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La pienezza dell’amore (Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino, vescovo)

UFFICIO DELLE LETTURE – MERCOLEDÌ 20 APRILE

Seconda Lettura

Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino, vescovo

(Tratt. 84, 1-2; CCL 36, 536-538)

La pienezza dell’amore


Il Signore, o fratelli carissimi, ha definito la pienezza dell’amore con cui dobbiamo amarci gli uni gli altri con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Ne consegue ciò che il medesimo evangelista Giovanni dice nella sua lettera: Cristo «ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», (1 Gv 3, 16) amandoci davvero gli uni gli altri, come egli ci ha amato, fino a dare la sua vita per noi.
Questo appunto si legge nei Proverbi di Salomone: Quando siedi a mensa col potente, considera bene che cosa hai davanti; e poni mano a far le medesime cose che fa lui (cfr. Pro 23, 1-2).
Ora qual è la mensa del grande e del potente, se non quella in cui si riceve il corpo e il sangue di colui che ha dato la vita per noi? E che significa assidersi a questa mensa, se non accostarvisi con umiltà? E che vuol dire considerare bene che cosa si ha davanti, se non riflettere, come si conviene, a una grazia sì grande? E che cosa è questo porre mano a far le medesime cose se non ciò che ho detto sopra e cioè: come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo essere disposti a dare la nostra vita per i fratelli? E` quello che dice anche l’apostolo Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2, 21). Questo significa fare le medesime cose. Così hanno fatto con ardente amore i santi martiri e, se non vogliamo celebrare inutilmente la loro memoria, se non vogliamo accostarci infruttuosamente alla mensa del Signore, a quel banchetto in cui anch’essi si sono saziati, bisogna che anche noi, come loro, siamo pronti a ricambiare il dono ricevuto.
A questa mensa del Signore, perciò, noi non commemoriamo i martiri come facciamo con gli altri che riposano in pace, cioè non preghiamo per loro, ma chiediamo piuttosto che essi preghino per noi, per ottenerci di seguire le loro orme. Essi, infatti, hanno toccato il vertice di quell’amore che il Signore ha definito come il più grande possibile. Hanno presentato ai loro fratelli quella stessa testimonianza di amore, che essi medesimi avevano ricevuto alla mensa del Signore.
Non vogliamo dire con questo di poter essere pari a Cristo Signore, qualora giungessimo a rendergli testimonianza fino allo spargimento del sangue. Egli aveva il potere di dare la sua vita e di riprenderla, mentre noi non possiamo vivere finché vogliamo, e dobbiamo morire anche contro nostra voglia. Egli, morendo, uccise subito in sé la morte, mentre noi veniamo liberati dalla morte solo mediante la sua morte. La sua carne non conobbe la corruzione, mentre la nostra, solo dopo aver subito la corruzione, rivestirà per mezzo di lui l’incorruttibilità alla fine del mondo. Egli non ebbe bisogno di noi per salvarci, ma noi, senza di lui, non possiamo far nulla. Egli si è mostrato come vite a noi che siamo i tralci, a noi che, senza di lui, non possiamo avere la vita.
In fine, anche se i fratelli arrivano a dare la vita per i fratelli, il sangue di un martire non viene sparso per la remissione dei peccati dei fratelli, cosa che invece egli ha fatto per noi. E con questo ci ha dato non un esempio da imitare, ma un dono di cui essergli grati.
I martiri dunque, in quanto versarono il loro sangue per i fratelli, hanno ricambiato solo quanto hanno ricevuto dalla mensa del Signore. Manteniamoci sulla loro scia e amiamoci gli uni gli altri, come Cristo ha amato noi, dando se stesso per noi.

Publié dans:Sant'Agostino |on 10 mai, 2011 |Pas de commentaires »

sant’Agostino, Sermoni del periodo Pasquale: Si fa vedere e toccare perché riconoscano la realtà della Sua carne

dal sito:

http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=20996

Si fa vedere e toccare perché riconoscano la realtà della Sua carne

Nei sermoni del periodo pasquale Agostino ripete più volte che è stato Cristo stesso a voler togliere ogni dubbio agli apostoli sulla realtà della Sua risurrezione. Intervista con Nello Cipriani, professore ordinario dell’Istituto Patristico Augustinianum

Intervista con Nello Cipriani di Lorenzo Cappelletti  
 
      «Resurrexit tertia die
      sicut apostoli,
      suis etiam sensibus,
      probaverunt»
      (Agostino, De civitate Dei XVIII, 54, 1)      
     
