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SAN TOMMASO D’AQUINO SACERDOTE E DOTTORE DELLA CHIESA – 28 GENNAIO (E 7 MARZO)

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SAN TOMMASO D’AQUINO SACERDOTE E DOTTORE DELLA CHIESA

28 GENNAIO (E 7 MARZO)

ROCCASECCA, FROSINONE, 1225 CIRCA – FOSSANOVA, LATINA, 7 MARZO 1274

Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)

Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, Studenti
Etimologia: Tommaso = gemello, dall’ebraico

Emblema: Bue, Stella
Martirologio Romano: Memoria di san Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.
(7 marzo: Nel monastero cistercense di Fossanova nel Lazio, transito di san Tommaso d’Aquino, la cui memoria si celebra il 28 gennaio).

Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.

Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli
Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.
Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta.
Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.
A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore.

Domenicano; incomprensioni della famiglia
Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi.
I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.
Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.

Studente a Colonia con s. Alberto Magno
Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica.
Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.
A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.
Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.
Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.
Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.
Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore.
Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università.
Già con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).
A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.

Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici
All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.
Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici.
Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.
Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.
Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.

La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo
A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.
Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.
Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.

Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli
Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi.
All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio.
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.

L’interruzione radicale del suo scrivere
Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli.
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.

I doni mistici
La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.
Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.

Sempre più ammalato; in viaggio per Lione
Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta.
Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.
Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia.

La sua fine nell’abbazia di Fossanova
Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.
Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.

Il suo insegnamento teologico
La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham.
L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio 1323.

Il suo culto
Nel 1567 s. Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.
La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369.
Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città.
A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia.

Autore: Antonio Borrelli 

La vita e le Opere di San Tommaso d’Aquino (memoria il 28 gennaio)

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La vita e le Opere di San Tommaso d’Aquino

(1225 -1274)

di Astrid Filangieri

Il sorgere dell’astro d’Aquino
San Tommaso nacque nel 1225 circa a Roccasecca, dal ramo cadetto dei d’Aquino. Il padre, Landolfo, fu uomo d’arme fin dalla gioventù e condottiero di milizie, ma mostrò anche attitudini per la cultura e capacità di governo, quale giustiziere di Terra di Lavoro, e fu uomo retto e religioso.
La madre, Teodora, era anch’essa di nobile famiglia e dotata di grandi virtù familiari, ma non era esente da una concezione piuttosto dispotica dell’autorità materna.

