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15 febbraio: San Claudio de la Colombiere Religioso

in Francia c’è molta devozione per questo santo, dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/41150

15 febbraio

San Claudio de la Colombiere Religioso 

pr. Grenoble (Francia), 2 febbraio 1641 – Paray-le-Monial (Francia), 15 febbraio 1682

Nato a Grenoble, in Francia, il 2 febbraio 1641 era il terzo figlio di un notaio. Brillante negli studi entrò a 17 anni nel noviziato di Avignone della Compagnia di Gesù. A venticinque anni andò a studiare teologia a Parigi e a ventotto fu ordinato sacerdote. Il gesuita Claudio de la Colombière fu superiore del collegio di Paray-le-Monial e confessore delle vicine Suore della Visitazione. Tra esse c’era Margherita Maria Alacoque, propagatrice del culto al Sacro Cuore di Gesù, che sarebbe divenuta santa. Rappresentò una guida sicura per i fedeli, disorientati dalle dispute tra Francia e Roma a causa delle dottrine gianseniste. Venne poi mandato a Londra come cappellano della futura regina Maria Beatrice d’Este. Ma fu arrestato con l’accusa di voler restaurare la Chiesa cattolica in Inghilterra. Espulso, tornò a Paray-le-Monial, dove morì solo tre mesi dopo, il 15 febbraio 1682. È santo dal 31 maggio 1992. (Avvenire)

Etimologia: Claudio = zoppo, dal latino

Martirologio Romano: A Paray-le-Monial in Burgundia, in Francia, san Claudio La Colombière, sacerdote della Compagnia di Gesù: uomo assai dedito alla preghiera, con il suo saldo e retto consiglio avviò molti all’amore di Dio.

E’ un uomo di cuore, dotato di una sensibilità delicata e di un gusto profondo dell’amicizia. Sente una profonda inclinazione verso il calore della famiglia e “un’avversione orribile” per la vita religiosa. E sceglie quest’ultima, non sappiamo bene perché. Claudio, terzo figlio di un notaio, ha una posizione economicamente solida e un avvenire sicuro. Brillante negli studi, entra a 17 anni nel Noviziato di Avignone della Compagnia di Gesù, dove termina il corso di Filosofia e poi, per cinque anni, è professore. A 25 anni lo mandano a Parigi, per studiare teologia nel celebre collegio di Clermont. All’impegno nello studio i superiori gli aggiungono l’incarico di precettore dei figli di Colbert, ministro delle finanze del re di Francia, e questo è un chiaro riconoscimento delle sue doti di prudenza, finezza e del profondo gusto dell’amicizia che lo contraddistingue. Sacerdote a 28 anni, gli affidano a Lione l’incarico di professore e predicatore, che esercita per cinque anni. A sorpresa, nel 1675, Padre Claudio viene destinato come Superiore della comunità dei Gesuiti di Paray-le-Monyal, decisamente sproporzionata, per dimensioni, importanza e dislocazione geografica, alla fama che si è venuta acquistando ed alle doti che tutti gli riconoscono. E se non c’è una spiegazione “logica” a questa improvvisa e inadeguata nomina, non c’è che da rallegrarsi, con il senno del poi, con i suoi superiori per quello che egli da quel momento diventerà. A Paray-le-Monyal una suora, che per ceto sociale e cultura è inferiore a tutte le altre consorelle, sta mettendo a subbuglio il monastero delle suore Visitandine in cui vive, con le sue stranezze e le sue visioni. E mentre sacerdoti prudenti e illuminati giudicano opera diabolica i suoi doni mistici, lei continua a sentirsi portatrice di un messaggio affidatole da Gesù stesso, che le chiede di diffondere nel mondo la devozione al Suo Cuore. In mezzo alle incomprensioni che sta sopportando soprattutto da parte del clero, Gesù promette a Suor Margherita Maria Alacoque (che la Chiesa proclamerà poi santa) di mandarle “un suo servo fedele e perfetto amico”, che l’avrebbe sostenuta e incoraggiata. Suor Margherita Maria, durante la prima predica di Padre Claudio nella chiesa del monastero, sente che è sicuramente lui il sacerdote promessole da Gesù. Ed infatti, nei pochi mesi di permanenza, Padre Claudio diventa il primo apostolo della devozione al Sacro Cuore, accettando con docilità ed entusiasmo il ruolo che il Cielo gli ha assegnato. Un anno dopo è mandato a Londra, come predicatore della duchessa di York, e l’ambiente protestante che lo circonda rende estremamente amaro il suo soggiorno inglese. Addirittura lo arrestano, con l’accusa calunniosa di “complotto papista”, e dopo tre settimane di carcere, viene espluso dall’Inghilterra. L’amarezza del carcere, insieme ai maltrattamenti subiti, incidono sulla sua salute, già provata da gravi disturbi polmonari. Dopo un periodo trascorso a Lione, i superiori, confidando nel clima migliore, lo fanno tornare a Paray-le-Monial, dove muore il 15 febbraio 1682 ad appena 41 anni. Nel 1994 Papa Giovanni Paolo II° proclama santo il Padre Claudio La Colombière, “maestro di illuminata spiritualità”, che Dio stesso aveva scelto per far conoscere “le imperscrutabili ricchezze” del Cuore di Cristo.