      Abbiamo parlato con padre Nello Cipriani, in questi giorni di Pasqua, di come, facendosi vedere e toccare, Gesù ha voluto Lui stesso rendere testimonianza agli apostoli della realtà della Sua risurrezione.      
      In quali opere di Agostino si trova commentata con maggior ampiezza la risurrezione del Signore nel suo vero corpo?
      NELLO CIPRIANI: Ne parla in più luoghi, ma soprattutto nei numerosi sermoni del periodo pasquale, periodo in cui Agostino predicava ogni giorno. In questi sermoni vengono trattati diversi aspetti del mistero della risurrezione dai morti. Ciò che più colpisce è che Agostino cerca di far capire ai fedeli che è Cristo stesso che ha voluto eliminare i dubbi degli apostoli i quali pensavano di vedere un fantasma: «Perché siete turbati e sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, palpatemi e guardate», dice il Signore (Lc 24, 38s). E Agostino, quasi in persona Christi, commenta, nel Sermone 237: «Se vi par poco osservarmi, stendete la mano. Se vi par poco osservarmi e non vi basta nemmeno toccarmi, palpatemi. Non disse infatti solamente che lo toccassero, ma li invitò a palparlo e a tastarlo. Lo verifichino le vostre mani, se i vostri occhi vi ingannano. Toccatemi e vedete. Le mani vi facciano da occhi. Ma palpare e vedere che cosa? Che un fantasma non ha carne e ossa come invece vedete che io ho. Eri incappato [Agostino usa qui un “tu” generico] nel medesimo errore dei discepoli: ravvediti insieme con i discepoli! È umano errare, è vero. Anche Pietro e gli altri apostoli l’hanno fatto: credevano di vedere un fantasma. Ma in tale errore non persistettero. Perché tu sappia che era del tutto falso quel che avevano nel cuore, il medico non li lasciò andar via così, ma avvicinatosi applicò loro la medicina. Vedeva le ferite dei cuori e al fine di curare queste ferite del cuore, recava ancora nel suo corpo le cicatrici».
      Sono parole che fanno capire meglio di tanti ragionamenti che è il Signore stesso, facendosi vedere e toccare, a costituire gli apostoli testimoni della sua risurrezione.
      CIPRIANI: In un altro sermone (Sermone 242) Agostino risponde a una critica di Porfirio, il filosofo neoplatonico del III secolo autore del Contro i cristiani. Costui, tra i tanti argomenti contro il cristianesimo, avanzava anche quello contro la risurrezione dei corpi, che per un neoplatonico è assolutamente inaccettabile. Porfirio criticava anche il racconto evangelico di Luca, ponendo una specie di dilemma: o Cristo risorto ha chiesto da mangiare perché aveva bisogno di mangiare e allora non ha un corpo incorruttibile, oppure, se non aveva bisogno di mangiare, perché lo avrebbe chiesto? Agostino risponde citando innanzitutto le parole di Gesù risorto: «“Avete qui qualcosa da mangiare? Ed essi gli offrirono una porzione di pesce arrostito e un favo di miele. Egli ne mangiò e offrì loro gli avanzi [così suonava il testo latino in mano ad Agostino]” (cfr. Lc 24, 41s). Ecco l’obiezione che ci viene mossa: se il corpo risorge incorruttibile, perché Cristo Signore si mise a mangiare? In effetti avete letto che egli mangiò. Ma avete forse letto che ebbe fame? Il mangiare fu un gesto dimostrativo del suo potere, non di un suo bisogno». E poco più avanti, all’ulteriore obiezione che, se non si risorge con dei difetti, non si capisce perché allora il Signore abbia conservato le cicatrici delle ferite, Agostino risponde di nuovo che quello del Signore «fu un gesto di potere, non di necessità. Ha voluto risorgere così, così si volle mostrare ad alcuni che dubitavano [sic resurgere voluit, sic se voluit quibusdam dubitantibus exhibere]. La cicatrice della ferita rimasta sulla sua carne servì a guarire la ferita dell’incredulità». 
      Riprende la motivazione già esposta nel Sermone 237. Non è una carenza, dunque, non è una necessità quella che porta il Signore a chiedere da mangiare, ma la sua volontà di autocertificare, si potrebbe dire, la sua risurrezione.
      CIPRIANI: Certo, il corpo risuscitato non ha più bisogno di mangiare, è spirituale; il risorto non ha più fame. Ma Cristo ha voluto dare questa prova per convincere i discepoli della realtà della risurrezione. C’è un altro sermone, il Sermone 246, che somiglia un po’ al Sermone 237. Come abbiamo già visto, nel Vangelo di Luca (Lc 24, 38s) Cristo dice: «Perché siete turbati e sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, palpatemi e guardate». E Agostino commenta: «Era forse già asceso al Padre quando diceva: “Palpatemi e vedete”? Si lascia toccare dai suoi discepoli, anzi, non solo toccare ma palpare, per offrire una prova alla fede nella realtà della sua carne, nella realtà del suo corpo [ut fides fiat verae carnis veri corporis]. La fondatezza della realtà doveva infatti essere resa evidente anche attraverso il tatto dell’uomo [ut exhibeatur etiam tactibus humanis soliditas veritatis]. Si lascia quindi toccare con mano dai discepoli». Poi, facendo riferimento alla donna cui il Signore comanda invece di non toccarlo perché non è ancora asceso al cielo, Agostino passa a dire: «Cos’è questa incongruenza? Gli uomini non potevano toccarlo se non qui in terra, mentre le donne l’avrebbero potuto toccare asceso al cielo? Ma che significa toccare se non credere? Con la fede tocchiamo Cristo. Ed è meglio non toccarlo con la mano e toccarlo con la fede che palpare con la mano e non toccarlo con la fede». La prova che Cristo offre, in altre parole, mira alla fede dei discepoli. Spesso poi – ripeto – Agostino risponde alle obiezioni dei pagani, soprattutto dei filosofi neoplatonici, e in particolare di Porfirio. Porfirio in realtà aveva una certa ammirazione per Cristo. Cristo sì che era un uomo sapiente, egli dice, i cristiani sono invece persone inqualificabili, impostori, sono gli apostoli e gli evangelisti che hanno inventato la risurrezione, che hanno creato questo mito.
      Mi vengono in mente quei paragrafi della Città di Dio alla fine del libro XVIII in cui Agostino prende in esame la favola, fatta propria peraltro dai dotti (sui quali Agostino ironizza), che siano state le arti magiche di Pietro a consentire lo sviluppo e il progresso del cristianesimo.
      CIPRIANI: Di fronte alla obiezione che il cristianesimo non sia altro che frutto di magia, Agostino ribatte che il cristianesimo è nato e si è sviluppato per grazia divina: illa superna gratia factum esse (cfr. De civitate Dei XVIII, 53, 2). A questo proposito, nel Sermone 247, sempre del periodo pasquale, in cui commenta l’apparizione del Signore ai discepoli la sera di Pasqua a porte chiuse (cfr. Gv 20, 19ss), Agostino scrive: «Ci sono alcuni che da questo fatto sono talmente frastornati che vacillano o quasi, portando, contro i miracoli operati da Dio, i pregiudizi delle loro argomentazioni [afferentes contra miracula divina praeiudicia ratiocinationum suarum]. Ragionano così: se era corpo, se era carne e ossa, se ciò che risorse dal sepolcro non era altro che ciò che era stato appeso al patibolo, come poté passare attraverso porte chiuse? Se era impossibile bisogna concludere che non è accaduto. Se invece lo poté fare, come è stato possibile? Se se ne comprende il modo non è più un miracolo, e d’altronde, se non lo ritieni un miracolo, sei prossimo a negare la risurrezione dal sepolcro. Volgi il pensiero ai miracoli compiuti dal tuo Signore fin dagli inizi, spiegami il perché di ciascuno. L’uomo non interviene e la Vergine concepisce. Spiegami come una vergine abbia potuto concepire senza il concorso del maschio. Dove vien meno la ragione, lì costruisce la fede. Ecco, dunque, un miracolo nella concezione del Signore, ma ascoltane un altro nel parto: partorisce da vergine e vergine rimane. Fin da allora quindi, ben prima che risorgesse, il Signore, nascendo, passò per delle porte chiuse». Insomma, è la potenza divina la causa vera della risurrezione. Se si prescinde dalla potenza e dall’azione di Dio, ogni miracolo è inconcepibile, tanto più la risurrezione del Signore. 