L’ambiente familiare si distingueva per la sincera pratica della religione, pur tra le asprezze della vita feudale, ed esercitò un influsso notevole sulla formazione del carattere di Tommaso, che conservò sempre per i suoi congiunti un tenero affetto, nonostante la breve, dolorosa parentesi dell’opposizione alla sua vocazione religiosa.
L’educazione presso i Benedettini
All’età di cinque anni Tommaso fu condotto al Cenobio di Montecassino, che brillava come un faro di luce per la pietà e la cultura dei suoi monaci, presso la tomba di San Benedetto, il Patriarca del Monachesimo occidentale.
Il piccolo Tommaso era offerto a Dio dai geni­tori, spinti dal desiderio di avere un figlio consacrato al Signore, anche se non mancava un po’ di orgoglio feudale, che faceva presagire nel fanciullo il futuro capo della potente abbazia.
Ma c’era nel gesto anche un motivo politico, perché, nel 1229, la rocca di Montecassino, considerata un baluardo della potenza papale, era stata assalita e sconvolta dalle milizie di Federico II, con l’appoggio dei d’Aquino. Quando, nel luglio del 1230, a San Germano, fu segnata la pace fra l’Imperatore e il Papa, i d’Aquino, offrendo il loro figlioletto all’abbazia, vollero dare una garanzia dei loro nuovi sentimenti di pace e di amicizia.
Tommaso trascorse a Montecassino circa nove anni, fino al 1239, quando Federico II riprese la lotta contro il Papa e l’abbazia fu di nuovo sotto la minaccia delle armi imperiali, per cui i d’Aquino posero al sicuro il figlio, richiamandolo in famiglia per poi inviarlo a Napoli, a continuare gli studi presso l’Università.
L’educazione benedettina, semplice ed aristocratica, familiare ed austera, lasciò un solco indelebile nella personalità di Tommaso, temprandolo al silenzio contemplativo, all’amore per lo studio, all’attivo dominio di sé, alla pietà affettiva, al gusto per la liturgia, che si manifesterà soprattutto quando comporrà l’ufficio e gl’inni mirabili per la festa del «Corpus Domini».
E’ storicamente accertato l’episodio di Tommaso fanciullo che, passeggiando meditabondo sotto gli austeri chiostri o spaziando lo sguardo verso i cieli sconfinati e i lontani orizzonti, chiedeva insistentemente ai suoi maestri: «Ditemi chi è Dio? »
Erano i primi sprazzi del suo genio indagatore.
La giovinezza all’Università di Napoli
Dal mistico raccoglimento monastico, dopo alcuni mesi trascorsi nel caldo clima della famiglia, l’adolescente Tommaso si trasferiva nella vita libera e movimentata dell’ Ateneo napoletano.
Il brusco passaggio a condizioni ambientali così diverse dalle precedenti avrebbe potuto provocare in lui una crisi fatale; ma la sua forte struttura morale, ancorata a salde convinzioni e sempre pronta ad attingere energie soprannaturali dalla preghiera e dalla vita sacramentale, lo preservò dalle cadute, ed egli continuò, nello studio e nella meditazione, l’appassionata ricerca della verità, iniziata all’ombra del cenobio benedettino. L’università di Napoli era famosa in tutta l’Europa, perché Federico II vi aveva chiamato insigni docenti e aveva assicurato agli studenti agiate condizioni di vita, perché potessero dedicarsi con profitto agli studi. San Tommaso vi frequentò la Facoltà delle Arti che comprendeva il trivio e il quadrivio. Il trivio corrispondeva, in qualche modo, ai corsi di cultura umanistica e filosofica, mentre il quadrivio si estendeva allo studio delle scienze naturali.
Uno dei maestri di Tommaso fu Pietro d’Ibernia, chiamato da Pier delle Vigne, in nome di Federico II, a ricoprire la carica di titolare del quadrivio. Era un profondo conoscitore di Aristotele, su cui scrisse importanti commenti e tenne dotte dispute, fra cui rimase celebre quella tenuta alla presenza del re Manfredi. Il giovane Tommaso veniva così a contatto con le opere del sommo filosofo greco, che un giorno avrebbe sapientemente utilizzato nel magistero e negli scritti.
