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SALMO 66 – COMMENTO DI PADRE LINO PEDRON

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SALMO 66  – COMMENTO DI PADRE LINO PEDRON

66 (65) Ringraziamento pubblico
1 Al maestro del coro. Canto. Salmo.
Acclamate a Dio da tutta la terra,
2 cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
3 Dite a Dio: «Stupende sono le tue opere!
Per la grandezza della tua potenza
a te si piegano i tuoi nemici.
4 A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
5 Venite e vedete le opere di Dio,
mirabile nel suo agire sugli uomini.
6 Egli cambiò il mare in terra ferma,
passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di gioia.
7 Con la sua forza domina in eterno,
il suo occhio scruta le nazioni;
i ribelli non rialzino la fronte.
8 Benedite, popoli, il nostro Dio,
fate risuonare la sua lode;
9 è lui che salvò la nostra vita
e non lasciò vacillare i nostri passi.
10 Dio, tu ci hai messi alla prova;
ci hai passati al crogiuolo, come l’argento.
11 Ci hai fatti cadere in un agguato,
hai messo un peso ai nostri fianchi.
12 Hai fatto cavalcare uomini sulle nostre teste;
ci hai fatto passare per il fuoco e l’acqua,
ma poi ci hai dato sollievo.
13 Entrerò nella tua casa con olocausti,
a te scioglierò i miei voti,
14 i voti pronunziati dalle mie labbra,
promessi nel momento dell’angoscia.
15 Ti offrirò pingui olocausti
con fragranza di montoni,
immolerò a te buoi e capri.
16 Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
17 A lui ho rivolto il mio grido,
la mia lingua cantò la sua lode.
18 Se nel mio cuore avessi cercato il male,
il Signore non mi avrebbe ascoltato.
19 Ma Dio ha ascoltato,
si è fatto attento alla voce della mia preghiera.
20 Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.
Il salmo si apre con l’acclamazione liturgica che si leva a Dio dall’intera assemblea dei fedeli. Scriveva s. Agostino a Proba: « Davanti a Dio sta il nostro desiderio di inebriarci della ricchezza della sua casa e di bere al torrente della sua delizia; poiché presso di lui è la sorgente della vita e alla sua luce vedremo la luce, quando il nostro desiderio sarà saziato di quei beni e non vi sarà più nulla da cercare fra i gemiti, ma solo da possedere nella gioia ».
Il salmo si muove a livello spirituale tra queste due oscillazioni: il desiderio e la sazietà, la speranza e la certezza.
Scrive S. Kierkegaard: « Padre celeste! Tu, nelle tue mani, tieni tutti i buoni doni. La tua abbondanza è più ricca di quel che l’umana mente non comprenda. Tu sei disposto a dare e la tua bontà è più grande di quel che il cuore umano possa capire: perché tu esaudisci ogni preghiera e concedi ciò che ti si domanda… Dona, però, anche la certezza che tutto viene da te, che la gioia non ci separa da te nell’oblio del piacere, che nessun dolore pone una barriera fra noi e te; ma che nella gioia possiamo andare in cerca di te e nel dolore rimanere presso di te. Così che quando i nostri giorni saranno contati e l’uomo esteriore cadrà in rovina, la morte non ci raggiunga col suo nome freddo e terribile, ma venga mite e amica, col saluto e l’annunzio, con la testimonianza di te, nostro Padre che sei nei cieli! Amen ».
Commento dei padri della Chiesa