Publié dans:Sant'Agostino |on 18 avril, 2011 |Pas de commentaires »

QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA; SANT’AGOSTINO: CRISTO « LUCE DEL MONDO »

dal sito:

http://www.augustinus.it/varie/quaresima/settimana_4.htm

QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA:

SANT’AGOSTINO

CRISTO « LUCE DEL MONDO »
 
Gesù parlò loro: « Io sono la luce del mondo
chi segue me, non camminerà nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita ». (Gv 8, 12)

PER DOMENICA 3 APRILE 2011

INTRODUZIONE
Riacquistare la vista per il cieco nato è il segno di un’ulteriore guarigione, la salvezza dell’uomo segnata da un progressivo itinerario di fede. L’incontro casuale con il profeta Gesù (Gv 9, 17) si tramuta nella conoscenza e nell’adorazione del Signore Gesù (Gv 9, 34-38). E’ questo il percorso di ogni battezzato, che libera il suo cuore da ogni incrostazione che offusca la sua natura di figlio di Dio. Giocando sul senso della parola Siloe, che significa Inviato, Agostino ricorderà che se Cristo non si fosse presentato come l’Inviato (missus) dal Padre, l’uomo non sarebbe stato disviato (di-missus) dal peccato, cioè perdonato.

DAI « DISCORSI »DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (Sermo 136/C, 1-3.5)

Vedere la luce di Dio
Le opere proprie di Cristo Signore, quelle che allora egli compì nei corpi, compie ora nei cuori. Sebbene non cessi affatto di operare anche in molti corpi, tuttavia nei cuori la sua azione è superiore. Se indubbiamente è gran cosa la vista della luce del cielo, quanto è più grande vedere la luce di Dio! A questo fine infatti sono risanati gli occhi del cuore, a questo vengono aperti, a questo sono purificati, affinché vedano la luce, che è Dio. Infatti Dio è luce, afferma la Scrittura, e in lui non ci sono tenebre (1Gv 1, 5); e il Signore nel Vangelo: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Perciò noi che restiamo ammirati che questo cieco ora vede, con tutte le nostre forze, di cui Dio stesso ci fa dono, perseveriamo nella preghiera affinché i nostri cuori siano risanati ed anche purificati. A che giova infatti essere stati resi mondi dai peccati nel fonte battesimale e subito dopo tornare a macchiarsi con perfidi costumi?
Il compiersi progressivo di quest’opera del Signore, per la quale il cieco ebbe la luce degli occhi, induce a intravedere qualcosa di grande e di essenziale. Evidentemente il Signore Gesù Cristo poteva – e chi è che può dire: Non poteva? – toccargli gli occhi senza l’impasto di saliva e di fango, e subito rendergli, o piuttosto, dargli la vista. Poteva farlo. Che dovrei dire: Se avesse toccato? Che cosa egli non poteva fare con la parola se lo avesse voluto? Mediante la parola che cosa è impossibile alla Parola, non ad una parola qualsiasi, ma a quella che in principio era il Verbo, e il Verbo era Dio. Questo Verbo in principio Dio presso Dio si fece carne per abitare in mezzo a noi (Gv 1, 1-2.14). […] Seguì perciò, nel curare questo cieco nato, nel quale era figurato il genere umano, nato cieco; seguì perciò anche il Signore un procedere graduale in quest’uomo da illuminare. Sputò in terra e fece del fango, poi con quello intriso di saliva spalmò gli occhi di lui.
Ma considera dove fu inviato a lavarsi il volto. Alla piscina di Siloe. Che significa « Siloe »? Opportunamente non lo tacque l’Evangelista: che significa « inviato » (Gv 9, 7). Chi è l’inviato se non colui del quale è detto: Ecco l’Agnello di Dio? In lui stesso viene lavato il volto e chi era stato spalmato vede, perché in Cristo Signore si realizzò ogni profezia. Chi non conosce Cristo procede impedito nella vista. Ma tale procedere graduale usato prima sugli occhi di quest’uomo, ebbe seguito anche nel cuore di lui. Ponete attenzione al modo di condurre l’interrogatorio da parte dei Giudei: Tu che dici di quest’uomo? Dico – rispose – che è un profeta (Gv 9, 17). Non aveva ancora lavato in Siloe gli occhi del cuore. Gli occhi in realtà erano già aperti, ma il cuore era ancora impedito. Quando aveva lavato il volto, rispose come poté, in quanto aveva il cuore impedito, non era ancora vedente. Dette ragione e di avere l’impasto – l’aveva cioè il suo cuore – e, invece, di aver avuto già aperti gli occhi del corpo.
Cerchiamo costui che ha già gli occhi aperti, tuttavia ha la vista del cuore ancora impedita. Pieni di sdegno i Giudei, vinti e per di più smascherati, furenti e accecati contro di lui che vedeva, lo cacciarono fuori. Nel momento in cui lo cacciarono fuori, allora entrò là, da dove i Giudei presenti nella casa di Dio non lo avrebbero potuto cacciare fuori. Quindi, cacciato fuori, trovò nel tempio il Signore che gli parlò – certamente era conosciuto da chi gli aveva reso la vista del corpo, restando coperto il cuore. Ora ha la vista del cuore, ora va a Siloe, perché ora riconosce l’Unigenito inviato -. Tu credi – dice – nel Figlio di Dio? E quello: Chi è, Signore, perché io creda in lui? Come impedito, non ancora vedente. E il Signore: Lo hai visto e colui che parla con te è proprio lui. L’ascolto di queste parole equivale a lavare il volto del cuore. Finalmente quello, lavato già il volto, con la vista del cuore disse: Credo, Signore, e gli si prostrò innanzi, e lo adorò (Gv 9, 34-38). 

