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GERUSALEMME SI RICORDA DEL DONO DELLO SPIRITO – FRÉDÉRIC MANNS

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JERUSALEM – THE JUBILEE YEAR 2000

(SITE CREATED FOR THE FRANCISCAN CUSTODY CUSTODY OF THE HOLY LAND)

GERUSALEMME SI RICORDA DEL DONO DELLO SPIRITO

FRÉDÉRIC MANNS

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

Secondo il volere del S. Padre il 1998 è l’anno consacrato allo Spirito Santo. La Chiesa Madre di Gerusalemme, nata nel Cenacolo il giorno della Pentecoste, non poteva ignorare questa data. Alla Chiesa Latina è stato rimproverato di aver ignorato lo Spirito per troppo lungo tempo, ma l’avvicinarsi del Giubileo del Duemila la porta a tornare alle sorgenti. E la sorgente della Chiesa è lo Spirito. Gerusalemme è un microcosmo unico nel suo genere. Non solo vi sono rappresentate tutte le Chiese, ma anche tutti i figli di Abramo. Essere Chiesa a Gerusalemme significa lavorare concretamente al dialogo ecumenico e interreligioso. Lo Spirito di Gesù è Spirito di unità, che egli ha donato morendo sulla croce per radunare i figli di Dio dispersi. L’anno scorso la Chiesa di Gerusalemme ha cercato di rispondere alla domanda di Gesù: Chi sono io per voi? Quest’anno utilizza del tempo pasquale per prepararsi in modo speciale alla Pentecoste e al dono dello Spirito. La riflessione che si farà dal 30 aprile fino al 2 maggio seguirà una triplice direzione: dopo aver interrogato le Scritture, passerà all’approfondimento patristico e quindi all’esame delle varie liturgie. Infatti nella diversità delle liturgie lo Spirito continua a pregare e a parlare alle Chiese. Tale diversità presenta inoltre l’esegesi vissuta della Chiesa Madre. Le Scritture insegnano che lo Spirito non è solo un soffio cosmico, ma è capace di ispirare i profeti e i saggi. Una lettura anche rapida della Bibbia mostra che una grande inclusione letteraria delimita il Libro sacro. All’inizio della Genesi lo Spirito di Dio aleggia sopra le acque e alla fine dell’Apocalisse risuona l’invocazione: “Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni, Signore Gesù”. Così la fine dell’Apocalisse corrisponde all’inizio della Genesi e tutta la Scrittura è posta sotto il patrocinio dello Spirito. Anzi tutta la storia della salvezza è illuminata dallo Spirito di Dio. E’ lo Spirito la chiave che apre le Scritture e la storia della salvezza, così come per conoscere lo Spirito bisogna scrutare le Scritture. Spirito e Parola sono legati da un rapporto speciale. La tradizione cristiana guidata dallo Spirito ha approfondito incessantemente le Scritture. Origene, fondatore della scuola biblica di Cesarea, nei suoi commenti così ricchi e istruttivi apre una linea di pensiero che sarà ripresa in Oriente, mentre Agostino è il caposcuola della tradizione occidentale. La Chiesa respira con due polmoni ed è a Gerusalemme che lo si scopre concretamente. Per la tradizione orientale lo Spirito è estasi e dono. E’ l’apertura, il dinamismo della carità divina che si manifesta nella creazione, nella profezia e nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Il Padre è la sorgente, il Figlio la Parola uscita dal silenzio di Dio e lo Spirito è il dinamismo divino. Il Padre opera nella creazione per mezzo delle sue Due Mani che sono il Figlio e lo Spirito, secondo l’espressione di S. Ireneo (Adv. haer. 1,22,1; 5,6,1). Queste Due Mani sono inseparabili nella loro azione rivelatrice del Padre e tuttavia sono ineffabilmente distinte. Il Verbo è in qualche modo la Mano che sbozza l’opera e lo Spirito è la Mano che la perfeziona. Lo Spirito inonda la terra come un’acqua benefica che amalgama i fedeli in un’unica pasta, che rinfresca il suolo e fa crescere dappertutto il frumento di Cristo. La Chiesa diffusa su tutta la terra deve la sua coesione allo stesso Spirito che ispirò i profeti e che per mezzo dei quattro evangelisti dissemina il Vangelo ai quattro angoli della terra. Dio, gloria dell’uomo, si compiace di fare di lui il ricettacolo della sua sapienza. La vita