Autore: Gianpiero Pettiti

I suoi vogliono mandarlo in convento, ma lui non ne vuole sapere: « Ne avevo un’orribile avversione ». Superata la crisi dirà: « Chi si mette al servizio di Dio va sempre incontro a gravi pene ». Ma presto il ragazzo (figlio di un notaio) si fa stimare dai gesuiti del noviziato di Lione: « Ha prudenza superiore all’età, giudizio solido, sana pietà ». Negli studi passa da Lione ad Avignone e poi a Parigi (1666). Tre anni dopo è sacerdote e ritorna a Lione. Nel 1675 emette i voti solenni nella Compagnia di Gesù e dirige la piccola comunità dell’Ordine a Paray-le-Monial (Saône-et-Loire).
Ha pure l’incarico di confessore alla Visitazione, un tranquillo monastero diventato quasi una polveriera da quando è arrivata una consorella di 28 anni, bloccata a letto dai dolori reumatici: Margherita Maria Alacoque, malata, ma di spirito vivacissimo, con forte influenza su chiunque l’avvicini. Parla appassionatamente delle sue visioni e rivelazioni, dividendo clero e fedeli. Stimola il culto per il Sacro Cuore, che risale al Sei-Settecento: si tratta dell’adorazione alla persona di Cristo anche nella sua umanità, e al suo amore infinito, che da sempre ha per simbolo il cuore. Ma in Francia il clima religioso è infiammato dallo scontro con Roma per le dottrine giansenistiche, e i devoti del Sacro Cuore vengono irrisi come idolatri da chi non accoglie i fondamenti dottrinali del culto. D’altra parte, certi ambienti devoti alimentano di fatto le accuse con eccessi di parole e gesti che non esprimono una fede illuminata.
A Paray-le-Monial egli è anche preziosa guida per tanti cattolici disorientati dai contrasti, ma nel 1674 viene mandato a Londra come cappellano di Maria Beatrice d’Este, moglie di Giacomo II, duca di York e futuro re. All’epoca la Chiesa cattolica è fuori legge in Inghilterra: lui deve solo celebrare in una piccola cappella, e farsi vedere poco. Obbediente, vive ritirato, non fa visite. Ma c’è chi visita lui: cattolici inglesi che vogliono ascoltarlo, suore clandestine, preti spretati che vogliono tornare… Riesce perfino a mandare missionari cattolici in America, allora colonia inglese. Ma a 18 mesi dall’arrivo è arrestato con molti altri, accusati di voler restaurare la Chiesa di Roma nel regno. Lui non va in carcere perché protetto dal re di Francia, ma viene espulso. Tornato in patria, nel 1681 è di nuovo a Paray-le-Monial, molto malato. Suo fratello lo vorrebbe con sé nell’aria salubre del Delfinato. Ma lui non si muove, perché ha ricevuto un biglietto di Margherita Maria, che dice: « Il Signore mi ha detto che vuole il sacrificio della vostra vita qui ». Tre giorni dopo, padre Claudio muore lì, a Paray-le-Monial. E il suo corpo vi sarà custodito dai gesuiti nella loro cappella. Pio XI lo proclamerà beato nel 1929 e Giovanni Paolo II santo il 31 maggio 1992.

Autore: Domenico Agasso 

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 14 février, 2011 |Pas de commentaires »

Santa Giuseppina Bakhita da schiava a Figlia di Dio

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Publié dans:Santi, santi: biografia |on 9 février, 2011 |Pas de commentaires »

Santa Giuseppina Bakhita Vergine (8 febbraio)

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/40025

Santa Giuseppina Bakhita Vergine

8 febbraio – Memoria Facoltativa
 
Oglassa, Darfur, Sudan, 1868 – Schio, Vicenza, 8 febbraio 1947

Nasce nel Sudan nel 1869, rapita all’età di sette anni, venduta più volte, conosce sofferenze fisiche e morali, che la lasciano senza un’identità. Sono i suoi rapitori a darle il nome di Bakhita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata a Kartum dal console Italiano Calisto Legnani. Nel 1885 segue quest’ultimo in Italia dove, a Genova, viene affidata alla famiglia di Augusto Michieli e diventa la bambinaia della figlia. Quando la famiglia Michieli si sposta sul Mar Rosso, Bakhita resta con la loro bambina presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha la possibilità di conoscere la fede cristiana e, il 9 gennaio 1890, chiede il battesimo prendendo il nome di Giuseppina. Nel 1893, dopo un intenso cammino, decide di farsi suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. Divenuta suora, nel 1896 è trasferita a Schio (Vicenza) dove muore l’8 febbraio del 1947. Per cinquant’anni ha ricoperto compiti umili e semplici offerti con generosità e semplicità. (Avv.)

