http://www.gliscritti.it/approf/2005/papers/francesco01.htm
FRANCESCO D’ASSISI: IL BELLO È LO SPLENDORE DEL VERO.
La centralità di Cristo e della Chiesa nella spiritualità francescana
di p.Pietro Messa
(stralcio perché è lungo)
Francesco d’Assisi: un uomo di pace formato dalla liturgia
di Pietro Messa
Non si può non riconoscere che in un certo qual senso Francesco d’Assisi ha avuto una fortuna invidiabile rispetto ad altri santi: dichiarato nel 1992 dal Time Magazine uno degli uomini più rappresentativi del secondo millennio, studiato da centri di ricerca universitari laici e non, innumerevoli pubblicazioni scientifiche e divulgative inerenti alla sua storia, diversi film a lui dedicati, riconosciuto come riferimento ideale da persone di diverse culture e religioni. A tutto ciò si aggiunga la scelta di Assisi, la città di san Francesco, da parte di Giovanni Paolo II per la storica giornata del 27 ottobre 1986 che diede inizio al cosiddetto “spirito di Assisi”, ossia quel movimento interreligioso in favore della pace; il Pontefice vi fece ritorno ancora il 9 e il 10 gennaio 1993 e, nonostante le numerose riserve e perplessità su tale opportunità, il 24 gennaio 2002, cioè dopo gli atti terroristici dell’11 settembre 2001.
Quindi un san Francesco molto valorizzato e anche se il giorno della sua festa, il 4 ottobre, in Italia non è diventato festa nazionale, il suo nome è comunque sinonimo di dialogo interculturale e interreligioso. Tuttavia sappiamo tutti che il confine tra aver successo ed essere inflazionati è molto sottile, e questo vale anche per il santo di Assisi.
Gli studi francescani hanno vagliato le fonti inerenti alla sua esperienza cristiana, mentre innumerevoli studiosi continuano a cercare di perfezionare la conoscenza di tali fonti onde scoprire il volto di questo santo, al di là di ogni immagine agiografica o manipolazione ideologica. Si è approfondita la sua formazione culturale e spirituale, riconoscendovi diverse stratificazioni, ossia: la cultura del figlio del mercante, una ideologia cavalleresca che lo conduceva a indossare ideologicamente i panni dei cavalieri, la cultura cortese che rimase anche dopo la conversione, l’elemento evangelico e perfino le reminiscenze delle antiche vite dei Padri del deserto[1]. Davanti a questi innumerevoli studi, i cui inizi si riconoscono in Paul Sabatier, sembra che ormai su frate Francesco d’Assisi, il figlio del mercante Pietro di Bernardone, non ci sia altro da approfondire. L’immagine maggiormente divulgata però appare non solo inflazionata, a volte si ha la sensazione che sia monca di qualche aspetto importante, quando non è vittima di qualche operazione ideologica strumentalizzante. Certamente, come avviene per ogni uomo, anche la vicenda di Francesco d’Assisi rimarrà sempre in un certo qual senso un mistero. Riconoscere questo non impedisce però di continuare ad approfondirla, grazie anche ai risultati già raggiunti fin qui. Proprio in questa prospettiva si sta riconoscendo il ruolo importante, per non dire fondamentale, della liturgia nella vicenda di Francesco.
1. Un periodo di riforma liturgica
Il tempo in cui visse Francesco furono anni di grandi cambiamenti e trasformazioni culturali: lo sviluppo dei comuni, la nascita delle università, l’incentivo agli scambi commerciali, il sorgere di nuove esigenze religiose spesso sfociate nell’eresia ma anche in movimenti pauperistici. Tutti questi aspetti normalmente vengono presi in considerazione dagli studiosi più avveduti, quando inquadrano storicamente la vicenda di Francesco d’Assisi. Tuttavia quasi totalmente trascurata è la considerazione che quegli anni furono uno dei momenti nevralgici della storia della liturgia. Infatti se si prende un qualsiasi manuale di storia della liturgia, si può constatare che Innocenzo III diede inizio a una riforma della liturgia della Curia romana i cui esiti proprio tramite i Frati minori si diffusero ovunque, tanto da essere ancora oggi l’elemento caratterizzante la liturgia latina di rito romano.
Agli inizi del Duecento a Roma esistevano fondamentalmente quattro tipi di liturgia: quella della Curia romana, che risiedeva nel Palazzo del Laterano, quella della vicina Basilica di San Giovanni, quella della Basilica di San Pietro e quella cosiddetta dell’Urbe, ossia della città di Roma. Innocenzo III nel suo programma di riforma, che vide uno dei suoi momenti di massima espressività nel Concilio Lateranense IV del 1215, non escluse la liturgia. Della riforma della liturgia uno dei frutti più prestigiosi fu il breviario. Accostando, integrando e adeguando alla vita della Curia romana, spesso soggetta a trasferimenti, testi che precedentemente erano distribuiti in libri diversi, Innocenzo III fornì uno strumento maneggevole soprattutto a coloro che erano spesso in viaggio. Tale breviario, proprio per la sua fruibilità, venne presto adottato anche da alcune diocesi, tra cui quella di Assisi. In questo modo Francesco e la fraternitas minoritica ebbero accesso a un libro liturgico che presto si rivelò conforme alle loro esigenze di persone itineranti che vivevano da “stranieri e pellegrini”[2]. Così i Frati minori fecero propria la preghiera liturgica e specificatamente quella della Curia romana, ossia del pontefice.