presente non è che un tirocinio della vita incorruttibile data dallo Spirito. Per la tradizione occidentale, rappresentata da S. Agostino, lo Spirito è vincolo di unità tra l’amato e l’amante, essendo lui stesso l’amore. E’ il silenzio della comunione divina. Il Padre e il Figlio sono l’uno per l’altro, relativi l’uno all’altro, mentre lo Spirito è colui che li unisce. La tradizione orientale gli ha riconosciuto un ruolo creatore e dinamico. Lo Spirito apre la comunione dinamica a chi non è divino; è abitazione di Dio là dove Dio si trova in qualche modo fuori di se stesso. Per questo è chiamato amore. E’ l’estasi di Dio verso il suo altro, la creatura. Lo Spirito è in Dio il termine della comunicazione sostanziale. Queste diverse teologie dello Spirito sono vissute nelle liturgie delle Chiese orientali e occidentali. La liturgia utilizza la simbolica dei colori quando prega lo Spirito; La veste liturgica secondo la tradizione armena richiama che “il culto esteriore è l’immagine di un ornamento spirituale luminoso” (Nerses Shorali). Lo Spirito riveste colui che si avvicina a Dio. Il cristianesimo medievale ha costruito intorno al colore rosso una teologia popolare dello Spirito. Il colore è anzitutto luce tanto sul piano teologico che su quello della sensibilità. Il rosso è il colore del sangue e del vino, che è il sangue della vite. E’ anche il colore del fuoco che arde e divampa nella notte. Suggerisce la passione di Cristo e insieme simboleggia lo Spirito. In qualche modo è lo stesso mistero che si comunica col colore rosso. Cristologia e pneumatologia sono associate, benché lo Spirito sia oltre il Verbo. “Il Cristo si è offerto in uno Spirito eterno”, afferma l’autore della lettera agli Ebrei (9,14). Nel mistero della Pentecoste il rosso evoca le lingue di fuoco che scesero sui discepoli. Così lo Spirito li rende capaci di parlare. Il rosso è insieme luce e soffio, potenza e calore; brilla, illumina e purifica. Le liturgie orientali che celebrano la divinizzazione dell’uomo, evocano un altro simbolo dello Spirito: quello dell’acqua. Nel Cristo Dio ha radunato l’umanità dispersa la quale diviene il corpo di Cristo. Il sangue sgorgato dal costato del Cristo inebria l’uomo di questo grande amore. All’unità del sangue fa riscontro la diversità del fuoco; ma di fatto il fuoco brucia già nel sangue. Il sangue è caldo; lo Spirito è fuoco. Ecco perché il diacono prima della comunione versa nel vino un po’ di acqua calda per simbolizzare il fuoco dllo Spirito. La riflessione della Chiesa di Gerusalemme vuole essere ecumenica dato che ne fanno parte vescovi greci, armeni, latini, copti, siriani e melchiti. Vuole essere ugualmente interreligiosa e per questo un ebreo e un musulmano parteciperanno alle tavole rotonde. Il giudaismo conosce una teologia dello Spirito molto varia mentre l’Islam somiglia in parte al giudeo-cristianesimo. Lo Spirito è la memoria della Chiesa e anche il Maestro che la istruisce. Il dono messianico dello Spirito è stato annunciato sotto forma di unzione. Questa unzione viene fatta su ogni cristiano al momento della confermazione e su chi accetta a nome della Chiesa il sacerdozio ministeriale. Il cristiano fa parte di un popolo sacerdotale che per mezzo del Cristo può offrire sacrifici spirituali a Dio graditi. È lo Spirito che gli assegna il compito di annuniare le meraviglie che Dio ha realizzato facendolo passare alla vera libertà dei figli di Dio. Lo Spirito conferito per mezzo del simbolo dell’unzione fa del cristiano un lottatore che annuncia il Vangelo anche in mezzo ai più grandi ostacoli. Cirillo di Gerusalemme nella Catechesi 18,3 richiama che “come il pane eucaristico dopo l’epiclesi non è più pane ordinario ma il cropo di Cristo, così il santo crisma non è più un olio ordinario”. Come ricorda lo stesso Cirillo, “la grazia dello Spirito è necessaria se vogliamo parlare dello Spirito Santo. Poiché non possiamo parlare di lui in modo adeguato, possiamo farlo senza degenerare limitandoci a quello che ne dicono le divine Scritture” (Catechesi 16,1).

