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26 novembre – Beato Giacomo Alberione Sacerdote (mf) Festa per la Famiglia Paolina

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Beato Giacomo Alberione Sacerdote

26 novembre
 
San Lorenzo di Fossano, Cuneo, 4 aprile 1884 – Roma, 26 novembre 1971

Giacomo Alberione nacque il 4 aprile 1884 a San Lorenzo di Fossano (Cuneo), da una povera e laboriosa famiglia di contadini. A sette anni sentì la vocazione al sacerdozio. Entrò nel seminario di Bra, ma dopo quattro anni di permanenza una crisi gli fece lasciare il seminario. Nell’autunno del 1900 tornò a indossare l’abito del seminarista, questa volta nel collegio di Alba. Nella notte che segnava il passaggio al nuovo secolo, durante la veglia di adorazione solenne nel Duomo, mentre era inginocchiato a pregare una particolare luce gli venne dall’Ostia, l’invito di Gesù: “Venite ad me omnes…”(Mt 11, 28) lo incitò a fare qualcosa per gli uomini e le donne del nuovo secolo. Il 20 agosto 1914 diede inizio a quella che dapprima si chiamò “Scuola Tipografica Piccolo Operaio”, e successivamente “Pia Società San Paolo”, il primo dei dieci rami della Famiglia Paolina. La morte lo colse a Roma, all’età di 87 anni, il 26 novembre 1971. Il 26 giugno 1996 Giovanni Paolo II ne ha riconosciuto le virtù eroiche dichiarandolo Venerabile.

Martirologio Romano: A Roma, beato Giacomo Alberione, sacerdote, che, sommamente sollecito per l’evangelizzazione, si dedicò con ogni mezzo a volgere gli strumenti della comunicazione sociale al bene della società, facendo dei sussidi per annunciare più efficacemente la verità di Cristo al mondo, e fondò per questo la Congregazione della Pia Società di San Paolo Apostolo.

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Giacomo Alberione nasce il 4 aprile 1884 nella cascina delle « Nuove Peschiere » a San Lorenzo di Fossano (Cuneo). Presso la cappella dedicata a San Lorenzo riceve il Battesimo il giorno successivo, 5 aprile. La famiglia Alberione è guidata da papà Michele e benevolmente curata da mamma Teresa Allocco. Ci sono già i fratelli: Giovenale, Francesco, Giovanni; seguiranno la sorellina che morirà entro un anno e l’ultimo fratello Tommaso. Famiglia di poveri contadini, profondamente cristiana e laboriosa, che trasmette ai figli con la fede una forte educazione al lavoro e una fiducia incrollabile nella Provvidenza.
Il progetto di Dio su Giacomo comincia ad evidenziarsi molto presto: in prima elementare, interrogato dalla maestra Rosa Cardona su cosa farà da grande, egli risponde con chiarezza: « Mi farò prete! ».
Seguono gli anni della fanciullezza orientati in questa direzione.
Nella nuova abitazione della famiglia nella regione di Cherasco, parrocchia San Martino, diocesi di Alba, il parroco don Montersino aiuta l’adolescente a prendere coscienza e a rispondere alla chiamata del Signore. A 16 anni Giacomo è accolto nel Seminario di Alba e subito si incontra con colui che gli sarà padre, guida, amico, consigliere per 46 anni: il can. Francesco Chiesa.

Fare « qualcosa » per il Signore e gli uomini del nuovo secolo
Al termine dell’Anno Santo 1900, già fortemente interpellato dall’enciclica di Papa Leone XIII « Tametsi futura », Giacomo asseconda l’invito potente della grazia divina: nella notte del 31 dicembre 1900, che divide i due secoli, sosta per quattro ore in adorazione davanti al SS. mo Sacramento solennemente esposto nella Cattedrale di Alba. Una « particolare luce », come testimonia egli stesso, gli viene dall’Ostia e da quel giorno si sente « profondamente obbligato a far qualcosa per il Signore e per gli uomini del nuovo secolo », « obbligato a servire la Chiesa », con i mezzi nuovi offerti dall’ingegno umano.
E’ in seguito a tale esperienza che don Alberione ricorda senza fine a tutti i suoi figli e figlie: « Siete nati dall’Ostia, dal Tabernacolo! ».
L’itinerario del giovane Alberione prosegue molto intensamente negli anni dello studio della filosofìa e teologia. Il 29 giugno 1907 viene ordinato sacerdote. Segue una breve ma decisiva esperienza pastorale in Narzole (Cuneo), nella parrocchia di S. Bernardo, in qualità di vice parroco. Nei pochi mesi di apostolato pastorale diretto incontra il giovinetto Giuseppe Giaccardo che per lui sarà ciò che fu Timoteo per l’Apostolo Paolo. E sempre a Narzole don Alberione matura una maggior comprensione di ciò che può fare la donna coinvolta nell’apostolato.
Seguono gli anni vissuti nel Seminario ad Alba, dove svolge il compito di Padre Spirituale dei seminaristi maggiori e minori, e d’insegnante in varie materie.
Il giovanissimo sacerdote prega molto, studia, si presta per predicazione, catechesi, conferenze nelle parrocchie della diocesi. Dedica pure molto tempo allo studio, approfondendo particolarmente testi che lo illuminano e lo aggiornano sulla situazione della società civile ed ecclesiale del suo tempo e sulle necessità dell’uomo d’oggi: verso dove cammina questa umanità?
Ma il Signore lo vuole e lo guida in una missione nuova, multiforme nei mezzi e nelle strutture, per predicare il Vangelo a tutti i popoli, nello spirito dell’Apostolo San Paolo: portare gli uomini a Dio e Dio agli uomini, utilizzando i mezzi moderni di comunicazione. Testimoniano tale orientamento due libri di notevole importanza, maturati in quegli anni: « Appunti di teologia pastorale » (1912) e « La donna associata allo zelo sacerdotale » (iniziato nel 1911 e pubblicato nel 1915).
Maggior luce e maggior comprensione per un nuovo passo avviene nel 1910, quando don Alberione prende coscienza che la missione di dare Gesù Cristo al mondo deve essere assunta e realizzata da persone consacrate: « Le opere di Dio si fanno con gli uomini di Dio », amerà ripetere spesso.

