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NEL NATALE DEGLI APOSTOLI PIETRO E PAOLO (SANT’AGOSTINO, DISCORSO 295)

dal sito:

http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/index2.htm

SANT’AGOSTINO

DISCORSO 295

NEL NATALE DEGLI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

È Cristo stesso la pietra, su cui è costruita la Chiesa.
1. 1. La passione dei beatissimi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Non parliamo di alcuni martiri sconosciuti. Per tutta la terra si è diffusa la loro voce e ai confini del mondo la loro parola 1. Questi martiri videro quello che annunziarono, per aver assecondato la giustizia, proclamando la verità, morendo per la verità. È il beato Pietro, il primo degli Apostoli, l’ardente amante di Cristo che meritò di ascoltare: Ed io ti dico che tu sei Pietro 2. Egli infatti aveva detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente 3. E Cristo a lui: Ed io ti dico che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa 4. Sopra questa pietra edificherò la fede che tu confessi. Sopra ciò che hai detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, edificherò la mia Chiesa. Tu sei Pietro infatti. Da pietra Pietro, non pietra da Pietro. Pietro da pietra così come cristiano da Cristo. Vuoi sapere da quale pietra sia chiamato Pietro? Ascolta un poco: Non voglio, infatti, che ignoriate, fratelli, – dice l’Apostolo di Cristo – che i nostri padri furono tutti sotto la nube, e tutti attraversarono il mare, e tutti furono battezzati in rapporto a Mosè, nella nube e nel mare, e tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale. Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava: e la roccia era il Cristo 5. Ecco da chi Pietro.
A Pietro, che impersona la Chiesa, le chiavi del regno dei cieli. Ad uno solo, perché date alla Chiesa una. Dopo la risurrezione, Cristo invia la Chiesa.
2. 2. Il Signore Gesù, come sapete, prima della sua passione, elesse quei suoi discepoli che chiamò Apostoli. Fra questi, quasi ovunque non altri che Pietro meritò di impersonare la Chiesa intera. Proprio per il fatto di impersonare da solo tutta la Chiesa, meritò di ascoltare: Ti darò le chiavi del regno dei cieli 6. Non ricevette infatti queste chiavi un solo uomo, ma la Chiesa nella sua unità. In forza di ciò, quindi, si celebra la preminenza di Pietro, in quanto rappresentò la Chiesa nella sua stessa universalità ed unità allora che gli fu detto: A te consegno quello che fu dato a tutti. Perché dunque possiate comprendere che la Chiesa ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli, desunto da un altro passo, ascoltate che cosa il Signore vuol dire a tutti i suoi Apostoli: Ricevete lo Spirito Santo 7. E immediatamente: A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi 8. Questo è in rapporto alle chiavi delle quali fu detto: Tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo; e tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo 9. Ma disse questo a Pietro. Perché tu sappia che Pietro impersonava allora la Chiesa universale, ascolta che cosa fu detto a lui personalmente, che cosa a tutti i fedeli santi: Se il tuo fratello commette una colpa nei tuoi riguardi, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone: è stato scritto infatti che ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, riferisci alla Chiesa: e, se non avrà ascoltato neppure questa, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico che tutto quello che avrete legato sopra la terra, sarà legato anche in cielo; e tutto quello che avrete sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo 10. La colomba lega, la colomba scioglie; l’edificio fondato sulla pietra lega e scioglie.
3. 2. Siano nel timore quanti si trovano legati, siano nel timore quanti sono sciolti. Quelli che sono sciolti, temano, per non essere legati; quelli che sono legati, preghino, per essere sciolti. Ciascuno è tenuto legato dalle funi dei propri peccati 11: ma al di fuori di questa Chiesa niente viene sciolto. Al morto da quattro giorni si dice: Lazzaro, vieni fuori! 12 E viene fuori dal sepolcro tra le bende che lo tenevano legato mani e piedi. Il Signore ridesta perché il morto esca dal sepolcro; se tocca il cuore, è perché ne venga fuori la confessione del peccato. Ma ancora per poco resta legato. Perciò il Signore, dopo che Lazzaro fu uscito dal sepolcro, si rivolse ai suoi discepoli, ai quali aveva annunziato: Tutto quello che avrete sciolto sopra la terra, sarà sciolto anche in cielo 13; Scioglietelo – disse – e lasciatelo andare 14. Di persona fece risuscitare, per mezzo dei discepoli sciolse.

La forza e la debolezza della Chiesa figurate in Pietro.
3. 3. La fortezza della Chiesa trovò appunto risalto soprattutto in Pietro, perché seguì il Signore che andava verso la passione, e fu rilevata quella certa debolezza per cui, interpellato da una serva, negò il Signore. Eccolo diventato d’un tratto negatore da amante che era. Scoprì se stesso chi aveva voluto presumere di sé. Infatti, come sapete, aveva detto: Signore, sarò con te fino alla morte, anche se dovessi morire, darò la mia vita per te 15. E il Signore al presuntuoso: Darai la tua vita per me? In verità ti dico: prima che il gallo canti, mi avrai rinnegato tre volte 16. Avvenne quello che aveva predetto il medico: non poté verificarsi ciò che presunse l’infermo. E che allora? All’istante, il Signore lo guardò. Così è stato scritto, così riporta il Vangelo: Il Signore lo guardò, ed egli uscì fuori e pianse amaramente 17. Uscì fuori, il che vuol dire confessare. Pianse amaramente chi aveva imparato ad amare. Subentrò la consolazione nell’amore, la cui amarezza era già stata presente nel dolore.
A Pietro, rappresentante dell’unità della Chiesa, affidate le pecore di Cristo. perché Pietro deve rispondere tre volte del suo amore.
4. 4. A ragione, anche dopo la risurrezione, il Signore proprio a Pietro affidò le sue pecore da pascere. Non è infatti che, fra gli Apostoli, egli solo meritò di pascere le pecore del Signore: ma quando Cristo si rivolge ad uno solo, vuol dare risalto all’unità; in primo luogo a Pietro, perché è il primo degli Apostoli. Simone di Giovanni – dice il Signore – mi ami tu? 18 Quello risponde: Ti amo. E interrogato di nuovo, di nuovo risponde. Interrogato per la terza volta quasi non sia creduto, si rattrista. Ma come poteva non credergli colui che gli leggeva nel cuore? Infine, superato quel turbamento, così risponde: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo 19. Non sfugge infatti solo questo a te che tutto sai. Non ti rattristare, Apostolo, rispondi una volta, rispondi di nuovo, rispondi una terza volta. Tre volte vinca la confessione nell’amore, perché tre volte nel timore fu vinta la presunzione. Bisogna sciogliere tre volte quello che tre volte è stato legato. Sciogli per amore quello che avevi legato per timore. Ma infine il Signore, una prima, una seconda e una terza volta, affidò le sue pecore a Pietro.
A confutazione dei donatisti che dividono il gregge del Signore.
5. 5. State a sentire, fratelli miei: Pasci – egli dice – le mie pecorelle, pasci i miei agnelli 20. Pasci le mie pecore: ha forse detto le tue? Pasci, servo buono, le pecore del Signore, quelle che hanno il marchio del Signore. Forse che Paolo è stato crocifisso per voi? o è nel nome di Pietro e di Paolo che siete stati battezzati? 21 Pasci dunque le sue pecore, lavate nel suo Battesimo, segnate dal suo nome, redente dal suo sangue. Pasci – dice – le mie pecore. Infatti, gli eretici, servi cattivi e fuggitivi, ripartendosi fra loro quel che non acquistarono, procurandosi dai furti dei beni come propri, credono di pascere pecore di loro proprietà. Infatti, che cos’altro è, vi domando, dire: Se non sarò stato io a darti il Battesimo, resterai nel peccato, se non avrai avuto il mio Battesimo, non sarai purificato? Non avete forse ascoltato: Maledetto ogni uomo che confida nell’uomo 22? Di conseguenza, carissimi, quelli che battezzò Pietro sono pecore di Cristo; e quelli che battezzò Giuda sono pecore di Cristo. Notate infatti che intende dire lo sposo alla sua diletta nel Cantico dei Cantici, quando la sposa gli chiede: Dimmi, o diletto dell’anima mia, dove vai a pascolare, dove riposi al meriggio, per non perdere la mia identità dietro le greggi dei tuoi compagni 23. Dimmi – dice – dove vai a pascolare, dove riposi al meriggio, nello splendore della verità, nell’ardore della carità. Perché temi, o diletta, di che temi? Per non perdere – dice – la mia identità; cioè, come dissimulandomi, come non fossi la Chiesa; perché la Chiesa non è nascosta. Infatti, non può nascondersi una città collocata su un monte 24. E nel mio errare finisca non presso il tuo gregge, ma tra le greggi dei tuoi compagni. Gli eretici, infatti, sono chiamati compagni. Uscirono da noi 25: prima che uscissero, parteciparono ad una stessa mensa con noi. Allora, che le si risponderà? Se non avrai riconosciuto te stessa 26 è la risposta dello sposo a lei che domanda: Se non avrai riconosciuto te stessa, o bella fra le donne 27. O la vera tra eresie, se non avrai riconosciuto te stessa: sono tante infatti le predizioni che ti riguardano. Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti 28; Ha parlato il Signore, Dio degli dèi, e ha convocato la terra da Oriente a Occidente 29; Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra 30; Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola 31. Tali testimonianze sono predizioni a tuo riguardo. Perciò, se non avrai riconosciuto te stessa, esci tu 32. Non sono io a metterti fuori, perché quanti saranno rimasti possano dire di te: Uscirono da noi 33. Esci tu sulle orme delle greggi, non del gregge del quale fu detto: Sarà un solo gregge ed un solo Pastore 34. Esci tu sulle orme delle greggi e va a pascolare i tuoi capretti 35: non le mie pecore, come Pietro. Per il bene di queste pecore a lui affidate, Pietro meritò la corona del martirio e meritò di venir celebrato nel mondo con la solennità odierna.

Paolo: da persecutore ad Apostolo di Cristo.
6. 6. E da Saulo venga Paolo, dal lupo l’agnello; prima avversario, poi apostolo, prima persecutore, poi predicatore. Venga, riceva lettere di presentazione dai sommi sacerdoti, e dovunque avrà scoperto cristiani, li conduca prigionieri per la condanna. Riceva, riceva, si metta in cammino, vada avanti, sia bramoso di strage, sia assetato di sangue: Se ne riderà chi abita i cieli 36. Andava infatti, come è stato scritto, anelando alla strage 37 e si avvicinava a Damasco. Allora il Signore dal cielo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 38 Qui io sono, là io sono: qui il capo, là il corpo. Non ce ne restiamo perciò stupiti, fratelli, noi facciamo parte del corpo di Cristo. Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro recalcitrare al pungolo 39. Agisci a tuo danno: la mia Chiesa infatti riceve incremento dalle persecuzioni. Ma quello, sbigottito e tremante: Chi sei tu, Signore? E il Signore: Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti 40. Diventato repentinamente un altro, attende un ordine: depone la rivalità, si dispone all’ubbidienza. Gli vien detto che fare. Ed ancora prima che Paolo sia battezzato, il Signore parla ad Anania: Recati in quella strada, dall’uomo di nome Saulo, battezzalo, perché è per me un vaso di elezione 41. Un vaso è fatto per contenere qualcosa, un vaso non deve restare vuoto. Un vaso va riempito: di che cosa se non di grazia? Ma Anania risponde al Signore nostro Gesù Cristo: Signore, ho saputo che quest’uomo ha recato molti mali ai tuoi fedeli. Ed ora è autorizzato per lettera dai sommi sacerdoti ad arrestare, ovunque ne avrà trovati, i seguaci di questa dottrina 42. E il Signore a lui: Io gli mostrerò tutto quello che dovrà soffrire per il mio nome 43. Anania trepidava all’udire il nome di Saulo: la pecora debole temeva la fama del lupo, pur avendo su di sé la mano del pastore.