I Magi, simbolo di coloro che camminano nella fede e desiderano la visione (Sant’Agostino)

dal sito: 

http://www.augustinus.it/varie/natale/natale_epifania.htm

« Entrati nella casa, (i Magi) videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono ».

(Mt 2, 11)

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 199, 1.1-2)

I Magi, simbolo di coloro che camminano nella fede e desiderano la visione

Non molto tempo fa abbiamo celebrato il giorno in cui il Signore è nato dai Giudei; oggi celebriamo il giorno in cui è stato adorato dai pagani. Poiché la salvezza viene dai Giudei (Gv 4, 22); ma questa salvezza (sarà portata) fino agli estremi confini del mondo (Is 49, 6). In quel giorno lo adorarono i pastori, oggi i magi; a quelli lo annunciarono gli angeli, a questi una stella. Tutti e due l’appresero per intervento celeste, quando videro in terra il re del cielo, perché ci fosse gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). Egli infatti è la nostra pace, colui che ha unito i due in un popolo solo (Ef 2, 14). Già, fin da quando il bambino è nato e annunziato, si presenta come pietra angolare (Cf. Mt 21, 42), tale si manifesta già nello stesso momento della nascita. Già cominciò a congiungere in sé le due pareti poste in diverse direzioni, chiamando i pastori dalla Giudea, i magi dall’Oriente: Per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo e ristabilire la pace; pace tanto a quelli che erano lontani tanto a quelli che erano vicini (Ef 2, 15.17). I pastori accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i magi arrivando oggi da lontano hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo.

Oggi bisogna parlare dei magi che la fede ha condotto a Cristo da terre lontane. Vennero e lo cercarono dicendo: Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo (Mt 2, 2). Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione (Cf. 2 Cor 5, 7). Non erano già nati tante volte in Giudea altri re dei Giudei? Come mai questo viene conosciuto da stranieri attraverso segni celesti e viene cercato in terra, risplende nell’alto del cielo e si nasconde umilmente? I magi vedono la stella in Oriente e capiscono che in Giudea è nato un re. Chi è questo re tanto piccolo e tanto grande, che in terra non parla ancora e in cielo già dà ordini? Proprio per noi – perché volle farsi conoscere da noi tramite le sue sante Scritture – volle che anche i magi credessero in lui attraverso i suoi profeti, pur avendo dato ad essi un segno così chiaro in cielo e pur avendo rivelato ai loro cuori di essere nato in Giudea. Nel cercare la città nella quale era nato colui che desideravano vedere e adorare, fu per essi necessario informarsi presso i capi dei Giudei. E questi, attingendo dalla sacra Scrittura che avevano sulle labbra ma non nel cuore, presentarono, da infedeli a persone divenute credenti, la grazia della fede, menzogneri nel loro cuore, veritieri a loro proprio danno. Quanto sarebbe stato meglio infatti se si fossero uniti a quelli che cercavano il Cristo, dopo aver sentito dire da essi che, veduta la sua stella, erano venuti desiderosi di adorarlo? se li avessero accompagnati essi stessi a Betlemme di Giuda, la città che avevano ad essi indicato seguendo le indicazioni dei Libri divini? se insieme ad essi avessero veduto, avessero compreso, avessero adorato? Invece, mentre hanno indicato ad altri la fonte della vita, essi ora sono morti di sete.

Agostino: La continuazione dell’opera creatrice

dal sito:

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20030207_agostino_it.html

Agostino, Le Lettere, III, 205,17 (a Consenzio)

La continuazione dell’opera creatrice

« Il problema se i lineamenti dei corpi vengano formati a uno a uno da Dio creatore, non ti agiterà più se, per quanto può la mente umana, riuscirai a comprendere la potenza della divina opera creatrice. Come possiamo infatti negare che anche ora Dio operi in tutto ciò che vien creato, dato che il Signore dice: Il Padre mio fino ad ora opera (Gv 5,17)? Perciò il riposo dal settimo giorno lo si deve intendere nel senso che Dio cessò di creare le diverse specie della natura, non cessando tuttavia di governare quelle già create. Dato dunque che tutta la natura viene governata dal Creatore e tutte le cose nascono in ordine, a luogo e tempo debito, Dio opera fino ad ora. Infatti se Dio ora non formasse queste cose, come si leggerebbe nella Scrittura: Prima di formarti nell’utero, ti ho conosciuto (Ger 1,5)? E come si dovrebbe intendere il passo: E se il fieno del campo, che oggi è, e domani viene gettato nel forno, Dio riveste così… (Mt 6,30)? Crederemo forse che il fieno viene da Dio vestito, e i corpi non vengono da Dio formati? E dicendo «veste», parla evidentemente non di una preordinazione passata, ma di una operazione presente. A ciò allude anche il passo paolino sulle semenze, già ricordato: Tu non semini il corpo che sarà, ma un grano nudo, come, puoi pensare, di frumento o di qualsiasi altra pianta; ma Dio gli dà il corpo, come vuole (1Cor 15,37-38). Non dice «gli ha dato», né «gli ha predisposto», ma dice «gli dà», perché tu comprenda che il Creatore applica l’efficacia della sua sapienza alla creazione delle cose che nascono ogni giorno a loro tempo; e di quella Sapienza sta scritto: Si estende da un confine all’altro con forza e dispone – non dice «dispose» – ma dispone tutto con soavità (Sap 8,1). È una grande cosa sapere, anche solo un pochino, come tutte le realtà mutevoli e temporali vengano create non già mediante azioni mutevoli e temporali del Creatore, ma dalla sua eterna e stabile potenza. »

Ormai Te solo amo (Sant’Agostino, preghiera)

dal sito:

http://www.santagostinopavia.it/agostino/testi.asp

Sant’Agostino (preghiera)