La missione si concretizza: evangelizzare con i mezzi moderni
Per obbedire a Dio e alla Chiesa, il 20 agosto 1914, mentre a Roma muore il santo pontefice Pio X, ad Alba don Alberione dà inizio alla « Famiglia Paolina » con la fondazione della Pia Società San Paolo. Tutto avviene in forma semplice e dimessa: don Alberione si sente strumento di Dio, mosso dalla pedagogia divina che ama « iniziare sempre da un presepio », nel silenzio e nel nascondimento.
La famiglia umana – alla quale don Alberione si ispira – è composta di… fratelli e sorelle. Don Alberione è ben consapevole del ruolo importante che la donna, esercita nel « fare del bene » a gloria di Dio e per la salvezza dei fratelli. La prima donna che segue don Alberione è una ragazza ventenne di Castagnito (Cuneo): Teresa Merlo. Con il suo contributo, Alberione dà inizio alla congregazione delle Figlie di San Paolo (1915). Lentamente, ma decisamente, tra difficoltà di ogni genere, la « Famiglia » si sviluppa, le vocazioni maschili e femminili aumentano, l’apostolato si delinea e prende forma.
Nel 1918 (dicembre) avviene una prima partenza (quante ne seguiranno?) di « figlie » verso Susa: inizia una coraggiosa storia ricca di fede e di giovanile entusiasmo, che genera anche uno stile caratteristico, denominato « alla paolina ».
È abbastanza semplice seguire la cronologia di questi anni: ma quanto cammino, quanto progresso! Dio è presente e dà segni evidenti che è Lui solo a volere la Famiglia Paolina.
Però, nel luglio 1923 una nube oscura sembra troncare sul nascere tutti i sogni. Don Alberione si ammala gravemente; e il responso dei medici non lascia speranze. Ma ecco che, contrariamente ad ogni previsione, don Alberione riprende miracolosamente il cammino: « San Paolo mi ha guarito », commenterà in seguito. Da quel periodo appare nelle cappelle Paoline la scritta che in sogno o in rivelazione il Divin Maestro rivolge al Fondatore: « Non temete – Io sono con voi – Di qui voglio illuminare – Abbiate il dolore dei peccati ».
Nel 1924 prende vita la seconda congregazione femminile: le Pie Discepole del Divin Maestro, per l’apostolato eucaristico, sacerdotale, liturgico. A guidarle nella nuova vocazione don Alberione chiama la giovane Orsola Rivata.
Intanto don Alberione, sempre bruciato dallo « zelo » per le anime, va individuando le forme più rapide per raggiungere con il messaggio evangelico ogni uomo, soprattutto i lontani e le masse. Intuendo che, accanto ai libri, un mezzo molto efficace poteva risultare la pubblicazione di periodici, eccolo …buttarsi massicciamente in questa forma di apostolato. Nel 1912 era già nata la rivista Vita Pastorale destinata ai parroci, al fine « che ogni pastore sia un Pastor Bonus, modellato sopra Gesù Cristo… »; adesso (1931) nasce Famiglia Cristiana, rivista settimanale con lo scopo di alimentare la vita cristiana delle famiglie. Seguiranno: La Madre di Dio (1933), « per svelare alle anime le bellezze e le grandezze di Maria »; Pastor bonus (1937), rivista mensile in lingua latina, nella quale si trattavano problemi di cura pastorale e venivano offerte profonde meditazioni biblico-teologiche; Via, Verità e Vita (1952), rivista mensile per la conoscenza e l’insegnamento della dottrina cristiana; La Vita in Cristo e nella Chiesa (1952), con lo scopo di far « conoscere i tesori della Liturgia, diffondere tutto quello che serve alla Liturgia, vivere la Liturgia secondo la Chiesa… ». Don Alberione pensa anche ai ragazzi: per loro fa pubblicare Il Giornalino.
Si pone pure mano alla costruzione del grandioso Tempio a San Paolo, prima chiesa dedicata a una delle devozioni fondamentali della Famiglia Paolina. Seguiranno i due Templi a Gesù Maestro (Alba e Roma) e il Santuario alla Regina degli Apostoli (Roma).
Don Alberione si preoccupa di guidare, formare, orientare fratelli e sorelle precedendoli nella vita – vocazione – missione paolina.

Da Alba al mondo: come Paolo sempre in cammino
Nel 1926 si concretizza la fondazione della prima Casa « filiale » a Roma, seguita negli anni successivi da molte fondazioni in Italia e all’Estero.
Intanto cresce l’edificio spirituale: si segue con una maggiore comprensione e quindi più facilmente l’insegnamento del « Primo Maestro » sulla « devozione » fondamentale e qualificante: « Gesù Maestro e Pastore, Via e Verità e Vita », sulla devozione a Maria Madre, Maestra e Regina degli Apostoli; e sulla devozione a San Paolo, che ci specifica nella Chiesa e per cui siamo « i Paolini ».
La meta che il Fondatore indica a tutti e che vuole sia assunta come il primo « impegno » è la conformazione piena a Cristo: accogliere tutto il Cristo Via e Verità e Vita in tutta la persona, mente, volontà, cuore, forze fisiche. Orientamento codificato in un volumetto composto intorno agli anni ’30 e al quale dà il titolo paolino: « Donec formetur Christus in vobis ».
Nell’ottobre 1938 don Alberione fonda la terza congregazione femminile: le Suore di Gesù Buon Pastore o « Pastorelle », destinate all’apostolato pastorale diretto in ausilio ai Pastori.
La seconda guerra mondiale (1940-1945) segna una battuta d’arresto; ma il Primo Maestro, forzatamente fermo a Roma, non si arresta nel suo itinerario spirituale. Mentre attende il ritorno di condizioni migliori per operare, egli va accogliendo in misura sempre più radicale la luce di Dio in un clima di adorazione e contemplazione ogni giorno crescente.
Frutto di tale attitudine adorante sono gli scritti che il Fondatore continua a regalare ai suoi figli, tutti di grande rilievo per la Famiglia Paolina. Ricordiamo solo la « Via humanitatis » (1947), altissima rilettura del cammino dell’umanità in ottica mariana (« per Mariam, in Christo et in Ecclesia »), e quello che è il suo sogno incompiuto: il Progetto di un’enciclopedia su Gesù Maestro (1959).
Per don Alberione l’attività piena riprende alla fine del 1945, con i grandi viaggi intorno al mondo, allo scopo di incontrare e confermare fratelli e sorelle. Rimane « folgorato » dall’Oriente (India, Cina, Filippine…): le moltitudini, i miliardi di persone… Ma quanti conoscono Gesù Cristo? « Mi protendo in avanti! Non pensare a quel che si è fatto, ma piuttosto a quanto rimane da fare ».
Gli anni 1950-1960 sono gli anni d’oro del consolidamento della Famiglia Paolina: tutto fiorisce con vocazioni, fondazioni, edizioni, iniziative molteplici, impegno nella formazione, nello studio, nella povertà.
Nel 1954 si celebra il quarantesimo di fondazione, documentato in un volume pubblicato nella circostanza: « Mi protendo in avanti ». E’ esattamente in questa occasione che don Alberione riesce a vincere la sua naturale ritrosia nel parlare di se stesso e consegna ai suoi figli lo scritto che sarà pubblicato con il titolo: « Abundantes divitiae gratiae suae » e che viene considerato ora come la « storia carismatica della Famiglia Paolina ».
Con la fondazione della quarta congregazione femminile: l’Istituto Regina degli Apostoli per le vocazioni (Suore Apostoline), dedite all’apostolato vocazionale (1959) e con gli Istituti aggregati: San Gabriele Arcangelo, Maria SS.ma Annunziata, Gesù Sacerdote, Santa Famiglia, si completa il grande « albero » della Famiglia Paolina, pensata e voluta da Dio.
Don Alberione è ora la guida di circa diecimila persone, inclusi pure i Cooperatori Paolini, tutte unite tra loro dallo stesso ideale di santità e di apostolato: l’avvento di Cristo, Via, Verità, Vita, nelle anime e nel mondo, mediante gli strumenti della comunicazione sociale.