Una prova del profitto con cui Tommaso si dedicò agli studi è data dal fatto che egli fu scelto dai maestri a fare da ripetitore, ossia da assistente di cattedra. La vasta cultura, e la chiarezza dell’esposizione e la modestia del tratto gli conquistarono la stima e l’affetto dei colleghi studenti, i quali provarono un vivo rimpianto nell’apprendere che Tommaso lasciava l’ambiente universitario, per consacrarsi alla vita religiosa.
La vocazione
Verso la fine del 1243 il giovane studente diciottenne decise di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori, che si era ormai diffuso nelle principali città dell’Europa, col compito principale di difendere e diffondere le verità della Fede, soprattutto con l’insegnamento e la predicazione.
A Napoli i Domenicani avevano aperto un convento fin dal 1231, con una scuola di Teologia, ed esercitavano un apostolato attivissimo fra la gioventù studentesca.
Tommaso scelse come guida spirituale fra Giovanni di San Giuliano e si sentì fortemente attratto dall’ideale domenicano. La sua scelta non era nata da un effimero entusiasmo, ma era la conseguenza di una decisione consapevolmente maturata nella meditazione e nella generosa risposta all’invito della Grazia. Il motto programmatico dei Domenicani: «contemplata aliis tradere» gli si presentò pienamente congeniale e decise di consacrare tutta la sua vita alla contemplazione e alla irradiazione della verità.
Ma la sua vocazione fu violentemente contrastata dalla famiglia, che, nella decisione presa dal giovane senza il consenso dei genitori, vedeva una ribellione all’inflessibile disciplina familiare e soprattutto vedeva svanire tutti i sogni di grandezza terrena, vagheggiati per il futuro del figlio. La madre stessa, pur dotata di forti virtù domestiche, ordinò ai figli Rainaldo e Landolfo, accampati ad Acquapendente con le milizie di Federico II, di catturare il fuggitivo in rotta per Bologna. Raggiuntolo a Bolsena lo rinchiusero nel castello di Roccasecca, dove, all’insaputa della madre, ordirono un ignobile attentato alla virtù di Tommaso, ma l’intrepido giovane fugò l’ignobile tentatrice con un tizzone ardente. Intanto giunsero al castello le sorelle per cercare di piegare con la tenerezza dell’affetto quell’indomita volontà. Ma né la prigionia nelle fortezze di Monte San Giovanni e di Roccasecca, né l’ignobile attentato tramato dai fratelli, né le lacrime delle sorelle poterono smuovere quell’eroica fermezza. Liberato dalla prigionia, dopo un breve periodo trascorso nel convento di San Domenico a Napoli e poi in quello di Santa Sabina a Roma, Tommaso fu inviato fuori d’Italia e affidato al più celebre maestro di quel tempo, frate Alberto di Colonia, che passerà alla storia col nome di Sant’Alberto Magno.
Il periodo presso Sant’Alberto
Prima a Parigi, poi a Colonia, Tommaso seguì le lezioni di Alberto Magno.
Chiuso nella sua modestia, il giovane domenicano italiano sembrò ai condiscepoli impacciato e tardo d’ingegno, per cui, con una punta d’ironia, gli affibbiarono il nomignolo di «bue muto». Ma vennero presto le occasioni a svelare l’acume del suo intelletto.
Un condiscepolo si era offerto a fargli da ripetitore, ma dovette presto accorgersi che l’allievo, con tutta semplicità, invertiva le parti e dava all’incauto, improvvisato maestro spiegazioni così lucide e profonde da costringerlo a riconoscere e manifestare l’ingegno superiore di Tommaso.
Un’altra volta cadde in mano ai condiscepoli, non si sa come, una pagina di appunti presi da Tommaso alle lezioni di Alberto; e dovettero con grande stupore ammettere che non si trattava di un semplice, anche se preciso, riassunto delle lezioni, ma di un profondo ripensamento delle questioni trattate.
Ma la prova più decisiva venne in occasione di una pubblica disputa, nella quale Tommaso aveva il compito di espositore e difensore di una tesi teologica, mentre il maestro stesso, frate Alberto da Colonia, svolgeva il ruolo di contraddittore.