Martirologio Romano: Santa Giuseppina Bakhita, vergine, che, nata nella regione del Darfur in Sudan, fu rapita bambina e, venduta più volte nei mercati africani di schiavi, patì una crudele schiavitù; resa, infine, libera, a Venezia divenne cristiana e religiosa presso le Figlie della Carità e passò il resto della sua vita in Cristo nella città di Schio nel territorio di Vicenza prodigandosi per tutti.

Nacque nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947. Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.
La Madre Moretta
A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora ‘la nostra Madre Moretta’. Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull’eroicità delle sue virtù. La divina Provvidenza che ‘ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell’aria’, ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l’avvento del regno.
In schiavitù
Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome. Bakhita, che significa ‘fortunata’, è il nome datole dai suoi rapitori. Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.
Verso la libertà
Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l’affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre. Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l’Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.
In Italia
Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova ‘famiglia’ nell’abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l’amica. L’acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell’Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina ‘sentiva in cuore senza sapere chi fosse’. ‘Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio’.
Figlia di Dio
Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un’intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: ‘Qui sono diventata figlia di Dio!’. Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l’aveva condotta a sè per vie misteriose, tenendola per mano. Quando la signora Michieli ritornò dall’Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest’ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.
Figlia di Maddalena
Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell’Istituto di S. Maddalena di Canossa. L’8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, ‘el me Paron’. Per oltre cinquant’anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell’amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia. Quando si dedicò a quest’ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell’Istituto. La sua voce amabile, che aveva l’inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell’Istituto.
Testimone dell’amore
La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore. ‘Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!’. Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: ‘Come vol el Paron’.
L’ultima prova
Nell’agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e pi? volte supplicò l’infermiera che l’assisteva: ‘Mi allarghi le catene…pesano!’. Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: ‘La Madonna! La Madonna!’, mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l’incontro con la Madre del Signore. M. Bakhita si spense l’8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell’Istituto per vedere un’ultima volta la sua ‘Santa Madre Moretta’ e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti. 

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 9 février, 2011 |Pas de commentaires »

10 gennaio : San Gregorio di Nissa Vescovo (mf)

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/44200

San Gregorio di Nissa Vescovo

10 gennaio
 
Cesarea di Cappadocia, circa 335 – 395

È uno dei più importanti Padri della Chiesa d’Oriente. A lui si deve il primo trattato sulla perfezione cristiana, il «De virginitate». Nato intorno al 335, a differenza del fratello Basilio, futuro vescovo di Cesarea, inizialmente non scelse la vita monastica ma gli studi di filosofia e retorica. Fu solo dopo aver insegnato per anni che raggiune Basilio ad Annesi, sulle rive dell’Iris, dove si era ritirato insieme a Gregorio di Nazianzo. E quando Basilio fu eletto alla sede arcivescovile di Cesarea, volle i suoi due compagni come vescovi a Nissa e a Sasima. Nella sua sede episcopale Gregorio dovette affrontare non poche difficoltà: accuse mossegli dagli ariani lo portarono nel 376 all’esilio, ma quando si scoprì che erano false venne reintegrato nella sede. Nel 381 i padri che con lui parteciparono al Concilio Costantinopolitano I lo definirono la «colonna dell’ortodossia». Morì intorno al 395. (Avvenire)