10. Ormai Te solo amo

Ormai io te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio ed io desidero essere di tuo diritto. Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce. Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni. Allontana da me i movimenti irragionevoli affinché possa riconoscerti. Dimmi da che parte devo guardare affinché ti veda, e spero di poter eseguire tutto ciò che mi comanderai. Sento che devo ritornare a te; a me che picchio si apra la tua porta; insegnami come si può giungere fino a te. Tu mostrami la via e forniscimi ciò che necessita al viaggio. Se con la fede ti ritrovano coloro che tornano a te, dammi la fede; se con la virtù, dammi la virtù; se con il sapere, dammi il sapere. Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità. (Soliloqui I, 1.5)

Publié dans:preghiere, Sant'Agostino |on 28 août, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino, Le Confessioni – Libro nono: Lettura dei Salmi (stralcio)

dal sito:

http://www.augustinus.it/italiano/confessioni/index2.htm

SANT’AGOSTINO

LE CONFESSIONI : LIBRO NONO

Lettura dei salmi

4. 8. Quali grida, Dio mio, non lanciai verso di te leggendo i salmi di Davide, questi canti di fede, gemiti di pietà contrastanti con ogni sentimento d’orgoglio! Novizio ancora al tuo genuino amore, catecumeno ozioso in villa col catecumeno Alipio e la madre stretta al nostro fianco, muliebre nell’aspetto, virile nella fede, vegliarda nella pacatezza, materna nell’amore, cristiana nella pietà, quali grida non lanciavo verso di te leggendo quei salmi, quale fuoco d’amore per te non ne attingevo! Ardevo del desiderio di recitarli, se potessi, al mondo intero per abbattere l’orgoglio del genere umano. Ma lo sono, cantati nel mondo intero, e nessuno si sottrae al tuo calore 37. Come era violento e aspro di dolore il mio sdegno contro i manichei, che tosto si mutava in pietà per la loro ignoranza dei nostri misteri, dei nostri rimedi, per il loro pazzo furore contro un antidoto che avrebbe potuto salvarli! Avrei voluto averli vicini da qualche parte in quel momento, e che a mia insaputa osservassero il mio volto, udissero le mie grida mentre nella quiete di quelle giornate leggevo il salmo quarto, e percepissero l’effetto che producevano in me le sue parole: Ti invocai e mi esaudisti, Dio della mia giustizia; nell’angustia mi apristi un varco. Abbi pietà di me, Signore, esaudisci la mia preghiera 38; ma che udissero a mia insaputa, altrimenti avrebbero potuto intendere come dette per loro le parole che intercalavo a quelle del salmo. Invece davvero non le avrei dette, o le avrei dette diversamente, se avessi sentite su me le loro orecchie e i loro occhi; o, se dette, non le avrebbero intese quali le dicevo a me e fra me innanzi a te, espressione dell’intimo sentimento della mia anima.

Riflessioni sul salmo quarto

4. 9. Rabbrividii di paura e insieme ribollii di speranza e giubilo nella tua misericordia 39, Padre; e tutti questi sentimenti si esprimevano attraverso i miei occhi e la mia voce alle parole che il tuo spirito buono 40 dice rivolto a noi: « Figli degli uomini, fino a quando avrete i cuori gravati? Sì, perché amate la vanità e cercate la menzogna? » 41. Io avevo amato appunto la vanità e cercato la menzogna, mentre tu, Signore, avevi già esaltato il tuo Santo 42, risuscitandolo dai morti e collocandolo alla tua destra 43, affinché inviasse dal cielo chi aveva promesso 44, il Paracleto, spirito di verità 45. L’aveva già inviato 46, ma io lo ignoravo. L’aveva già inviato, per essere già stato esaltato risorgendo dai morti 47 e ascendendo al cielo 48. Prima lo Spirito non era stato ancora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato 49. Grida il profeta: « Fino a quando avrete i cuori gravati? Sì, perché amate la vanità e cercate la menzogna? Sappiate che il Signore ha esaltato il suo Santo » 50; grida: « Fino a quando », grida: « Sappiate », e io per tanto tempo, ignaro, amai la vanità e recai la menzogna. Perciò un brivido mi corse tutto all’udirlo 51. Ricordavo di essere stato simile a coloro, cui sono rivolte queste parole; gli inganni che avevo preso per verità, erano vanità e menzogna. Perciò feci risuonare a lungo, profonde e forti, le mie grida nel dolore del ricordo. Oh, se le avessero udite coloro che amano tuttora la vanità e cercano la menzogna! Forse ne sarebbero rimasti turbati e l’avrebbero rigettata; tu li avresti esauditi, quando avessero levato il loro grido verso di te 52, poiché morì per noi della vera morte della carne Chi intercede per noi 53 presso di te.

4. 10. Al leggere: « Adiratevi e non peccate » 54, quanto mi turbavo, Dio mio! Avevo ormai imparato ad adirarmi contro me stesso dei miei trascorsi per non peccare in avvenire, e con giusta ira, perché in me non peccava per mezzo mio una natura estranea, della razza delle tenebre, secondo le asserzioni di coloro che, non adirandosi contro se stessi, accumulano un patrimonio d’ira per il giorno dell’ira e della proclamazione del tuo giusto giudizio 55. Il mio bene non era più fuori di me, né lo cercavo più in questo sole con gli occhi della carne. Quanti pretendono di avere gioia fuori di sé, facilmente si disperdono, riversandosi sulle cose visibili e temporali 56 e lambendo la loro apparenza con immaginazione famelica. Oh se, spossati dal digiuno, chiedessero: « Chi ci mostrerà il bene? » 57. Rispondiamo loro, e ci ascoltino: « In noi è impresso il lume del tuo volto, Signore » 58. Non siamo noi il lume che illumina ogni uomo 59, ma siamo illuminati da te per renderci, da tenebre che fummo un tempo, luce in te 60. Oh se vedessero nel loro interno l’eterno, che io, per averlo gustato 61, fremevo di non poter mostrare a loro; se mi portassero il cuore, che hanno negli occhi, quindi fuori di loro, lontano da te, e chiedessero: « Chi ci mostrerà il bene? ». Là infatti, ove avevo concepito l’ira contro me stesso, dentro, nella mia stanza segreta, ove ero stato punto dalla contrizione 62, ove avevo immolato in sacrificio la parte vecchia di me stesso 63 e fidando in te avevo iniziato la meditazione del mio rinnovamento, là mi avevi fatto sentire dapprima la tua dolcezza e avevi messo la gioia nel mio cuore 64. Gridavo, leggendo esteriormente queste parole e comprendendole interiormente, né volevo moltiplicarmi nei beni terreni, divorando il tempo e divorato dal tempo, mentre avevo nell’eterna semplicità un diverso frumento e vino e olio 65.