Le obiezioni incalzavano sempre più serrate e insidiose e Tommaso calmo e sereno le risolveva lucidamente, mostrando una tale padronanza della materia da strappare gli applausi del maestro e dei condiscepoli.
Il giovane italiano rimaneva umile nel suo trionfo. Stimava talmente il valore della sincerità che, giovane, non si sottrasse all’invito di alcuni suoi confratelli burloni, che gli dicevano: « Tommaso, vieni a vedere un bue che vola! ». Taciturno, era chiamato dai suoi condiscepoli “il gran bue muto di Sicilia » (così i confratelli tedeschi, per i quali tutta l’Italia era Sicilia): ma Alberto Magno, suo maestro, che ben lo conosceva, rivolto agli allievi, esclamò: «Voi lo chiamate bue muto, ma egli darà tale muggito nella dottrina che tutto il mondo ne risuonerà».
Con intuizione sicura e precisa, Alberto svelava la natura eccezionale dell’allievo, predicendone la grandezza e avviando il giovane verso la luce della notorietà. Un giorno lo chiamerà «la luce e la gloria del mondo». A Colonia Tommaso fu ordinato sacerdote e si confermò nella sua vocazione di discepolo e predicatore della Verità.
Spesso durante la Messa si commuoveva fino alle lacrime. E quando passava a piedi per i campi, i contadini meravigliati dalla sua imponenza si voltavano verso di lui. Amante della verità sopra ogni cosa, consacrava tutto il suo tempo alla riflessione. Cosicché anche durante i pasti egli continuava a pensare, e i suoi confratelli potevano cambiagli le pietanze nel piatto senza che egli se ne accorgesse.
Dalla cattedra di Parigi
Nel 1252, Tommaso, ventisettenne, lasciava la Germania, perché il maestro lo aveva proposto per l’insegnamento della teologia a Parigi, all’ università della Sorbona, che era uno dei primi centri intellettuali dell’epoca. Il compito affidatogli era grande e difficile, ma egli che non aveva sollecitato l’onore, si piègò all’ubbidienza, ponendo tutte le forze del suo ingegno e tutto l’impegno della sua tenace volontà nell’approfondimento delle verità teologiche.
Dal 1252 al 1256 svolse il suo insegnamento in qualità di baccelliere biblico, il cui compito era di commentare i Libri Sacri, e, nel 1256, iniziò il corso dottorale. Fin dalla prolusione suscitò entusiasmo per la chiarezza dell’esposizione, la profondità delle argomentazioni e la larghezza di visuale.
Proprio in quegli anni si scatenò a Parigi una lotta accanita da parte dei maestri secolari della Sorbona contro i religiosi domenicani e francescani che, con l’opera e l’insegnamento, suscitavano sempre più vasta ammirazione fra gli studenti e la popolazione. Gli avversari ricorsero anche a libelli ingiuriosi e calunniosi, tendenti prima a ridurre e poi a togliere ai maestri religiosi la facoltà di insegnare; e riuscirono anche a brigare presso i prelati della Curia Romana fino a impressionare il Papa Innocenzo IV che, ingannato dai calunniatori, ritenne opportuno restringere e quasi sopprimere i privilegi degli Ordini religiosi, che insegnavano alla Sorbona. Ma il successore Alessandro IV seppe sventare le mene dei calunniatori e abolì tutte le restrizioni, reintegrando Francescani e Domenicani nei loro diritti.
Nell’imperversare della tempesta, Tommaso continuò l’insegnamento con una serenità che gli veniva dalla volontà ferrea e dalla piena consapevolezza della sublimità della sua missione. E quando gli avversari tentarono di colpire la libertà d’insegnamento e la stessa libertà religiosa, egli intervenne a difendere la nobile causa con la sua vasta scienza e il suo vigore di polemista.
Nell’opuscolo «Contra impugnantes Dei cultum et religionem» difese l’ideale degli Ordini religiosi e il loro diritto d’insegnare e di predicare l’eterna Verità.
Gli avversari continuarono a tramare nell’ombra, e Tommaso scrisse, fra il 1269 e il 1270, altre due opere «De perfectione vitae spiritualis» e «Contra pestiferam doctrinam retrahentium homines a religionis ingressu».