Dalla Chiesa del Concilio a quella celeste
Negli anni 1962-1965 il Primo Maestro è protagonista silenzioso, ma molto attento del Concilio Vaticano II, alle cui quattro « sessioni » partecipa quotidianamente con vivo impegno. Giorno di particolare giubilo è il 4 dicembre 1963, in cui viene emanato il Decreto conciliare « Inter Mirifica » sugli strumenti della comunicazione sociale da assumersi come mezzi di evangelizzazione. Egli così commentò: « Ora non potete più avere dubbi. La Chiesa ha parlato ». E ancora: « Vi ho dato il meglio. Se avessi trovato qualcos’altro di meglio, ve lo darei ora, ma non l’ho trovato ».
Nel frattempo, non mancano tribolazioni e sofferenze al padre comune. Tra le più acute, la morte dei suoi primi figli e figlie. Il 24 gennaio 1948 torna al padre don Timoteo Giaccardo, che egli considera « fedelissimo tra i fedeli ». Quindi, il 5 febbraio 1964, don Alberione è colpito da un nuovo, profondo dolore per la morte della Prima Maestra Teda (Teresa Merlo), la donna che non dubitò mai e vide in Lui l’Uomo trasmettitore della Volontà di Dio. In quell’occasione don Alberione non si preoccupò di nascondere le lacrime.
Ormai verso la fine del cammino terreno, si può affermare che il segreto di tanta multiforme attività fu la sua vita interiore, per la quale egli realizzò l’adesione totale alla Volontà di Dio, e compì in sé la parola dell’Apostolo San Paolo: « La mia vita è Cristo ». Il Cristo Gesù, in particolare il Cristo Eucaristico, fu la grande, l’unica passione di don Alberione: « La nostra pietà è in primo luogo eucaristica. Tutto nasce, come da fonte vitale, dal Maestro Divino. Così è nata dal tabernacolo la Famiglia Paolina, così si alimenta, così vive, così opera, così si santifica. Dalla Messa, dalla Comunione, dalla Visita, tutto: santità e apostolato ».
Il Venerabile don Giacomo Alberione rimase sulla terra 87 anni. Compiuta l’opera che il Padre Celeste gli aveva dato da fare, il 26 novembre 1971, lasciò la terra per prendere il suo posto nella Casa del Padre. Le ultime ore di don Alberione furono confortate dalla visita e dalla benedizione del Papa Paolo VI, che non nascose mai la sua ammirazione e venerazione per don Alberione. Ad ogni membro della Famiglia Paolina è oltremodo cara la testimonianza che volle lasciare il Papa Paolo VI, nella memorabile Udienza concessa al Primo Maestro e a una folta rappresentanza di membri della Famiglia Paolina, il 28 giugno 1969 (il Primo Maestro aveva 85 anni): « Eccolo: umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i « segni dei tempi », cioè le più geniali forme di arrivare alle anime, il nostro Don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno e con i mezzi moderni. Lasci, caro Don Alberione, che il Papa goda di codesta lunga, fedele e indefessa fatica e dei frutti da essa prodotti a gloria di Dio ed a bene della Chiesa ».
Il 25 giugno 1996 il Santo Padre Giovanni Paolo II firma il Decreto con il quale vengono riconosciute le virtù eroiche e il conseguente titolo di Venerabile.
E’ stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II a Roma il 27 aprile 2003.

Autore: Don Luigi Valtorta, ssp – Postulatore Generale

Fonte:  
www.alberione.org  

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 25 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

22 novembre – Santa Cecilia, Vergine e Martire

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Santa Cecilia - Vergine e martire

22 novembre
 
sec. II-III

Al momento della revisione del caledario dei santi tra i titolari delle basiliche romane solo la memoria di santa Cecilia è rimasta alla data tradizionale. Degli altri molti sono stati soppressi perché mancavano dati o anche indizi storici riguardo il loro culto. Anche riguardo a Cecilia, venerata come martire e onorata come patrona dei musicisti, è difficile reperire dati storici completi ma a sostenerne l’importanza è la certezza storica dell’antichità del suo culto. Due i fatti accertati: il «titolo» basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all’anno 313, cioè all’età di Costantino; la festa della santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell’anno 545. Sembra inoltre che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d’onore, accanto alla cosiddetta «Cripta dei Papi», trasferita poi da Pasquale I nella cripta della basilica trasteverina. La famosa «Passio», un testo più letterario che storico, attribuisce a Cecilia una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa. (Avvenire)

Patronato: Musicisti, Cantanti

Etimologia: Cecilia = dal nome di famiglia romana

Emblema: Giglio, Organo, Liuto, Palma

Martirologio Romano: Memoria di santa Cecilia, vergine e martire, che si tramanda abbia conseguito la sua duplice palma per amore di Cristo nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Il suo nome è fin dall’antichità nel titolo di una chiesa di Roma a Trastevere.

Tutti i fondatori, uomini e donne, dei  » titoli  » delle basiliche romane sono stati soppressi nel Calendario universale della Chiesa, perché non si può affermare che siano stati Martiri o confessori della fede, ma soltanto persone benefiche che hanno donato alla Chiesa le case o i palazzi diventati più tardi basiliche.
Soltanto il nome di Santa Cecilia è restato alla data tradizionale.
Moltissimi antichi Martiri, che presentavano gravi difficoltà storiche, sono stati anch’essi soppressi in occasione della revisione del Calendario. Non perché si possa affermare che tali Santi non siano esistiti, ma perché la loro esistenza non è suffragata da prove storiche abbastanza consistenti e convincenti.
Soltanto la memoria di Santa Cecilia è stata conservata, per quanto anche la sua figura presenti simili gravi difficoltà storiche.
Si dice – ma è soltanto un  » si dice  » – che questa doppia eccezione nei confronti di Santa Cecilia, sia do-vuta a una particolare insistenza, in occasione del Concilio ecumenico Vaticano Il, del Papa Giovanni XXIII.
Ed è certo che, senza il nome di Santa Cecilia, venerata come Martire e onorata come patrona dei musicisti, il Calendario sarebbe risultato un po’ più povero, mentre il rigore storico non avrebbe guadagnato un gran che. Perché due fatti almeno sono certi ed eloquenti: che il  » titolo  » basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all’anno 313, cioè all’età di Costantino. E che la festa della Santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell’anno 545.
Altra circostanza non priva di significato è che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d’onore, accanto alla cosiddetta  » Cripta dei Papi « . Più tardi, il Papa Pasquale I, grande devoto della Santa, ne trasferì il corpo nella cripta della basilica trasteverina.
Alla fine del ’500, il sarcofago venne aperto, e il corpo della Santa apparve in eccezionale stato di conservazione, avvolto in un abito di seta e d’oro. Il Maderna scolpì allora la celebre statua in marmo, a fedele riproduzione – così si disse – dell’aspetto e della posizione del corpo dell’antica Martire.
Tutto il resto è opinabile, sul conto della donna devota che dette il proprio nome alla basilica romana, e che probabilmente regalò alla Chiesa un fabbricato di sua proprietà; sulla fanciulla alla quale una celebre passione -che è però un testo letterario più che storico – attribuisce una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa, che tre colpi di spada non riuscirono a distaccare.
Resterebbe da spiegare come mai, dalla fine del Medioevo, la Santa Romana sia stata considerata musicista e patrona di musicisti, quale è ormai universalmente nota. Anche ciò si spiega con un passo della leggendaria Passione, in cui si dice che  » mentre gli organi suonavano, ella cantava nel suo cuore soltanto per il Signore « .
Nella stessa maniera, non soltanto i musicisti, ma tutte le creature dovrebbero, prima d’ogni altra cosa, dar lode a Dio datore di tutte le grazie, compresa quella dell’arte.