vv. 1-2 «La risurrezione è offerta a tutti. E alla chiesa delle genti il Signore dice: « Alzati, vieni sorella mia » (Ct 2,10). L’acclamazione è un grido di vittoria. Il vincitore è Dio» (Origene).
« L’acclamazione è l’ovazione militare: il Cristo è il vincitore. Questa acclamazione gioiosa si fa mediante la preghiera, la conoscenza di Dio, il sacerdozio spirituale che si esercita nel rendimento di grazie e nella celebrazione dei misteri della nuova alleanza » (Eusebio).
« Canto di risurrezione. Annuncio della chiamata delle genti e della loro risurrezione spirituale » (Cirillo di Alessandria).
« Annuncio della vocazione universale e della risurrezione. L’acclamazione è il canto di vittoria che esplode dopo l’annientamento del nemico. Tutte le genti sono invitate a cantare la vittoria del Cristo sui principi di questo mondo » (Atanasio).
« Canto di risurrezione. Tutte le genti gioiscano d’essere restaurate nel loro capo. L’acclamazione è una gioia del cuore tanto grande che non si può esprimere » (Cassiodoro).
« La vostra luce brilli davanti agli uomini perché glorifichino Dio » (Ilario).
v. 3 « L’ ammirazione per Dio si accompagna a un timore rispettoso. È un timore affettuoso e filiale, dolce, senza amarezza, che genera speranza e non sfiducia » (Cassiodoro).
« La tua potenza è grande, anche se i tuoi nemici vogliono chiudere gli occhi davanti alla tua luce e rifiutano di guardare colui che li aiuterebbe a credere. Nonostante i morti risuscitati, i giudei hanno negato la sua risurrezione e l’hanno combattuto dando del danaro alle guardie del sepolcro » (Cirillo di Alessandria).
« Davanti alla grandezza delle tue opere ci saranno ugualmente degli empi che non vorranno credere » (Teodoreto).
v. 4 « I giudei possono rinnegarti, ma tutta la terra ti adorerà, soprattutto le genti » (Cirillo di Alessandria).
« Non insultate quanti sono fuori dalla chiesa: Dio può farli entrare » (Agostino).
v. 5 « Tutto ciò che l’uomo potrà dire non assomiglia ai pensieri di Dio: questi lo riempiono di stupore » (Origene).
v. 6 « Il Dio che è venuto nella carne è lo stesso che, in passato, ha prosciugato il mare Rosso » (Atanasio).
« In passato il Signore camminò innanzi e il popolo passò dietro di lui (cfr. Gs 3); allo stesso modo, lavàti dal battesimo, camminando dietro a colui nel quale siamo rinati, entriamo nella terra dei viventi » (Girolamo).
« Quando il popolo ebreo passò il mare, annunciava il battesimo che il Cristo avrebbe dato. È in lui la sorgente della nostra gioia e il principio della nostra salvezza » (Cassiodoro).
« Non stupirti quando ti si racconta la storia del primitivo popolo di Dio. A te, cristiano, che hai passato i flutti del Giordano col sacramento del battesimo, la parola di Dio promette beni più grandi e più alti. E non credere che questa storia non ti riguardi: tutto si realizza in te, in modo spirituale. Quando arriverai alle fonti spirituali del battesimo e sarai stato iniziato ai misteri sublimi, allora avrai attraversato il Giordano ed entrerai nella terra promessa » (Origene).
« Verrà un tempo in cui gioiremo nel fiume della rigenerazione: è il Giordano ove Giovanni predicherà la remissione dei peccati e ove il Signore stesso verrà per farne il lavacro della nuova nascita » (Eusebio).
« Più grande del Giordano è il battesimo: le sue acque, mescolate all’olio, lavano i peccati di tutti » (Efrem).