San Raimondo da Pennafort e il Maestro generale dei Domenicani, Umberto de Romans, incaricarono San Tommaso di un manuale chiaro e preciso di sintesi della filosofia cristiana. Era necessario che i futuri evangelizzatori acquistassero una buona conoscenza delle lingue dei popoli che volevano convertire. Ma si richiedeva soprattutto una preparazione filosofica adeguata, per dare una base razionale alla esposizione della dottrina cristiana e confutare le obiezioni che venivano mosse contro la fede dai pensatori arabi e giudaici, che facevano riferimento anche alla filosofia greca, in particolare al platonismo e all’aristotelismo.
San Tommaso, nel 1251, iniziò, con fervore missionario, l’opera richiesta, che fu intitolata: «Summa contra gentiles» o «Liber de veritate fidei christianae contra errores infidelium».
E’ una vera apologia delle verità cristiane contro gli errori di tutti i tempi; piena di rispetto e amore verso gli erranti, ma ferma e implacabile contro gli errori.
Il decennio trascorso in Italia fu straordinariamente operoso: insegnamento in varie città (Anagni, Orvieto,Viterbo) al seguito della Corte Pontificia, in qualità di Capo della scuola teologica della Curia papale; Ufficio di Predicatore generale dell’Ordine, che lo impegnava a occuparsi degli studi e delle scuole domenicane; intensa attività del ministero sacerdotale, particolarmente con la predicazione; e dal 1265 al1267, moderatore degli studi al convento di Santa Sabina a Roma che lo aveva accolto agli inizi della vita religiosa. Tornato a Parigi nel 1268, venne coinvolto in una controversia con il filosofo fiammingo Sigieri di Brabante e altri seguaci del filosofo arabo Averroè. Tommaso conciliò fede e intelletto e realizzò una sintesi filosofica (che poi accordò con la Bibbia e la dottrina cattolica) delle opere e degli insegnamenti di Aristotele e di altri filosofi antichi; di Agostino e altri padri della Chiesa; di Averroè, Avicenna e altri studiosi islamici; di pensatori ebrei come Maimonide e Avicebron e di precedenti filosofi della tradizione scolastica.
Pur così impegnato, egli delineava l’opera che più di ogni altra avrebbe portato l’impronta del suo genio, la «Summa Teologica», composta parte in Italia, fra il 1266 e il 1268, parte nella sua seconda permanenza a Parigi fra il 1269 e il 1272, e continuata a Napoli tra la fine del 1272 e il 1273. Scopo del Santo era quello di dare ai giovani studenti domenicani un manuale di teologia che non si esaurisse nelle aule scolastiche, ma desse una chiara e sistematica esposizione delle verità rivelate a coloro che dovevano essere maestri di cultura a tutto il mondo intellettuale. La Summa si sviluppa in tre parti.
Nella prima tratta i grandi argomenti dell’ esistenza di Dio.
Nella seconda parte tratta della morale, in cui è studiato l’uomo che, essendo dotato di intelligenza e di libera volontà, è padrone e responsabile dei suoi atti e con la suo opera deve rivolgersi a Dio, Fine Supremo. Analizza la vita emotiva e la psicologia delle passioni da ordinare e illuminare come forze potenti per la vita morale. Esamina le virtù intellettuali e teologali. Pone l’etica come cardine di tutte le scienze sociali e giuridiche.
Nella terza tratta dei problemi cristologici.
Tommaso è il principale esponente della filosofia scolastica del 1200. Egli cercava di riallineare la filosofia aristotelica al Cristianesimo. La filosofia scolastica partiva dal presupposto secondo cui l’intelligenza umana è in grado di raggiungere la verità mediante il metodo speculativo e assumeva che esistono tre diversi ordini di verità a cui rivolgere la speculazione.
Il suo sistema filosofico, detto « tomismo », costituì per secoli il filone principale sia della dottrina teologica sia dell’insegnamento etico sia della visione del mondo della Chiesa cattolica.
L’opera di Tommaso segna una tappa decisiva nella storia della filosofia e al suo sistema, detto « tomismo », si rifecero per secoli il pensiero cattolico e la dottrina teologica. In alcune encicliche papa Leone XIII e papa Pio XII riconobbero nella filosofia tomista la guida più sicura per la dottrina e l’istruzione scolastica cattolica, scoraggiando qualunque allontanamento da essa. In epoca contemporanea, il neotomismo rappresenta ancora una fra le principali scuole di pensiero; tra i pensatori che si confrontarono con il pensiero di Tommaso vi furono i filosofi francesi Jacques Maritain ed Etienne Gilson.
