SAN GIUSTINO, FILOSOFO E MARTIRE – 1 GIUGNO
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SAN GIUSTINO, FILOSOFO E MARTIRE – 1 GIUGNO
(è molto lungo, salto due parti delle quali troverete i titoli maiuscoli)
Il R. P. Marcelo Gallardo è licenziato in Filosofia nella Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma. Dal 1994 è professore di Filosofia nel Seminario del Patriarcato Latino di Gerusalemme e nello « Studium Theologicum Ierosolimitanum ».
Introduzione e accenni biografici
San Giustino, « filosofo e martire ». Così chiama Tertulliano (1) al nostro santo, uno dei primi padri apologisti ed il primo « filosofo cristiano ». In questo lavoro intendiamo presentare certi aspetti rilevanti della vita e delle opere di questo santo riportando specialmente alcuni testi dei suoi scritti. Giustino, nato in Terra Santa e morto martire a Roma (2), è di uno dei più grandi santi della Chiesa dei primi secoli. Convertito al cristianesimo in un’epoca in cui i cristiani erano pochi e crudelmente perseguitati, affrontò con coraggio le grandi sfide della Chiesa del suo tempo: il dialogo con gli ebrei, il ruolo dei pagani e della loro cultura nella storia della salvezza, mantenendo ferma la sua fede fino a testimoniarla con il sangue.
Giustino nacque a Flavia Neapoli, città fondata da Vespasiano nel 72 d.C. poco dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei romani. La città esiste ancora nella Samaria, col nome di Nablus e si trova fra due montagne bibliche: l’Ebal e il Garizzim. Molto vicina alla biblica Sichem, dove Dio era apparso ad Abramo, e dove lui Gli dedicò un altare (cfr. Gn 12, 6-7). Giosuè a Sichem convocò le dodici tribù d’Israele per ratificare la Alleanza fra Dio e il suo popolo (cfr. Gs 24). Lì vicino si conserva il pozzo di Giacobbe, dove il nostro Signore annunziò alla Samaritana che era arrivata l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità (cfr. Jn 4,23).
Per il suo nome e quello di suo padre e del suo nonno si può dedurre l’origine pagana e presumibilmente romana di Giustino i cui genitori sono probabilmente venuti dalla penisola italica per stabilirsi nella nuova colonia romana dopo la sconfitta degli ebrei e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C. La personalità di Giustino è molto attraente, si tratta di un vero uomo in cui non c’è falsità (cfr. Jn 1,47). Riportiamo le parole di uno dei suoi biografi:
« Quello che ci ispira pronta simpatia in San Giustino, io direi di buon grado che è la trasparenza della sua anima, sincera, leale, ardente come nessuna. Quella anima si mostra a noi dalle prime righe della prima Apologia, nella stessa dedicazione; ci sono poche parole cosi impressionanti in tutta la letteratura cristiana primitiva: io, uno di loro (3).
« Io, Giustino, di Prisco, figlio di Bacheio nativi di Flavia Napoli, città della Siria di Palestina, o composto questo discorso e questa supplica in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di loro » (4).
Fra le sue opere conserviamo due apologie indirizzate molto probabilmente agli imperatori Antonino Pio e Marco Antonio, ed il Dialogo con Trifone nel quale presenta il cristianesimo in Dialogo con la filosofia e col Giudaismo. Le due apologie ci fanno scoprire l’anima santa e nobile di Giustino; difende coraggiosamente ai cristiani perseguitati e senza rancore cerca la conversione dei carnefici. Secondo il padre Lagrange, tutti i cristiani dovrebbero leggere queste due apologie. Nel Dialogo, dopo aver narrato la propria conversione in tratti immemorabili, Giustino, nella persona di un rabbino evidenzia le obiezioni del giudaismo riguardo il cristianesimo. Trifone è il tipo di rabbino del secondo secolo dopo Cristo. Incantato di poter discutere con un filosofo, viene poi deluso e lo disprezza quando ascolta la sua professione di fede cristiana. Sarebbe stato meglio per Giustino, secondo Trifone, essere rimasto platonico che diventare cristiano; meglio il paganesimo al cristianesimo che adora ad un uomo. Questa era la grande accusa dell’ebraismo e Giustino cerca di dimostrare a Trifone che il Messia preannunciato dai profeti non è altro che Gesù il quale si è manifestato come il Figlio di Dio (5). Con la sua dottrina dei « semina Verbi », San Giustino è stato forse il primo dei padri a fare una teologia della storia. Contro i gnostici afferma la continuità del disegno di salvezza fra l’antico ed il nuovo testamento, ma cerca anche di vedere come i pagani formavano parte di questo disegno.