« Gioiremo nel Cristo. Lui, che fu umiliato quaggiù, è Signore per l’eternità; anche la nostra gioia, che ci conforma a lui, sarà eterna » (Girolamo).
v. 7 « »Con la sua forza domina in eterno ». Queste parole contrastano con la situazione dei re della terra che non regnano né in virtù di un potere che proviene da loro né per sempre »» (Cassiodoro).
« Lo sguardo di Dio è una promessa di riconciliazione: guarda le genti con uno sguardo propizio. Il Signore volge il suo sguardo sulle genti; i raggi di luce che escono dai suoi occhi rendono le anime capaci di Dio e le mostrano tali » (Eusebio).
« Il Signore illumina quelli che guarda e che ha deciso di visitare per salvarli » (Cassiodoro).
« I ribelli sono quanti rifiutano il vangelo » (Eusebio)
« Un castigo attende gli increduli che si vantano della loro incredulità » (Teodoreto).
« I ribelli sono i giudei che contano troppo sulla discendenza da Abramo » (Girolamo).
« Quanti provocano la collera di Dio sogliono esaltarsi in se stessi: ciò fa parte delle infermità della nostra natura » (Cassiodoro).
v. 8 « Il nostro Dio è il Dio d’Israele. Sulla terra ora si possono vedere tutte le genti lodare non gli dèi dei loro padri, ma l’unico Dio » (Eusebio).
v. 9 « Dio non si è occupato solo degli antichi, ma si occupa di me, di ciascuno. Non ha lasciato vacillare i passi degli evangelizzatori. La predicazione del vangelo, che avrebbe dovuto naufragare mille volte, trionfa ovunque » (Eusebio).
« Dio fa passare da morte a vita » (Atanasio).
« Dio ha fatto entrare nella vita l’anima dei martiri, e questi non sono venuti meno nei tormenti » (Ilario).
vv. 10-12 « Lo Spirito profetizza le afflizioni degli apostoli » (Cirillo di Alessandria).
« È attraverso molte tribolazione che si entra nel regno di Dio (cfr. At 14,21) » (Origene).
« Ci hai fatto passare attraverso il fuoco e l’acqua per mezzo del battesimo » (Atanasio).
« Sei tu che ci hai guidati, sei tu che hai fatto tutto; noi non avremmo potuto sopportare questo né venirne fuori » (Eusebio).
« Dopo aver perdonato i nostri peccati ci hai condotti al luogo del sollievo » (Atanasio).
« Il sollievo è la risurrezione e la beatitudine » (Ilario).
« Il sollievo è il Cristo, al quale giungono i martiri » (Girolamo).
vv. 13-14 « La tua casa è la dimora celeste. Olocausti è un modo di dire per esprimere la totale consacrazione a Dio » (Atanasio).
« È l’olocausto di se stessi che i martiri hanno offerto a Dio » (Ilario).
« Purificàti da tutte le colpe descritte nelle righe precedenti, entreremo nella Gerusalemme celeste » (Atanasio).
« Osserverò ciò che ho promesso nel battesimo » (Atanasio).
v. 15 « Offrirò tutto me stesso, con la mia preghiera e le mie opere » (Atanasio).
« È un simbolo per esprimere che dobbiamo dare a Dio il meglio di noi stessi » (Teodoreto).
v. 16 « Voglio che tutti voi, che servite Dio, sappiate quali grandi benefici ho ricevuto da lui » (Teodoreto).
« Quanto ha fatto per me: mi ha messo in comunicazione con la Vita e mi ha condotto al riposo eterno » (Ilario).
v. 17 « Il grido interiore generato da un cuore ardente d’amore » (Cirillo di Alessandria).
v. 18 « Ha coscienza della sua innocenza. Meravigliosa fiducia dei santi! » (Cirillo di Alessandria).
v. 19 « La preghiera pura del cuore puro non è respinta e la misericordia non è lontana dalla preghiera » (Cirillo d’Alessandria).