 

GERUSALEME, MADRE DI DIO, Frédéric Manns

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GERUSALEME, MADRE DI DIO

Frédéric Manns

Nel dialogo inter religioso Maria ha poco spazio, bisogna ammetterlo. Se i musulmani rispettano la madre di Issa, non è sempre così da parte dei giudei.
La comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, preoccupata del rispetto dei fratelli maggiori, ribadisce che è impossibile di tradurre in ebraico l’espressione Maria, madre di Dio, senza provocare la loro indignazione. Per non turbare nessuno ella propone di tradurre ’em immanouel o ’em Yeshouah Eloheynou.
Il concilio di Efeso, che ha donato a Maria il titolo di Theotokos, ha conosciuto le stesse difficoltà e le stesse reticenze. Le obiezioni non mancarono da parte di Nestorio. Nonostante tutto, la Chiesa ha affermato che Maria è la Theotokos o la Dei Genitrix.
E’ un dato di fatto che l’inculturazione del messaggio cristiano, è stata fatta nel mondo ellenistico. Ma, poiché è impossibile riscrivere la storia al rovescio, una riflessione preliminare deve ricordare il significato dell’espressione: Maria madre di Dio.
Il catechismo della Chiesa universale al paragrafo 466 così si esprime:  » Il Verbo unendosi nella sua persona una carne animata da un’anima razionale è diventato uomo.
L’umanità di Gesù non ha altro soggetto che la persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta è fatta sua sin dal concepimento. Per questo il concilio di Efeso ha proclamato nel 431 che Maria è diventata a pieno titolo Madre di Dio per mezzo del concepimento umano del Figlio di Dio nel suo seno: « Madre di Dio non già perché il Verbo di Dio ha preso da lei la sua natura divina, ma perchè è da lei che prende il corpo sacralizzato dotato di un anima razionale unita al quale nella sua persona il Verbo è detto nascere secondo la carne ».
Più avanti, al paragrafo 495, il catechismo continua:  » Maria chiamata nei Vangeli madre di Gesù è chiamata anche sotto l’ispirazione dello Spirito la Madre del mio Signore (Lc 1,43).
Di fatto, colui che Maria ha concepito come uomo per l’azione dello Spirito e che è diventato suo Figlio secondo la carne è il Figlio eterno del Padre, la seconda persona della Trinità. La Chiesa riconosce che Maria è la Theotokos ».
La traduzione ebraica di Lc 1,43: ’em ’adony potrebbe servire da modello ad una versione moderna dell’espressione Maria, madre di Dio.
La versione siriaca del Vangelo di Luca ha così tradotto: ’emeh de mary, Mar essendo il titolo riservato a Dio.
L’espressione Maria « Madre di Dio » non dovrebbe turbare i fratelli maggiori, perchè è un titolo assegnato a Gerusalemme. Sofonia 3,5 diceva che Dio abita nel seno di Gerusalemme (beqirbah).
Per il fatto che la città contiene la presenza simbolica di Dio, essa è chiamata Madre di Dio. Ciò che risulta dal Targum del Cantico del Cantici III, 11  » Uscite figlie di Sion, guardate il re Salomone con il diadema con il quale sua madre l’ha coronato, il giorno delle sue nozze, il giorno della gioia del suo cuore. »
Quando il re Salomone venne per celebrare la dedicazione del santuario, un araldo gridò ad alta voce dicendo così: Uscite abitanti delle regioni della terra d’Israele e popolo di Sion. E guardate il re Salomone con il diadema e la corona con il quale il popolo della casa d’Israele lo incoronò il giorno della dedicazione del Tempio. E rallegratevi per la festa dei Tabernacoli per 14 giorni.
In questo commentario le figlie di Sion sono gli abitanti della terra d’Israele e il popolo di Gerusalemme. Il re Salomone è Dio. Il nome Salomone indica direttamente Dio in tutto il Targum. La madre del Re è il popolo della casa d’Israele. La corona che il popolo ha posato su Dio è il Tempio.
Israele è madre di Dio fino a quando contiene la presenza di Dio nel Tempio. Il midrash Sifra Lev 9,221 attribuisce la stessa interpretazione alla tenda del convegno nel deserto dopo la teofania del Sinai. La presenza di Dio in mezzo al suo popolo fa di quest’ultimo la madre di Dio.
L’espressione » Maria madre di Dio », in effetti, non turba i fratelli maggiori giudei più che l’affermazione dell’Incarnazione di Dio.
Questo mistero è rifiutato allo stesso modo in nome della trascendenza di Dio. Significa che i cristiani hanno rinunciato al monoteismo stretto per tornare alla mitologia greca?. L’accusa è frequente anche nei centri aperti al dialogo inter religioso. La fede al Cristo nella teologia cristiana si rende piena in Maria, madre di Dio secondo l’umanità, di una luce nuova. Paradossalmente Maria non cessa di svelare il viso umano di Dio. Sergio Boulgakov afferma che il segreto che Maria svela è quello della maternità di Dio.
L’amore di Dio ha un viso femminile, numerosi teologi lo hanno ricordato recentemente. Maria svela ancora un altro segreto: quello della Chiesa: « Non c’è che una sola Vergine Madre e mi piace chiamarla Chiesa », scriveva Clemente di Alessandria.  » La Madre di Dio è la Chiesa che prega », afferma dal proprio lato S. Boulgakov.
Esiste dunque un legame stretto e profondo tra la presenza di Maria e l’azione della Chiesa, tra la purificazione dell’anima in Maria e quella nella Chiesa. L’autore di questa purificazione è lo Spirito di Dio. Maria è la Chiesa sono le due manifestazioni visibili di Colui che resta invisibile. Lo Spirito è la Vergine e la Vergine è la Chiesa, secondo l’affermazione di S. Ambrogio.
Le icone di Maria dai titoli più svariati non fanno altro che sottolineare gli aspetti diversi della Chiesa Vergine e madre. Maria è ugualmente all’origine della memoria della Chiesa. Ella meditava tutte i ricordi della Chiesa delle origini nel suo cuore. Ella è l’archetipo e la personificazione della Chiesa, corpo di Cristo e Tempio dello Spirito.
Infine, Maria, accogliendo Dio in lei al momento dell’Annunciazione, dimostra che la natura umana può essere completamente trasfigurata da Dio. Ella è l’immagine dell’anima fecondata dallo Spirito che genera il Signore .
La Pentecoste, dove Maria è presente come madre della Chiesa, non è altro che la missione della Chiesa mirante a umanizzare l’umanità tentata dalla bestialità. Stranamente Maria di Nazareth, cantata dal mondo intero e dipinta da innumerevoli artisti, non ha trovato posto nell’enciclopedia giudaica, Un’omissione sorprendente, almeno per la donna giudea più celebre del mondo intero.