Sottolinea anche il P. Puech che « quello che attrae e trattiene l’attenzione dello storico è la sua preoccupazione, anche se in maniera confusa, per il grande problema che la scuola di Alessandria esaminerà poi con più ampiezza e metodo e risolverà anche più efficacemente; il problema delle relazioni fra filosofia e fede » (6). Questo rende il pensiero di Giustino molto attuale perché dando uno sguardo alla storia del pensiero negli ultimi secoli constatiamo « una progressiva separazione tra la fede e la regione filosofica…La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale… Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia ricuperino l’unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia » (7). Seguendo questo richiamo presentiamo la figura di San Giustino, chi era convinto che la verità non può contraddire la verità, e che non è possibile dunque un’opposizione fra ragione e fede. Lui comprese che grazie al mistero del Logos incarnato la filosofia e la fede non possono essere in opposizione, anzi, sono per principio armoniche.
La conversione
San Giustino racconta la sua conversione nel Dialogo con Trifone, nel quale il santo ci manifesta l’itinerario della sua anima verso Dio. Lo stile letterario non diminuisce bensì abbellisce la verità della sua testimonianza. La conversione di Giustino ci aiuta a comprendere quali erano i motivi che potevano spingere ad un pagano, di cultura greca, verso il cristianesimo nel secondo secolo dopo Cristo. In quel’ epoca le speculazioni filosofiche erano piene di preoccupazioni religiose. Come dice Gilson, in quell’epoca « convertirsi al cristianesimo era, spesso, passare da una filosofia animata da uno spirito religioso ad una religione capace di visioni filosofiche ». Anche se geograficamente vicino ai Samaritani, non sembra che siano stati questi ad avvicinarlo al monoteismo né ad ispirargli il desiderio di conoscere la verità. Secondo la testimonianza dello stesso Giustino, la lettura dei profeti e degli amici di Cristo (gli apostoli ed evangelisti) viene, nella sua vita, dopo la lettura dei filosofi. In ogni modo nessuna spiegazione naturale, psicologica o sociologica è sufficiente a spiegare la sua conversione. Come afferma il P Lagrange: « La migliore spiegazione, quella che risolve il problema dalla radice, è che la grazia attirava questa anima privilegiata. Senza dubbio l’uso della ragione l’aveva allontanato dalle pratiche politeistiche »(8).
Vediamo adesso il testo in cui il santo racconta il suo itinerario filosofico prima di arrivare alla conoscenza della vera filosofia. Il testo serve per conoscere lo stato in cui si trovavano le scuole filosofiche del tempo, anche se queste vengono presentate in un modo piuttosto ironico. Giustino racconta all’ebreo Trifone come lui, desideroso di conoscere la verità, era andato alla ricerca dei filosofi:
« Anch’io da principio, desiderando incontrarmi con uno di questi uomini (filosofi), mi recai da uno stoico. Passato con lui un certo tempo senza alcun profitto da parte mia sul problema di Dio (lui non ne sapeva niente, e d’altra parte diceva trattarsi di una cognizione non necessaria), lo lasciai e andai da un altro, chiamato peripatetico. Acuto, o al meno si riteneva tale. Costui per i primi giorni mi sopportò, poi pretendeva che per il seguito stabilissi un compenso, pena l’inutilità della nostra frequentazione. Per questo motivo abbandonai anche lui, ritenendolo proprio per nulla un filosofo.