4. 11. Il verso seguente strappava un alto grido dal mio cuore: Oh, nella pace, oh, nell’Essere stesso…: oh, quali parole: … mi addormenterò e prenderò sonno 66! Chi potrà mai resisterci, quando si attuerà la parola che fu scritta: La morte è stata assorbita nella vittoria 67? Tu sei veramente quell’Essere stesso, che non muti 68; in te è il riposo oblioso di tutti gli affanni 69, poiché nessun altro è con te né si devono cogliere le altre molteplici cose che non sono ciò che tu sei; ma tu, Signore, mi hai stabilito, unificandomi nella speranza 70. Leggevo e ardevo e non trovavo modo di agire con quei morti sordi, al cui novero ero appartenuto anch’io, pestifero, aspro e cieco nel latrare contro le tue Scritture dolci del dolce miele celeste, e del lume tuo luminose 71. Mi consumavo, pensando ai nemici di tanto scritto 72.

Publié dans:Sant'Agostino |on 28 août, 2010 |Pas de commentaires »

una bellissima preghiera di Sant’Agostino

dal sito:

http://www.augustinus.it/varie/preghiere/preghiere_soliloqui.htm

SANT’AGOSTINO

Dai Soliloqui 1, 1, 2-6.

O Dio, creatore dell’universo, concedimi prima di tutto che io ti preghi bene, quindi che mi renda degno di essere esaudito, ed infine di ottenere da te la redenzione. O Dio, per la cui potenza tutte le cose che da sé non sarebbero, si muovono verso l’essere; o Dio, il quale non permetti che cessi d’essere neanche quella realtà i cui elementi hanno in sé le condizioni di distruggersi a vicenda; o Dio, che hai creato dal nulla questo mondo di cui gli occhi di tutti avvertono l’alta armonia; o Dio, che non fai il male ma lo permetti perché non avvenga il male peggiore; o Dio, che manifesti a pochi, i quali si rivolgono a ciò che veramente è, che il male non è reale.
O Dio, per la cui potenza l’universo, nonostante la parte non adatta al fine, è perfetto; o Dio, dal quale la dissimilitudine non produce l’estrema dissoluzione poiché le cose peggiori si armonizzano con le migliori; o Dio, che sei amato da ogni essere che può amare, ne sia esso cosciente o no; o Dio, nel quale sono tutte le cose ma che la deformità esistente nell’universo non rende deforme né il male meno perfetto né l’errore meno vero; o Dio, il quale hai voluto che soltanto gli spiriti puri conoscessero il vero; o Dio, padre della verità, padre della sapienza, padre della vera e somma vita, padre della beatitudine, padre del bene e del bello, padre della luce intelligibile, padre del nostro risveglio e della nostra illuminazione, padre della caparra mediante la quale siamo ammoniti di ritornare a te: ti invoco.
O Dio verità, fondamento, principio e ordinatore della verità di tutti gli esseri che sono veri.
O Dio sapienza, fondamento, principio e ordinatore della sapienza di tutti gli esseri che posseggono sapienza.
O Dio, vera e somma vita, fondamento, principio e ordinatore della vita degli esseri che hanno vera e somma vita.
O Dio beatitudine, fondamento, principio e ordinatore della beatitudine di tutti gli esseri che sono beati.
O Dio bene e bellezza, fondamento, principio e ordinatore del bene e della bellezza di tutti gli esseri che sono buoni e belli.
O Dio luce intelligibile, fondamento, principio e ordinatore della luce intelligibile di tutti gli esseri che partecipano alla luce intelligibile.
O Dio, il cui regno è tutto il mondo che è nascosto al senso; o Dio, dal cui regno deriva la legge per i regni della natura.
O Dio, dal quale allontanarsi è cadere, verso cui voltarsi è risorgere, nel quale rimanere è aver sicurezza; o Dio, dal quale uscire è morire, al quale avviarsi è tornare a vivere, nel quale abitare è vivere.
O Dio, che non si smarrisce se non si è ingannati, che non si cerca se non si è chiamati, che non si trova se non si è purificati.
O Dio, che abbandonare è andare in rovina, a cui tendere è amare, che vedere è possedere.
O Dio, al quale ci stimola la fede, ci innalza la speranza, ci unisce la carità.
O Dio, con la cui potenza vinciamo l’Avversario: ti scongiuro.
O Dio, che abbiamo accolto per non soggiacere a morte totale; o Dio, dal quale siamo stimolati alla vigilanza.
O Dio, col cui aiuto sappiamo distinguere il bene dal male; o Dio, col cui aiuto fuggiamo il male e operiamo il bene.
O Dio, col cui aiuto non cediamo ai perturbamenti.
O Dio, col cui aiuto siamo soggetti con rettitudine al potere e con rettitudine l’esercitiamo.
O Dio, col cui aiuto apprendiamo che sono anche di altri le cose che una volta reputavamo nostre e sono anche nostre le cose che una volta reputavamo di altri.
O Dio, col cui aiuto non ci attacchiamo agli adescamenti e irretimenti delle passioni.
O Dio, col cui aiuto la soggezione al plurimo non ci toglie l’essere uno.
O Dio, col cui aiuto il nostro essere migliore non è soggetto al peggiore.
O Dio, col cui aiuto la morte è annullata nella vittoria.
O Dio, che ci volgi verso di te.
O Dio, che ci spogli di ciò che non è e ci rivesti di ciò che è.
O Dio, che ci rendi degni di essere esauditi; o Dio, che ci unisci.
O Dio, che ci induci alla verità piena.
O Dio, che ci manifesti la pienezza del bene e non ci rendi incapaci di seguirlo né permetti che altri lo faccia.
O Dio, che ci richiami sulla via.
O Dio, che ci accompagni alla porta.
O Dio, il quale fai sì che si apra a coloro che picchiano.