Paolo e Pietro patirono per Cristo.
7. 7. Ecco il Signore mostrargli quelle cose che bisognava patisse per il suo nome. In seguito lo provò nella fatica. Egli pure lo provò nelle catene, egli nelle ferite, egli nelle carceri, egli nei naufragi. Egli gli procurò il martirio: egli lo fece pervenire a questo giorno. Unico il giorno della passione per i due Apostoli. Ma anche tutt’e due erano una cosa sola: pur soffrendo il martirio in giorni diversi, erano una cosa sola. Andò avanti Pietro, seguì Paolo. Un primo tempo Saulo, quindi Paolo: perché un primo tempo superbo, umile in seguito. Saulo da Saul, il persecutore del santo Davide. Fu atterrato il persecutore, fu suscitato il predicatore. Cambiò in umiltà il nome del superbo. Paolo, infatti, vuol dire « poca cosa ». Fate caso alle parole in uso della Carità vostra: non diciamo tutti i giorni: « Ti vedrò fra poco; fra poco farò questo o quello »? Chi è allora Paolo? Chiedilo a lui stesso: Io sono – dice – il più piccolo degli Apostoli 44.

La celebrazione dei martiri incoraggia all’imitazione.
8. 8. Celebriamo il giorno festivo reso sacro per noi dal sangue degli Apostoli. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze, le predicazioni. Facciamo infatti progressi attraverso l’amore, non celebrando tali prove per una soddisfazione materiale. Che cosa ci chiedono infatti i martiri? Non hanno tutto se ancora desiderano lodi dagli uomini. Se continuano a volere le lodi degli uomini, non sono ancora dei vincitori. Se, invece, sono stati vincitori, nulla ci chiedono a loro profitto, ma intercedono per il nostro bene. Perciò, la nostra via sia diritta alla presenza del Signore. Era angusta, era irta di spine, era aspra: per uomini tali e così numerosi che la percorrono, è diventata comoda. Proprio il Signore è passato per primo, la percorsero intrepidi gli Apostoli, quindi i martiri, fanciulli, donne, fanciulle. Ma chi era in loro? Colui che ha detto: Senza di me non potete far nulla 45.

Publié dans:San Paolo, San Pietro, Sant'Agostino |on 18 novembre, 2011 |Pas de commentaires »

18 Novembre: Dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo Apostoli

dal sito:

http://www.pastoralespiritualita.it/Articoli-Rubriche/Anno-liturgico-feste-e-ricorrenze/18-Novembre-Dedicazione-delle-basiliche-dei-Santi-Pietro-e-Paolo-Apostoli.html

18 Novembre: Dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo Apostoli 

Dedicazione delle basiliche dei santi Pietro e Paolo, Apostoli, delle quali la prima, edificata dall’imperatore Costantino sul colle Vaticano al di sopra del sepolcro di san Pietro, consunta dal tempo e ricostruita in forma più ampia, in questo giorno fu nuovamente consacrata; l’altra, sulla via Ostiense, costruita dagli imperatori Teodosio e Valentiniano e poi distrutta da un terribile incendio e completamente ricostruita, fu dedicata il 10 dicembre. Nella loro comune commemorazione viene simbolicamente espressa la fraternità degli Apostoli e l’unità della Chiesa. (Martirologio Romano)
 
Celebrata in agosto la festa della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore e ultimamente quella della Basilica del Salvatore al Laterano, la Chiesa ci invita a celebrare in un medesimo giorno la dedicazione delle due Basiliche di san Pietro e di san Paolo a Roma. Sono le quattro basiliche che negli anni giubilari i pellegrini devono visitare, per acquistare la grande indulgenza, che i Papi sogliono concedere ogni 25 anni.
Se non possiamo andare a Roma e pregare in quelle auguste chiese, la Liturgia ci aiuta a partecipare alle grazie chieste dai pellegrini sulle tombe degli Apostoli e che la Chiesa chiede per tutti i fedeli nel giorno della Dedicazione.

La Basilica di san Pietro.
Dopo il martirio, avvenuto con tutta probabilità nel circo di Nerone, i resti del santo Apostolo Pietro erano stati sepolti lungo il fianco opposto della via Cornelia e più tardi vennero segnalati alla venerazione dei fedeli con una piccola edicola costruita da Papa Anacleto e che, fino al terzo secolo, restò il centro delle sepolture dei Papi.
Concessa la pace alla Chiesa, Costantino fece edificare sulla tomba del principe degli Apostoli una basilica, che fu terminata da Costantino II e poi distrutta dai Saraceni nell’anno 806. La basilica fu teatro di solennità grandiose. In essa si celebrava al termine delle quattro Tempora la vigilia delle ordinazioni, si compiva la lunga Litania del 25 aprile e in essa fu incoronato e consacrato l’imperatore Carlomagno.
Restaurata e totalmente modificata nel suo aspetto, la basilica esisteva ancora nel secolo XV, ma tanto aveva sofferto per l’assenza dei Papi, durante il soggiorno ad Avignone, che Nicola V decise di demolirla e di ricostruirla sullo stesso posto. Il successore, Giulio II affidò l’opera al Bramante nel 1505. Morto il Bramante, Michelangelo la continuò ed elevò l’imponente cupola, che domina la basilica e ne costituisce la principale bellezza. Finalmente il 18 novembre 1626 la basilica fu terminata e Papa Urbano VIII la consacrò.
Alla fine del Medio Evo i Papi avevano abbandonato il palazzo del Laterano e si erano stabiliti nel palazzo Vaticano, portando in san Pietro non poche solennità. Il Concilio ecumenico del 1870 rese definitiva questa sostituzione e la basilica Vaticana divenne, per forza di cose, l’effettiva cattedrale dei Papi, che riposano nelle cripte dei sotterranei, da Innocenzo XI (1676-1689) fino a san Pio X e ai suoi successori, senza contare che di molti Papi del Medio Evo vi furono portati i resti.

La basilica di san Paolo.
Il corpo dell’apostolo san Paolo dal luogo del martirio presso le acque Salvie era stato portato a due miglia circa da Roma, sulla via Ostiense e ivi era stato sepolto. Sul luogo della sepoltura fu prima costruito un oratorio molto simile a quello dell’Apostolo Pietro al Vaticano, attribuito generalmente anch’esso a Papa Anacleto.
Costantino eresse sulla tomba una basilica, ma, essendo parsa di dimensioni troppo modeste, l’imperatore Valentiniano, nel 368, la sostituì con una basilica grandiosa a cinque navate. Teodosio proseguì l’opera e suo figlio, Onorio, la terminò. Le incursioni Saracene avvenute sotto san Leone IV (847-855) spinsero Giovanni VIII (872-882) a circondare la basilica e il convento, che già vi era sorto accanto, di mura e si ebbe così una fortezza che prese il nome di Giovannopoli. La basilica conservò il suo primitivo aspetto fino all’incendio che, nella notte tra il 15 e il 16 agosto del 1823, la distrusse.
Pervennero, all’appello del Papa, offerte da tutta la cristianità, perfino da dissidenti e da infedeli, e, il 5 ottobre 1840, Gregorio XVI poté consacrare il transetto e l’altare maggiore sotto il quale restò la tomba dell’Apostolo. Quattordici anni dopo, in occasione della definizione dell’Immacolato Concepimento di Maria (8 dicembre 1854), 185 cardinali, arcivescovi e vescovi assistevano, il 10 dicembre, alla dedicazione della nuova basilica di san Paolo fatta da Pio IX. Il Papa fissò il ricordo della dedicazione alla data tradizionale del 18 novembre e Leone XIII, il 27 agosto 1893, elevò la festa a rito doppio maggiore per la Chiesa universale.

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1291-1292 

Publié dans:San Paolo, San Pietro |on 18 novembre, 2011 |Pas de commentaires »

INNI LITURGICI PER LA SOLENNITA’ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

dal sito:

http://www.figliedellachiesa.org/Default.aspx?itemid=188318&pageid=page12536

INNI LITURGICI PER LA SOLENNITA’ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

O Roma felix, quæ tantórum príncipum

Santi Pietro e Paolo, apostoli, ai Secondi Vespri -  Autore: san Paolino II di Aquileia (?)
 
O Roma felix, quæ tantórum príncipum
es purpuráta pretióso sánguine!
Excéllis omnem mundi pulchritúdinem
non laude tua, sed sanctórum méritis,
quos cruentátis iugulásti gládiis.

Vos ergo modo, gloriósi mártyres,
Petre beáte, Paule, mundi lílium,
cæléstis aulæ triumpháles mílites,
précibus almis vestris nos ab ómnibus
muníte malis, ferte super æthera.

Glória Patri per imménsa sæcula,
sit tibi, Nate, decus et impérium,
honor, potéstas Sanctóque Spirítui;
sit Trinitáti salus indivídua
per infiníta sæculórum sæcula. Amen.
 
1. O Roma felice, in quanto macchiata di rosso dal sangue prezioso di così grandi principi! [Tu] eccelli su ogni bellezza del mondo non per tua lode, ma per meriti dei santi che uccidesti con spade sanguinarie.
2. Voi, dunque, subito, o gloriosi martiri, Pietro beato, Paolo, giglio del mondo, soldati trionfanti della corte del cielo, difendeteci da tutti i mali, con le vostre vitali preghiere, portate[ci] in cielo.
3. Sia gloria al Padre per i secoli eterni, a te, Figlio, onore ed imperio, rispetto, potestà anche allo Spirito Santo: un unico saluto sia alla Trinità, per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.

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Aurea luce
 
Santi Pietro e Paolo, apostoli, ai Primi Vespri – Autore: anonimo del VIII-IX secolo
 
 Aurea luce et decóre róseo,
lux lucis, omne perfudísti sæculum,
décorans cælos ínclito martýrio
hac sacra die, quæ dat reis véniam.
 
Iánitor cæli, doctor orbis páriter,
iúdices sæcli, vera mundi lúmina,
per crucem alter, alter ense triúmphans,
vitæ senátum laureáti póssident.
 
O Roma felix, quæ tantórum príncipum
es purpuráta pretióso sánguine,
non laude tua, sed ipsórum méritis
excéllis omnem mundi pulchritúdinem.
 
Olívæ binæ pietátis únicæ,
fide devótos, spe robústos máxime,
fonte replétos caritátis géminæ
post mortem carnis impetráte vívere.
 
Sit Trinitáti sempitérna glória,
honor, potéstas atque iubilátio,
in unitáte, cui manet impérium
ex tunc et modo per ætérna sæcula. Amen.
 