Il mio animo tuttavia era ancora gonfio del desiderio di ascoltare lo straordinario ammaestramento proprio della filosofia, per cui mi recai da un pitagorico di eccelsa reputazione, uomo di grandi vedute quanto alla sapienza. Come dunque venne a conferire con lui, volendo diventare suo uditore e discepolo, mi fece: ‘Vediamo, hai coltivato la musica, l’astronomia, la geometria? O pensi forse di poter discernere alcunché di quanto concorre alla felicità prima di esserti istruito in queste discipline, che distolgono l’animo dalle cose materiali e lo preparano a trarre frutto da quelle spirituali, sì da giungere a contemplare direttamente il bello e il bene?’
Così, dopo aver tessuto le lodi di queste scienze ed averne affermato la necessità, mi rispedì, avendo io dovuto ammettere che non le conoscevo. Ero afflitto, com’è naturale, avendo mancato le mie aspettative, tanto più che ero convinto che tale avesse una certa competenza. D’alta parte, considerando il tempo che avrei dovuto passare su quelle discipline, non potei tollerare l’idea di accantonare così a lungo le mie aspirazioni » (9).
É da notare che quello che lui cercava non era una qualsiasi verità, ma la verità su Dio. Gli stoici pur avendo una morale in alcuni aspetti elevata, non conoscevano il fondamento ultimo della morale che è Dio e la loro dottrina dei « semina verbi » si diluiva in un panteismo materialista. I peripatetici dell’epoca di Giustino si dedicavano soprattutto all’insegnamento delle opere logiche di Aristotele e quello che toccò in sorte al nostro santo era, per la venalità, più vicino ai sofisti che al discepolo di Platone. Il pitagorico sembra il più serio fra tutti ma Giustino considera la conoscenza di Dio più seria e più necessariamente immediata che tutte le scienze che questi gli chiedeva di imparare. Dio, se esiste, non può essere nascosto, la sua presenza e la sua azione non possono essere così difficili da afferrarsi, essendo questa conoscenza la più importante per l’uomo. Giustino viveva quello che San Paolo aveva ricordato agli ateniesi nell’Areopago riguardo Dio: « In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo… » (cfr. At. 17,28). Il passo seguente saranno i platonici:
« Senza via di uscita, decisi di entrare in contatto anche con i platonici, i quali pure godevano di grande fama. Eccomi dunque a frequentare assiduamente un uomo assennato, giunto da poco nella mia città, che eccelleva tra i platonici, e ogni giorno facevo dei progressi notevolissimi. Mi affascinava la conoscenza delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee eccitava la mia mente. Ben presto dunque ritenni di essere diventato un saggio e coltivavo la mia gioca speranza di giungere alla immediata visione di Dio (10). Perché questo è lo scopo della filosofia di Platone » (11).
Giustino si ritira in un luogo isolato pensando, scioccamente, di poter arrivare da solo alla visione di Dio. Il Mediterraneo, non molto lontano dalla città di Nablus non manca da quelle parti di posti isolati. A questo punto, appare un vecchio venerando che rappresenta in modo paradigmatico il cristianesimo in dialogo con la filosofia:
« Mi trovavo dunque in questa situazione, quando pensai di immergermi nella quiete assoluta e sottrarmi alla calca degli uomini (12), e per questo mi dirigevo verso una località non lontana dal mare. Ero ormai giunto al luogo in cui mi proponevo stare solo con me stesso, quand’ecco un vecchio carico di anni, di bell’aspetto e dall’aria mite e veneranda, poco discosto da me seguiva i miei passi. Mi volsi e lo fronteggiai fissandolo intensamente.
- Mi conosci? – fa lui.
Dissi di no.
- Perché allora, riprese, mi squadri così?
- Mi sorprende che tu sia capitato nel mio stesso posto, perché non mi sarei mai aspettato di trovare qualcuno di questi parti.