Fonte:  
 Archivio Parrocchia 

Publié dans:santi martiri, santi: biografia |on 21 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

15 novembre : Sant’ Alberto Magno Vescovo e dottore della Chiesa

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Sant’ Alberto Magno Vescovo e dottore della Chiesa

15 novembre – Memoria Facoltativa
 
Lauingen (Baviera), 1206 circa – Colonia, 15 novembre 1280

Alberto, filosofo e teologo, assiduo ricercatore dell’incontro fra la scienza e la fede. Domenicano, dottore della scolastica, insegnò nelle più celebri cattedre del suo tempo e a Parigi ebbe come suo discepolo San Tommaso d’Aquino. Vescovo di Ratisbona per due anni (1260-1262), fu promotore di pace della vita civica e sociale. (Mess. Rom.)

Patronato: Scienziati

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Sant’Alberto, detto Magno, vescovo e dottore della Chiesa, che, entrato nell’Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi con la parola e con gli scritti filosofia e teologia. Maestro di san Tommaso d’Aquino, riuscì ad unire in mirabile sintesi la sapienza dei santi con il sapere umano e la scienza della natura. Ricevette suo malgrado la sede di Ratisbona, dove si adoperò assiduamente per rafforzare la pace tra i popoli, ma dopo un anno preferì la povertà dell’Ordine a ogni onore e a Colonia in Germania si addormentò piamente nel Signore.

Alberto, della nobile famiglia Bollstadt, prese ancora giovanissimo l’Abito dei Predicatori dalle mani del Beato Giordano di Sassonia, immediato successore del Santo Patriarca Domenico. Dopo aver trionfato nel mondo, al giovane studente sembrò ostacolo insormontabile le difficoltà che incontrava nello studio della Teologia, e fu tentato di fuggire dalla casa del Signore. La Madonna, però, di cui era devotissimo, lo animò a perseverare, rassenerandolo nei suoi timori, dicendogli: “Attendi allo studio della sapienza e affinché non ti avvenga di vacillare nella fede, sul declinare della vita ogni arte di sillogizzare ti sarà tolta”. Sotto la tutela della Celeste Madre, Alberto divenne sapiente in ogni ramo della cultura, sì da essere acclamato Dottore universale e meritare il titolo di Grande, ancor quando era in vita. Insegnò con sommo onore a Parigi e nei vari Studi Domenicani di Germania, soprattutto in quello di Colonia, da lui fondato, dove ebbe tra i suoi discepoli San Tommaso d’Aquino, di cui profetizzò la grandezza. Fu Provinciale di Germania e, nel 1260, Vescovo di Ratisbona, alla cui sede rinunziò per darsi di nuovo all’insegnamento e alla predicazione. Fu arbitro e messaggero di pace in mezzo ai popoli, e al Concilio di Lione portò il contributo della sua sapienza per l’unione della Chiesa Greca con quella Latina. Avanzato negli anni saliva ancora vigoroso la cattedra, ma un giorno, come Maria aveva predetto, la sua memoria si spense. Anelò allora solo al cielo, al quale volò dopo quattro anni, il 15 novembre 1280, consumato dalla divina carità. La sua salma riposa nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea a Colonia. Papa Gregorio XV nel 1622 lo ha beatificato. Papa Pio XI nel 1931 lo ha proclamato Santo e Dottore della Chiesa. Il 16 dicembre 1941 Papa Pio XII lo ha dichiarato Patrono dei cultori delle scienze naturali.

Autore: Franco Mariani

11 novembre : San Martino di Tours, Vescovo

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San Martino di Tours Vescovo

11 novembre
 
Sabaria (ora Szombathely, Ungheria), 316-317 – Candes (Indre-et-Loire, Francia), 8 novembre 397

Nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest’epoca che si colloca l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. Lasciato l’esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio). Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario. Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Muore a Candes nel 397. (Avvenire)

Patronato: Mendicanti

Etimologia: Martino = dedicato a Marte

Emblema: Bastone pastorale, Globo di fuoco, Mante

Martirologio Romano: Memoria di san Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell’odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore. 

Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora « il Dio che si adora nelle città ». Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.

Autore: Domenico Agasso   


 

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10 novembre – San Leone I, detto Magno Papa e dottore della Chiesa

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San Leone I, detto Magno Papa e dottore della Chiesa

10 novembre
 
Papa

(Papa dal 29/09/440 al 10/11/461)
Arcidiacono (430), consigliere di Celestino I e di Sisto III, inviato da Valentino a pacificare le Gallie, venne eletto papa nel 440 circa. Fu un papa energico, avversò le sopravvivenze del paganesimo; combatté manichei e priscillanisti. Intervenne d’autorità nella polemica cristologica che infiammava l’Oriente, convocando il concilio ecumenico di Calcedonia, nel quale si proclamava l’esistenza in Cristo di due nature, nell’unica persona del Verbo. Nel 452 fu designato dal debole imperatore Valentiniano III a guidare l’ambasceria romana inviata ad Attila. I particolari della missione furono oscuri: è solo che il re degli Unni, dopo l’incontro con la delegazione abbandonò l’Italia. Quando Genserico nel 455 entrò in Roma, Leone ottenne dai Vandali il rispetto della vita degli abitanti, ma non poté impedire l’atroce saccheggio dell’Urbe. Dotato di un alto concetto del pontificato romano, fece rispettare ovunque la primazia del vescovo di Roma. Compose anche preghiere contenute nel “Sacramentario Veronese”. Benedetto XIV, nel 1754 lo proclamò dottore della Chiesa, E’ il primo papa che ebbe il titolo di Magno (Grande).