Etimologia: Gregorio = colui che risveglia, dal greco
Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Nissa in Cappadocia, nell’odierna Turchia, san Gregorio, vescovo, fratello di san Basilio Magno: illustre per vita e per dottrina, a motivo della retta fede da lui professata fu scacciato dalla sua città dall’imperatore ariano Valente.
S. Gregorio di Nissa è uno dei grandi « Padri Cappadoci » a nessuno di loro inferiore come filosofo, teologo e mistico. Fratello di S. Basilio il Grande e di S. Macrina, di cui scrisse la vita, nacque a Cesarea verso il 335. Si applicò allo studio delle lettere in patria e in seno alla famiglia molto religiosa e ricca. Non pare che abbia avuto occasione di frequentare le grandi scuole del tempo, tanto più che suo padre era retore e avvocato.
Gregorio nella sua chiesa adempiva già l’ufficio di lettore quando, sedotto dalle attrattive del mondo, innamorato dell’arte di Libanio, sofista e rètore pagano, si fece professore di belle lettere e sposò la giovane Teosebia. Tuttavia, le rimostranze di suo fratello e di S. Gregorio di Nazianzo gli fecero ben presto comprendere la vanità del mondo. Allora abbandonò la cattedra, verso il 360 raggiunse i suoi amici nel cenobio fondato da S. Basilio sulle rive dell’Iris, nel Ponto, per darsi all’ascesi e allo studio della Scrittura e dei grandi teologi, in modo speciale Origene. Possiamo farci un’idea del suo stato d’animo in quel tempo leggendo il De Virginitate che scrisse per ordine di Basilio, suo maestro. Da quanto dice era pienamente felice di potersi dedicare alla vita contemplativa, lontano dal tumulto degli affari.
In quella solitudine Gregorio rimase per oltre dieci anni, fino a tanto cioè che suo fratello, eletto metropolita di Cesarea di Cappadocia, nel 371 lo richiamò per consacrarlo, nonostante la sua resistenza, vescovo di Nissa. S. Basilio non poté mai vantarsi delle attitudini amministrative dell’eletto. In diverse lettere egli si lamenta della sua ingenuità. A chi, nel 375, gli propose di inviarlo in missione a Roma, onde superare le difficoltà sorte con papa Damaso, che non si rendeva ben conto della situazione in Oriente, rispose, conscio dell’inesperienza assoluta di lui negli affari ecclesiastici: « Gregorio sarebbe certamente venerato e apprezzato da un uomo benevolo, ma con un uomo altero come Damaso, compreso della sua importanza, posto in alto e appunto per questo incapace di intendere coloro che, dal basso, gli dicono la verità, la visita di uno così estraneo all’adulazione come Gregorio, non servirebbe a nulla ».
Ciò nonostante S. Basilio aveva un’assoluta fiducia in lui perché lo sapeva fedele sostenitore del Concilio di Nicea. Fu difatti il suo costante attaccamento alla dottrina di S. Atanasio che gli attirò l’odio e la persecuzione degli ariani. Nella primavera del 376, un sinodo di vescovi cortigiani, convocato da Demostene, governatore del Ponto, e tenuto a Nissa stessa, depose Gregorio durante la sua assenza, con il falso pretesto di aver dilapidato i beni della sua chiesa. Questi avrebbe voluto ritirarsi ma S. Gregorio di Nazianzo lo esortò a tenere duro. La morte dell’imperatore Valente, avvenuta il 9-8-378 nella lotta contro i Goti. Gli permise difatti di rientrare trionfalmente nella sua sede.