- Sono in pensiero per certi miei congiunti, mi dice. Si trovano lontano da me e per questo a mia volta vengo a vedere di loro, caso mai spuntassero da qualche parte. Tu piuttosto, fa lui a me, che cosa fai qui?
- Mi piace occupare il tempo in questo modo, risposi, perché posso liberamente dialogare con me stesso. Posti come questo favoriscono il desiderio di raziocinare.
- Ah!, sei dunque un cultore del raziocinio, e non dell’azione e della verità. E non ti provi ad essere un uomo di azione piuttosto che di sofismi?
Risposi: – Quale azione più grande e migliore si potrebbe compiere che non mostrare che la ragione tutto governa, afferrarla e salirci su per vedere dall’alto gli errori ed il comportamento degli altri, che non fanno nulla di sensato e di gradito a Dio? Senza la filosofia e la retta ragione non ci può essere saggezza. Per questo ogni uomo ha il dovere di darsi alla filosofia e ritenerla l’azione più grande e degna di onore. Tutto il resto viene in secondo o terzo ordine, ed in quanto è connesso con la filosofia è conveniente e degno di essere accettato, in quanto invece ne è disgiunto ed è esercitato di gente cui la filosofia non è compagna, è sconveniente e volgare ».
Dopo questa lode del sapere filosofico, comincia adesso un dialogo sulla natura della filosofia e sulla nozione di Dio:
- « La filosofia dunque procura la felicità? – intervenne quello.
- Certamente – dissi – ed è l’unica in grado di farlo.
Riprese: – ma che cos’è la filosofia, e qual è la felicità che procura? Se non hai degli impedimenti a dirlo dillo!
- La filosofia – risposi – è la scienza dell’essere e la conoscenza del vero, e la felicità che procura è il premio di questa scienza e di questa sapienza.
- Ma tu che cos’è che chiami Dio? Chiese.
- Ciò che è sempre uguale a se stesso e che è causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio.
Così gli risposi e mi parve rallegrato… ».
Notiamo che Giustino è convinto della capacità dell’uomo di afferrare la verità e possiede una giusta, purché imperfetta, nozione di Dio. Il nostro filosofo non è né agnostico, né politeista, né ateo. Possedeva quello che San Tommaso chiamerà i « preambula fidei », quelle verità naturali che sono il fondamento sul quale la fede appoggia, e senza le quali essa non può essere che fideismo. Il vecchio, dunque, vista la buona disposizione di Giustino, cercherà di condurlo pian piano verso la verità cristiana. Secondo il metodo socratico l’anziano prima di tutto fa riconoscere al Nostro che i filosofi non possono elaborare da soli un pensiero corretto su Dio perché non l’hanno visto né udito; dopo che la nostra anima non può vedere Dio se non è aiutata da « uno spirito santo », inoltre l’incoerenza della dottrina dell’eternità e la reincarnazione delle anime, fino a che Giustino si mostra vinto. E’ il momento in cui il vecchio li presenta un’altra saggezza che non viene dai filosofi ma da uomini graditi a Dio e da Lui stesso illuminati:
- « E chi mai si potrà prendere come maestro, feci io, e di dove si potrà trarre giovamento se neppure in uomini come Platone e Pitagora si trova la verità?
- Molto tempo fa, prima di tutti costoro che sono tenuti per filosofi, vissero uomini beati, giusti e graditi a Dio, che parlavano mossi dallo spirito divino e predicevano le cose future che si sono ora avverate. Li chiamano profeti e sono i soli che hanno visto la verità e l’hanno annunciata agli uomini senza remore o riguardo per nessuno e senza farsi dominare dall’ambizione, ma proclamando solo ciò che, ripieni di Spirito santo, avevano visto e udito.
I loro scritti sono giunti fino a noi e chi li legge prestandovi fede ne ricava sommo giovamento, sia riguardo alla dottrina dei principi che a quella del fine e su tutto ciò che il filosofo deve sapere. Essi, infatti, non hanno presentato il loro argomento in forma dimostrativa, in quanto rendono alla verità una testimonianza degna di fede e superiore ad ogni dimostrazione, e gli avvenimenti passati e presenti costringono a convenire su ciò che è stato detto per mezzo di loro.