O Dio, che ci dai il pane della vita 3.
O Dio, che ci asseti di quella bevanda sorbendo la quale non avremo più sete;
O Dio, che accusi il mondo sul peccato, la giustizia e il giudizio.
O Dio, col cui aiuto non ci sottraggono la convinzione coloro che non credono.
O Dio, col cui aiuto riproviamo coloro i quali affermano che le anime non possono meritare presso di te.
O Dio, col cui aiuto non diveniamo schiavi degli elementi che causano debolezza e privazione.
O Dio, che ci purifichi e ci prepari ai premi divini: viemmi incontro benevolo.
In qualsiasi modo io possa averti pensato, il Dio Uno sei tu e tu vieni in mio aiuto, una eterna e vera sussistenza, dove non ci sono discordia, oscurità, cangiamento, bisogno, morte, ma somma concordia, somma chiarezza, somma attuosità, somma ricchezza, somma vita, dove nulla manca, nulla ridonda, dove colui che genera e colui che è generato sono una medesima cosa.
O Dio, cui sono soggette tutte le cose prive di autosufficienza, cui obbedisce ogni anima buona; per le cui leggi ruotano i poli, le stelle compiono le loro orbite, il sole rinnova il giorno, la luna soffonde la notte, e tutto il mondo, mediante le successioni e i ritorni dei tempi, conserva, per quanto la materia sensibile lo comporta, la grande uniformità dei fenomeni attraverso i giorni con l’alternarsi del giorno e della notte, attraverso i mesi con le lunazioni, attraverso gli anni con i ritorni di primavera, estate, autunno e inverno, attraverso i lustri col compimento del corso solare, attraverso i secoli col ritorno delle stelle alle loro origini.
O Dio, per le cui leggi esistenti per tutta la durata della realtà non si permette che il movimento difforme delle cose mutevoli sia turbato, ma che venga ripetuto, sempre secondo uniformità, nella dimensione rotante dei tempi; per le cui leggi è libera la scelta dell’anima e sono stati stabiliti premi per i buoni e pene per i cattivi con leggi fisse e universali.
O Dio dal quale provengono a noi tutti i beni e sono allontanati tutti i mali.
O Dio, sopra del quale non c’è nulla, fuori del quale nulla e senza del quale nulla.
O Dio, sotto il quale è il tutto, nel quale il tutto, col quale il tutto.
Che hai fatto l’uomo a tua immagine e somiglianza, il che può comprendere chi conosce se stesso: ascolta, ascolta, ascolta me, mio Dio, mio signore, mio re, mio padre, mio fattore, mia speranza, mia realtà, mio onore, mia casa, mia patria, mia salvezza, mia luce, mia vita; ascolta, ascolta, ascolta me nella maniera tua, soltanto a pochi ben nota.
Ormai io te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio ed io desidero essere di tuo diritto. Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce.
Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni. Allontana da me i movimenti irragionevoli affinché possa riconoscerti.
Dimmi da che parte devo guardare affinché ti veda, e spero di poter eseguire tutto ciò che mi comanderai.
Riammetti, ti prego, il tuo schiavo fuggitivo, o Signore e Padre clementissimo. Dovrei ormai aver sufficientemente scontato, abbastanza dovrei esser stato schiavo dei tuoi nemici che tu conculchi sotto i tuoi piedi, abbastanza dovrei esser stato ludibrio di cose ingannevoli.
Ricevi me tuo servo che fugge da queste cose che mi accolsero non tuo mentre da te fuggivo. Sento che devo ritornare a te; a me che picchio si apra la tua porta; insegnami come si può giungere fino a te. Non ho altro che il buon volere; so soltanto che le cose caduche e passeggere si devono disprezzare, le cose immutabili ed eterne ricercare.
Ciò so, o Padre, poiché questo solo ho appreso, ma ignoro da dove si deve partire per giungere a te. Tu suggeriscimelo, tu mostrami la via e forniscimi ciò che necessita al viaggio. Se con la fede ti ritrovano coloro che tornano a te, dammi la fede; se con la virtù, dammi la virtù; se con il sapere, dammi il sapere.
Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità. O bontà tua ammirevole e singolare.
A te io anelo e proprio a te chiedo i mezzi con cui il mio anelito sia soddisfatto.
Infatti se tu abbandoni, si va in rovina; ma tu non abbandoni perché sei il sommo bene che sempre si è raggiunto se si è rettamente cercato; ed ha rettamente cercato chiunque sia stato da te reso capace di cercare rettamente.
Fa’, o Padre, che anche io ti cerchi, ma difendimi dall’errore affinché mentre io ti cerco, nessun’altra cosa mi venga incontro in vece tua.
Se non desidero altra cosa che te, ti ritrovi al fine di grazia, o Padre.
Ma se in me v’è il desiderio di qualche cosa di superfluo, purificami e rendimi degno di vederti.
Per il resto affido alle tue mani, o Padre sapientissimo ed ottimo, la salute di questo mio corpo fintantoché non so quale vantaggio posso avere da esso per me e per coloro che amo. Per esso ti chiederò ciò che secondo l’opportunità tu m’ispirerai. Prego soltanto l’altissima tua clemenza che tu mi volga tutto verso di te e che non mi si creino ostacoli mentre tendo a te e mi conceda che io, mentre ancora porto e trascino questo mio corpo, sia temperante, forte, giusto e prudente, perfetto amatore e degno di apprendere la tua sapienza e degno di abitare e abitatore del beatissimo tuo regno. Amen, amen.