1. O luce della luce, [tu] hai pervaso tutto il mondo con luce dorata e rosea bellezza, abbellendo i cieli con un inclito martirio in questo sacro giorno, che dà il perdono ai peccatori.
2. Il guardiano del cielo e insieme il dottore dell’orbe, giudici del tempo, veri luminarii del mondo, l’uno attraverso la croce, l’altro trionfando per la spada, entrano a far parte del senato del cielo, incoronati d’alloro.
3. O Roma felice, in quanto macchiata di rosso dal sangue prezioso di così grandi principi, non per tua lode, ma per i loro meriti eccelli su ogni bellezza del mondo.
4. Duplici olivi, dall’unica pietà, dopo la morte della carne ottenete[ci] di vivere devoti per la fede, massimamente robusti nella speranza, riempiti dalla sorgente della carità di entrambi.
5. Alla Trinità sia gloria eterna, onore, forza e grida di gioia, nell’unità: a Lei spetta il regno nel passato, nel presente e nei secoli eterni. Amen.

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Felix per omnes festum mundi cárdines

Santi Pietro e Paolo, apostoli, all’Ufficio delle Letture  -  Autore: Paolino II di Aquileia (?)
 
Felix per omnes festum mundi cárdines
apostolórum præpóllet alácriter,
Petri beáti, Pauli sacratíssimi,
quos Christus almo consecrávit sánguine,
ecclesiárum deputávit príncipes.
 
Hi sunt olívæ duæ coram Dómino
et candelábra luce radiántia,
præclára cæli duo luminária;
fórtia solvunt peccatórum víncula
portásque cæli réserant fidélibus.
 
Glória Patri per imménsa sæcula,
sit tibi, Nate, decus et impérium,
honor, potéstas Sanctóque Spirítui;
sit Trinitáti salus indivídua
per infiníta sæculórum sæcula. Amen.

1. Per tutta l’estensione della terra si estende vivacemente la beata festa degli apostoli, del beato Pietro e del sacratissimo Paolo, che Cristo ha consacrato, con il sangue vivificante, [e] scelse come principi delle chiese.
2. Questi sono i due olivi davanti al Signore e i [due] candelabri radianti di luce, i due luminari più illustri del cielo; sciolgono i saldi legami dei peccatori e dischiudono ai fedeli le porte del cielo.
3. Sia gloria al Padre, per i secoli infiniti, a te, o Figlio, rispetto e imperio, onore e potenza anche allo Spirito Santo; un unico saluto sia alla Trinità indivisa per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.

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Apostolórum pássio
 
Santi Pietro e Paolo, apostoli, alle Lodi mattutine  -  Autore: Sant’Ambrogio

Apostolórum pássio
diem sacrávit sæculi,
Petri triúmphum nóbilem,
Pauli corónam præferens.
 
Coniúnxit æquáles viros
cruor triumphális necis;
Deum secútos præsulem
Christi coronávit fides.
 
Primus Petrus apóstolus;
nec Paulus impar grátia,
electiónis vas sacræ
Petri adæquávit fidem.
 
Verso crucis vestígio
Simon, honórem dans Deo,
suspénsus ascéndit, dati
non ímmemor oráculi.
 
Hinc Roma celsum vérticem
devotiónis éxtulit,
fundáta tali sánguine
et vate tanto nóbilis.
 
Huc ire quis mundum putet,
concúrrere plebem poli:
elécta géntium caput
sedes magístri géntium.
 
Horum, Redémptor, quæsumus,
ut príncipum consórtio
iungas precántes sérvulos
in sempitérna sæcula. Amen.
_____________
 
1. La passione [il martirio] degli Apostoli rese sacro questo giorno nel tempo, presentando il nobile trionfo di Pietro e la corona di Paolo.
2. Il sangue di una morte trionfale unì [questi] uomini eguali; la fede di Cristo incoronò [loro] che avevano seguito Dio come guida.
3. Pietro è il primo degli apostoli; ma Paolo pari per grazia, vaso di sacra elezione, eguagliò la fede di Pietro.
4. Simone sale per essere appeso al vessillo della croce capovolto, dando onore a Dio, senza dimenticare la predizione data[gli].
5. Da qui Roma innalzò il vertice alto della devozione, fondata da tal sangue e nobilitata da così grande vate.
6. Qualcuno potrebbe credere che qui accorra tutto il mondo e le moltitudini del cielo: la capitale delle genti è eletta a sede del maestro delle genti.
7. O Redentore ti preghiamo: congiungi insieme a questi principi i [tuoi] servi che ti supplicano nei secoli eterni. Amen.

Publié dans:Inni, San Paolo, San Pietro |on 28 juin, 2011 |Pas de commentaires »

Santi Pietro e Paolo, apostoli, solennità, San Clemente di Roma: Lettera ai Corinzi, 5-7 (La più antica testimonianza storica del martirio di Pietro e di Paolo)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php

Santi Pietro e Paolo, apostoli, solennità

Meditazione del giorno
San Clemente di Roma, papa dal 90 al 100 circa
Lettera ai Corinzi, 5-7

La più antica testimonianza storica del martirio di Pietro e di Paolo

        Lasciando gli esempi antichi del Antico Testamento, veniamo agli atleti vicinissimi a noi e prendiamo gli esempi validi della nostra epoca. Per invidia e per gelosia le più grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte. Prendiamo i buoni apostoli. Pietro per l’ingiusta invidia non una o due, ma molte fatiche sopportò, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell’oriente e nell’occidente, ebbe la nobile fama della fede. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell’occidente e resa testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo il più grande modello di pazienza. A questi uomini che vissero santamente si aggiunse una grande schiera di eletti, i quali, soffrendo per invidia molti oltraggi e torture, furono di bellissimo esempio a noi.
        Carissimi, scriviamo tutte queste cose non solo per avvertire voi, ma anche per ricordarle a noi. Siamo sulla stessa arena e uno stesso combattimento ci attende. Lasciamo i vani ed inutili pensieri e seguiamo la norma gloriosa e veneranda della nostra tradizione. Vediamo ciò che è bello, ciò che è piacevole e gradito davanti a chi ci ha creato. Guardiamo il sangue di Gesù Cristo e consideriamo quanto sia prezioso al Padre suo. Effuso per la nostra salvezza portò al mondo la grazia del pentimento
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SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO: OMELIE DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I E DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI (2008)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080629_pallio_it.html 
  
CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIE DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I E DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Domenica, 29 giugno 2008 

INTRODUZIONE DEL SANTO PADRE ALL’OMELIA DEL PATRIARCA

Fratelli e Sorelle,

la grande festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Chiesa di Roma e posti a fondamento, insieme agli altri Apostoli, della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, ci porta ogni anno la gradita presenza di una Delegazione fraterna della Chiesa di Costantinopoli, che quest’anno, per la coincidenza con l’apertura dell’ »Anno Paolino », è guidata dallo stesso Patriarca, Sua Santità Bartolomeo I. A lui rivolgo il mio cordiale saluto, mentre esprimo la gioia di avere ancora una volta la felice opportunità di scambiare con lui il bacio della pace, nella comune speranza di vedere avvicinarsi il giorno dell’ »unitatis redintegratio », il giorno della piena comunione tra noi.
Saluto pure i membri della Delegazione patriarcale, come anche i Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che ci onorano della loro presenza, offrendo con ciò un segno della volontà di intensificare il cammino verso la piena unità tra i discepoli di Cristo. Ci disponiamo ora ad ascoltare le riflessioni di Sua Santità il Patriarca Ecumenico, parole che vogliamo accogliere con il cuore aperto, perché ci vengono dal nostro Fratello amato nel Signore.
 

OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Santità,

avendo ancora viva la gioia e l’emozione della personale e benedetta partecipazione di Vostra Santità alla Festa Patronale di Costantinopoli, nella memoria di San Andrea Apostolo, il Primo Chiamato, nel novembre del 2006, ci siamo mossi « con passo esultante », dal Fanar della Nuova Roma, per venire presso di Voi, per partecipare alla Vostra gioia nella Festa Patronale della Antica Roma. E siamo giunti presso di Voi « con la pienezza della Benedizione del Vangelo di Cristo » (Rom. 15,29), restituendo l’onore e l’amore, festeggiando insieme col nostro prediletto Fratello nella terra d’Occidente, « i sicuri e ispirati araldi, i Corifei dei Discepoli del Signore », i Santi Apostoli Pietro, fratello di Andrea, e Paolo – queste due immense, centrali colonne elevate verso il cielo, di tutta quanta la Chiesa, le quali – in questa storica città, – hanno dato anche l’ultima lampante confessione di Cristo e qui hanno reso la loro anima al Signore con il martirio, uno attraverso la croce e l’altro per mezzo della spada, santificandola.
Salutiamo quindi, con profondissimo e devoto amore, da parte della Santissima Chiesa di Costantinopoli e dei suoi figli sparsi nel mondo, la Vostra Santità, desiderato Fratello, augurando dal cuore « a quanti sono in Roma amati da Dio » (Rom. 1,7), di godere buona salute, pace, prosperità, e di progredire giorno e notte verso la salvezza « ferventi nello spirito, servendo il Signore, lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera » (Rom. 12, 11-12).
In entrambe le Chiese, Santità, onoriamo debitamente e veneriamo tanto colui che ha dato una confessione salvifica della Divinità di Cristo, Pietro, quanto il vaso di elezione, Paolo, il quale ha proclamato questa confessione e fede fino ai confini dell’universo, in mezzo alle più inimmaginabili difficoltà e pericoli. Festeggiamo la loro memoria, dall’anno di salvezza 258 in avanti, il 29 giugno, in Occidente e in Oriente, dove nei giorni che precedono, secondo la tradizione della Chiesa antica, in Oriente ci siamo preparati anche per mezzo del digiuno, osservato in loro onore. Per sottolineare maggiormente l’uguale loro valore, ma anche per il loro peso nella Chiesa e nella sua opera rigeneratrice e salvifica durante i secoli, l’Oriente li onora abitualmente anche attraverso un’icona comune, nella quale o tengono nelle loro sante mani un piccolo veliero, che simboleggia la Chiesa, o si abbracciano l’un l’altro e si scambiano il bacio in Cristo.
Proprio questo bacio siamo venuti a scambiare con Voi, Santità, sottolineando l’ardente desiderio in Cristo e l’amore, cose queste che ci toccano da vicino gli uni gli altri.
Il Dialogo teologico tra le nostre Chiese « in fede, verità e amore », grazie all’aiuto divino, va avanti, al di là delle notevoli difficoltà che sussistono ed alle note problematiche. Desideriamo veramente e preghiamo assai per questo; che queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno, il più velocemente possibile, per raggiungere l’oggetto del desiderio finale, a gloria di Dio.
Tale desiderio sappiamo bene essere anche il Vostro, come siamo anche certi che Vostra Santità non tralascerà nulla lavorando di persona, assieme ai suoi illustri collaboratori attraverso un perfetto appianamento della via, verso un positivo completamento a Dio piacente, dei lavori del Dialogo.
Santità, abbiamo proclamato l’anno 2008, « Anno dell’Apostolo Paolo », così come anche Voi fate del giorno odierno fino all’anno prossimo, nel compimento dei duemila anni dalla nascita del Grande Apostolo. Nell’ambito delle relative manifestazioni per l’anniversario, in cui abbiamo pure venerato il preciso luogo del Suo Martirio, programmiamo tra le altre cose un sacro pellegrinaggio ad alcuni monumenti della attività evangelica dell’Apostolo in Oriente, come Efeso, Perge, ed altre città dell’Asia Minore, ma anche Rodi e Creta, alla località chiamata « Buoni Porti ». Siate sicuro, Santità, che in questo sacro tragitto, sarete presente anche Voi, camminando con noi in spirito, e che ciascun luogo eleveremo un’ardente preghiera per Voi e per i nostri fratelli della venerabile Chiesa Romano-Cattolica, rivolgendo una forte supplica e intercessione del divino Paolo al Signore per Voi.
E ora, venerando i patimenti e la croce di Pietro e abbracciando la catena e le stigmate di Paolo, onorando la confessione e il martirio e la venerata morte di entrambi per il Nome del Signore, che porta veramente alla Vita, glorifichiamo il Dio Tre volte Santo e lo supplichiamo, affinché per l’intercessione dei suoi Protocorifei Apostoli, doni a noi e a tutti i figli ovunque nel mondo della Chiesa Ortodossa e Romano-Cattolica, quaggiù « l’unione della fede e la comunione dello Spirito Santo » nel « legame della pace » e lassù, invece, la vita eterna e la grande misericordia. Amen.