Essi inoltre si sono mostrati degni di fede in forza dei prodigi che hanno compiuto, e questo perché sia glorificato Dio Padre, creatore di tutte le cose, sia hanno annunciato il Figlio suo, il Cristo da lui inviato…Prega dunque perché innanzitutto ti si aprano le porte della luce: si tratta infatti di cose che non tutti possono vedere e capire ma solo coloro cui lo concedono Dio ed il suo Cristo.
Dopo aver detto queste e altre cose, che non è qui il momento di riferire, quel vecchio se ne andò con l’esortazione a non lasciare cadere, e da allora non l’ho più rivisto. Quanto a me, un fuoco divampò all’istante nel mio animo e mi pervase l’amore per i profeti e per quelli uomini che sono amici di Cristo. Ponderando tra me e le sue parole trovai che questa era l’unica filosofia certa e proficua.
In questo modo e per queste ragioni io sono un filosofo, e vorrei che tutti assumessero la mia stessa risoluzione e più non si allontanassero dalle parole del Salvatore ».
Dal momento in cui Giustino conosce Cristo non abbandona la filosofia ma si converte in un vero filosofo, uno che ha trovato la vera filosofia. Ma non dobbiamo pensare che sia stata soltanto la filosofia a preparare il cammino di Giustino verso Gesù Cristo; ci sono stati anche i martiri. L’esempio della loro vita e soprattutto l’animo con il quale affrontavano il martirio:
« Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella concupiscenza.
Infatti quale uomo libidinoso o intemperante o che reputi un bene il cibarsi di carne umana (13) potrebbe abbracciare la morte, per essere privato di questi suoi beni, e cercherebbe invece di vivere sempre la vita di quaggiù e di sfuggire ai magistrati, anziché autodenunciarsi per essere ucciso? » (14).
Accettando il cristianesimo Giustino accetta dunque una nuova vita che include la possibilità del martirio. Da quel momento Giustino non cercherà altro che di essere trovato degno del nome di cristiano.
SAN GIUSTINO E LA FILOSOFIA
GIUSTINO APOLOGISTA
Giustino martire
Giustino, come tanti di quei primi cristiani, possiede un’anima di martire. Per lui non solo i cristiani ma ogni uomo deve essere pronto a dare la propria vita per la verità.
« La ragione suggerisce che quelli che sono davvero pii e filosofi onorino e amino solo il vero, evitando di seguire le opinioni degli antichi qualora siano false. Infatti, la retta ragione suggerisce non solo di non seguire chi agisce o pensa in modo ingiusto, ma bisogna che in ogni modo e al di sopra della propria vita, colui che ama la verità, anche se è minacciato di morte, scelga sia di dire sia di fare il giusto » (33).
Il nostro santo seppe testimoniare col sangue queste sue parole, « confitendo veritatem, moriendo pro veritate », come dice Sant’Agostino dei martiri. Senza paura, parla Giustino all’imperatore e alle autorità romane sapendo che queste potranno ucciderlo ma non nuocerlo:
« Voi dunque godete in ogni luogo la fama di essere pii e filosofi e custodi della giustizia e amanti della sapienza; se poi davvero anche lo siete sarà dimostrato.
Eccoci, infatti, dinanzi a voi non per adularvi attraverso questi scritti né per parlarvi in modo accattivante, ma per chiedervi di pronunciare il giudizio secondo il criterio di un attento e preciso esame, senza attenervi ai pregiudizi né al desiderio di piacere a gente superstiziosa: ritorcereste la condanna contro di voi stessi, con un comportamento irragionevole e seguendo una cattiva fama ormai inveterata.
Noi infatti siamo persuasi che non possiamo subire alcun male da alcuno, a meno che si provi che siamo operatori di malvagità o che si riconosca che siamo malvagi: voi potete sì ucciderci, ma non nuocerci » (34).