Nel 379, nove mesi dopo la morte di suo fratello, S. Gregorio prese parte al concilio di Antiochia, riunito per estinguere lo scisma Meleziano ivi sorto e in cui si vide affidare dai padri conciliari una missione di grande fiducia presso i vescovi discordi del Ponto e dell’Armenia. Mentre assolveva il suo compito, nel 380 fu scelto come arcivescovo di Sebaste. Egli protestò per quella sua elezione, ma per qualche mese s’incaricò provvisoriamente dell’amministrazione religiosa della diocesi.
Il vescovo di Nissa, se era poco abile negli affari, s’imponeva con la sua eloquenza e la vastità della scienza filosofìca e teologica. Nel 2° concilio ecumenico radunato da Teodosio I nel 381 a Costantinopoli fu salutato « colonna dell’ortodossia ». In esecuzione del 3° canone del concilio, l’imperatore stabilì che sarebbero stati esclusi, come eretici notori, dalle chiese della provincia del Ponto, coloro che non erano in comunione con i vescovi Elladio di Cesarea, Otreio di Mitilene nella Piccola Armenia, e Gregorio di Nissa. E probabile che il santo sia stato incaricato di redigere la professione di fede che concluse i lavori del concilio. Sembra pure che abbia ricevuto l’incombenza di stabilire l’ordine nelle chiese della Palestina e dell’Arabia. San Gregorio ricomparirà ancora più di una volta, a Costantinopoli per i discorsi d’occasione e per le grandi orazioni funebri in morte della principessa Pulcheria e dell’imperatrice Flacilla. Nel 394 prese parte al concilio celebrato sotto la presidenza del patriarca Nettario. Nella suddetta città, dopo d’allora, il suo nome non compare più nei documenti del tempo. Se ne deduce che sia morto poco dopo.
San Gregorio fu oratore stimato, ma meno vivo del Nazianzeno, fu uomo di azione, ma inferiore a Basilio. Fu invece il più speculativo dei Cappadoci e il più profondo dei padri greci del secolo IV. Contro Eunomio, vescovo ariano di Cizico, difese energicamente dalle accuse suo fratello, e contro Apollinare di Loadicea rivendicò a Cristo un corpo umano e un’anima razionale. Nella controversia trinitaria rappresentò l’ortodossia cattolica e seguì la terminologia già fissata dagli altri cappadoci. Nella spiegazione teologica del dogma qualche volta fu molto audace, altre volte invece assai impreciso. La vita spirituale non è considerata dal Nisseno come contemplazione di Dio presente nell’anima, bensì come un avvicinarsi dell’anima a Dio e come l’unione con Lui nell’estasi dell’amore. La via della perfezione comincia quindi con l’illuminazione della fede, che coincide con la purificazione dell’anima; attraversa la seconda fase, che è l’oscurarsi delle realtà sensibili, mentre l’anima scopre in sé l’immagine della Santissima Trinità; nella fase finale sfocia nella conoscenza di Dio nella tenebra, che spinge l’anima alla ricerca instancabile dello Sposo divino, perché trovare Iddio non è riposarci in Lui, ma cercarlo senza sosta.
L’escatologia di Gregorio è molto discussa perché da una parte afferma l’eternità delle pene dell’inferno, e dall’altra – basandosi sull’efficacia dell’immenso amore del Verbo incarnato e sul trionfo finale del regno di Dio – insegna la restaurazione universale, teoria tanto cara ad Origine, ma riprovata dalla Chiesa. 