« I grandi mistici e i grandi atei s’incontrano », diceva Dostoïevski. E perché ci parlano di un Dio più grande del nostro cuore, delle nostre rappresentazioni mentali e le nostre ricerche spirituali.
Questo Dio si rivela Altro e, affinché Egli viva, le nostre raffigurazioni rassicuranti di Dio e di Maria devono scomparire.

Traduzione I.M.

 

La nascita di Gesù nel silenzio (SBF Jerusalem)

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La nascita di Gesù nel silenzio

G. Claudio Bottini

Studio Biblico Francescano, Gerusalemme

Chi non ha mai ascoltato, e forse anche cantato, con commozione melodie natalizie come: « Che magnifica notte di stelle /… Quale pace divina, solenne / hai prescelto o Bambino— In notte placida / per muto sentier /… Nell’aura è il palpito / d’un grande mister — Fermarono i cieli / la loro armonia »? Sono versi che esprimono lo stupore attonito e la trepida attesa con cui tutto l’universo dovette accompagnare la venuta al mondo di Gesù, Figlio di Dio e di Maria.
Probabilmente molti pensano che si tratti solo di un ingenuo abbellimento poetico del quadro natalizio: dinanzi al Dio Bambino tutti gli uomini tornano fanciulli in un mondo di sogno. Forse non tutti sanno che questo « motivo » è antichissimo e non è soltanto ispirato dalla poesia
1. La tradizione apocrifa
Si sa che attorno al Natale son fioriti racconti popolari e leggende che, prendendo spunto dai Vangeli canonici, hanno dato origine a dei complessi cicli letterari.
L’apocrifo « Protovangelo di Giacomo » o « Natività di Maria », molto antico e tanto diffuso, raccontando la nascita di Gesù, riferisce questa visione di Giuseppe: « Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell’aria e vidi l’aria colpita di stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l’alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso » (XVII 2-3; L. Moraldi, Apocrifi del N.T., Torino 1971,83).
Questo tema della sospensione della vita nell’universo si ritrova pure in due testi gemelli sul vangelo della natività, in parte dipendenti dal « Protovangelo ». I codici « Arundel 404″ « Hereford 0.3.9″ riportano la tradizione nel racconto che ne fa l’ostetrica chiamata da san Giuseppe per assistere la Madonna: « Nel più grande silenzio, in quel momento si sono fermate, tremanti, tutte le cose: infatti cessarono i venti, non dando più il loro soffio, non s’è più mossa alcuna foglia degli alberi, non s’è più udito alcun rumore di acque, non scorsero più i fiumi, non ci fu più il flusso del mare, tacquero tutte le fonti di acqua, non risuonò più alcuna voce umana: c’era un grande silenzio. In quel momento, lo stesso polo cessò l’agile movimento del suo corso. Le misure delle ore erano quasi tramontate. Con timore grande, tutte le cose tacevano stupite, mentre noi eravamo nell’attesa della venuta della maestà, del termine dei secoli » (72; Moraldi, 139 e 181 ).
Anche il « Vangelo armeno delI’infanzia » conosce il miracolo cosmico e lo racconta con vivacità: « E mentre (Giuseppe) camminava, vide che la terra si era sollevata e che il cielo si era abbassato, e alzò le mani come per toccare il punto in cui essi si congiungevano. E vide intorno a sé gli elementi intorpiditi e attoniti; i venti e l’aria del cielo, divenuti immobili, avevano interrotto il loro corso; gli uccelli e i volatili avevano trattenuto il loro volo. E, guardando a terra, vide una giara appena modellata: presso di essa era un vasaio che aveva impastato l’argilla e faceva il gesto di congiungere in aria le mani, ma quelle non si riavvicinavano. Tutti gli altri guardavano fisso in alto. Vide anche delle greggi condotte al pascolo: non avanzavano, non camminavano e non pascolavano. Il pastore brandiva il bastone e non poteva battere i montoni, ma teneva la mano sospesa in alto. Guardò pure un torrente in un burrone e vide dei cammelli che, passando di lì, tendevano la bocca sulle sponde del burrone e non mangiavano. Così, nel momento del parto della Vergine santa, tutti gli elementi restavano come immobili nel loro atteggiamento » (VIII, 10; C. Michel – P. Peeters, Evangiles Apochryphes, Paris 1911, 123s). Queste testimonianze mostrano che la tradizione era ampiamente diffusa e, di riflesso, che ad essa si dava importanza per il suo significato. Il fatto che la vita dell’universo si fermi come d’incanto al momento della nascita di Gesù indica la partecipazione cosmica, cioè di tutte le creature, all’avvenimento.