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Fin dai tempi più antichi la Chiesa di Roma celebra la solennità dei grandi Apostoli Pietro e Paolo come unica festa nello stesso giorno, il 29 giugno. Attraverso il loro martirio, essi sono diventati fratelli; insieme sono i fondatori della nuova Roma cristiana. Come tali li canta l’inno dei secondi Vespri che risale a Paolino di Aquileia (+ 806): «O Roma felix – Roma felice, adornata di porpora dal sangue prezioso di Principi tanto grandi. Tu superi ogni bellezza del mondo, non per merito tuo, ma per il merito dei santi che hai ucciso con la spada sanguinante». Il sangue dei martiri non invoca vendetta, ma riconcilia. Non si presenta come accusa, ma come «luce aurea», secondo le parole dell’inno dei primi Vespri: si presenta come forza dell’amore che supera l’odio e la violenza, fondando così una nuova città, una nuova comunità. Per il loro martirio, essi – Pietro e Paolo – fanno adesso parte di Roma: mediante il martirio anche Pietro è diventato cittadino romano per sempre. Mediante il martirio, mediante la loro fede e il loro amore, i due Apostoli indicano dove sta la vera speranza, e sono fondatori di un nuovo genere di città, che deve formarsi sempre di nuovo in mezzo alla vecchia città umana, la quale resta minacciata dalle forze contrarie del peccato e dell’egoismo degli uomini.
In virtù del loro martirio, Pietro e Paolo sono in reciproco rapporto per sempre. Un’immagine preferita dell’iconografia cristiana è l’abbraccio dei due Apostoli in cammino verso il martirio. Possiamo dire: il loro stesso martirio, nel più profondo, è la realizzazione di un abbraccio fraterno. Essi muoiono per l’unico Cristo e, nella testimonianza per la quale danno la vita, sono una cosa sola. Negli scritti del Nuovo Testamento possiamo, per così dire, seguire lo sviluppo del loro abbraccio, questo fare unità nella testimonianza e nella missione. Tutto inizia quando Paolo, tre anni dopo la sua conversione, va a Gerusalemme, «per consultare Cefa» (Gal 1,18). Quattordici anni dopo, egli sale di nuovo a Gerusalemme, per esporre «alle persone più ragguardevoli» il Vangelo che egli predica, per non trovarsi nel rischio «di correre o di aver corso invano» (Gal 2,1s). Alla fine di questo incontro, Giacomo, Cefa e Giovanni gli danno la destra, confermando così la comunione che li congiunge nell’unico Vangelo di Gesù Cristo (Gal 2,9). Un bel segno di questo interiore abbraccio in crescita, che si sviluppa nonostante la diversità dei temperamenti e dei compiti, lo trovo nel fatto che i collaboratori menzionati alla fine della Prima Lettera di san Pietro – Silvano e Marco – sono collaboratori altrettanto stretti di san Paolo. Nella comunanza dei collaboratori si rende visibile in modo molto concreto la comunione dell’unica Chiesa, l’abbraccio dei grandi Apostoli.
Almeno due volte Pietro e Paolo si sono incontrati a Gerusalemme; alla fine il percorso di ambedue sbocca a Roma. Perché? È questo forse qualcosa di più di un puro caso? Vi è contenuto forse un messaggio duraturo? Paolo arrivò a Roma come prigioniero, ma allo stesso tempo come cittadino romano che, dopo l’arresto in Gerusalemme, proprio in quanto tale aveva fatto ricorso all’imperatore, al cui tribunale fu portato. Ma in un senso ancora più profondo, Paolo è venuto volontariamente a Roma. Mediante la più importante delle sue Lettere si era già avvicinato interiormente a questa città: alla Chiesa in Roma aveva indirizzato lo scritto che più di ogni altro è la sintesi dell’intero suo annuncio e della sua fede. Nel saluto iniziale della Lettera dice che della fede dei cristiani di Roma parla tutto il mondo e che questa fede, quindi, è nota ovunque come esemplare (Rm 1,8). E scrive poi: «Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi, ma finora ne sono stato impedito» (1,13). Alla fine della Lettera riprende questo tema parlando ora del suo progetto di andare fino in Spagna. «Quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza» (15,24). «E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo» (15,29). Sono due cose che qui si rendono evidenti: Roma è per Paolo una tappa sulla via verso la Spagna, cioè – secondo il suo concetto del mondo – verso il lembo estremo della terra. Considera sua missione la realizzazione del compito ricevuto da Cristo di portare il Vangelo sino agli estremi confini del mondo. In questo percorso ci sta Roma. Mentre di solito Paolo va soltanto nei luoghi in cui il Vangelo non è ancora annunciato, Roma costituisce un’eccezione. Lì egli trova una Chiesa della cui fede parla il mondo. L’andare a Roma fa parte dell’universalità della sua missione come inviato a tutti i popoli. La via verso Roma, che già prima del suo viaggio esterno egli ha percorso interiormente con la sua Lettera, è parte integrante del suo compito di portare il Vangelo a tutte le genti – di fondare la Chiesa cattolica, universale. L’andare a Roma è per lui espressione della cattolicità della sua missione. Roma deve rendere visibile la fede a tutto il mondo, deve essere il luogo dell’incontro nell’unica fede.
Ma perché Pietro è andato a Roma? Su ciò il Nuovo Testamento non si pronuncia in modo diretto. Ci dà tuttavia qualche indicazione. Il Vangelo di san Marco, che possiamo considerare un riflesso della predicazione di san Pietro, è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,39). Presso la Croce si svela il mistero di Gesù Cristo. Sotto la Croce nasce la Chiesa delle genti: il centurione del plotone romano di esecuzione riconosce in Cristo il Figlio di Dio. Gli Atti degli Apostoli descrivono come tappa decisiva per l’ingresso del Vangelo nel mondo dei pagani l’episodio di Cornelio, il centurione della coorte italica. Dietro un comando di Dio, egli manda qualcuno a prendere Pietro e questi, seguendo pure lui un ordine divino, va nella casa del centurione e predica. Mentre sta parlando, lo Spirito Santo scende sulla comunità domestica radunata e Pietro dice: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?» (At 10,47). Così, nel Concilio degli Apostoli, Pietro diventa l’intercessore per la Chiesa dei pagani i quali non hanno bisogno della Legge, perché Dio ha «purificato i loro cuori con la fede» (At 15,9). Certo, nella Lettera ai Galati Paolo dice che Dio ha dato a Pietro la forza per il ministero apostolico tra i circoncisi, a lui, Paolo, invece per il ministero tra i pagani (2,8). Ma questa assegnazione poteva essere in vigore soltanto finché Pietro rimaneva con i Dodici a Gerusalemme nella speranza che tutto Israele aderisse a Cristo. Di fronte all’ulteriore sviluppo, i Dodici riconobbero l’ora in cui anch’essi dovevano incamminarsi verso il mondo intero, per annunciargli il Vangelo. Pietro che, secondo l’ordine di Dio, per primo aveva aperto la porta ai pagani lascia ora la presidenza della Chiesa cristiano-giudaica a Giacomo il minore, per dedicarsi alla sua vera missione: al ministero per l’unità dell’unica Chiesa di Dio formata da giudei e pagani. Il desiderio di san Paolo di andare a Roma sottolinea – come abbiamo visto – tra le caratteristiche della Chiesa soprattutto la parola «catholica». Il cammino di san Pietro verso Roma, come rappresentante dei popoli del mondo, sta soprattutto sotto la parola «una»: il suo compito è di creare l’unità della catholica, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli. Ed è questa la missione permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore. Grazie alla tecnica dappertutto uguale, grazie alla rete mondiale di informazioni, come anche grazie al collegamento di interessi comuni, esistono oggi nel mondo modi nuovi di unità, che però fanno esplodere anche nuovi contrasti e danno nuovo impeto a quelli vecchi. In mezzo a questa unità esterna, basata sulle cose materiali, abbiamo tanto più bisogno dell’unità interiore, che proviene dalla pace di Dio – unità di tutti coloro che mediante Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle. È questa la missione permanente di Pietro e anche il compito particolare affidato alla Chiesa di Roma.
Cari Confratelli nell’Episcopato! Vorrei ora rivolgermi a voi che siete venuti a Roma per ricevere il pallio come simbolo della vostra dignità e della vostra responsabilità di Arcivescovi nella Chiesa di Gesù Cristo. Il pallio è stato tessuto con la lana di pecore, che il Vescovo di Roma benedice ogni anno nella festa della Cattedra di Pietro, mettendole con ciò, per così dire, da parte affinché diventino un simbolo per il gregge di Cristo, che voi presiedete. Quando prendiamo il pallio sulle spalle, quel gesto ci ricorda il Pastore che prende sulle spalle la pecorella smarrita, che da sola non trova più la via verso casa, e la riporta all’ovile. I Padri della Chiesa hanno visto in questa pecorella l’immagine di tutta l’umanità, dell’intera natura umana, che si è persa e non trova più la via verso casa. Il Pastore che la riporta a casa può essere soltanto il Logos, la Parola eterna di Dio stesso. Nell’incarnazione Egli ha preso tutti noi – la pecorella «uomo» – sulle sue spalle. Egli, la Parola eterna, il vero Pastore dell’umanità, ci porta; nella sua umanità porta ciascuno di noi sulle sue spalle. Sulla via della Croce ci ha portato a casa, ci porta a casa. Ma Egli vuole avere anche degli uomini che «portino» insieme con Lui. Essere Pastore nella Chiesa di Cristo significa partecipare a questo compito, del quale il pallio fa memoria. Quando lo indossiamo, Egli ci chiede: «Porti, insieme con me, anche tu coloro che mi appartengono? Li porti verso di me, verso Gesù Cristo?» E allora ci viene in mente il racconto dell’invio di Pietro da parte del Risorto. Il Cristo risorto collega l’ordine: «Pasci le mie pecorelle» inscindibilmente con la domanda: «Mi ami, mi ami tu più di costoro?». Ogni volta che indossiamo il pallio del Pastore del gregge di Cristo dovremmo sentire questa domanda: «Mi ami tu?» e dovremmo lasciarci interrogare circa il di più d’amore che Egli si aspetta dal Pastore.
Così il pallio diventa simbolo del nostro amore per il Pastore Cristo e del nostro amare insieme con Lui – diventa simbolo della chiamata ad amare gli uomini come Lui, insieme con Lui: quelli che sono in ricerca, che hanno delle domande, quelli che sono sicuri di sé e gli umili, i semplici e i grandi; diventa simbolo della chiamata ad amare tutti loro con la forza di Cristo e in vista di Cristo, affinché possano trovare Lui e in Lui se stessi. Ma il pallio, che ricevete «dalla» tomba di san Pietro, ha ancora un secondo significato, inscindibilmente connesso col primo. Per comprenderlo può esserci di aiuto una parola della Prima Lettera di san Pietro. Nella sua esortazione ai presbiteri di pascere il gregge in modo giusto, egli – san Pietro – qualifica se stesso synpresbýteros – con-presbitero (5,1). Questa formula contiene implicitamente un’affermazione del principio della successione apostolica: i Pastori che si succedono sono Pastori come lui, lo sono insieme con lui, appartengono al comune ministero dei Pastori della Chiesa di Gesù Cristo, un ministero che continua in loro. Ma questo « con » ha ancora due altri significati. Esprime anche la realtà che indichiamo oggi con la parola «collegialità» dei Vescovi. Tutti noi siamo con-presbiteri. Nessuno è Pastore da solo. Stiamo nella successione degli Apostoli solo grazie all’essere nella comunione del collegio, nel quale trova la sua continuazione il collegio degli Apostoli. La comunione, il « noi » dei Pastori fa parte dell’essere Pastori, perché il gregge è uno solo, l’unica Chiesa di Gesù Cristo. E infine, questo « con » rimanda anche alla comunione con Pietro e col suo successore come garanzia dell’unità. Così il pallio ci parla della cattolicità della Chiesa, della comunione universale di Pastore e gregge. E ci rimanda all’apostolicità: alla comunione con la fede degli Apostoli, sulla quale è fondata la Chiesa. Ci parla della ecclesia una, catholica, apostolica e naturalmente, legandoci a Cristo, ci parla proprio anche del fatto che la Chiesa è sancta e che il nostro operare è un servizio alla sua santità.
Ciò mi fa ritornare, infine, ancora a san Paolo e alla sua missione. Egli ha espresso l’essenziale della sua missione, come pure la ragione più profonda del suo desiderio di andare a Roma, nel capitolo 15 della Lettera ai Romani in una frase straordinariamente bella. Egli si sa chiamato «a servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti, amministrando da sacerdote il Vangelo di Dio, perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo» (15,6). Solo in questo versetto Paolo usa la parola «hierourgein» – amministrare da sacerdote – insieme con «leitourgós» – liturgo: egli parla della liturgia cosmica, in cui il mondo stesso degli uomini deve diventare adorazione di Dio, oblazione nello Spirito Santo. Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo. È questo l’obiettivo ultimo della missione apostolica di san Paolo e della nostra missione. A tale ministero il Signore ci chiama. Preghiamo in questa ora, affinché Egli ci aiuti a svolgerlo in modo giusto, a diventare veri liturghi di Gesù Cristo. Amen.  