31 DICEMBRE 2010 – SAN SILVESTRO PAPA

dal sito:

http://www.chiesa-cattolica.net/papi/san-silvestro.php

31 DICEMBRE 2010 – SAN SILVESTRO PAPA

Silvestro, il cui nome significa « abitatore delle selve », è eletto Papa il 31 gennaio del 314 d.C. e rimane in carica fino alla morte, avvenuta nel 335. L’imperatore Costantino gli dona come residenza il palazzo del Laterano, affiancato più tardi dalla basilica di San Giovanni. Durante il suo pontificato vengono anche costruite le Basiliche di Santa Croce in Gerusalemme, di San Pietro e di San Paolo fuori le mura.
Il lungo pontificato di Silvestro è caratterizzato dalle controversie teologiche e l’autorità del vescovo di Roma è bel lungi da quella dei papi dei secoli successivi. Nel 325 egli ratifica i decreti del Concilio di Nicea contro gli Ariani (l’eresia di Ario, prete di Alessandria d’Egitto, negava la consustanzialità delle tre Persone Divine, togliendo a Gesù Cristo la sua divinità) dove si ristabilisce una volta per tutte che Cristo è Figlio di Dio. Si dice che, dopo la conversione dei Longobardi ariani al cattolicesimo, si moltiplicarono le fondazioni di chiese in onore di S. Silvestro associate al culto del Salvatore, essendo il santo considerato come secondo Salvatore, dato che i Longobardi erano eretici.
Una leggenda su San Silvestro sostiene che visse un certo tempo sul Soratte, rifugiato in un periodo di disaccordo con l’imperatore Costantino il quale, ammalatosi di lebbra, mandò i suoi messi a cercarlo. La vicenda narra che l’imperatore si ammalò e che per guarire dalla malattia gli venne consigliato di fare un bagno nel sangue umano. Costantino però vi rinunciò, impietosito dalla disperazione delle madri dei fanciulli scelti per fornire il sangue per il bagno. Nella notte sognò gli apostoli Pietro e Paolo, i quali gli suggerirono di richiamare dall’esilio Silvestro che solo poteva guarirlo dalla lebbra attraverso il battesimo. Un’altra leggenda narra che dimorò anche in Sabina, dove, sul monte Tancia si trovava una grotta al centro della quale era adagiato un grosso stalattite, adorato come un influente dio sabino. Il santo si adoperò per convertire subito i guardiani del luogo, distrusse l’idolo e pose al suo posto un altare dedicato a San Michele. Anche a Poggio Nativo (Ri) esiste il rudere di un’antica chiesa dedicata a San Silvestro. Gli si attribuiscono anche le « cacciate » di due draghi: una dalla grotta del Tancia, l’altra dalla rupe Tarpea. Papa Silvestro I viene sepolto il 31 dicembre del 335 a Roma nel cimitero di Priscilla. Appena morto, viene subito onorato pubblicamente come « Confessore » ed è tra i primi a ricevere questo titolo, attribuito dal IV secolo in poi a chi, pur senza martirio, ha trascorso una vita sacrificata a Cristo. Un anno dopo la sua morte, al Papa Silvestro era già dedicata una festa al 31dicembre; mentre in Oriente lo si ricorda il 2 gennaio.
A Roma, nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, si trova un ciclo pittorico ispirato alle storie leggendarie dell’imperatore Costantino e di Papa Silvestro tratto da la « vita seu actus Sancti Silvestri » scritto tra la fine del IV secolo e la prima metà del V. Tra il 1244 ed il 1251, anno in cui la curia Papale era lontana da Roma, il luogo ove sorge la Basilica fu usato come residenza di Stefano Conti, cardinale di spicco nella vita politica romana, il quale ne fece un sontuoso palazzo. La Vita Silvestri narra la guarigione miracolosa di Costantino ad opera di San Silvestro ma, in realtà, Costantino fu battezzato nel 337, dopo la fine del pontificato di Silvestro e dopo il Concilio Ecumenico. La leggenda di Silvestro è ricca di altri episodi, quali: la resurrezione di un toro che, a seguito di questo presunto miracolo, divenne il suo attributo iconografico. L’ uccisione di un sacerdote ebraico a segno della potenza divina, riuscendo, con questo, a convertire Elena, la madre di Costantino.
La sconfitta un enorme drago stabilitosi in una caverna del Foro Romano, simbolo del paganesimo persistente a Roma. Gli affreschi sulle pareti della cappella di San Silvestro rappresentano queste leggende e sono l’illustrazione più completa a noi pervenuta della vita di San Silvestro. La lettura inizia dalla parete di controfacciata dove nella parte alta è disposto un Giudizio Universale. Nella parte sottostante il ciclo silvestrino si trovano i dipinti che illustrano gli episodi salienti del suo incontro con Costantino: Costantino lebbroso rassicura le madri che chiedono grazia per i loro figli; i Santi Pietro e Paolo appaiono in sogno a Silvestro; i messi imperiali vano sul monte Soratte a cercare Silvestro; Costantino riceve Silvestro; Silvestro battezza Costantino; Costantino guarito dalla lebbra porge la tiara a Silvestro. Sotto la parete di sinistra, appaiono i fatti miracolosi della vita di Silvestro : la resurrezione del toro, la conversione di Elena e la cattura del drago. Il contenuto programmatico del racconto è un’ esplicita affermazione anti imperiale poiché allude al conflitto in corso tra papato e imperatore rivendicando la supremazia della Chiesa romana.
Papa Innocenzo IV aveva da poco scomunicato Federico II, in quanto non solo successore di San Pietro ma anche di Costantino e quindi degli imperatori romani. A tale proposito appaiono rilevanti due episodi dipinti nella cappella: Costantino che genuflettendosi offre la tiara a Silvestro, a simboleggiare sia il potere spirituale che temporale della chiesa in quanto la tiara è simbolo dei due poteri, e Costantino che accompagna il Papa a Roma tenendogli le briglie del cavallo. Quest’ultima scena si riferisce alla cerimonia che avveniva a seguito dell’incoronazione imperiale quando il sovrano incontrava per la prima volta il Papa : l’ imperatore a piedi doveva condurre la cavalcatura papale dopo aver aver aiutato il Papa a salirvi. E’ quindi comprensibile l’interesse di Stefano Conti, in quegli ani impegnato nella difesa della supremazia del papato, a rappresentare, nella cappella del proprio palazzo, un manifesto politico di tale portata.

Publié dans:Papi, santi: biografia |on 30 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

27 Dicembre San Giovanni Apostolo ed evangelista : il discepolo a cui fu chiesto di più…

dal sito:

http://www.moscati.com/carmelo.s.anna/Spirito5.html

Carmelo S.Anna – Carpineto Romano

San Giovanni Evangelista:
il discepolo a cui fu chiesto di più…

In genere, San Giovanni è conosciuto come « il discepolo che Gesù amava », e ciò sottolinea come una predilezione nei suoi riguardi, ma leggendo attentamente alcuni brani del Vangelo, emerge un altro aspetto di questo discepolo, che è quello di una sequela più radicale.
Già al momento dalla chiamata (Mt 5, 18-22), gli è chiesto qualcosa di più: si dice, infatti, che Pietro e Andrea – « lasciate le reti » – seguirono Gesù; invece di Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello si dice che, « lasciate le reti e il padre, seguirono Gesù ».
A Giovanni è chiesto un distacco, non solo dalle cose, ma anche dagli affetti. È ricordato poi come « il fratello di Giacomo » (Mt 17,1) e quindi messo in secondo piano. Quasi posto nell’ombra rispetto al fratello, viene in qualche modo « annullata » la sua personalità.
A lui è chiesto, insieme al fratello, di « bere il calice che Gesù berrà », ma non gli sarà concesso di « sedere alla destra o alla sinistra di Gesù », come la loro madre aveva chiesto (Mt 20, 23). Quindi, la loro, la sua, è una sequela per puro amore e non per interesse.
A lui viene chiesto di vegliare nell’orto degli olivi prima che Gesù venga arrestato (Mt 26, 37). A Lui è stato chiesto di domandare il nome del traditore e a lui è stato rivelato (Gv 14, 25-31). Sempre a Giovanni è stato chiesto di assistere all’agonia in Croce di Gesù e alla sua morte. A lui è stata affidata la Madre di Gesù (Gv 19, 25-27).
Infine, a lui è stato chiesto di correre e arrivare primo al sepolcro dove era stato posto Gesù e, sempre a lui, di far entrare prima Pietro e cedere a lui il compito di guida della Chiesa (Gv 20, 1-10). Cosa ci dice tutto questo?
Se Giovanni è il discepolo che Gesù amava – e tutti possiamo riconoscerci in lui, perché amati in modo particolare dal Signore – è però anche vero che il Signore può chiedere a noi qualcosa di più di quello che ci sentiamo di fare o siamo capaci di fare, e San Giovanni ci insegna a non tirarci indietro, ma a seguire lo stesso Gesù e avere fede in Lui, che ci darà la forze e la grazia di corrispondere sempre con generosità alle sue richieste
.

Publié dans:Santi Evangelisti, santi: biografia |on 26 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE (BENEDETTO XVI 2007)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2007/documents/hf_ben-xvi_ang_20071226_st-stephen_it.html

FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

BENEDETTO XVI
ANGELUS

Piazza San Pietro

Mercoledì, 26 dicembre 2007

Cari fratelli e sorelle!

All’indomani del Natale, la liturgia ci fa celebrare la « nascita al cielo » del primo martire, santo Stefano. « Pieno di fede e di Spirito Santo » (At 6,5), egli fu scelto come diacono nella Comunità di Gerusalemme, insieme con altri sei discepoli di cultura greca. Con la forza che gli veniva da Dio, Stefano compiva numerosi miracoli ed annunciava nelle sinagoghe il Vangelo con « sapienza ispirata ». Fu lapidato alle porte della città e morì, come Gesù, invocando il perdono per i suoi uccisori (At 7,59-60). Il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Stefano è la Carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a farsi obbediente fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), ha poi spinto gli Apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo.
Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori. Perciò noi oggi, nella santa Messa, preghiamo il Signore che ci insegni « ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di [Stefano] che morendo pregò per i suoi persecutori » (Orazione « colletta »). Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio! Dalla prima persecuzione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei nostri tempi. Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa. Nella Lettera Enciclica Spe salvi (cfr n. 37), ricordando l’esperienza del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin (morto nel 1857), faccio notare che la sofferenza è trasformata in gioia mediante la forza della speranza che proviene dalla fede. Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, « accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita » (Omelia a Marienfeld – Colonia, 21 agosto 2005). Il martire cristiano attualizza la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte.
Preghiamo per quanti soffrono a motivo della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Maria Santissima, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere testimoni credibili del Vangelo, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità.

22 novembre – Santa Cecilia Vergine e martire

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/25350

22 novembre – Santa Cecilia Vergine e martire
 
sec. II-III

Al momento della revisione del calendario dei santi tra i titolari delle basiliche romane solo la memoria di santa Cecilia è rimasta alla data tradizionale. Degli altri molti sono stati soppressi perché mancavano dati o anche indizi storici riguardo il loro culto. Anche riguardo a Cecilia, venerata come martire e onorata come patrona dei musicisti, è difficile reperire dati storici completi ma a sostenerne l’importanza è la certezza storica dell’antichità del suo culto. Due i fatti accertati: il «titolo» basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all’anno 313, cioè all’età di Costantino; la festa della santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell’anno 545. Sembra inoltre che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d’onore, accanto alla cosiddetta «Cripta dei Papi», trasferita poi da Pasquale I nella cripta della basilica trasteverina. La famosa «Passio», un testo più letterario che storico, attribuisce a Cecilia una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa. (Avvenire)

Patronato: Musicisti, Cantanti
Etimologia: Cecilia = dal nome di famiglia romana
Emblema: Giglio, Organo, Liuto, Palma