Alla luce di paralleli rilevati in altre culture qualcuno ha parlato persino di derivazione di questo tema dalla religione indiana o dalla mitologia greca. Ma, a parte il fatto che un parallelo non implichi sempre e necessariamente una dipendenza, non sarebbe più spontaneo e più logico rifarsi alla tradizione biblica e giudaica antica? Gli studi recenti mostrano sempre più chiaramente che tanta parte della letteratura apocrifa cristiana ha attinto temi e metodo di interpretazione dal mondo biblico e giudaico.
2. La tradizione biblica
Nella Bibbia assai spesso il silenzio e l’immobilità accompagnano le manifestazioni di Dio e i suoi interventi. Citiamo solo due testi, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Il Salmo 76,9s, parlando del giudizio salvifico di Dio, dice: « Hai fatto udire dai cieli la sentenza: la terra è sbigottita e tace, quando Dio si alza per giudicare, per recare salvezza agli umili della terra ». Il profeta Abacuc, contrapponendo la maestà del Dio vivente alla falsità degli idoli, proclama: « YHWH invece è nel suo santo tempio: faccia silenzio davanti a lui tutta la terra » (2,20; cf. pure Es 15,16; Lev 10, 3; Is 41,1; Sof 1,7; Zac 2,17; Apoc 8,1). In questi testi biblici il silenzio esprime, dunque, il timore, il rispetto e l’adorazione delI’uomo e della terra stessa dinanzi al Signore che si fa presente.
3. La tradizione giudaica antica
E’ noto che la tradizione giudaica ha arricchito e abbellito fatti e personaggi della Bibbia con commenti e tradizioni di carattere popolare. La aggadah, commento biblico di tipo edificante e esortativo, è presentata come una via per comprendere meglio la Parola divina e conoscerne l’Autore. Un detto rabbinico dichiara: « Se tu vuoi conoscere ‘Colui che parlò e il mondo esistette’ (Sal 33, 9), studia la aggadah, poiché attraverso di essa l’uomo conosce il Santo, Egli sia benedetto » (Sifré Deut 11,22). Un testo richiama l’attenzione, perché offre un interessante parallelo della leggenda natalizia degli Apocrifi. Il « Midrash Rabbâ », collezione di commenti al Pentateuco e ad altri libri biblici, descrivendo lo scenario nel quale Dio donò la Legge al suo popolo, riporta questa tradizione: « Rabbi Abbahu (300 ca.) diceva in nome di Rabbi Jochanan ( m. 279): Quando Dio diede la Legge nessun uccello cinguettava, nessun volatile volava, nessun bue muggiva, nessuno degli Ofanim (ruote del carro divino, cf. Ez 1,15ss) muoveva un’ala, i Serafini non dicevano ‘Santo, Santo, Santo’, il mare non mormorava, le creature tacevano, tutto l’universo era ammutolito in un silenzio senza respiro, e venne la voce: ‘Io sono il Signore tuo Dio’ (Es 20,2) » (Esodo Rabbâ 29,9 a 20,1).
Poi il Midrash aggiunge che anche nella manifestazione di Dio sul monte Carmelo, al tempo di Elia (cf. 1 Re 18,20-40), tutto l’universo restò attonito, in silenzio. Quindi richiamandosi a Rabbi Simeone ben Lachish (250 ca.), il testo rabbinico conclude: « (Se vi fu silenzio allora), quanto più naturale che nel momento in cui Dio parlò sul monte Sinai, tutto l’universo restasse in silenzio, così che tutte le creature potessero conoscere che non vi era altro (Dio) al di fuori di Lui » (ivi).
E’ interessante notare che in questa tradizione la sospensione cosmica della vita ha un chiaro significato teologico. Il silenzio e l’immobilità di tutte le creature del cielo e della terra manifestano all’uomo la rivelazione del Dio unico.

Conclusione
La leggenda natalizia apocrifa, letta sullo sfondo biblico e giudaico qui presentato, forse si comprende meglio nel suo linguaggio e significato. Al momento della nascita di Gesù a Betlemme tutte le cose sulla terra, arrestandosi in un improvviso silenzio, ne avvertono e ne rivelano la venuta nel mondo. Certo, un racconto popolare con caratteri leggendari, ma pure con un toccante significato teologico. La liturgia del tempo natalizio sembra aver raccolto, almeno in parte, questo tema. Facendo uso del senso accomodatizio essa applica all’Incarnazione del Verbo e alla nascita di Gesù questo testo del libro della Sapienza: « Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale » (18,14s; cf. Messale e Breviario romano, Tempo di Natale).