Publié dans:San Paolo, San Pietro, SANTI APOSTOLI |on 27 juin, 2011 |Pas de commentaires »

Pietro a Roma

dal sito:

http://www.storialibera.it/epoca_antica/cristianesimo_e_storicita/pietro_a_roma/articolo.php?id=81&titolo=Pietro%20a%20Roma

Marta SORDI

Pietro a Roma

tratto da: Il Timone, anno 3 (2001) marzo/aprile, n. 12, p. 38-39.

Il Principe degli Apostoli venne a Roma, vi fondò la Chiesa e ivi morì nel 64 d.C. Da allora il vescovo di Roma è successore di Pietro. Le prove storiche della presenza del Principe degli Apostoli nella capitale dell’impero.

La scoperta, sia pure contestata da alcuni, di un frammento del Vangelo di Marco in un papiro in lingua greca di Qumran (il famoso 7Q5), databile dal punto di vista della scrittura a prima del 50 d.C. e proveniente, sembra, da Roma, ha riproposto il problema storico del momento della prima venuta di Pietro a Roma, che la tradizione cristiana, presente in autorevoli fonti del II secolo (Papia di Gerapoli, Clemente di Alessandria, citati da Eusebio e Ireneo) collocava all’inizio del regno di Claudio (nel 42, secondo il «Chronicon» di Eusebio) e associava alla composizione, appunto, del Vangelo di Marco: quest’ultimo avrebbe scritto su richiesta degli stessi Romani, tra cui cavalieri e Cesariani (questa precisazione è nella traduzione latina di un frammento di Clemente) che avevano ascoltato la predicazione di Pietro e volevano « quae dicebantur memoriae commendare ».

La data indicata da Eusebio (42 d.C.) corrisponde assai bene alla data indicata dagli Atti degli Apostoli (12,17) in cui Pietro, liberato dalla prigionia di Erode Agrippa I, « se ne andò in un altro luogo ».

Agrippa fu re della Giudea dal 41 al 44 e « l’altro luogo » degli Atti riecheggia un passo di Ezechiele (12,3), che indica Babilonia. E Babilonia è Roma anche nella 1 Petri 5,13. La presenza di Cesariani e cavalieri fra gli ascoltatori di Pietro a Roma nel 42 sembra convalidata da alcune delle « chiese domestiche » ricordate dalla Lettera ai Romani di Paolo (che io ritengo databile al 54): in essa si parla di cristiani « della casa di Narcisso » (ib. 16,11), il più famoso dei collaboratori e liberti di Claudio, e di Cristiani « della casa di Aristobulo » figlio di Erode di Calcide (inviato più tardi da Nerone a governare la piccola Armenia): ad ambedue, ma specialmente a Narcisso, si adatta l’epiteto di Cesariani. Per quel che riguarda i cavalieri, era certamente un cavaliere il «kratistos» (latino «egregius») Teofilo a cui è dedicato il vangelo di Luca.

Al 42/43 risale anche la conversione ad una «superstitio externa», che è sicuramente il Cristianesimo, di una donna di famiglia senatoria, Pomponia Grecina (Tacito, Ann. XIII, 32).

Un ricordo della presenza di Pietro a Roma presso uomini della classe dirigente romana resta anche, mescolato a notizie del tutto leggendarie, negli apocrifi Atti di Pietro (composti, sembra, in Asia Minore alla fine del II secolo), in cui ospite di Pietro è il senatore Marcello: Marcello è il nome del personaggio, di probabile rango equestre, che nel 36/7, dopo la destituzione di Pilato e di Caifa, il legato di Tiberio, L. Vitellio, lasciò a Gerusalemme, al posto del governatore, da lui rinviato a Roma (Flavio Giuseppe, «Antichità Giudaiche» XVIII, 89) e la cui presenza, se la mia cronologia interna degli Atti degli Apostoli è esatta, assicurò la pace alla Chiesa nelle zone controllate dai Romani.

L. Vitellio, amico e collaboratore di Claudio, si trovava a Roma con i pieni poteri nel 42/43 mentre l’imperatore era assente per la spedizione in Britannia e, essendosi già occupato dei Cristiani per conto di Tiberio durante la sua missione a Gerusalemme, poteva essere interessato, anche per motivi politici, a conoscere gli sviluppi della « setta » che aveva conosciuto a Gerusalemme o che ora ritrovava a Roma.

Io credo pertanto che la richiesta a Marco di mettere per iscritto la predicazione di Pietro a Roma da parte di membri della classe dirigente romana possa essere nata anche dalla volontà di conoscere meglio la natura della nuova « setta » giudaica e di valutarne la eventuale pericolosità politica. Le informazioni raccolte dovettero tranquillizzare i collaboratori di Claudio: da questo momento e fino al 62 sappiamo da Flavio Giuseppe («Antichità Giudaiche» XX, 199 sgg) che i Romani impedirono ogni violenza contro i Cristiani in Giudea, e sappiamo dagli Atti degli Apostoli che, direttamente o indirettamente, li favorirono a Cipro, a Corinto, ad Efeso.

Di questa prima comunità romana fondata da Pietro sappiamo quello che ci dice Paolo nella Lettera ai Romani del 54. Lodata per la sua « fede nota in tutto il mondo », essa si riuniva, come rivela il cap. XVI della stessa Lettera, in case di privati, convertiti dal paganesimo o dal giudaismo, e sembra essere rimasta estranea fino all’arrivo di Paolo (nel 56, secondo la mia cronologia, nel 60 secondo quella corrente) alla vita della numerosissima comunità giudaica della capitale: ciò sembra doversi ricavare dall’incontro di Paolo a Roma con i notabili ditale comunità nel 56 (At 28,17 sgg).

L’Ambrosiaster, che scrive nel IV secolo, dice che i Romani «susceperunt fidem Christi, ritu licet iudaico» e ciò è pienamente comprensibile se il Cristianesimo era venuto a Roma, attraverso Pietro, direttamente da Gerusalemme.

Il carattere giudaizzante della più antica comunità romana si riflette nei suoi più antichi scrittori, Clemente Romano e il Pastore di Erma, e nell’uso che essi fanno dell’Antico Testamento e degli stessi apocrifi giudaici. Non sembra invece che a Roma ci siano stati conflitti sulla circoncisione e sulla reciproca frequentazione tra convertiti dal giudaismo e convertiti dal paganesimo: questo era nello stile di Pietro, che fin dalla conversione del centurione Cornelio sapeva che la circoncisione non doveva essere imposta ai pagani e che, più tardi, ad Antiochia, aveva liberamente frequentato i pagani convertiti fin che non erano arrivati i seguaci di Giacomo ad impedirlo. Proprio questo comportamento di Pietro, che fu contestato da Paolo (Gal 2,10 sgg) e che sembra dettato da una scelta pastorale, quella di non provocare scontri con le comunità giudaiche della diaspora, spiega sia l’assenza di conseguenze per i Cristiani, della espulsione dei Giudei da Roma nel 49, sia i conflitti e le divergenze che subito si verificarono a Roma al momento dell’arrivo di Paolo, che adottò invece la linea, per lui consueta, di avvicinare subito la comunità giudaica.

Lo stile di Pietro è invece quello che Tacito coglie in Pomponia Grecina, così riservata nella sua professione di fede, da motivare con il lutto per l’amica Giulia il suo mutamento di vita, e così coraggiosa da sfidare l’ira di Messalina.