SALMO 144

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SALMO 144

Lode. Di Davide

Alef O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.   
Bet 
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.   
Ghimel 
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza.   
Dalet 
Una generazione narra all’altra le tue opere,
annuncia le tue imprese.   
He 
Il glorioso splendore della tua maestà
e le tue meraviglie voglio meditare.   
Vau 
Parlino della tua terribile potenza:
anch’io voglio raccontare la tua grandezza.
    Zain 
Diffondano il ricordo della tua bontà immensa,
acclamino la tua giustizia.   
Het 
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.   
Tet 
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.   
Iod 
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.   
Caf 
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza,   
Lamed 
per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.   
Mem 
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.   
Nun 
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.   
Samec 
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.   
Ain 
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.   
Pe 
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.   
Sade 
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.   
Kof 
 Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.   
Res 
Appaga il desiderio di quelli che lo temono,
ascolta il loro grido e li salva.   
Sin 
Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano,
ma distrugge tutti i malvagi.   
Tau 
Canti la mia bocca la lode del Signore
e benedica ogni vivente il suo santo nome,
in eterno e per sempre.

Commento

Molti sono i frammenti di altri salmi che entrano nella composizione di questa composizione, che tuttavia risulta bellissima nella sua forma alfabetica e ricca di stimoli alla fede, alla speranza, alla pietà, alla lode.
Il salmo è uno dei più recenti del salterio, databile nel III o II secolo a.C.
Esso inizia rivolgendosi a Dio quale re: “O Dio, mio re, voglio esaltarti (…) in eterno e per sempre”. “In eterno e per sempre”, indica in modo incessante e continuativo nel tempo.
Segue uno sguardo su come la trasmissione, di generazione in generazione, delle opere di Dio non sia sentita solo come fatto prescritto (Cf. Es 13,14), ma come gioia di comunicazione, poiché le opere di Dio sono affascinanti: “Il glorioso splendore della tua maestà e le tue meraviglie voglio meditare. Parlino della tua terribile potenza: anch’io voglio raccontare la tua grandezza. Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia ». Il salmista fa un attimo di riflessione sulla misericordia di Dio, riconoscendo la sua pazienza verso il suo popolo. E’ il momento dell’umiltà. La lode non può essere disgiunta dall’umile consapevolezza di essere peccatori: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature“. “Su tutte le creature”, cioè su tutti gli uomini, e pure sugli animali (Cf. Ps 35,7; 103,21).
Il salmista desidera che tutte le opere di Dio diventino lode a Dio sul labbro dei fedeli: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno…”. “Tutte le tue opere”, anche quelle inanimate (Cf. Ps 148). Il significato profondo di questo invito cosmico sta nel fatto che, il salmista vede le creature come bloccate da una cappa buia posta dalle divinizzazioni pagane. Il salmista desidera che esse siano libere da quella cappa, che nega loro la glorificazione del Creatore.
La lode a Dio sul labbro dei fedeli diventa annuncio a tutti gli uomini: “Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno”. “Il regno” (malkut) è Israele e le “imprese” sono quelle della liberazione dall’Egitto, ecc. Terminata la successione monarchica dopo la deportazione a Babilonia, Israele, pur senza scartare minimamente la tensione verso il futuro re, il Messia, si collegò alla tradizione premonarchica dove il re era unicamente Dio. Nel libro dell’Esodo si parla di Israele come regno (19,6): “Un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Israele come regno di Dio si manifesta in modo evidente mediante l’osservanza della legge data sul Sinai; ma Israele non è solo suddito di Dio, ma anche figlio (Cf. Es 4,22).
Il salmista continua a celebrare la bontà di Dio verso gli uomini: “Giusto è il Signore in tutte le sue vie (…). Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano, ma distrugge tutti i malvagi”.
Il salmista termina la sua composizione esortandosi alla lode a Dio e invitando, in una visione universale, “ogni vivente” a benedirlo: “Canti la mia bocca la lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre”. “Ogni vivente”; anche gli animali, le piante – ovviamente a loro modo – celebrano la gloria di Dio (Cf. Ps 148,9-10).
Il cristiano nella potenza dello Spirito Santo annuncia le grandi opere del Signore (At 2,11), che sono quelle relative a Cristo: la salvezza, la liberazione dal peccato, ben più alta e profonda di quella dall’Egitto; il regno di Dio posto nel cuore dell’uomo e tra gli uomini in Cristo, nel dono dello Spirito Santo; i cieli aperti, il dono dei sacramenti, massimamente l’Eucaristia.