Etimologia: Leone = leone, dal latino

Martirologio Romano: Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro.  

Nel 440 c’è in Gallia quasi una guerra civile tra le due più alte autorità romane: il generale Ezio e il prefetto del pretorio Albino. Il potere imperiale è così debole, che per pacificarli si manda un uomo di Chiesa: il diacono romano Leone. Questi va e riconcilia i due. Poi apprende che papa Sisto III è morto e che è stato già eletto lui, Leone. Nei suoi 21 anni di pontificato passano 4 imperatori: uno cacciato subito (Avito) e gli altri ammazzati: Valentiniano III, Petronio Massimo e Maggioriano. L’Impero è in agonia e la giovane Chiesa è travagliata da scontri dottrinali e discordie.
Con l’energia e la persuasione, Leone rafforza in Occidente l’autorità della Sede di Pietro, e affronta duri contrasti in dottrina. L’abate orientale Eutiche, influente a Costantinopoli, sostiene che in Cristo esiste una sola natura (monofisismo), contro la dottrina della Chiesa sulle due nature, distinte ma non separate, nella stessa persona. E ottiene che l’imperatore Teodosio convochi nel 449 un concilio a Efeso (Asia Minore). Ma qui parlano solo gli “eutichiani”, senza ascoltare i legati di Leone, e acquistando nuovi proseliti. Negando validità a questo concilio, il Papa persuade il nuovo imperatore Marciano a indirne un altro nel 451. E questo è il grande concilio di Calcedonia (presso Bisanzio), quarto ecumenico, che approva solennemente la dottrina delle due nature. Non tutti però ne accettano le decisioni, e ci sono gravi disordini, soprattutto in Palestina.
Intanto l’Occidente vive tempi di terrore. L’Impero non ha più un vero esercito; e gli Unni di Attila, già battuti da Ezio nel 451, si riorganizzano in fretta, piombano sull’Alta Italia nel 452. Lo Stato impotente chiede a papa Leone di andare da Attila con una delegazione del Senato. S’incontrano presso Mantova, e Leone convince il capo unno a lasciare l’Italia, anche col pagamento di un tributo (la leggenda parlerà poi di una visione celeste che terrorizza Attila). Tre anni dopo, i Vandali d’Africa sono davanti a Roma col re Genserico. A difendere gli inermi c’è solo Leone, che non può impedire il saccheggio; ma ottiene l’incolumità dei cittadini ed evita l’incendio dell’Urbe. E’ un romano antico (forse anche di nascita) che ha incontrato Cristo, e che sente fortemente la responsabilità di successore di Pietro. Arricchisce la Chiesa col suo insegnamento (specie sull’Incarnazione); chiede obbedienza ai vescovi, ma li sostiene col consiglio personale, li orienta in dottrina, nello splendido latino dei suoi scritti, per « tenere con costanza la giustizia » e « offrire amorosamente la clemenza », poiché « senza Cristo non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto ». Non si hanno notizie sugli ultimi tempi della sua vita. Il Liber pontificalis dice che governò 21 anni, un mese e 13 giorni. I suoi romani lo chiamano “Leone Magno”, il Grande.

Autore: Domenico Agasso 

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15 ottobre Santa Teresa di Gesù (d’Avila) Vergine e dottore della Chiesa

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24850

15 ottobre Santa Teresa di Gesù (d’Avila) Vergine e dottore della Chiesa
 
Avila, Spagna, 1515 – Alba de Tormes, 15 ottobre 1582

Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent’anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l’incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un’intensa attività come riformatrice dell’Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l’autorizzazione del generale dell’Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)

Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.

Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi; « mater spiritualium » (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo; nata ad Avila (Vecchia Castiglia, Spagna) il 28 marzo 1515; morta ad Alba de Tormes (Salamanca) il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma gregoriana del calendario fu il 15 ottobre); beatificazione nel 1614, canonizzazione nel 1622; festa il 15 ottobre. « 
La sua vita va interpretata secondo il disegno che il Signore aveva su di lei, con i grandi desideri che Egli le mise nel cuore, con le misteriose malattie di cui fu vittima da giovane (e la malferma salute che l’accompagnò per tutta la vita), con le « resistenze » alla grazia di cui lei si accusa più del dovuto. Entrò nel Carmelo dell’Incarnazione d’Avila il 2 novembre 1535, fuggendo di casa. Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua « conversione », a 39 anni. Ma l’incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. « 
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di S. Giuseppe, senza rendite e « secondo la regola primitiva »: espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed « eroica » che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale dell’Ordine, Giovanni Battista Rossi – in visita in Spagna – l’ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di « Carmelitani contemplativi » (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle. Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano 17. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri – specialmente in Andalusia – contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all’erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: « Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore ». Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere – specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) – insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell’anima, dai primi passi sino all’intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L’ Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull’unione dell’anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l’ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter affermare: « muoio figlia della Chiesa ».

Autore: Anthony Cilia
Fonte:  
 www.ocarm.org  

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1 ottobre: Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux) Vergine e dottore della Chiesa

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24700

Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux) Vergine e dottore della Chiesa

1 ottobre
 
Alençon (Francia), 2 gennaio 1873 – Lisieux, 1° ottobre 1897

Sensibilissima e precoce, fin da bambina decise di dedicarsi a Dio. Entrò nel Carmelo di Lisieux e nel solco della tradizione carmelitana scoprì la sua piccola via dell’infanzia spirituale, ispirata alla semplicità e all’umile confidenza nell’amore misericordioso del Padre. Puosta dalla vocazione contemplativa nel cuore della Chiesa, si aprì all’ideale missionario, offrendo a Dio le sue giornate fatte di fedeltà e di silenziosa e gioiosa offerta per gli apostolo del Vangelo. I suoi pensieri, raccolti sotto il titolo Storia di un’anima, sono la cronaca quotidiana del suo cammino di identificazione con l’Amore. Con San Francesco Saverio è patrona delle missioni. (Mess. Rom.)

Patronato: Missionari, Francia

Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco

Emblema: Giglio, Rosa

Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni.
(30 settembre: A Lisieux in Francia, anniversario della morte di santa Teresa di Gesù Bambino, la cui memoria si celebra domani).