Nella seconda apologia Giustino ci fa sapere che lui prevedeva la sua morte ed era preparato:
« Ed anch’io mi aspetto che si ordiscano insidie da parte di qualcuno dei magistrati, e di essere confitto ad un palo, quanto meno da Crescente, che si compiace di strepito e di pompa » (35).
Secondo il P. Lagrange si potrebbe pensare che ci sia stato proprio una congiura degli spiriti colti contro i cristiani, in modo particolare contro Giustino. Filosofi di scuole diverse si unirono contro il nostro santo sotto lo stoico sguardo dell’Imperatore. Si voleva distruggere un maestro e la sua scuola (36).
Concludiamo il nostro lavoro col bellissimo testo del martirio del nostro santo e di suoi compagni. Speriamo che San Giustino, filosofo e martire, sia un esempio per tutti noi cristiani, affinché siamo trovati degni di questo nome che portiamo.
ATTI DEL MARTIRIO DI SAN GIUSTINO E COMPAGNI (37)
I – 1) Al tempo degli uomini iniqui difensori dell’idolatria, furono emanati nella città e nella regione empi editti contro i pii cristiani, con lo scopo di costringerli a sacrificare agli idoli vani.
2) Arrestati dunque, i predetti martiri furono condotti dinanzi a Rustico, prefetto di Roma.
II – 1) Appena furono condotti al tribunale, il prefetto Rustico intimò a Giustino: « Prima di tutto, credi agli dei e obbedisce agli imperatori! ».
2) Rispose Giustino: « Irreprensibile e immune da condanna è per me obbedire ai comandi del nostro salvatore Gesù Cristo ».
3) Chiese Rustico: « quali concezioni filosofiche segui? ». Rispose Giustino: « Mi sono dedicato allo studio di tutti i sistemi filosofici, ma ho aderito con la mia anima soltanto alle veritiere dottrine dei cristiani, anche se non piacciono a coloro che vivono nell’errore ».
4) Chiese ancora Rustico: « A te dunque piacciono quelle dottrine, sciagurato? ». Rispose Giustino: « Sì, poiché le seguo secondo il vero dogma ».
5) « Qual è questo dogma? », domandò Rustico. Giustino rispose: « Quello che ci insegna a credere nel Dio dei cristiani, che consideriamo Dio unico, creatore ed ordinatore di tutto l’universo, visibile e invisibile, e nel Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, del quale anche i profeti avevano predetto che sarebbe venuto ad annunciare la salvezza al genere umano e a insegnare la vera dottrina.
6) « E io, misero mortale, penso di dire ben poco rispetto alla sua divinità infinita, perché riconosco che è necessaria la virtù profetica per parlarne e ripeto che i profeti hanno parlato di Colui che ho chiamato Figlio di Dio. Sappi infatti che i profeti predissero la sua venuta tra gli uomini ».
III – 1) Chiese ancora il prefetto Rustico: « Dove vi riunite? ». Rispose Giustino: « Dove ciascuno può e preferisce; tu credi che tutti noi ci riuniamo in uno stesso luogo, ma non è così, perché il Dio dei cristiani, che è invisibile, non si può circoscrivere in alcun luogo, ma riempi il cielo e la terra ed e venerato e glorificato ovunque dai suoi fedeli ».
2) Riprese Rustico: « Insomma dove vi riunite , ovverosia, dove raduni i tuoi discepoli? ».
3) Giustino disse: « Abito preso un certo Martino, sopra il bagno di Timiotino, dall’inizio di questo secondo periodo della mia permanenza in Roma.
Non conosco altri luoghi di riunioni, al infuori di quello, dove, se qualcuno voleva venire a trovarmi, lo facevo partecipe delle divine parole della verità ».
4) Chiese infine Rustico: « Insomma, sei dunque cristiano? ». Rispose Giustino: « Sì, sono cristiano ».
IV – 1) Il prefetto si volse quindi a Caritone: « E tu, Caritone, sei pure cristiano? ». Rispose Caritone: « Si, per volere di Dio ».