Giovanni Paolo II: Salmo 18 A – Inno al Dio creatore

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2002/documents/hf_jp-ii_aud_20020130_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì 30 gennaio 2002

Salmo 18 A – Inno al Dio creatore

Lodi Lunedì 2a Settimana (Lettura: Sal 18, 2-7)

1. Il sole, con il suo progressivo sfolgorare nel cielo, con lo splendore della sua luce, con il calore benefico dei suoi raggi ha conquistato l’umanità fin dalle sue origini. In molti modi gli esseri umani hanno manifestato la loro gratitudine per questa fonte di vita e di benessere con un entusiasmo che non di rado s’eleva fino alle vette dell’autentica poesia. Lo stupendo Salmo 18, di cui è stata proclamata la prima parte, non è solo una preghiera innica di straordinaria intensità; esso è anche un canto poetico innalzato al sole e al suo irradiarsi sulla faccia della terra. In questo il Salmista si affianca alla lunga serie dei cantori dell’antico Vicino Oriente, esaltanti l’astro del giorno che brilla nei cieli e che nelle loro regioni incombe a lungo con il suo calore ardente. Si pensi al celebre inno ad Aton, composto dal faraone Akhnaton nel XIV sec. a.C. e dedicato al disco solare considerato come una divinità.
Ma per l’uomo della Bibbia c’è una differenza radicale rispetto a questi inni solari: il sole non è un dio, ma una creatura al servizio dell’unico Dio e creatore. Basti riandare con la memoria alle parole della Genesi: « Dio disse: Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni… Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte… E Dio vide che era cosa buona » (Gn 1, 14.16.18).
2. Prima di percorrere i versetti del Salmo scelti dalla Liturgia, gettiamo uno sguardo al suo insieme. Il Salmo 18 è simile a un dittico. Nella prima parte (vv. 2-7) – quella che ora è diventata la nostra preghiera – troviamo un inno al Creatore, la cui misteriosa grandezza si manifesta nel sole e nella luna. Nella seconda parte del Salmo (vv. 8-15) incontriamo invece un inno sapienziale alla Torah, cioè alla Legge di Dio.
Ambedue le parti sono attraversate da un filo conduttore comune: Dio rischiara l’universo col fulgore del sole e illumina l’umanità con lo splendore della sua Parola contenuta nella Rivelazione biblica. Si tratta quasi di un doppio sole: il primo è una epifania cosmica del Creatore, il secondo è una manifestazione storica e gratuita di Dio Salvatore. Non per nulla la Torah, la Parola divina, è descritta con tratti « solari »: « I comandi del Signore sono radiosi, danno luce agli occhi » (v. 9).
3. Ma rivolgiamoci per ora alla prima parte del Salmo. Essa si apre con una mirabile personificazione dei cieli, che all’Autore sacro appaiono testimoni eloquenti dell’opera creatrice di Dio (vv. 2-5). Essi, infatti, « narrano », « annunziano » le meraviglie dell’opera divina (cfr v. 2). Anche il giorno e la notte sono raffigurati come messaggeri che trasmettono la grande notizia della creazione. Si tratta di una testimonianza silenziosa, che tuttavia si fa sentire con forza, come una voce che percorre tutto il cosmo.
Con lo sguardo interiore dell’anima, con l’intuizione religiosa non distratta dalla superficialità, l’uomo e la donna possono scoprire che il mondo non è muto ma parla del Creatore. Come dice l’antico sapiente, « dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore » (Sap 13, 5). Anche san Paolo ricorda ai Romani che « dalla creazione del mondo in poi, le sue (di Dio) perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute » (Rm 1, 20).