Martirologio Romano: Memoria di santa Cecilia, vergine e martire, che si tramanda abbia conseguito la sua duplice palma per amore di Cristo nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Il suo nome è fin dall’antichità nel titolo di una chiesa di Roma a Trastevere.
Tutti i fondatori, uomini e donne, dei  » titoli  » delle basiliche romane sono stati soppressi nel Calendario universale della Chiesa, perché non si può affermare che siano stati Martiri o confessori della fede, ma soltanto persone benefiche che hanno donato alla Chiesa le case o i palazzi diventati più tardi basiliche.
Soltanto il nome di Santa Cecilia è restato alla data tradizionale.
Moltissimi antichi Martiri, che presentavano gravi difficoltà storiche, sono stati anch’essi soppressi in occasione della revisione del Calendario. Non perché si possa affermare che tali Santi non siano esistiti, ma perché la loro esistenza non è suffragata da prove storiche abbastanza consistenti e convincenti.
Soltanto la memoria di Santa Cecilia è stata conservata, per quanto anche la sua figura presenti simili gravi difficoltà storiche.
Si dice – ma è soltanto un  » si dice  » – che questa doppia eccezione nei confronti di Santa Cecilia, sia do-vuta a una particolare insistenza, in occasione del Concilio ecumenico Vaticano Il, del Papa Giovanni XXIII.
Ed è certo che, senza il nome di Santa Cecilia, venerata come Martire e onorata come patrona dei musicisti, il Calendario sarebbe risultato un po’ più povero, mentre il rigore storico non avrebbe guadagnato un gran che. Perché due fatti almeno sono certi ed eloquenti: che il  » titolo  » basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all’anno 313, cioè all’età di Costantino. E che la festa della Santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell’anno 545.
Altra circostanza non priva di significato è che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d’onore, accanto alla cosiddetta  » Cripta dei Papi « . Più tardi, il Papa Pasquale I, grande devoto della Santa, ne trasferì il corpo nella cripta della basilica trasteverina.
Alla fine del ’500, il sarcofago venne aperto, e il corpo della Santa apparve in eccezionale stato di conservazione, avvolto in un abito di seta e d’oro. Il Maderna scolpì allora la celebre statua in marmo, a fedele riproduzione – così si disse – dell’aspetto e della posizione del corpo dell’antica Martire.
Tutto il resto è opinabile, sul conto della donna devota che dette il proprio nome alla basilica romana, e che probabilmente regalò alla Chiesa un fabbricato di sua proprietà; sulla fanciulla alla quale una celebre passione -che è però un testo letterario più che storico – attribuisce una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa, che tre colpi di spada non riuscirono a distaccare.
Resterebbe da spiegare come mai, dalla fine del Medioevo, la Santa Romana sia stata considerata musicista e patrona di musicisti, quale è ormai universalmente nota. Anche ciò si spiega con un passo della leggendaria Passione, in cui si dice che  » mentre gli organi suonavano, ella cantava nel suo cuore soltanto per il Signore « .
Nella stessa maniera, non soltanto i musicisti, ma tutte le creature dovrebbero, prima d’ogni altra cosa, dar lode a Dio datore di tutte le grazie, compresa quella dell’arte.

Fonte:  
 Archivio Parrocchia  

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 21 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

11 novembre – S. Martino di Tours

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/25050

San Martino di Tours Vescovo

11 novembre
 
Sabaria (ora Szombathely, Ungheria), 316-317 – Candes (Indre-et-Loire, Francia), 8 novembre 397

Nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest’epoca che si colloca l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. Lasciato l’esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio). Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario. Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Muore a Candes nel 397. (Avvenire)

Patronato: Mendicanti
Etimologia: Martino = dedicato a Marte
Emblema: Bastone pastorale, Globo di fuoco, Mantello

Martirologio Romano: Memoria di san Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell’odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore.
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora « il Dio che si adora nelle città ». Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.

Autore: Domenico Agasso 

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 10 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

4 novembre: San Carlo Borromeo Vescovo

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24950

4 novembre – San Carlo Borromeo Vescovo
 
Arona, Novara, 1538 – Milano, 3 novembre 1584

Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant’Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all’interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un’opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentanto. Durante la peste del 1576 assistì personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. (Avvenire)

Patronato: Catechisti, Vescovi
Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico
Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo.
(3 novembre: A Milano, anniversario della morte di san Carlo Borromeo, vescovo, la cui memoria si celebra domani).
Quella che oggi ci giunge dalla pagina del Calendario, è la voce di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell’apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione.
« Le anime – dice questa voce, la voce di San Carlo Borromeo – si conquistano con le ginocchia « . Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.
Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle  » Notti Vaticane « . Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore,  » più esecutore di ordini che consigliere « . Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.
Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.
Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.
Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l’ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d’archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell’Arcivescovo di Milano.
Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.
Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.
Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.
Fino all’ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.
Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant’Ambrogio.

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 4 novembre, 2010 |Pas de commentaires »
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