Si arrampica a Milano sul Duomo fino alla Madonnina, a Pisa sulla Torre, e a Roma si spinge anche nei posti proibiti del Colosseo. La quattordicenne Teresa Martin è la figura più attraente del pellegrinaggio francese, giunto in Roma a fine 1887 per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Ma, nell’udienza pontificia a tutto il gruppo, sbigottisce i prelati chiedendo direttamente al Papa di poter entrare in monastero subito, prima dei 18 anni. Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo quattro mesi Teresa entra nel Carmelo di Lisieux, dove l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei non sarà l’ultima).
I Martin di Alençon: piccola e prospera borghesia del lavoro specializzato. Il padre ha imparato l’orologeria in Svizzera. La madre dirige merlettaie che a domicilio fanno i celebri pizzi di Alençon. Conti in ordine, leggendaria puntualità nei pagamenti come alla Messa, stimatissimi. E compatiti per tanti lutti in famiglia: quattro morti tra i nove figli. Poi muore anche la madre, quando Teresa ha soltanto quattro anni.
In monastero ha preso il nome di suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, ma non trova l’isola di santità che s’aspettava. Tutto puntuale, tutto in ordine. Ma è scadente la sostanza. La superiora non la capisce, qualcuna la maltratta. Lo spirito che lei cercava, proprio non c’è, ma, invece di piangerne l’assenza, Teresa lo fa nascere dentro di sé. E in sé compie la riforma del monastero. Trasforma in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in cambio delle offese.
E’ una mistica che rifiuta il pio isolamento. La fanno soffrire? E lei è quella che « può farvi morir dal ridere durante la ricreazione », come deve ammettere proprio la superiora grintosa. Dopodiché, nel 1897 – giusto cent’anni fa – lei è già morta, dopo meno di un decennio di vita religiosa oscurissima. Ma è da morta che diviene protagonista, apostola, missionaria. Sua sorella Paolina (suor Agnese nel Carmelo) le ha chiesto di raccontare le sue esperienze spirituali, che escono in volume col titolo Storia di un’anima nel 1898. Così la voce di questa carmelitana morta percorre la Francia e il mondo, colpisce gli intellettuali, suscita anche emozioni e tenerezze popolari che Pio XI corregge raccomandando al vescovo di Bayeux: « Dite e fate dire che si è resa un po’ troppo insipida la spiritualità di Teresa. Com’è maschia e virile, invece! Santa Teresa di Gesù Bambino, di cui tutta la dottrina predica la rinuncia, è un grand’uomo ». Ed è lui che la canonizza nel 1925.
Non solo. Nel 1929, mentre in Urss trionfa Stalin, Pio XI già crea il Collegio Russicum, allo scopo di formare sacerdoti per l’apostolato in Russia, quando le cose cambieranno. Già allora. E come patrona di questa sfida designa appunto lei, suor Teresa di Gesù Bambino.

Autore: Domenico Agasso 

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13 settembre – San Giovanni Crisostomo Vescovo e dottore della Chiesa

domani è la memoria di San Giovanni Crisostomo, non si fa liturgicamente perché cade di domenica, ma vale la pensa ugualmente di ricordare il grande Padre della Chiesa, dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24400

13 settembre – San Giovanni Crisostomo Vescovo e dottore della Chiesa
 
Antiochia, 350? – 14 settembre 407

Giovanni, nato ad Antiochia (probabilmente nel 349), dopo i primi anni trascorsi nel deserto, fu ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano e ne diventò collaboratore. Grande predicatore, nel 398 fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli. L’attività di Giovanni fu apprezzata e discussa: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili alla ricchezza. Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da Teofilo di Alessandria, ed esiliato, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio. Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, prima in Armenia, poi sulle rive del Mar Nero. Qui il 14 settembre 407, Giovanni morì. Dal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438. (Avvenire)

Patronato: Preghiere

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall’ebraico

Emblema: Api, Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Giovanni, vescovo di Costantinopoli e dottore della Chiesa, che, nato ad Antiochia, ordinato sacerdote, meritò per la sua sublime eloquenza il titolo di Crisostomo e, eletto vescovo di quella sede, si mostrò ottimo pastore e maestro di fede. Condannato dai suoi nemici all’esilio, ne fu richiamato per decreto del papa sant’Innocenzo I e, durante il viaggio di ritorno, subendo molti maltrattamenti da parte dei soldati di guardia, il 14 settembre, rese l’anima a Dio presso Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia.
(14 settembre: A Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia, anniversario della morte di san Giovanni Crisostomo, vescovo, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).

Educato dalla madre, S. Antusa, Giovanni (nato ad Antiochia, probabilmente nel 349) negli anni giovanili condusse vita monastica in casa propria. Poi, mortagli la madre, si recò nel deserto e vi rimase per sei anni, dei quali gli ultimi due li trascorse in solitario ritiro dentro una caverna, a scapito della salute fisica. Chiamato in città e ordinato diacono, dedicò cinque anni alla preparazione al sacerdozio e al ministero della predicazione. Ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano, ne diventò zelante collaboratore nel governo della chiesa antiochena. La specializzazione pastorale di Giovanni era la predicazione, in cui eccelleva per doti oratorie e per la sua profonda cultura. Pastore e moralista, si mostrava ansioso di trasformare il comportamento pratico dei suoi uditori, più che soffermarsi sulla esposizione ragionata del messaggio cristiano.
Nel 398 Giovanni di Antiochia – il soprannome di Crisostomo, cioè, Bocca d’oro, gli venne dato tre secoli dopo dai bizantini – fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla prestigiosa cattedra di Costantinopoli. Nella capitale dell’impero d’Oriente Giovanni esplicò subito un’attività pastorale e organizzativa che suscita ammirazione e perplessità: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili al richiamo della ricchezza. I sermoni di Giovanni duravano oltre un paio d’ore, ma il dotto patriarca sapeva usare con consumata perizia tutti i registri della retorica, non certo per vellicare l’udito dei suoi ascoltatori, ma per ammaestrare, correggere, redarguire. Predicatore insuperabile, Giovanni mancava di diplomazia per cautelarsi contro gli intrighi della corte bizantina. Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da quello di Alessandria, Teofilo, ed esiliato con la complicità dell’imperatrice Eudossia, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio, colpito da varie disgrazie avvenute a palazzo. Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, dapprima sulla frontiera dell’Armenia, poi più lontano, sulle rive del Mar Nero.
Durante quest’ultimo trasferimento, il 14 settembre 407, Giovanni morì. Dal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438, tra una folla osannante. Dei numerosi scritti del santo ricordiamo il volumetto “Sul sacerdozio”, un classico della spiritualità sacerdotale.