4. L’inno, poi, cede il passo al sole. Il globo luminoso è dipinto dal poeta ispirato come un eroe guerriero che esce dalla stanza nuziale ove ha trascorso la notte, esce cioè dal grembo delle tenebre ed inizia la sua corsa instancabile nel cielo (vv. 6-7). È simile a un atleta che non conosce sosta o stanchezza, mentre tutto il nostro pianeta è avvolto dal suo calore irresistibile.
Il sole è, quindi, paragonato a uno sposo, a un eroe, a un campione che, per ordine divino, ogni giorno deve compiere un lavoro, una conquista e una corsa negli spazi siderali. Ed ecco, il Salmista addita ora il sole fiammeggiante in pieno cielo, mentre tutta la terra è avvolta dal suo calore, l’aria è immobile, nessun angolo dell’orizzonte può sfuggire alla sua luce.
5. L’immagine solare del Salmo è ripresa dalla liturgia pasquale cristiana per descrivere l’esodo trionfante di Cristo dal buio del sepolcro e il suo ingresso nella pienezza della vita nuova della risurrezione. La liturgia bizantina canta nel Mattutino del Sabato Santo: « Come il sole si leva dopo la notte tutto radioso nella sua luminosità rinnovata, così anche Tu, o Verbo, risplenderai di un nuovo chiarore quando, dopo la morte, lascerai il tuo letto nuziale ». Un’Ode (la prima) del Mattutino di Pasqua collega la rivelazione cosmica con l’evento pasquale di Cristo: « Gioisca il cielo ed esulti con lui anche la terra, perché l’universo intero, quello visibile e quello invisibile, prende parte a questa festa: è risuscitato il Cristo nostra gioia perenne ». E un’altra Ode (la terza) aggiunge: « Oggi l’universo intero, cielo, terra e abisso, è ricolmo di luce e l’intero creato canta ormai la risurrezione di Cristo nostra forza e nostra allegrezza ». Un’altra infine (la quarta) conclude: « Il Cristo nostra Pasqua si è alzato dalla tomba come un sole di giustizia irradiando su tutti noi lo splendore della sua carità ».
La liturgia romana non è esplicita come quella orientale nel paragonare Cristo al sole. Descrive tuttavia le ripercussioni cosmiche della sua risurrezione, quando apre il suo canto di Lode al mattino di Pasqua col famoso inno: « Aurora lucis rutilat, caelum resultat laudibus, mundus exultans iubilat, gemens infernus ululat » – « Sfolgora di luce l’aurora, di canti esulta il cielo, gode danzando il mondo, geme negli urli l’inferno ».
6. L’interpretazione cristiana del Salmo non cancella, comunque, il suo messaggio di base, che è un invito a scoprire la parola divina presente nel creato. Certo, come si dirà nella seconda parte del Salmo, c’è un’altra e più alta Parola, più preziosa della stessa luce, quella della Rivelazione biblica.
Tuttavia, per quanti hanno orecchi attenti e occhi non velati, il creato costituisce come una prima rivelazione, che ha un suo linguaggio eloquente: essa è quasi un altro libro sacro le cui lettere sono rappresentate dalla moltitudine di creature presenti nell’universo. Afferma san Giovanni Crisostomo: « Il silenzio dei cieli è una voce più risonante di quella di una tromba: questa voce grida ai nostri occhi e non alle nostre orecchie la grandezza di chi li ha fatti » (PG 49, 105). E sant’Atanasio: « Il firmamento, attraverso la sua magnificenza, la sua bellezza, il suo ordine, è un predicatore prestigioso del suo artefice, la cui eloquenza riempie l’universo » (PG 27, 124).