Pietro tornò certamente a Roma (la sua I Lettera ne attesta la presenza nella capitale tra la fine del 62 e gli inizi del 64 e presuppone, con l’accenno della possibile incriminazione dei cristiani come Cristiani, la svolta neroniana del 62) e vi morì -io credo- insieme a molti cristiani di Roma, nella persecuzione seguita all’incendio del luglio 64. Il confronto tra Tacito (Ann. XV, 44) e la lettera di Clemente Romano ai Corinzi (1,5) è molto significativo e fa pensare ai giuochi dati da Nerone: forse quelli del 13 ottobre del 64, come ha suggerito Margherita Guarducci.
Data inserimento: 27/05/2005

Publié dans:San Pietro |on 6 mars, 2010 |Pas de commentaires »

Dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo Apostoli

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/30100

Dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo Apostoli

18 novembre – Memoria Facoltativa 

I Principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, sono sempre associati nella liturgia della Chiesa Romana. Le due basiliche, trofei del martirio di Pietro e Paolo, furono erette sul sepolcro dei due apostoli. Meta di ininterrotto pellegrinaggio attraverso i secoli, sono segno dell’unità e della apostolicità della Chiesa di Roma. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Dedicazione delle basiliche dei santi Pietro e Paolo, Apostoli, delle quali la prima, edificata dall’imperatore Costantino sul colle Vaticano al di sopra del sepolcro di san Pietro, consunta dal tempo e ricostruita in forma più ampia, in questo giorno fu nuovamente consacrata; l’altra, sulla via Ostiense, costruita dagli imperatori Teodosio e Valentiniano e poi distrutta da un terribile incendio e completamente ricostruita, fu dedicata il 10 dicembre. Nella loro comune commemorazione viene simbolicamente espressa la fraternità degli Apostoli e l’unità della Chiesa.

La memoria della dedicazione delle basiliche dei Ss. Pietro Paolo apostoli è una nuova occasione, la quarta nel corso dell’anno, per riflettere sulla figura e sull’opera dei due Principi degli apostoli e anche sul culto eccezionale tributato loro nei secoli. Giunti ormai al termine della loro vita, S. Pietro e S. Paolo furono indotti dalle circostanze a tentare un piccolo bilancio di ciò che il Signore aveva operato per mezzo di loro. Scrivendo « a coloro che hanno ricevuto in sorte con la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e salvatore Gesù Cristo », S. Pietro dichiarava tra l’altro: « credo giusto, finchè sono in questa tenda del corpo, di tenervi desti con le mie esortazioni, sapendo che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come mi ha fatto intendere anche il Signore nostro Gesù Cristo. E procurerò che anche dopo la mia partenza voi abbiate a ricordarvi di queste cose. Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perchè siamo stati testimoni oculari della sua grandezza… Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul suo santo monte » (2Pt 1,13-18).
Da parte sua, S. Paolo confidava al suo « vero figlio nella fede », S. Timoteo: « Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perchè mi ha giudicato degno di fiducia, chiamandomi al ministero… così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù… Appunto per questo ho ottenuto misericordia, perchè Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna » (2Tm 1,12-16).
La loro qualità di ‘salvati’, il ministero tra il popolo di Dio e infine la suprema testimonianza con l’effusione del sangue, attirarono ai Ss. Pietro e Paolo un culto di cui sono chiara manifestazione le basiliche di cui si commemora in questo giorno la dedicazione, che venne fatta rispettivamente dai papi Silvestro (314-335) e Siricio (384-399). Particolarmente la basilica di S. Pietro, è spesso agli onori della cronaca quotidiana per le solenni cerimonie pontificie che vengono predisposte tra le sue mura o sul vasto piazzale antistante: negli occhi e nel cuore di tutti è, ancora la splendida visione d’insieme degli scanni per i circa 2.500 padri del Vaticano II, il concilio annunciato da papa Giovanni proprio dalla basilica di S. Paolo fuori le mura.

Autore: Piero Bargellini

Publié dans:Basiliche di Roma, San Paolo, San Pietro |on 19 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

OMELIE DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I E DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI (29 giugno 2008)

per il momento metto l’omelia del Papa per l’apertura dell’anno paolino, poi metterò l’omelia e le notizie di quest’anno, dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080629_pallio_it.html

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIE DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I
E DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 29 giugno 2008

INTRODUZIONE DEL SANTO PADRE ALL’OMELIA DEL PATRIARCA

Fratelli e Sorelle,

la grande festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Chiesa di Roma e posti a fondamento, insieme agli altri Apostoli, della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, ci porta ogni anno la gradita presenza di una Delegazione fraterna della Chiesa di Costantinopoli, che quest’anno, per la coincidenza con l’apertura dell’ »Anno Paolino », è guidata dallo stesso Patriarca, Sua Santità Bartolomeo I. A lui rivolgo il mio cordiale saluto, mentre esprimo la gioia di avere ancora una volta la felice opportunità di scambiare con lui il bacio della pace, nella comune speranza di vedere avvicinarsi il giorno dell’ »unitatis redintegratio », il giorno della piena comunione tra noi.

Saluto pure i membri della Delegazione patriarcale, come anche i Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che ci onorano della loro presenza, offrendo con ciò un segno della volontà di intensificare il cammino verso la piena unità tra i discepoli di Cristo. Ci disponiamo ora ad ascoltare le riflessioni di Sua Santità il Patriarca Ecumenico, parole che vogliamo accogliere con il cuore aperto, perché ci vengono dal nostro Fratello amato nel Signore. 

OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Santità,

avendo ancora viva la gioia e l’emozione della personale e benedetta partecipazione di Vostra Santità alla Festa Patronale di Costantinopoli, nella memoria di San Andrea Apostolo, il Primo Chiamato, nel novembre del 2006, ci siamo mossi « con passo esultante », dal Fanar della Nuova Roma, per venire presso di Voi, per partecipare alla Vostra gioia nella Festa Patronale della Antica Roma. E siamo giunti presso di Voi « con la pienezza della Benedizione del Vangelo di Cristo » (Rom. 15,29), restituendo l’onore e l’amore, festeggiando insieme col nostro prediletto Fratello nella terra d’Occidente, « i sicuri e ispirati araldi, i Corifei dei Discepoli del Signore », i Santi Apostoli Pietro, fratello di Andrea, e Paolo – queste due immense, centrali colonne elevate verso il cielo, di tutta quanta la Chiesa, le quali – in questa storica città, – hanno dato anche l’ultima lampante confessione di Cristo e qui hanno reso la loro anima al Signore con il martirio, uno attraverso la croce e l’altro per mezzo della spada, santificandola.

Salutiamo quindi, con profondissimo e devoto amore, da parte della Santissima Chiesa di Costantinopoli e dei suoi figli sparsi nel mondo, la Vostra Santità, desiderato Fratello, augurando dal cuore « a quanti sono in Roma amati da Dio » (Rom. 1,7), di godere buona salute, pace, prosperità, e di progredire giorno e notte verso la salvezza « ferventi nello spirito, servendo il Signore, lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera » (Rom. 12, 11-12).

In entrambe le Chiese, Santità, onoriamo debitamente e veneriamo tanto colui che ha dato una confessione salvifica della Divinità di Cristo, Pietro, quanto il vaso di elezione, Paolo, il quale ha proclamato questa confessione e fede fino ai confini dell’universo, in mezzo alle più inimmaginabili difficoltà e pericoli. Festeggiamo la loro memoria, dall’anno di salvezza 258 in avanti, il 29 giugno, in Occidente e in Oriente, dove nei giorni che precedono, secondo la tradizione della Chiesa antica, in Oriente ci siamo preparati anche per mezzo del digiuno, osservato in loro onore. Per sottolineare maggiormente l’uguale loro valore, ma anche per il loro peso nella Chiesa e nella sua opera rigeneratrice e salvifica durante i secoli, l’Oriente li onora abitualmente anche attraverso un’icona comune, nella quale o tengono nelle loro sante mani un piccolo veliero, che simboleggia la Chiesa, o si abbracciano l’un l’altro e si scambiano il bacio in Cristo.

Proprio questo bacio siamo venuti a scambiare con Voi, Santità, sottolineando l’ardente desiderio in Cristo e l’amore, cose queste che ci toccano da vicino gli uni gli altri.

Il Dialogo teologico tra le nostre Chiese « in fede, verità e amore », grazie all’aiuto divino, va avanti, al di là delle notevoli difficoltà che sussistono ed alle note problematiche. Desideriamo veramente e preghiamo assai per questo; che queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno, il più velocemente possibile, per raggiungere l’oggetto del desiderio finale, a gloria di Dio.

Tale desiderio sappiamo bene essere anche il Vostro, come siamo anche certi che Vostra Santità non tralascerà nulla lavorando di persona, assieme ai suoi illustri collaboratori attraverso un perfetto appianamento della via, verso un positivo completamento a Dio piacente, dei lavori del Dialogo.

Santità, abbiamo proclamato l’anno 2008, « Anno dell’Apostolo Paolo », così come anche Voi fate del giorno odierno fino all’anno prossimo, nel compimento dei duemila anni dalla nascita del Grande Apostolo. Nell’ambito delle relative manifestazioni per l’anniversario, in cui abbiamo pure venerato il preciso luogo del Suo Martirio, programmiamo tra le altre cose un sacro pellegrinaggio ad alcuni monumenti della attività evangelica dell’Apostolo in Oriente, come Efeso, Perge, ed altre città dell’Asia Minore, ma anche Rodi e Creta, alla località chiamata « Buoni Porti ». Siate sicuro, Santità, che in questo sacro tragitto, sarete presente anche Voi, camminando con noi in spirito, e che ciascun luogo eleveremo un’ardente preghiera per Voi e per i nostri fratelli della venerabile Chiesa Romano-Cattolica, rivolgendo una forte supplica e intercessione del divino Paolo al Signore per Voi.

E ora, venerando i patimenti e la croce di Pietro e abbracciando la catena e le stigmate di Paolo, onorando la confessione e il martirio e la venerata morte di entrambi per il Nome del Signore, che porta veramente alla Vita, glorifichiamo il Dio Tre volte Santo e lo supplichiamo, affinché per l’intercessione dei suoi Protocorifei Apostoli, doni a noi e a tutti i figli ovunque nel mondo della Chiesa Ortodossa e Romano-Cattolica, quaggiù « l’unione della fede e la comunione dello Spirito Santo » nel « legame della pace » e lassù, invece, la vita eterna e la grande misericordia. Amen. 

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Fin dai tempi più antichi la Chiesa di Roma celebra la solennità dei grandi Apostoli Pietro e Paolo come unica festa nello stesso giorno, il 29 giugno. Attraverso il loro martirio, essi sono diventati fratelli; insieme sono i fondatori della nuova Roma cristiana. Come tali li canta l’inno dei secondi Vespri che risale a Paolino di Aquileia (+ 806): «O Roma felix – Roma felice, adornata di porpora dal sangue prezioso di Principi tanto grandi. Tu superi ogni bellezza del mondo, non per merito tuo, ma per il merito dei santi che hai ucciso con la spada sanguinante». Il sangue dei martiri non invoca vendetta, ma riconcilia. Non si presenta come accusa, ma come «luce aurea», secondo le parole dell’inno dei primi Vespri: si presenta come forza dell’amore che supera l’odio e la violenza, fondando così una nuova città, una nuova comunità. Per il loro martirio, essi – Pietro e Paolo – fanno adesso parte di Roma: mediante il martirio anche Pietro è diventato cittadino romano per sempre. Mediante il martirio, mediante la loro fede e il loro amore, i due Apostoli indicano dove sta la vera speranza, e sono fondatori di un nuovo genere di città, che deve formarsi sempre di nuovo in mezzo alla vecchia città umana, la quale resta minacciata dalle forze contrarie del peccato e dell’egoismo degli uomini.