2. Non semplicemente questione di preghiera
Adottare un libro liturgico o l’altro non era indifferente. Lo aveva già compreso precedentemente papa Gregorio VII che vedeva con timore una disparità liturgica perché in alcuni casi conduceva non solo a una disparità giurisdizionale, ma anche dottrinale, vale a dire all’eresia. Ad esempio, adottare il breviario della Curia romana riformato da Innocenzo III significava accogliere tutta una tradizione precedente. La disposizione in esso delle diverse feste, la scelta di determinate letture, l’assemblaggio di passi biblici per formare antifone, versetti e responsorii, la presenza di innumerevoli letture sia patristiche che degli antichi martirologi, erano fondamentalmente il risultato della riflessione ecclesiale e del vissuto soprattutto monastico di tutto il millennio precedente. Quindi, nel far proprio il breviario, Francesco e la fraternitas minoritica si inserirono in una storia che li aveva preceduti e che era stata trasmessa lungo i secoli. Ciò non significa che essi si sentirono oppure agirono come fossero prigionieri di quella tradizione: infatti, come annota una fonte, Francesco non mancò di affermare la propria peculiarità respingendo alcuni modelli a lui precedenti.
Comunque, accogliendo la preghiera del breviario, essi si inserirono dentro quella tradizione spirituale e teologica maturata lungo i secoli nella Chiesa, come si può constatare nella lettura degli scritti di Francesco, in cui le reminiscenze liturgiche sono innumerevoli. Tali reminiscenze, che tecnicamente sono definite casi di “intertestualità e interdiscorsività” – cioè citazioni vere e proprie o semplici rimandi concettuali –, spesso sono una trasmissione di testi patristici interiorizzati dal santo. Se ciò appare sorprendente, soprattutto rispetto a una certa storiografia che ha presentato Francesco di Assisi come il Santo del solo Vangelo – quasi una sorta di precursore della riforma protestante –, ancora più ricco di conseguenze è il fatto che spesso persino la Bibbia, e quindi il Vangelo, è presente nei suoi scritti mediata dalla liturgia. Ciò, naturalmente, conduce a rivedere certe descrizioni dell’esperienza spirituale di Francesco che lo presentano come uno che ha avuto un rapporto immediato, senza mediazioni, con la Scrittura. Invece ciò che appare a uno studio più approfondito è che egli conobbe la Scrittura mediante la liturgia, ossia grazie alla mediazione della Chiesa. E la liturgia è essa stessa una spiegazione della Scrittura, cioè un’esegesi: infatti anche semplicemente la collocazione di una determinata lettura in una festa piuttosto che in un’altra dice già della chiave di lettura e quindi della comprensione di quel determinato brano. Così la lettura del capitolo 11 di Isaia in cui si parla del germoglio che spunta dal tronco di Iesse nel Comune della Vergine Maria è già in sé stessa una prospettiva mariana data a quel determinato brano, accresciuta notevolmente se poi al posto di virga, cioè germoglio – come dovrebbe essere – vi è virgo, cioè Vergine, come risulta esserci nel breviario appartenuto a san Francesco d’Assisi: «Spunterà la Vergine dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici, su di lui si poserà lo spirito del Signore»[3].
3. La testimonianza del Breviarium sancti Francisci
L’importanza della liturgia nella fraternitas minoritica e nella vicenda di Francesco d’Assisi è testimoniata non solo dalla Regola dei Frati minori confermata da papa Onorio III nel 1223, ma soprattutto da un codice conservato tra le reliquie del protomonastero Santa Chiara presso l’omonima Basilica in Assisi. Come testimonia una scritta autografa di frate Leone, cioè di uno dei compagni nonché testimoni del Santo, questo codice fu usato dallo stesso Francesco: «Il beato Francesco procurò questo breviario per i suoi compagni frate Angelo e frate Leone, poiché, mentre era in salute, volle sempre dire l’ufficio, come è contenuto nella Regola; e nel tempo della sua malattia invece, non potendo recitarlo, voleva ascoltarlo; e questo continuò a fare finché visse»[4].
Il codice, denominato Breviarium sancti Francisci, consiste fondamentalmente in un breviario, il salterio e l’evangeliario; la prima parte è la più consistente ed è costituita dal breviario della Curia romana riformato da Innocenzo III. L’antichità del testo, che lo rende un testimone privilegiato di tale riforma e quindi della storia dei libri liturgici in generale, è confermata dalla presenza, soprattutto nelle solennità mariane o di santi legati al ministero pontificio, come Pietro, Paolo e Gregorio Magno, di letture tratte dai sermoni dello stesso Innocenzo III; tali letture dopo la sua morte nel 1216 saranno rese facoltative dal successore, papa Onorio III, e immediatamente scompariranno dal breviario[5]. Infatti il Breviario di san Francesco è l’unico breviario vero e proprio che contiene tali letture per esteso. Questo codice fu usato da Francesco e certamente cooperò a formare in lui una seppur rudimentale cultura teologica che gli permise di esprimere la sua spiritualità e il suo pensiero in alcuni scritti, tre dei quali sono ancora oggi in nostro possesso in formato autografo[6].