Publié dans:Sant'Agostino |on 4 juillet, 2010 |Pas de commentaires »

CANTA E CAMMINA! dice sant’Agostino

dal sito:

http://www.fratemobile.net/?p=43

CANTA E CAMMINA! dice sant’Agostino

30 Novembre 2007 ·

Voglio condividere un brano dai Discorsi di sant’Agostino, per me straordinario, e che costituisce la seconda lettura nell’Ufficio di Letture dell’ultimo sabato dell’Anno Liturgico.
“Cantiamo qui l’alleluja, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perchè qui siamo nell’ansia e nell’incertezza. E non vorresti che io sia nell’ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell’uomo sulla terra? (Giobbe 7,1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione”? (Matteo 26,41). Non vuoi che io mi sento mal sicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”? (Matteo 6,12). Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: “E non ci indurre in tentazione” (Matteo 6,13). E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: “Liberaci dal male”? (Matteo 6,13). E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l’alleluja a Dio che è buono, che ci libera da ogni male. Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l’alleluja. “Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze” (I Corinzi 10,13). Perciò anche quaggiù cantiamo l’alleluja. L’uomo è ancora colpevole, ma Dio  è fedele. Non dice: “Non permetterà che siate tentati”, bensì: non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla” (I Corinzi 10,13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione. Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, “perchè Dio è fedele”. Il Signore ti proteggerà da ogni male… veglierà su di te a quando entri e quando esci (Salmo 120,7s). ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttible, allora cesserà anche ogni tentazione, perché “il corpo è morto”. Perché è morto? “A causa del peccato”. Ma “lo Spirito è vita”. Perché? “A causa della giustificazione” (Romani 8,10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali” (Romani 8,10s). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell’alleluja cantato lassù! O alleluja di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene. Devi avanzare nella retta fede, devi progredire nellas santità. Canta e cammina.”

Buon Avvento amici miei, fra Beppe

Publié dans:Sant'Agostino |on 12 mars, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino : Ascensione del Signore

dal sito:

http://www.sant-agostino.it/italiano/discorsi/index2.htm

Sant’Agostino

DISCORSO 263
ASCENSIONE DEL SIGNORE

La glorificazione di Cristo nella risurrezione e nell’ascensione.
1. La glorificazione dei Signore nostro Gesù Cristo è divenuta completa con la risurrezione e l’ascensione al cielo. Abbiamo celebrato la sua risurrezione nella domenica di Pasqua, oggi celebriamo la sua ascensione. Ambedue sono per noi giorni di festa. Infatti Cristo risuscitò per darci la prova della nostra risurrezione, e ascese al cielo per proteggerci dall’alto. Il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo dunque prima fu appeso alla croce, ora siede nei cieli. Pagò il nostro riscatto quando fu appeso alla croce; ora che siede nei cieli raduna intorno a sé coloro che ha comperato. Quando avrà radunato tutti quelli che dovrà radunare attraverso i vari secoli, alla fine dei tempi verrà e, come sta scritto, Dio verrà apertamente 1; non come venne la prima volta, nel nascondimento ma, come è detto, apertamente. Per poter essere giudicato era necessario infatti che venisse nel nascondimento; per giudicare invece verrà apertamente. Se la prima volta fosse venuto apertamente chi avrebbe osato giudicarlo mentre manifestava la sua identità? Dice infatti l’apostolo Paolo: Se lo avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 2. Ma se lui non fosse stato ucciso, la morte non sarebbe morta. Il diavolo è stato vinto per mezzo del suo stesso trofeo. Esultò infatti il diavolo quando, seducendolo, fece cadere nella morte il primo uomo. Seducendolo uccise il primo uomo: uccidendo invece l’ultimo (Cristo), gli scappò dai lacci il primo.

La trappola del diavolo fu la croce del Signore.
2. La vittoria del Signore nostro Gesù Cristo fu completa dunque quando risuscitò e salì al cielo; e si compì ciò che avete ascoltato quando vi è stato letto il libro dell’Apocalisse: Ha vinto il leone della tribù di Giuda 3. È stato chiamato leone ed è stato chiamato agnello: leone per la sua potenza, agnello per la sua innocenza; leone perché invincibile, agnello perché mansueto. Questo agnello ucciso con la sua morte vinse il leone che si aggira in cerca della preda da divorare. Il diavolo infatti è stato chiamato leone per la ferocia, non per la fortezza. L’apostolo Pietro dice: È necessario che stiamo in guardia contro le tentazioni, perché il vostro avversario, il diavolo, si aggira cercando la preda da divorare 4. E dice anche come si aggira: come leone ruggente si aggira cercando la preda da divorare. Chi non sarebbe preda dei denti di questo leone, se non lo avesse vinto il leone della tribù di Giuda? Contro un leone il Leone, contro il lupo l’Agnello. Il diavolo esultò quando morì Cristo, ma con la stessa morte di Cristo il diavolo fu sconfitto: ghermì l’esca rimanendovi però intrappolato. Godeva della morte di lui, come principe della morte. Ma proprio con ciò di cui godeva gli fu tesa la trappola. La trappola del diavolo fu la croce del Signore; l’esca per prenderlo fu la morte del Signore. Ed ecco che il Signore nostro Gesù Cristo risuscitò. Dove è più la morte che pendeva dalla croce? Dove son più gli scherni dei Giudei? Dove è più l’arrogante superbia di coloro che scuotevano il capo davanti alla croce e dicevano: Se è Figlio di Dio discenda dalla croce 5? E Cristo fece anche di più di quanto essi, insultandolo, pretendevano. È più strepitoso infatti risorgere da un sepolcro che scendere da una croce.

Salga con Cristo anche il nostro cuore.
3. Quanta è la gloria nel fatto che Cristo ascese al cielo e che siede alla destra del Padre? Ma tutto ciò non possiamo vederlo con questi nostri occhi, come non abbiamo potuto vederlo pendere dalla croce né risorgere dal sepolcro. Tutto questo lo crediamo per fede, lo vediamo con gli occhi del cuore. Siamo stati lodati per il fatto che abbiamo creduto anche senza aver veduto. Infatti anche i Giudei videro Cristo. Non è grande cosa vedere Cristo con gli occhi del corpo, ma è grande cosa credere in Cristo con gli occhi del cuore. Se in questo momento Cristo si presentasse a noi e rimanesse fermo davanti a noi, in silenzio, da dove sapremmo chi è veramente? E se stesse in silenzio, a che ci servirebbe [la sua presenza]? Non è meglio che, benché assente, parli attraverso il Vangelo anziché, pur presente, stia in silenzio? E poi non è neanche assente, se lo conserviamo nel cuore. Credi in lui e lo vedrai; non sta davanti ai tuoi occhi e tuttavia il tuo cuore lo possiede. Se infatti fosse assente da noi, sarebbero menzognere le parole che ora abbiamo ascoltato: Ecco, io sono con voi sino alla fine dei tempi 6.

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