In virtù del loro martirio, Pietro e Paolo sono in reciproco rapporto per sempre. Un’immagine preferita dell’iconografia cristiana è l’abbraccio dei due Apostoli in cammino verso il martirio. Possiamo dire: il loro stesso martirio, nel più profondo, è la realizzazione di un abbraccio fraterno. Essi muoiono per l’unico Cristo e, nella testimonianza per la quale danno la vita, sono una cosa sola. Negli scritti del Nuovo Testamento possiamo, per così dire, seguire lo sviluppo del loro abbraccio, questo fare unità nella testimonianza e nella missione. Tutto inizia quando Paolo, tre anni dopo la sua conversione, va a Gerusalemme, «per consultare Cefa» (Gal 1,18). Quattordici anni dopo, egli sale di nuovo a Gerusalemme, per esporre «alle persone più ragguardevoli» il Vangelo che egli predica, per non trovarsi nel rischio «di correre o di aver corso invano» (Gal 2,1s). Alla fine di questo incontro, Giacomo, Cefa e Giovanni gli danno la destra, confermando così la comunione che li congiunge nell’unico Vangelo di Gesù Cristo (Gal 2,9). Un bel segno di questo interiore abbraccio in crescita, che si sviluppa nonostante la diversità dei temperamenti e dei compiti, lo trovo nel fatto che i collaboratori menzionati alla fine della Prima Lettera di san Pietro – Silvano e Marco – sono collaboratori altrettanto stretti di san Paolo. Nella comunanza dei collaboratori si rende visibile in modo molto concreto la comunione dell’unica Chiesa, l’abbraccio dei grandi Apostoli.

Almeno due volte Pietro e Paolo si sono incontrati a Gerusalemme; alla fine il percorso di ambedue sbocca a Roma. Perché? È questo forse qualcosa di più di un puro caso? Vi è contenuto forse un messaggio duraturo? Paolo arrivò a Roma come prigioniero, ma allo stesso tempo come cittadino romano che, dopo l’arresto in Gerusalemme, proprio in quanto tale aveva fatto ricorso all’imperatore, al cui tribunale fu portato. Ma in un senso ancora più profondo, Paolo è venuto volontariamente a Roma. Mediante la più importante delle sue Lettere si era già avvicinato interiormente a questa città: alla Chiesa in Roma aveva indirizzato lo scritto che più di ogni altro è la sintesi dell’intero suo annuncio e della sua fede. Nel saluto iniziale della Lettera dice che della fede dei cristiani di Roma parla tutto il mondo e che questa fede, quindi, è nota ovunque come esemplare (Rm 1,8). E scrive poi: «Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi, ma finora ne sono stato impedito» (1,13). Alla fine della Lettera riprende questo tema parlando ora del suo progetto di andare fino in Spagna. «Quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza» (15,24). «E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo» (15,29). Sono due cose che qui si rendono evidenti: Roma è per Paolo una tappa sulla via verso la Spagna, cioè – secondo il suo concetto del mondo – verso il lembo estremo della terra. Considera sua missione la realizzazione del compito ricevuto da Cristo di portare il Vangelo sino agli estremi confini del mondo. In questo percorso ci sta Roma. Mentre di solito Paolo va soltanto nei luoghi in cui il Vangelo non è ancora annunciato, Roma costituisce un’eccezione. Lì egli trova una Chiesa della cui fede parla il mondo. L’andare a Roma fa parte dell’universalità della sua missione come inviato a tutti i popoli. La via verso Roma, che già prima del suo viaggio esterno egli ha percorso interiormente con la sua Lettera, è parte integrante del suo compito di portare il Vangelo a tutte le genti – di fondare la Chiesa cattolica, universale. L’andare a Roma è per lui espressione della cattolicità della sua missione. Roma deve rendere visibile la fede a tutto il mondo, deve essere il luogo dell’incontro nell’unica fede.

Ma perché Pietro è andato a Roma? Su ciò il Nuovo Testamento non si pronuncia in modo diretto. Ci dà tuttavia qualche indicazione. Il Vangelo di san Marco, che possiamo considerare un riflesso della predicazione di san Pietro, è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,39). Presso la Croce si svela il mistero di Gesù Cristo. Sotto la Croce nasce la Chiesa delle genti: il centurione del plotone romano di esecuzione riconosce in Cristo il Figlio di Dio. Gli Atti degli Apostoli descrivono come tappa decisiva per l’ingresso del Vangelo nel mondo dei pagani l’episodio di Cornelio, il centurione della coorte italica. Dietro un comando di Dio, egli manda qualcuno a prendere Pietro e questi, seguendo pure lui un ordine divino, va nella casa del centurione e predica. Mentre sta parlando, lo Spirito Santo scende sulla comunità domestica radunata e Pietro dice: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?» (At 10,47). Così, nel Concilio degli Apostoli, Pietro diventa l’intercessore per la Chiesa dei pagani i quali non hanno bisogno della Legge, perché Dio ha «purificato i loro cuori con la fede» (At 15,9). Certo, nella Lettera ai Galati Paolo dice che Dio ha dato a Pietro la forza per il ministero apostolico tra i circoncisi, a lui, Paolo, invece per il ministero tra i pagani (2,8). Ma questa assegnazione poteva essere in vigore soltanto finché Pietro rimaneva con i Dodici a Gerusalemme nella speranza che tutto Israele aderisse a Cristo. Di fronte all’ulteriore sviluppo, i Dodici riconobbero l’ora in cui anch’essi dovevano incamminarsi verso il mondo intero, per annunciargli il Vangelo. Pietro che, secondo l’ordine di Dio, per primo aveva aperto la porta ai pagani lascia ora la presidenza della Chiesa cristiano-giudaica a Giacomo il minore, per dedicarsi alla sua vera missione: al ministero per l’unità dell’unica Chiesa di Dio formata da giudei e pagani. Il desiderio di san Paolo di andare a Roma sottolinea – come abbiamo visto – tra le caratteristiche della Chiesa soprattutto la parola «catholica». Il cammino di san Pietro verso Roma, come rappresentante dei popoli del mondo, sta soprattutto sotto la parola «una»: il suo compito è di creare l’unità della catholica, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli. Ed è questa la missione permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore. Grazie alla tecnica dappertutto uguale, grazie alla rete mondiale di informazioni, come anche grazie al collegamento di interessi comuni, esistono oggi nel mondo modi nuovi di unità, che però fanno esplodere anche nuovi contrasti e danno nuovo impeto a quelli vecchi. In mezzo a questa unità esterna, basata sulle cose materiali, abbiamo tanto più bisogno dell’unità interiore, che proviene dalla pace di Dio – unità di tutti coloro che mediante Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle. È questa la missione permanente di Pietro e anche il compito particolare affidato alla Chiesa di Roma.

Cari Confratelli nell’Episcopato! Vorrei ora rivolgermi a voi che siete venuti a Roma per ricevere il pallio come simbolo della vostra dignità e della vostra responsabilità di Arcivescovi nella Chiesa di Gesù Cristo. Il pallio è stato tessuto con la lana di pecore, che il Vescovo di Roma benedice ogni anno nella festa della Cattedra di Pietro, mettendole con ciò, per così dire, da parte affinché diventino un simbolo per il gregge di Cristo, che voi presiedete. Quando prendiamo il pallio sulle spalle, quel gesto ci ricorda il Pastore che prende sulle spalle la pecorella smarrita, che da sola non trova più la via verso casa, e la riporta all’ovile. I Padri della Chiesa hanno visto in questa pecorella l’immagine di tutta l’umanità, dell’intera natura umana, che si è persa e non trova più la via verso casa. Il Pastore che la riporta a casa può essere soltanto il Logos, la Parola eterna di Dio stesso. Nell’incarnazione Egli ha preso tutti noi – la pecorella «uomo» – sulle sue spalle. Egli, la Parola eterna, il vero Pastore dell’umanità, ci porta; nella sua umanità porta ciascuno di noi sulle sue spalle. Sulla via della Croce ci ha portato a casa, ci porta a casa. Ma Egli vuole avere anche degli uomini che «portino» insieme con Lui. Essere Pastore nella Chiesa di Cristo significa partecipare a questo compito, del quale il pallio fa memoria. Quando lo indossiamo, Egli ci chiede: «Porti, insieme con me, anche tu coloro che mi appartengono? Li porti verso di me, verso Gesù Cristo?» E allora ci viene in mente il racconto dell’invio di Pietro da parte del Risorto. Il Cristo risorto collega l’ordine: «Pasci le mie pecorelle» inscindibilmente con la domanda: «Mi ami, mi ami tu più di costoro?». Ogni volta che indossiamo il pallio del Pastore del gregge di Cristo dovremmo sentire questa domanda: «Mi ami tu?» e dovremmo lasciarci interrogare circa il di più d’amore che Egli si aspetta dal Pastore.

Così il pallio diventa simbolo del nostro amore per il Pastore Cristo e del nostro amare insieme con Lui – diventa simbolo della chiamata ad amare gli uomini come Lui, insieme con Lui: quelli che sono in ricerca, che hanno delle domande, quelli che sono sicuri di sé e gli umili, i semplici e i grandi; diventa simbolo della chiamata ad amare tutti loro con la forza di Cristo e in vista di Cristo, affinché possano trovare Lui e in Lui se stessi. Ma il pallio, che ricevete «dalla» tomba di san Pietro, ha ancora un secondo significato, inscindibilmente connesso col primo. Per comprenderlo può esserci di aiuto una parola della Prima Lettera di san Pietro. Nella sua esortazione ai presbiteri di pascere il gregge in modo giusto, egli – san Pietro – qualifica se stesso synpresbýteros – con-presbitero (5,1). Questa formula contiene implicitamente un’affermazione del principio della successione apostolica: i Pastori che si succedono sono Pastori come lui, lo sono insieme con lui, appartengono al comune ministero dei Pastori della Chiesa di Gesù Cristo, un ministero che continua in loro. Ma questo « con » ha ancora due altri significati. Esprime anche la realtà che indichiamo oggi con la parola «collegialità» dei Vescovi. Tutti noi siamo con-presbiteri. Nessuno è Pastore da solo. Stiamo nella successione degli Apostoli solo grazie all’essere nella comunione del collegio, nel quale trova la sua continuazione il collegio degli Apostoli. La comunione, il « noi » dei Pastori fa parte dell’essere Pastori, perché il gregge è uno solo, l’unica Chiesa di Gesù Cristo. E infine, questo « con » rimanda anche alla comunione con Pietro e col suo successore come garanzia dell’unità. Così il pallio ci parla della cattolicità della Chiesa, della comunione universale di Pastore e gregge. E ci rimanda all’apostolicità: alla comunione con la fede degli Apostoli, sulla quale è fondata la Chiesa. Ci parla della ecclesia una, catholica, apostolica e naturalmente, legandoci a Cristo, ci parla proprio anche del fatto che la Chiesa è sancta e che il nostro operare è un servizio alla sua santità.

Ciò mi fa ritornare, infine, ancora a san Paolo e alla sua missione. Egli ha espresso l’essenziale della sua missione, come pure la ragione più profonda del suo desiderio di andare a Roma, nel capitolo 15 della Lettera ai Romani in una frase straordinariamente bella. Egli si sa chiamato «a servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti, amministrando da sacerdote il Vangelo di Dio, perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo» (15,6). Solo in questo versetto Paolo usa la parola «hierourgein» – amministrare da sacerdote – insieme con «leitourgós» – liturgo: egli parla della liturgia cosmica, in cui il mondo stesso degli uomini deve diventare adorazione di Dio, oblazione nello Spirito Santo. Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo. È questo l’obiettivo ultimo della missione apostolica di san Paolo e della nostra missione. A tale ministero il Signore ci chiama. Preghiamo in questa ora, affinché Egli ci aiuti a svolgerlo in modo giusto, a diventare veri liturghi di Gesù Cristo. Amen.