Forse S. Ignazio di Antiochia, martire a Roma nel 107, ricordava anche questa tradizione scrivendo ai cristiani di Efeso: « E la verginità di Maria, come pure il parto di lei, furono nascosti al demonio e così anche la morte del Signore; tre misteri di gloria, che furono compiuti nel silenzio » (Efes. 19). I maestri della vita spirituale e i mistici di tutti i tempi hanno fatto proprio il tema poetico e biblico-teologico. Il silenzio, nella loro esperienza e dottrina, è l’atteggiamento con cui il cristiano deve ascoltare e accogliere la grande Parola, che il Padre ha detto in un silenzio eterno, cioè il Suo Figlio Gesù Cristo.

Publié dans:biblica, SBF - JERUSALEM |on 3 janvier, 2012 |Pas de commentaires »

Sigilli e lische di pesce a Gerusalemme

dal sito:

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03.06.2007

Sigilli e lische di pesce a Gerusalemme

L’antico sistema idrico di Gerusalemme messo in luce negli ultimi anni comprende anche una piscina scavata nella roccia. Situata nei pressi della sorgente di Gihon, nella città di Davide, cessò di essere usata verso la fine dell’ottavo secolo a.C., dopo che il re Ezechia realizzò un nuovo progetto per l’approvigionamento dell’acqua, il tunnel di Siloe.
Il prof. Ronni Reich, del dipartimento di archeologia dell’università di Haifa, e Eli Shukrun, dell’Israel Antiquities Authority (IAA), ritengono che l’area della piscina non rimase inutilizzata a lungo. Verso la fine del secolo, infatti, fu adattata ad abitazione. I nuovi proprietari, per rendere più comoda la dimora, alzarono il livello del pavimento di tre metri, riempendo la piscina con pietre e terra.
Lo scavo, condotto dall’IAA in collaborazione con l’Israel Nature and National Parks Protection Authority (INNPPA), l’Elad Association e la Gihon Company, ha portato alla luce nel pavimento vasi di argilla risalenti all’ottavo secolo a.C. I ritrovamenti più interessanti, tuttavia, si trovavano nello strato sottostante. Reich e Shukrun decisero perciò di passare al setaccio il materiale del fondo nella speranza di rinvenire oggetti che potessero contribuire a datare la struttura. Il primo passaggio non offrì risultati degni di nota.
Dalla terra sono affiorati principalmente vasi fittili tipici della Gerusalemme del periodo del Primo Tempio insieme a ossi di bovini e ovini, la cui carne faceva parte della dieta degli abitanti della città.
Reich e Shukrun intuirono che il materiale esaminato nascondeva ancora altro, pertanto si risolsero a setacciare di nuovo i 250 metri cubi di terra. Questa volta la terra fu sciacquata con acqua. Il riesame ha richiesto un anno di lavoro ma i risultati hanno premiato lo sforzo.
Sono stati scoperti frammenti di ceramica che differiscono da quelli trovati finora nella città di Davide. I ricercatori li datano all’incirca tra la seconda metà del nono secolo e gli inizi dell’ottavo secolo a.C. Un periodo che va dal regno di Ioram (852-841), figlio di Giosafat, a quello di Ioas (798-783), figlio di Acazia, nel quale Gerusalemme subiva l’influsso dei vicini settentrionali, il regno di Israele e la Fenicia. Reich, però, ritiene che la datazione sia ancora da determinare con precisione.
Con i frammenti sono stati ritrovati una notevole quantità di piccoli sigilli di circa un centimetro di diametro, utilizzati per segnare documenti e merci. Sono tutti spezzati, perché erano stati rimossi dai documenti e dalle merci. Sotto questo aspetto si distinguono da quelli ritrovati in precedenza nella città di Davide, che erano tutti integri perché dovevano servire a sigillare i documenti conservati in locali della città.
Questi sigilli sono differenti rispetto a quelli rinvenuti da Shilo per le loro caratteristiche grafiche. Circa 170 portano bolli o parti di bollo, e parte di essi hanno segni di scrittura egiziana, diversamente da quelli di Shilo, dove i nomi apparivano in scrittura semitica. Per gli esperti la scrittura dei sigilli trovati da Reich e Shukrun non fornisce parole di significato comprensibile. Non sono che una copia di segni della scrittura egiziana diffusa nell’antico Vicino Oriente. Sigilli di questo tipo vennero alla luce in scavi condotti in Samaria, la capitale del regno di Israele.
Sui sigilli sono effigiate sfingi, immagini di persone alate e dello stesso sole, sempre con ali. Ve ne sono alcuni con incisioni di lettere capitelli proto-eolici, un motivo architettonico tipico delle strutture del nono – decimo secolo a.C. in Israele e Giudea, frequente in Fenicia nei bassorilievi in avorio.
Ha destato sorpresa l’abbondanza di lische di pesci ritrovate. Dopo il secondo vaglio se ne contavano quasi 10.000. L’analisi di questi resti è stata affidata al prof. Omri Landau, un chirurgo in pensione, ora impegnato in ricerche sui resti di pesci ritrovati negli scavi. Lo studioso non ha ancora completato la sua ricerca ma, a quanto pare, le lische sono soprattutto di pesce persico e di cernia. Non si tratta del primo ritrovamento di questo genere a Gerusalemme. Il fatto curioso è che si ritrovino in così grande quantità in un solo posto. Se ne deduce che per gli abitanti di Gerusalemme il pesce era importante per la loro dieta, al punto da investire un notevole sforzo per procuraselo dalle città costiere del Mediterraneo.
I dati finora registrati, il notevole numero di sigilli con motivi non tipici del periodo del Primo Tempio, l’insolita quantità lische di pesce forniscono una probabile prova della presenza a Grusalemme di Fenici e Israeliti nella seconda metà del nono secolo a.C.
Reich ricorda che la dinastia della casa di Omri (885-874), il sovrano del regno di Israele agli inizi del nono secolo, aveva legami familiari con i Fenici. Questi legami passarono al regno di Giuda, quando Ioram, re di Giuda nel corso della seconda metà del nono secolo, sposò Atalia, figlia di Omri o del suo successore, Acab (874-853), di origini fenice. Atalia assunse il potere con la forza e governò su Giuda per un certo numero di anni prima di essere deposta (2Re 11).
E’ possibile che l’alta concentrazione di lische e di sigilli con immagini di tipo fenicio – un sigillo riporta una tipica nave fenicia, un altro un’immagine di un pesce – stia ad indicare che, prima della costruzione dell’abitazione nella piscina, era attivo nei pressi un centro amministrativo di fenici.
Reich e Shukrun fanno notare che, oltre ad Atalia, anche Ioram e Acazia probabilmente avevano stretti legami con la capitale del regno di Israele e con città della Fenicia.
L’ipotesi dell’esistenza di rapporti tra Gerusalemme e la Fenicia tra lo scorcio dell’ottavo e del nono secolo a.C. trova conferma in altri ritrovamenti tra i quali un melograno in avorio rinvenuto nella terra (del sottopavimento).
I Fenici, esperti navigatori, costruttori e mercanti, furono preziosi intermediari tra le varie culture del bacino mediterraneo. Tra le altre cose appresero dagli egiziani l’incisione dell’avorio e dall’Egitto esportarono in Assiria l’avorio grezzo. Lo stesso avvenne con i motivi artistici che portarono da un luogo a un altro, come testimoniano i simboli egiziani che appaiono sui sigilli trovati da Reich e Shukrun.
 