Autore: Piero Bargellini 

San Pietro Claver, Gesuita (9 settembre, mf)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=saintfeast&localdate=20090909&id=603&fd=0

San Pietro Claver, Gesuita
(memoria facoltativa)

Pietro (Pedro) Claver Corberó nasce a Verdú (Catalogna) il 25 giugno 1581. Dal 1596 studiò lettere e arti nell’università di Barcellona e nel 1602 entrò nella Compagnia di Gesù. Mentre studiava psicologia a Maiorca nel 1605, il padre portinaio del collegio della Compagnia (Alfonso Rodríguez), pensando di essere ispirato da Dio, ritenne di conoscere quale dovesse essere la missione futura del suo giovane confratello e da quel momento in poi non smise mai di esortarlo a partire per evangelizzare i possedimenti spagnoli in America.
Pietro obbedì e nel 1610 sbarcò a Cartagena (Colombia). Fu ordinato sacerdote nel 1616 nella missione colombiana dove per 44 anni fu missionario tra schiavi afroamericani in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi africani.
Educato alla scuola del missionario Alfonso de Sandoval, Pietro si rese, con voto, schiavo dei negri per sempre “Aethiopum semper servus” (“sempre schiavo degli Etiopi”). Da persona timida ed insicura delle proprie capacità, diventò un organizzatore caritatevole, ardito ed ingegnoso.
A Cartagena sbarcavano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani: ma invecchiavano e morivano presto per la fatica, i maltrattamenti e per l’abbandono quando erano invalidi.
Ogni mese, quando veniva segnalato l’arrivo di nuovi schiavi, stipati nelle stive delle navi, Claver usciva in mare con il suo battello per incontrarli portando loro cibo, soccorso e conforto, guadagnandosi la loro fiducia.
Per insegnare a così tante persone che parlavano dialetti diversi, Claver riunì a Cartagena un gruppo di interpreti di varie nazionalità e li fece diventare dei catechisti.
Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e sparpagliati, Claver li istruiva e li battezzava. Nelle domeniche di Quaresima li riuniva, li interrogava riguardo alle loro necessità e li difendeva contro i loro oppressori. Questo lavoro causò a Claver difficili prove: i mercanti di schiavi non erano i suoi soli nemici.
Fu accusato di incauto zelo e di avere profanato i sacramenti, dandoli a creature che “a malapena possedevano un’anima”. Le donne della buona società di Cartagena si rifiutavano di entrare nelle chiese dove Claver aveva riunito i suoi « negri ». I superiori di Claver furono spesso influenzati dalle molte critiche che arrivavano ai loro orecchi.
Nondimeno Claver continuò la sua missione, accettando tutte le umiliazioni e aggiungendo penitenze rigorose alle sue opere di carità. Gli mancava l’aiuto degli uomini, ma riteneva di avere forza da Dio.
Durante la sua vita battezzò e istruì nella fede più di 300.000 neri. Morì a 74 anni a Cartagena l’8 settembre 1654.

Fu beatificato il 16 luglio 1850 da Pio IX e canonizzato il 15 gennaio 1888 da Leone XIII, con Alfonso Rodriguez, il fratello portinaio di Maiorca.

Il 7 luglio 1896 fu proclamato patrono di tutte le missioni cattoliche tra i neri.

Significato del nome Pietro : « pietra, roccia, sasso squadrato » (latino).

Fonti : wikipendia.org; santiebeati.it; gesuiti.it («RIV.»).

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Preghiera

O Dio, con il dono di una carità e pazienza eroica hai reso forte nel servizio degli infelici san Pietro Claver, fattosi schiavo degli schiavi; concedi anche a noi, per sua intercessione, di cercare Gesù Cristo nel nostro prossimo amandolo coi fatti e nella verità.

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 9 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino: trofeo di Cristo

dal sito:

http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/193/ref/6/Fede,-Morale-e-Teologia/Sant-Agostino:-trofeo-di-Cristo

Sant’Agostino: trofeo di Cristo

Nel momento che collassa fragorosamente l’Impero Romano d’Occidente, s’innalza in modo paradossale una delle colonne più alte e robuste della Chiesa e della civiltà occidentale: Agostino d’Ippona. Il suo insegnamento è oggi più vigente di mai.
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Era la notte fra il 23 e 24 aprile dell’anno 587 (1420 anni fa) quando il saggio e santo vescovo di Milano, sant’Ambrogio, battezzava nella Veglia Pasquale il trentatreenne Agostino Aurelio.
Ma qual è l’importanza del fatto? Un rapido sguardo sulla sua vita ci darà la risposta.

Bambino difficile e precoce

Agostino nacque a Tagaste, piccolo città nordafricana nel 354, figlio del pagano Patrizio e della cristiana Monica. Da piccolo dimostrò di avere una vivacissima intelligenza, una volontà tenace e un temperamento focoso.

Conobbe la fede cattolica ma non ricevette il battesimo. Egli stesso ci dice che fu bugiardo, appassionato per i giochi e per gli spettacoli del circo, e che, quando sorpreso in qualcosa di riprovevole, preferiva usare ogni sorta di arguzia piuttosto che riconoscere la sua cattiva condotta.

Un bambino di talento, sì, ma capriccioso, e non esente di difetti. Si vedeva già allora che Agostino avrebbe fatto parlare di sé.

L’uomo incatenato

Giunse l’adolescenza e la giovinezza. Agostino non seppe mantenere un atteggiamento corretto davanti alle donne, lasciandosi trascinare dalla lussuria e da amori illeciti. Simultaneamente, la sua poderosa intelligenza sprofondava in cavillosità che lo portarono ad aderire alla setta eretica dei manichei. In cerca di onori si recò a Cartagine, da lì a Roma e, finalmente, a Milano, città in quel momento importante forse come la stessa capitale dell’Impero.

Tre grosse catene opprimevano Agostino: il desiderio degli onori umani, gli errori che ottenebravano la sua intelligenza, la concupiscenza della carne che lo rendeva schiavo dei piaceri. Cosa ci si poteva aspettare, umanamente parlando, da Aurelio Agostino? Ben poco, a dire il vero. La sua storia poteva essere come quella di tanti altri, di cui a malapena ricordiamo il nome per uno dei loro scritti.

Di cosa la grazia è capace

Il caso di Agostino sarebbe stato differente però. Perché? Semplicemente perché la grazia di Dio lo aspettava al varco e perché Dio lo aveva scelto per rendere palese il potere vittorioso di quella grazia, in grado di rischiarare le tenebre più dense, di ridurre all’umiltà le vanità più lusinghiere e di far tornare puri un corpo e un anima macchiati dalla lascivia.

Si può dire che la storia di Agostino sia destinata a illustrare in modo palese la verità della parola della Scrittura che dice: «Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre» (Mt. 3, 9). Questa è la indubbia spiegazione di perché Agostino avrebbe parlato più tardi, tanto e con tanta profondità, della grazia di Dio: egli aveva sperimentato il suo potere nella storia della sua vita personale.

Il processo di ritorno di Agostino a Dio fu complesso e in esso influirono molteplici differenti fattori. Senz’altro, egli non abbandonò mai la ricerca intellettuale della verità. Sottomise a severe critiche le diverse posizioni, cercando con rettitudine, valutando le sue scoperte e mettendo da parte quanto si dimostrava falso o erroneo. Non sapeva ancora cosa fosse la verità e dove la si trovava, ma la cercava con diligenza.

Godette l’amicizia di uomini buoni, meno talentuosi di lui ma di più alta dirittura morale. Il loro esempio, più che le loro parole, benché queste non mancassero, lo portarono a convincersi della vacuità dei suoi piaceri.