22 febbraio – Cattedra di San Pietro Apostolo

dal sito: 

http://www.santiebeati.it/dettaglio/20800

Cattedra di San Pietro Apostolo

22 febbraio
 

Il 22 febbraio per il calendario della Chiesa cattolica rappresenta il giorno della festa della Cattedra di San Pietro. Si tratta della ricorrenza in cui viene messa in modo particolare al centro la memoria della peculiare missione affidata da Gesù a Pietro. In realtà la storia ci ha tramandato l’esistenza di due cattedre dell’Apostolo: prima del suo viaggio e del suo martirio a Roma, la sede del magistero di Pietro fu infatti identificata in Antiochia. E la liturgia celebrava questi due momenti con due date diverse: il 18 gennaio (Roma) e il 22 febbraio (Antiochia). La riforma del calendario le ha unificate nell’unica festa di oggi. Essa – viene spiegato nel Messale Romano – « con il simbolo della cattedra pone in rilievo la missione di maestro e di pastore conferita da Cristo a Pietro, da lui costituito, nella sua persona e in quella dei successori, principio e fondamento visibile dell’unità della Chiesa ». (Avvenire)

Martirologio Romano: Festa della Cattedra di san Pietro Apostolo, al quale disse il Signore: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Nel giorno in cui i Romani erano soliti fare memoria dei loro defunti, si venera la sede della nascita al cielo di quell’Apostolo, che trae gloria dalla sua vittoria sul colle Vaticano ed è chiamata a presiedere alla comunione universale della carità.
 

Per ricordare due importanti tappe della missione compiuta dal principe degli apostoli, S. Pietro, e lo stabilirsi del cristianesimo prima in Antiochia, poi a Roma, il Martirologio Romano celebra il 22 febbraio la festa della cattedra di S. Pietro ad Antiochia e il 18 gennaio quella della sua cattedra a Roma. La recente riforma del calendario ha unificato le due commemorazioni al 22 febbraio, data che trova riscontro in un’antica tradizione, riferita dalla Depositio mar rum. In effetti, in questo giorno si celebrava la cattedra romana, anticipata poi nella Gallia al 18 gennaio, per evitare che la festa cadesse nel tempo di Quaresima.
In tal modo si ebbe un doppione e si finì per introdurre al 22 febbraio la festa della cattedra di S. Pietro ad Antiochia, fissando al 18 gennaio quella romana. La cattedra, letteralmente, è il seggio fisso del sommo pontefice e dei vescovi. E’ posta in permanenza nella chiesa madre della diocesi (di qui il suo nome di « cattedrale ») ed è il simbolo dell’autorità del vescovo e del suo magistero ordinario nella Chiesa locale. La cattedra di S. Pietro indica quindi la sua posizione preminente nel collegio apostolico, dimostrata dalla esplicita volontà di Gesù, che gli assegna il compito di « pascere » il gregge, cioè di guidare il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Questa investitura da parte di Cristo, ribadita dopo la risurrezione, viene rispettata. Vediamo infatti Pietro svolgere, dopo l’ascensione, il ruolo di guida. Presiede alla elezione di Mattia e parla a nome di tutti sia alla folla accorsa ad ascoltarlo davanti al cenacolo, nel giorno della Pentecoste, sia più tardi davanti al Sinedrio. Lo stesso Erode Agrippa sa di infliggere un colpo mortale alla Chiesa nascente con l’eliminazione del suo capo, S. Pietro. Mentre la presenza di Pietro ad Antiochia risulta in maniera incontestabile dagli scritti neotestamentari, la sua venuta a Roma nei primi anni dell’impero di Claudio non ha prove altrettanto evidenti.
Lo sviluppo del cristianesimo nella capitale dell’impero attestato dalla lettera paolina ai Romani (scritta verso il 57) non si spiega tuttavia senza la presenza di un missionario di primo piano. La venuta, qualunque sia la data in cui ciò accadde, e la morte di S. Pietro a Roma, sono suffragare da tradizioni antichissime, accolte ora universalmente da studiosi anche non cattolici. Lo attestano in maniera storicamente inoppugnabile anche gli scavi intrapresi nel 1939 per ordine di Pio XII nelle Grotte Vaticane, sotto la Basilica di S. Pietro, e i cui risultati sono accolti favorevolmente anche da studiosi non cattolici.
 

Publié dans:San Pietro |on 22 février, 2009 |Pas de commentaires »

Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo a Roma (traduzione dal francese)

è una preghiera che ho trovato sul sito : « Fraternité de Jerusalem » per la dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo, ho cercato il testo in italiano non l’ho trovato, così ho tradotto io, credo corrisponda bene con il testo francese anche se la traduzione da una lingua straniera, per quanto simile come il francese, non rende mai bene  come l’orginale;

sul Blog: « la pagina di San Paolo » ho messo anche il testo francese per chi conosce la lingua e anche sul Blog francese ho messo il testo in originale (ovvio!), dal sito:

http://jerusalem.cef.fr/pages/24homelies/index.php?hid=205

Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo a Roma

Frère Pierre-Marie

Nulla “nella vita„, poiché si dice,

predisponeva questi due uomini

che la liturgia avvicina oggi in una stessa festa,

ad incontrarsi

e meno ancora ad operare insieme.

Un punto comune tuttavia, alla partenza:

tutti due sono di razza ebrea.

Un grande punto comune all’arrivo:

tutti due muoiono come apostoli di Gesù Christo.

*

Il primo si chiama Simone

del nome del secondo figlio dell’antenato Jacob.

Il secondo porta il nome di Saul

come il primo re conceduto da dio al popolo di Israele.

Simone è un pescatore di Bethsaida

e passa più chiaramente (la maggior parte) dal suo tempo

sulle acque del lago di Tiberiade.

È un Galileo, immerso nel cuore di questa terra,

centro (incrocio) delle nazioni pagane.

Vieni al mio seguito, farò di te un pescatore di uomini.

Lasciando là lo sparviero, parte immediatamente a seguito di Gesù.

Diventa suo discepolo.

Alcuni tempi dopo, al termine di tutta una notte in preghiera,

sui lati della montagna, Gesù la chiama nuovamente

e lo mette in testa dei dodici,

e riceve allora, come loro, il nome di apostolo.

Come quello che vi ha chiamati è santo,

scriverà un giorno nella sua prima lettera

agli stranieri della diaspora,

diventate santi voi anche in tutta la vostra condotta (1,17).

Predicando il primo d’esempio,

un buon pastore e modello della gregge di Dio (3,2),

il discepolo Simone, l’apostolo Pietro

diventerà, semplicemente: San Pietro.

Quale itinerario: la Galilea, la Samaria, Gerusalemme,

con questa notte memorabile e terribile,

quella dell’agonia del suo Signore,

dove, volendo andare, lui anche, al suo seguito,

sulle acque della morte,

prende timore improvvisamente, poiché il vento aveva girato,

una volta ancora,

ed era diventato contrario (Mt 14,24.30).

E quindi la mattina radiante del giorno santo di Pasqua.

Il vento pazzo d’amore, ridiventato favorevole questa volta,

al fuoco pieno del giorno di Pentecoste (Ac 2,2.47).

Gerusalemme ancora, Giaffa, Cesarea marittima,

Antiochia e Roma infine.

Sarà dunque: San Pietro di Roma.

Nel luogo stesso del suo martirio, si costruirà una chiesa

sotto la parola ed alla memoria del suo nome.

Voi dunque, come pietre vive,

affrettatevi alla costruzione di un edificio spirtuale (1 P 2,5).

*

- Saulo, Saulo perché mi perseguiti?

- Chi sei, o Signore?

- Sono Gesù che tu perseguiti (Ac 9,4-5).

Allora, questo circonciso dell’ottavo giorno, della razza di Israele,

della tribù di Beniamino, Ebreo, figlio d’Ebrei,

quanto alla legge Fariseo, quanto al zelo un persecutore della Chiesa,

quanto alla giustizia che può dare la legge,

un irreprensibile,

si solleva (Fil 3,5-6).

Cieco alla luce, vinto nella sua carne,

scosso nelle sue certezze, che si riconosceva infine

il primo dei peccatori (1 Tm 1,15)!

Due anni nel deserto, Gerusalemme, Antiochia, Cipro…

Cilicia la Galazia, Lidia, Misia, la Macedonia….

Efeso, Filippi, Salonicco, Atene, Corinto…

Tutto il nord del bacino mediterraneo percorso

Nei molti viaggi missionari

e, per finire, per lui anche, la città di Roma.

Vi morirà anche lui, martire di Cristo.

*

Vicino alla collina vaticana,

nel luogo del circo di Nerone, l’apostolo Pierre è crocifisso.

Sulla strada di Ostia, fuori dei rifugi,

l’apostolo Paul è decapitato.

Celebriamo oggi, fratelli e sorelle,

la dedicazione di queste due chiese,

erette nel cuore della capitale dell’impero,

diventata la città dove il vescovo di Roma, il Papa

presiede alla carità di tutte le Chiese:

la Basilica di San Pietro in Roma

e la Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Donatisi con tutto il cuore all’annuncio del vangelo

ecco questi due uomini che tutto avrebbe potuto separare,

ma uniti nel dono del loro sangue.

Del loro sangue che viene a fecondare la terra della città

La più pagana del mondo,

per farne la culla, dopo Gerusalemme, dove la chiesa è sorta,

di tutta la cristianità!

*

Fratelli e sorelle,

lodiamo Pietro e Paolo

per l’esempio indimenticabile delle loro vite.

Noi anche, nonostante tante diversità, di molti itinerari,

noi, eccoci, profondamente uniti

nella stessa fede in Gesù Cristo,

il Salvatore di tutti gli uomini,

e l’appartenenza alla sua chiesa universale

attraverso la quale è piaciuto a Dio far passare la salvezza.

Quale grazia di appartenere a questa Gerusalemme nuova

dove qualsiasi insieme fa corpo!

La salvezza viene dai giudei,

aveva detto Gesù ad una donna pagana di Samaria.

Ora, con Pierre e Paul, possiamo ripeterlo:

Noi siamo tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù.

Tutti voi, infatti, battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.

Non c’è più giudeo, né greco, né schiavo né uomo libero,

né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,27-28).

Ma se appartenete a Cristo,

voi siete dunque della discesa di Abramo,

eredi secondo la promessa.

Veramente i doni di Dio e la chiamata di Dio

sono senza ripensamenti e le sue promesse per sempre!

Poiché dice il la preghiera della messa

di questa festa della dedicazione,

possiamo rifare questa preghiera:

“Guardia la tua Chiesa, Signore,

sotto la protezione degli apostoli Pietro e Paolo.

Poiché ricevé per loro, il primo annuncio del Vangelo,

che essa ne riceva fino alla fine dei tempi

la grazia di cui ha bisogno per crescere!„

San Pietro e San Paolo di Roma,

pregate con noi! pregate per noi!

Publié dans:ANNO PAOLINO, preghiere, San Paolo, San Pietro |on 25 septembre, 2008 |Pas de commentaires »
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