Ran Shapira, Haaretz (30 maggio 2007)
 

Publié dans:SBF - JERUSALEM |on 21 octobre, 2011 |Pas de commentaires »

SBF Letture bibliche: La Notte dei paradossi di Dio

dal sito:

http://www.custodia.org/spip.php?article4744

SBF Letture bibliche: La Notte dei paradossi di Dio
Pietro Kaswalder, ofm
Messo on line il venerdì 26 dicembre 2008 a 09h20

Il tempo è ormai pieno, siamo alla Notte del Natale: più che la Novena, questa è una introduzione immediata al Mistero che si è compiuto a Betlemme, secondo le Scritture; e che si compie nella Liturgia della Chiesa: Dio si incarna, e viene a piantare la sua tenda tra gli uomini.

Questo è il primo paradosso, primo nel senso di princiale, da cui ne dipendono molti altri.

Il paradosso, usato dagli Autori Sacri, vuole sorprendere, certo, per far nascere meraviglia e stupore. E qui vediamo che il paradosso fà parte della Rivelazione biblica, e della Teologia: spiega il comportamento divino, sempre sconcertante e stupefaciente. Perché così si rivela un Dio semplicemente al di là delle attese umane.

Per vivere con frutto questo momento mi lascio guidare da S. Paolo, che non parla espressamente del Natale di Betlemme: ecco un altro paradosso! Ma che ci parla del Natale del Signore, Gal 4,4-5: nato da donna, nato sotto la Legge… (e da passi complementari nella Lettera ai Romani. E mi lascio guidare da uno spirito grande del secolo scorso: R. Guardini, Il Signore, Milano 1976, che io trovo sempre profondo e sempre utile nelle meditazioni dei Misteri della Liturgia.

Il paradosso viene usato in tutta la Bibbia: Abramo, vecchio e senza figli, con Sara, vecchia e sterile: sono i genitori di una stirpe infinita di discendenti, tra cui anche il Bambino di Betlemme! Per il NT: il più grande paradosso, è proprio la Natività: quel Gesù Bambino che nasce a Betlemme, di Giudea, è il Figlio di Dio! Ma allora, il paradosso non è soltanto un artificio letterario, impiegato dagli Autori Sacri per attirare l’attenzione del lettore: (Paolo ad esempio, è maestro del paradosso: quando sono debole, è allora che sono forte!). Fà parte della pedagogia divina che sempre

Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozone a figli, Gal 4,4-5.