Accanto alla tematica del giusto prezzo di Aristotele dagli scolastici veniva formulata la teoria del « giusto salario », ossia quella che mantiene al lavoratore un livello di vita adeguato alla sua condizione sociale. Secondo gli scolastici il giusto prezzo doveva garantire la giustizia commutativa, cioè lo scambio uguale, in modo che nessuno, dallo scambio di merci, potesse ottenere più di quanto dava. Per quanto riguarda la MONETA essa, a differenza delle merci reali, che possedevano un « valore intrinseco », aveva un valore convenzionale. Appunto tra gli scolastici predomina una teoria convenzionalista della moneta: la moneta è un segno ed è stata inventata dagli uomini per misurare il valore delle merci ed agevolare gli scambi; è un bene fungibile che si consuma con l’uso. Da qui la condanna all’usura. In Tommaso D’Aquino troviamo infine il tentativo di giustificare la proprietà privata: Dio ha creato la terra per tutti gli uomini, nessuno può arrogarsi un diritto che privi gli altri uomini dell’uso dei beni creati. Nonostante ciò la proprietà privata può essere giustificata come stimolo al lavoro perciò va intesa come una forma di concessione che la comunità fa all’individuo e va esercitata come un servizio.
La metafisica di Tommaso è essenzialmente la metafisica aristotelica tramandata dagli Arabi. La differenza fondamentale è nell’introduzione del concetto di atto e potenza applicati non solo al mondo sensibile, ma anche a livello ontologico.
Per San Tommaso l’essenza è potenza dell’esistenza. Possiamo chiamare l’esistenza atto d’essere, usando il termine di Tommaso, o semplicemente essere.
L’estasi
Nel 1269 San Tommaso era di nuovo nominato maestro di teologia dell’Università di Parigi, dove già si era affermato, suscitando l’entusiasmo degli allievi e il rispetto degli stessi avversari.
Dopo un triennio, fervido di opere e di attività, fu richiamato in Italia; partecipò a Firenze al Capitolo generale dei Domenicani, dove fu deciso di aprire un nuovo studio generale dell’Ordine a Napoli, e di affidare l’insegnamento a San Tommaso.
Passando per Roma, il Santo rivide la pia sorella Teodora col marito conte Ruggiero di Sanseverino, ch’era stato costituito da re Carlo d’Angiò suo vicario nell’Urbe; tornò brevemente ai paesi della sua fanciullezza; provvide a sistemare la tutela del figlioletto della sorella Adelasia, rimasta vedova del conte di Traetto.
San Tommaso fu a Salerno dove tenne una serie di lezioni straordinarie nella celebre Scuola Medica che aveva sollecitato l’onore ed il decoro della parola del Santo.
Rivide Napoli dopo ben ventisette anni e iniziò subito le sue lezioni nella scuola domenicana, ch’era riconosciuta come Facoltà teologica dell’Università, con regio assenso di re Carlo, che fissò anche lo stipendio dovuto al grande maestro.
L’Università di Napoli, anche in periodi di acceso laicismo, ha sempre considerato suo vanto e decoro il magistero universitario del Santo Dottore, che nel 1852 fu proclamato celeste patrono dell’ Ateneo.
Le lezioni del maestro erano seguite da numerosi alunni e anche da persone insigni tra cui cui l’arcivescovo di Capua e l’arcivescovo di Salerno, Matteo Della Porta.
Oltre ad attendere all’insegnamento e alla compilazione di opuscoli apologetici e filosoficoteologici, il Santo si dedicava al sacro ministero della predicazione. Nel 1273 predicò il Quaresimale nella chiesa napoletana di San Domenico e, fatto nuovo per quei tempi, invece del latino, usò la lingua volgare, per poter essere accessibile a tutti.
