.

In questo clima sono sia l’uomo che la donna, che vedono offuscata la verità su di essi (uguale dignità e voluti da Dio l’un per l’altro), ad essere chiamati a ristabilire un umanesimo che torni ad amare la Verità, l’unica in grado di far sorgere le vere domande, quelle che portano alla comprensione del senso e che rendono l’uomo veramente libero.

In base al master che dirige, « Gestione delle crisi personali e interpersonali », come si può affrontare questa crisi alla luce del Vangelo e di un’etica cristiana senza ridurre il ruolo dell’uomo o della donna?

Laura Tortorella: Molte sono le crisi che la persona si trova a dover affrontare nell’arco della propria vita: fattori inerenti la personalità (rigidità, un senso di identità fragile, ecc) e fattori legati all’ambiente relazionale (familiare, lavorativo, vocazionale religioso, ecc.). Per gestire queste crisi, credo che sia diventato oggi più che mai importante tornare ad una corretta antropologia. E’ necessario tornare a formare le persone su alcuni temi che risultano fondamentali e imprescindibili per la vita.

La formazione di cui parlo è quindi una formazione che ha valore per la vita concreta della persona, poiché non distoglie l’attenzione dalla sua verità: uomo e donna, creature di Dio, create a Sua immagine e somiglianza. Solamente mettendo l’originalità maschile e femminile a servizio dell’uomo e promuovendo il dialogo fruttuoso, la persona (uomo e donna) e la società saranno in grado di trovare, nellla verità, le risposte concrete alle domande altrettanto concrete (disturbi del comportamento alimentare, tossicodipendenze, crisi adolescenziali, disturbi dell’identità sessuale, divorzio, separazioni, famiglie allargate, bullismo, difficoltà nel ruolo genitoriale, ecc.).

Credo che nel messaggio centrale della « Mulieris Dignitatem », « la reciprocità uomo-donna », si possa intravedere la soluzione per ristabilire un equilibrio nella società che possa portare al riconoscimento di valori comuni di riferimento per costruire insieme la storia: « umanità significa chiamata alla comunione interpersonale » (MD,7). I tempi appaiono maturi e carichi di aspettative su un fruttuoso dialogo uomo-donna basato sulla reciprocità, sulla medesima dignità e sulla comunione che porti alla risoluzione delle problematiche attuali inserite in un orizzonte di senso.

Ci sono alcuni fenomeni accettati socialmente, come il diritto alla morte, la fecondazione in vitro, il non riconoscimento della dignità dell’embrione. Come colpiscono la psicologia della donna? Quali sono i principali pericoli di questi fenomeni?

Laura Tortorella: I fenomeni da Lei elencati colpiscono, seppur in maniera diversa, l’uomo e la donna, poiché ciò che vanno a scalfire è la dignità della vita e la conseguente salvaguardia della vita umana. Questi sono compiti comuni per l’uomo e per la donna. Le conseguenze di una mancata ottemperanza sono ancora una volta comuni: il rischio di rimanere « elementi » del mondo che lo sanno manovrare ma che inevitabilmente ne rimangono soffocati.

La maternità, per esempio, deve tornare a diventare nella nostra società un bene riconosciuto. La nascita di una nuova vita deve essere sempre accolta come segno di speranza e di ricchezza per i genitori, prima di tutto, e poi per l’intera società. E’, in generale, la mentalità quella che deve cambiare nuovamente nei confronti della difesa della vita umana, che deve necessariamente tornare ad essere il primo valore di una società che vuole essere considerata civile. Una nuova rivoluzione d’amore e di accoglienza della vita umana!

Anni di battaglie e di rivendicazioni delle femministe e di altre ideologie hanno fatto sprofondare la vita nelle sabbie mobili dell’indifferenza, e le conseguenze di ciò sono evidenti: diritto alla morte, fecondazione in vitro, non riconoscimento della dignità dell’embrione..sono solo alcune delle problematiche che sorgono da una mentalità chiusa nei confronti della vita. Mi domanda in che modo questi fenomeni si ripercuotono sulla psicologia della donna: la donna è colei che, il più delle volte, in prima persona è colpita da tali problematiche poiché è la donna che ha il compito di accettare, accudire, vigilare sulla vita. E’ chiaro che quando ciò non accade, per colpe che non sono solo della donna, è la donna che in prima persona paga le conseguenze di certe scelte anche da un punto di vista psicologico.

Publié dans:sessualità  |on 10 mars, 2010 |Pas de commentaires »

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