Il tempo si è fatto pieno, cioè gravido: è una gravidanza singolare, pure questa! È la nascita di questo Figlio che rende gravido il tempo; ma gravido di che cosa? della attesa! Questo di cui parla Paolo è ancora il tempo dell’attesa (è un chronos), diverso dal tempo del compimento, il kairos, (cf. Mc 1,1: il tempo, il kairos, è compiuto). L’accostamento più facile che ci viene in mente è Isaia, il Profeta dell’attesa:

Tu Signore sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro Redentore. Perchè Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie, e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Se tu squarciassi i cieli, e scendessi! (Is 63,16-19).

Nato da Donna: equivale per intensità e significato al proglogo di Gv 1,14: e il Verbo si fece carne. E questo è il paradosso più scovolgente di tutta la nostra storia: l’Incarnazione, il farsi Uomo del Figlio di Dio. Gesù Bambino è Uomo: ciò significa che esperimenta tutta la condizione dell’umanità, nel bene e nel male.

Nascere uomini non è solo positivo, vedi Giobbe 14,1: L’uomo nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore, spunta e si secca!

Nato da Donna di Gal 4,4, significa, che Gesù accetta le regole dell’umanità, fino alla morte. Significa ancora, che Gesù nasce dentro la storia del suo popolo, Israele.

R. Guardini riguardo al prendere corpo di Gesù, si rivolge alle genealogie: vi troviamo i grandi e i santi, come Davide e Abramo (non troviamo però Acaz perché il Profeta Isaia lo aveva maledetto). Su, su fino a Lamech, e Adamo, per arrivare a Dio creatore, cf. R. Guardini, Il Signore: 21-24.

Le genealogie portano anche il valore della regalità e della santità: Gesù è seme di Davide secondo la carne, cf. Rom 1,13. È il Cristo secondo la Carne di Rom 9,5: egli che è sopra ogni cosa, Dio bendetto nei secoli.

Ma vi troviamo anche i peccati di Giuda con Tamar; di Davide con Bersabea; e Rahab la prostituta (ostessa); la moabita-straniera Ruth; il castigo di Babilonia; e infine l’attesa degli ultimi, definiti da R. Guardini, i poveri: Giacobbe, padre di Giuseppe, lo sposo di Maria, così povero che può offrire soltanto due tortore per la purificazione!

È passato per ogni prova, commenta R. Guardini, richiamando Ebr 4,15, tranne il peccato. « Ha sperimentato tutto ciò che significa umanità. I nominativi delle genealogie ci palesano che cosa vuol dire essere entrato nella storia dell’umanità, con il suo destino e con il suo debito. Meditado su questi nomi anche Gesù deve aver sentito profondamente cosa vuol dire: storia dell’uomo », cf. R. Guardini, Il Signore: 24

Ma il paradosso ricompare: Nato sotto la Legge per riscattare quelli che erano sotto la Legge. Sotto la Legge: è un aspetto non tanto positivo, significa essere soggetti alla Legge. È una sudditanza dalla quale abbiamo bisogno di essere liberati! e questo vale per gli israeliti, soprattutto.

Ma poi Paolo passa oltre al linguaggio giuridico (cf. il riscatto del minore che diventa maggiorenne; o dello schiavo che viene liberato) e ci rivela che a Natale noi diventiamo figli: e allora ci accorgiamo che Paolo passa decisamente al linguaggio salvifico.

Perché ricevessimo l’adozione a figli. Con questa affermazione Paolo sale ad un secondo livello di rivelazione, aperto a tutti, universale: dopo la discesa (kenosis) il movimento risale verso al Figliolanza divina. È questo è il nostro regalo di Natale più bello, che riscopriamo nelle parole di Paolo. La sua prospettiva è duplice: non solo affranca chi è schiavo della Legge, ma rende divini tutti gli uomini (i nati da donna, come Lui). Ecco la nostra speranza più grande.

Tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono Figli di Dio; e voi avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo, Abba! Padre, Rom 8,14-15.

R. Guardini dice che l’Incarnazione è la pupilla dei misteri del Cristianesimo. Perciò và circondata di pacata, trepida e supplice vigilanza, cf. R. Guardini, Il Signore: 33.

La pupilla dell’occhio è anzitutto una cosa preziosa, e delicata. Ma la pupilla è anche lo strumento che illumina e che viene illumiato dalla luce esterna. Non per niente la luce è un segno esteriore del Natale; ma la pupilla ci pure mostra l’interiore, l’anima. e dall’interno dell’anima credente si

Da un canto popolare trentino: Sorgete pastori, che al pari del giorno, con i raggi d’intorno, la notte spuntò! L’ultimo è il paradosso della notte, simbolo dell’oscurità che a Natale sorge come il giorno della salvezza, e con i suoi raggi illumina tutti i credenti.

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