Intanto attendeva al completamento della terza parte della Somma Teologica. Egli non era freddo, distaccato ragionatore, ma andava alla verità con tutta l’anima. Il pensatore e il santo erano due aspetti indissolubili della sua personalità. Per dedicarsi completamente al servizio della verità, aveva rifiutato alte cariche ecclesiastiche, quali la nomina ad abate di Montecassino, consentendogli di conservare il saio domenicano, e la nomina ad arcivescovo di Napoli. La profonda umiltà e la purità angelica, eliminando l’orgoglio dello spirito e l’orgoglio della carne, permisero al suo genio di spaziare nei cieli del sapere, mentre la preghiera e la contemplazione gli aprirono le sorgenti della Sapienza celeste.
Il 6 dicembre 1273, mentre celebrava nella chiesa di San Domenico a Napoli, fu rapito in estasi e dovettero scuoterlo, per farlo tornare alle normali occupazioni, ma da quel giorno non volle più scrivere.
Al confratello fra Reginaldo da Piperno, che gli faceva continue, dolci insistenze a riprendere la penna, per completare la Somma Teologica, Tommaso disse:
«Tutto quello che ho scritto mi sembra un pugno di paglia a paragone di quello che ho visto e mi è stato rivelato. E’ venuta la fine della mia scrittura, e spero che sia vicina la fine della mia vita».
Chiamato dal Papa Gregorio X a partecipare come esperto al Concilio di Lione, insieme con altri insigni teologi del tempo (Sant’Alberto Magno, San Bonaventura da Bagnoregio, Pietro di Tarantasia) fu colto da improvviso malore lungo il viaggio, e fraternamente ospitato dai monaci di Fossanova nel Lazio. Erano con lui anche fra’ Giacomo da Salerno, umile fratello laico domenicano, che fu addetto al servizio di San Tommaso, e fra Reginaldo da Piperno suo confessore. Riferisce il suo biografo Guglielmo da Tocco, fra Giacomo e fra Reginaldo furono testimoni di un’estasi che san Tommaso ebbe a Salerno «cum esset in conventu fratrum» e un’altra che ebbe nel castello di Sanseverino.
Il sole del suo genio e della sua santità dava gli ultimi bagliori. Commentò in modo stupendo il libro sacro del Cantico dei cantici e, prima di ricevere il Santo Viatico, in umile e fervida adorazione, rinnovò la sua professione di fede: «Ricevo Te, prezzo della redenzione dell’anima mia, per il cui amore ho studiato, vegliato, lavorato. Ho predicato Te, ho insegnato Te. Non ho detto mai nulla contro di Te».
Queste parole sono il più bel compendio di tutta la sua mirabile vita e indicano il segreto della sua prodigiosa attività.
Il 7 marzo 1274, chiudeva la sua giornata terrena ed entrava nella gloria, da lui più volte pregustata nell’estasi orante.
Il Papa Giovanni XXII, trattando la sua causa di canonizzazione, scrisse: «Non dubitiamo che fra Tommaso d’Aquino sia glorioso nel cielo, perché la sua vita è stata santissima e la sua dottrina prodigiosa. Egli solo ha sparso più luce nella Chiesa che tutti gli altri Dottori».
Molte sono le reliquie di questo santo sparse nel mondo.
Il corpo si venera nella chiesa di St. Sernin. Sepolto originariamente a Fossanova, fu traslato, nel gennaio del 1369, a Tolosa dove rimase fino al 1791. In questa occasione il braccio destro fu dato ai Domenicani di Parigi che, in seguito, lo portarono a Roma dove, nella chiesa dei Ss. Domenico e Sisto, veniva esposto ai fedeli l’8 marzo. Un’altra reliquia, sempre proveniente da un braccio, fu donata da Urbano VIII, il 15 maggio del 1633, alla chiesa della Concezione a Via Veneto.
La custodia della reliquia della mano destra è vantata dalla chiesa di San Domenico a Salerno. La contessa Teodora, nel 1288, aveva chiesto all’abate di Fossanova di avere come reliquia la mano destra del santo fratello. E, come narra Guglielmo da Tocco, l’abate staccò la mano destra dal corpo del Santo e la consegnò alla contessa che dapprima la collocò nella cappella del castello di Sanseverino e poi, d’accordo con il figlio Tommaso (colui che edificò la certosa di Padula), decise di donarla alla chiesa domenicana di Salerno.

Publié dans:Santi, Santi: San Tommaso d'Aquino |on 28 janvier, 2012 |Pas de commentaires »

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