A Milano ricevette una forte impressione conoscendo e ascoltando il vescovo sant’Ambrogio. Ambrogio era colto ed eloquente, il suo bel parlare colpì Agostino, professore di lettere e retorica. Ma molto al di là della perfezione del suo stile latino, Agostino apprezzò la grandezza del pastore, del vescovo integralmente dedicato alla responsabilità sacerdotale, attento ai bisogni spirituali del gregge, e soprattutto, incessantemente dedito alla lettura delle Sacre Scritture per poterle spiegare come parole di vita al popolo cristiano.

Figlio delle lacrime di santa Monica

 Fu Ambrogio a raccomandargli di leggere san Paolo; e quella lettura ebbe grande influenza nell’irrequieto Agostino. Ma vi fu qualcuno che influì ancora più nella conversione di Agostino: sua madre Monica.

Quella donna ammirevole aveva già ottenuto che suo marito morisse cristiano. Quando Agostino passò dall’Africa in Italia, Monica lo seguì. Ella sentiva la sua anima lacerata dalle sregolatezze del figlio. Da vera madre cristiana non si sentiva appagata dagli onori o dai successi che egli otteneva, finché rimanesse ancora lontano da Dio. Ogni giorno, talvolta persino due volte al giorno, Monica si recava al tempio a implorare Iddio per la conversione di Agostino. Sentiva un dolore lancinante nel vedere il frutto del suo grembo transitare per strade di perdizione, e piangeva perché Agostino non amava Dio né si affidava alla santa Chiesa.

Un giorno confidò il suo cuore a un vescovo raccontandogli tutta la sua amarezza per il traviamento morale del figlio. Il presule l’ascoltò e le disse una frase profetica: “È impossibile che si perda un figlio di tante lacrime!”.

Il cuore trova finalmente quiete

La grazia agiva tramite gli uomini e dall’interno del cuore di Agostino, lenta ma vittoriosa. Scosso profondamente Agostino rinunciò alla sua professione e si preparò con fervore al battesimo: aveva sentito la potenza della volontà del Signore ed era saldamente convinto di quella verità che più tardi coniò in una frase immortale: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non troverà quiete finché non riposa in te».

Lo stesso giorno venne battezzato anche il giovane Adeodato, figlio naturale di Agostino, ragazzo sveglio e affamato di Dio, di cui suo padre dice, con umiltà, che niente aveva messo in lui al di fuori del suo peccato. In realtà si preoccupò della sua formazione cristiana e cercò di riparare quel peccato aiutandolo a rinascere nell’acqua e nello Spirito Santo per la vita eterna. Presto morì il figlio di Agostino e suo padre affrontò il fatto con fede, rallegrandosi per quanto l’opera di Dio aveva compiuto in lui e per la certezza della sua gloria in Paradiso.

Monica: madre cristiana prototipica

Poco tempo dopo il battessimo di Agostino, quando aspettava nel porto di Ostia per imbarcarsi alla volta dell’Africa, morì lì sua santa madre Monica. Non resisto al desiderio di trascrivere le parole di quella madre ammirevole, compiuto modello delle madri cristiane, dette ad Agostino alla vigilia della sua morte: «Figlio mio, per quanto mi riguarda, niente ormai mi fa provare piacere sulla terra. Non so perché sono ancora qui, esaurite come sono le mie speranze nella vita terrena. Una cosa soltanto mi muoveva a desiderare un po’ più di vita: vederti cristiano e cattolico prima di morire. Questo Dio me l’ha concesso, e molto oltre le mie speranze, visto che anche tu hai disprezzato il mondo per servire Dio. Cosa dunque faccio qui?».

Quale vera madre, preoccupata anzitutto della salvezza del figlio piuttosto che dei suoi successi professionali o economici! Che sono i successi di questo mondo nei riguardi di ciò che è un valore supremo: l’amore, la grazia, la vita in Dio?

Che tristezza vedere oggi genitori cristiani che fanno sforzi ingenti per la grandezza umana dei loro figli – il che, certo, non è male – ma trascurano la loro formazione cristiana, non si curano di dare loro esempio di vita e morale cristiane, che giungono persino a consigliare in un senso opposto all’insegnamento di Cristo e della sua Chiesa! A che varrà tutto il benessere umano se il cuore è lontano da Dio?

L’Impero finì ma non la validità di sant’Agostino

Agostino ormai cristiano e cattolico fece ritorno nella sua terra in Africa. Lì divenne monaco e sacerdote. Il vescovo di Ippona lo associò ai suoi compiti pastorali e, alla sua morte, Agostino diventò vescovo di Ippona, piccolo porto della Numidia, diocesi di molto secondaria importanza, che non superava forse i 50000 abitanti; con una ventina di luoghi di culto e una trentina di sacerdoti. Fu ordinato vescovo intorno al 392, quando aveva trentotto anni circa. Dopo la sua consacrazione episcopale continuò a vivere come un monaco assieme al suo clero.

La sua vita episcopale fu condivisa fra i compiti di cura del suo gregge, incluse le questioni civili che a quei tempi, a causa della mancanza di funzionari idonei, gli imperatori avevano affidato ai vescovi, e la sua irrinunciabile vocazione di scrittore.

Agostino scriveva senza sosta, di notte, perché l’attività pastorali non gli lasciavano tempo durante il giorno. Si racconta che occupò le notti di ben dodici anni per scrivere La Città di Dio e di diciotto anni per scrivere i Trattati sulla Santissima Trinità. Fu un gran lottatore in difesa della purezza della fede cattolica. Dieci anni di vita da vescovo furono segnati dalla lotta contro l’eresia manichea, la stessa alla quale aveva aderito da giovane; altri dieci anni dedicò a difendere la fede contro i donatisti e gli ultimi dieci anni a combattere l’incipiente eresia pelagiana.

Nell’anno 430 moriva questo campione della fede, questo trofeo di Cristo, questo dottore della Chiesa. La sua città era assediata dai vandali e si avvicinava la fine dell’Impero. Questo finì, è vero, ma rimane vigente Agostino, uomo di Dio e opera di Dio. La sua parola e il suo esempio aiutano e incoraggiano tutti nella ricerca di Dio. Niente di meglio per concludere che questa preghiera di sant’Agostino:
«Donati a me, o Dio mio, restituiscimi te stesso. Ecco, io ti amo, e se è poco, dammi di amarti più intensamente. Non posso misurare per sapere quanto mi manca ancora per raggiungere la pienezza dell’amore e quanto deve ancora correre la mia vita per gettarsi tra le tue braccia e non più distaccarsene, fino a “nascondersi al riparo del tuo volto”. Questo solo io so: fuori di te tutto è male per me, non solo all’esterno, ma anche dentro di me; e qualsiasi ricchezza, che non sia il mio Dio, è per me assoluta povertà!» (Con¬fessioni, Libro 13 , cap. 8).

Sant’Agostino, ricercatore di Dio e pastore di anime, prega per noi!

Publié dans:SANTI APOSTOLI, santi: biografia |on 26 août, 2009 |Pas de commentaires »
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