2) Rivolto a Carito il prefetto chiese: « Che dici tu, Carito? ». Carito rispose: « Sono cristiana, per dono di Dio ».
3) Rustico chiese quindi a Evelpisto: « Tu pure sei uno di loro, Evelpisto? ». Evelpisto, schiavo dell’imperatore, rispose: « Anch’io sono cristiano, reso libero da Cristo e, per sua grazia, partecipo alla medesima speranza di questi ».
4) Rivolto a Jerace, il prefetto domandò: « Anche tu sei cristiano? ». Jerace rispose: « Si, sono cristiano poiché venero e adoro lo stesso Dio ».
5) Il prefetto proseguì l’interrogatorio chiedendo: « E stato Giustino a farvi diventare cristiani? ». Jerace rispose: « Sono cristiano da lungo tempo e cristiano rimarrò ».
6) Peone, alzatosi in piedi, dichiarò: « Anch’io sono cristiano ». Rustico gli chiese: « Chi è stato il tuo maestro? ». Peone rispose: « Dai genitori abbiamo ricevuto questa nobile confessione ».
7) Evelpisto aggiunse. « Ascoltavo volentieri i discorsi di Giustino, ma ho appreso anch’io dai miei genitori le parole della verità di Cristo ». Chiese il prefetto: « Dove vivono i tuoi genitori? ». Evelpisto rispose: « In Capadocia ».
8) Rivolto a Jerace, Rustico chiese: « Dove vivono i tuoi genitori? ». Egli rispose: « Il nostro vero padre è Cristo e la madre la fede in lui; quanto a i miei genitori terreni, sono morti e io sono giunto qui, cacciato dalla città di Iconio, nella Frigia ».
9) Il prefetto chiese quindi a Liberiano: « E Tu, che dici? Sei cristiano? Neppure te veneri i nostri dei? ». Liberiano rispose: « Anch’io sono cristiano: adoro e venero infatti l’unico vero Dio ».
V – 1) Rivoltosi nuovamente a Giustino, il prefetto disse: « Ascolta, tu che passi per un uomo saggio e credi di conoscere la verità: se ti farò frustrare e decapitare, sei ancora convinto che salirai al cielo? ».
2) Giustino rispose: « Spero di salire alla casa del Padre, se soffrirò tutti questi patimenti; so pure che la grazia divina attende tutti coloro che vivono rettamente, fino alla conflagrazione di tutto l’universo ».
3) Rispose Rustico: « Questo dunque supponi, che salirai al cielo, destinato a conseguirvi eccellenti premi ». Giustino ribatté: « Non lo suppongo, ma lo so con certezza e ne sono convinto ».
4) Disse il prefetto: « Veniamo infine alla questione importante e urgente da trattare: venite tutti insieme a sacrificare concordemente agli dei ». Giustino rispose: nessuno, che abbia senno e rettitudine, può passare dalla pietà all’empietà ».
5) Rustico intimò: « Se non ubbidite, sarete inesorabilmente puniti ».
6) Rispose ancora Giustino: desideriamo vivamente soffrire per il nostro Signore Gesù Cristo, perché dal martirio scaturirà a noi la speranza di salvezza davanti al tremendo tribunale universale del Nostro Signore e Salvatore ».
7) Similmente dissero gli altri testimoni di Cristo: « Fa’ quel che desideri; noi infatti siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli ».
8) Il prefetto Rustico pronunciò quindi la sentenza: « Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli dei e di sottomettersi all’editto dell’imperatore, siano flagellati e condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi ».
VI – 1) I santi testimoni, glorificando il Signore, salirono al luogo consueto, ove furono decapitati e consumarono così il martirio nella confessione del nostro Salvatore.
2) Alcuni dei fedeli portarono via di nascosto le loro salme e le deposero in un luogo adatto, con l’aiuto del nostro Signore Gesù Cristo, al quale la gloria nei secoli dei secoli. Amen.