Considerato questo ruolo svolto dalla liturgia nella formazione culturale e spirituale di Francesco, essa deve essere tenuta nel dovuto conto quando si cerca di comprendere il messaggio del santo d’Assisi. Quindi, soprattutto il contenuto di tale codice va tenuto presente ogniqualvolta si voglia approfondire una tematica particolare del suo pensiero; così il ruolo di Maria Vergine, nel suo pensiero, diventerà maggiormente intelligibile nella misura in cui si leggeranno i suoi scritti tenendo conto dell’Ufficio della Beata Vergine e delle quattro feste mariane contenute nel suddetto codice, cioè la Presentazione di Gesù al Tempio, il 2 febbraio; l’Annunciazione, il 25 marzo; l’Assunzione con la sua ottava, dal 15 al 22 agosto; e la Nascita di Maria, l’8 settembre. Anche se le prime due feste, ossia la Presentazione al Tempio e l’Annunciazione, celebrano due misteri della vita di Gesù Cristo, già da secoli avevano assunto una forte connotazione mariana, tanto che la prima è denominata nel suddetto Breviarium come festa della Purificazione di Maria Vergine[7].
L’importanza del Breviarium sancti Francisci fu riconosciuta e testimoniata dallo stesso frate Leone che lo diede alla badessa Benedetta del monastero Santa Chiara in Assisi perché lo conservasse come un testimone privilegiato della santità di Francesco. Tuttavia, prima di consegnarlo, egli segnò nel calendario diversi giorni anniversari di defunti, tra cui quelli di Innocenzo III e di Gregorio IX. Dopo ancora alcuni anni durante i quali fu usato come libro liturgico, il breviario del Santo fu definitivamente collocato tra le reliquie del suddetto monastero, dove ancora oggi si può ammirare. Proprio a causa di tale importanza, nel Seicento la sua copertina fu decorata con due ornamentazioni d’argento raffiguranti san Francesco e santa Chiara.
4. Francesco e la Chiesa
Uno degli argomenti più dibattuti nella storiografia francescana è il rapporto di Francesco con la Chiesa. C’è chi ha parlato di Francesco come di una sorta di rivoluzionario, chi invece, non potendo contraddire le fonti, ha cercato la ragione della sua obbedienza alla gerarchia nella sua scelta di vivere nella minorità: sia in un senso che nell’altro, il suo è sempre un atteggiamento visto in un modo che possiamo definire distaccato, estrinseco. La considerazione dell’importanza della liturgia nella vicenda di Francesco può aiutare a comprendere meglio il suo rapporto con la Chiesa: egli visse l’inserimento, certamente non in modo passivo, in una storia che lo precedeva e che si era espressa anche mediante determinate formule liturgiche. La preghiera e la meditazione di testi a lui precedenti, espressione della vita e della santità della Chiesa lungo i secoli, divennero per Francesco il luogo di comunione con la storia della salvezza. Proprio per questo egli fu molto determinato contro coloro che non volevano recitare l’Ufficio, come è testimoniato da quanto scrive nel suo testamento: «E sebbene io sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico che mi reciti l’Ufficio così come è prescritto nella Regola. E tutti gli altri frati siano tenuti a obbedire così ai loro guardiani e a dire l’Ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non dicessero l’Ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque siano, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità»[8]. Tale trafila che si conclude con la consegna al “signore di Ostia”, cioè al cosiddetto cardinal protettore dell’Ordine minoritico, è stata considerata una delle “durezze” di frate Francesco che tanto contrasta con una certa sua immagine irenica; e tale durezza è nei confronti di coloro che non recitano il breviario. Ciò è dovuto al fatto che quella determinata preghiera, e quindi anche il suo rifiuto, era direttamente correlata all’ortodossia o meno della persona e della comunità.
L’assioma lex orandi, lex credendi, lex vivendi lo possiamo constatare vissuto da Francesco e anche ritenuto dallo stesso, anche se non esplicitamente, uno dei riferimenti della sua esperienza cristiana. La modalità con cui Francesco ha pregato, e che ha voluto fosse anche quella della fraternitas minoritica, ossia la recita del breviario, è espressione della sua fede, quella della Chiesa rappresentata dal pontefice, che si è espressa nel suo vissuto concreto. Quindi, se si vuole comprendere appieno il vissuto del santo di Assisi e della sua predicazione di pace – con il significato che ha assunto lungo la storia e soprattutto grazie al pontificato di Giovanni Paolo II – non può essere trascurata la sua fede espressa mediante la preghiera, soprattutto liturgica, e la recita del breviario.