Salmo 103 (104) Inno a Dio creatore

dal sito:

http://www.perfettaletizia.it/bibbia/salmi/salmo103.htm
     
Salmo 103 (104) Inno a Dio creatore  
 
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,

avvolto di luce come di un manto,
tu che distendi i cieli come una tenda,

costruisci sulle acque le tue alte dimore,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,

fai dei venti i tuoi messaggeri
e dei fulmini i tuoi ministri.

Egli fondò la terra sulle sue basi:
non potrà mai vacillare.

Tu l’hai coperta con l’oceano come una veste;
al di sopra dei monti stavano le acque.

Al tuo rimprovero esse fuggirono,
al fragore del tuo tuono si ritrassero atterrite.

Salirono sui monti, discesero nelle valli,
verso il luogo che avevi loro assegnato;

hai fissato loro un confine da non oltrepassare,
perché non tornino a coprire la terra.

Tu mandi nelle valli acque sorgive
perché scorrano tra i monti,

dissetino tutte le bestie dei campi
e gli asini selvatici estinguano la loro sete.

In alto abitano gli uccelli del cielo
e cantano tra le fronde.

Dalle tue dimore tu irrighi i monti,
e con il frutto delle tue opere si sazia la terra.

Tu fai crescere l’erba per il bestiame
e le piante che l’uomo coltiva
per trarre cibo dalla terra,

vino che allieta il cuore dell’uomo,
olio che fa brillare il suo volto
e pane che sostiene il suo cuore.

Sono sazi gli alberi del Signore,
i cedri del Libano da lui piantati.

Là gli uccelli fanno il loro nido
e sui cipressi la cicogna ha la sua casa;

le alte montagne per le capre selvatiche,
le rocce rifugio per gli iràci.
Hai fatto la luna per segnare i tempi
e il sole che sa l’ora del tramonto.

Stendi le tenebre e viene la notte:
in essa si aggirano tutte le bestie della foresta;

ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda
e chiedono a Dio il loro cibo.

Sorge il sole: si ritirano
e si accovacciano nelle loro tane.

Allora l’uomo esce per il suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera.

Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Ecco il mare spazioso e vasto:
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi;

lo solcano le navi
e il Leviatàn che tu hai plasmato
per giocare con lui.

Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.

Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni.

Nascondi il tuo volto: li assale il terrore;
togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.

Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.

Egli guarda la terra ed essa trema,
tocca i monti ed essi fumano.

Voglio cantare al Signore finché ho vita,
cantare inni al mio Dio finché esisto.

A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

Scompaiano i peccatori dalla terra
e i malvagi non esistano più.
Benedici il Signore, anima mia.
Alleluia.
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Commento
 
Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla grandezza, alla bellezza, alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio!”.
Egli contempla Dio nella sua sovranità universale, tratteggiandolo “avvolto di luce come di un manto”. Una luce gloriosa, non terrena, non degli astri, ma divina, con la quale illumina gli spiriti angelici, nel cielo.
Egli ha separato la luce dalla notte e con l’albeggiare stende il cielo “come una tenda”; cioè stende la calotta azzurra del cielo. Così, pure, stende le tenebre della notte: “Stendi le tenebre e viene la notte”. Sovrano del cielo e della terra, pone la sua dimora di re sulle acque, cioè sulle nuvole alte e bianche, là dove nessuno può fare una dimora. Sovrano difende i suoi sudditi fedeli dai nemici, facendo delle nuvole basse e buie il suo carro da guerra trainato dal vento visto come un essere alato: “Costruisci sulle acque le tue alte dimore, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento”. I venti annunziano il suo arrivo nella tempesta, mentre le folgori presentano la sua potenza sulla terra: “Fai dei venti i tuoi messaggeri e dei fulmini i tuoi ministri”.
Il salmo, che segue l’ordine della prima narrazione della creazione (Gn 1,1s), continua presentando la primordiale situazione della terra, ora fermamente salda “sulle sue basi”, intendendo per basi niente di formalmente vincolante, ma solo un’immagine tratta dalle congetture dell’uomo.
L’onnipotenza divina viene presentata come dominatrice delle acque che coprivano la terra: “Al tuo rimprovero esse fuggirono, al fragore del tuo tuono rimasero atterrite”. Le acque si divisero in acque sotto il firmamento e in acque sopra il firmamento (le nubi, pensate ferme in alto per la presenza di una invisibile calotta detta firmamento), così cominciò il ciclo delle piogge e le acque “Salirono sui monti, discesero nelle valli, verso il luogo (mare) che avevi loro assegnato”. Dio provvede, nel tempo privo di piogge, al regime delle acque, e fa scaturire nelle alte valli montane acque sorgive che poi scendono lungo i canaloni tra i monti per dissetare gli animali. Gli uccelli trovano dimora nei luoghi alti e cantano tra le fronde degli alberi. Tutto è predisposto perché non manchi il cibo: “Con il frutto delle tue opere si sazia la terra. Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva…”.
E anche gli alberi alti sono sazi per la pioggia “sono sazi gli alberi del Signore (cioè gli alberi altissimi: nell’ebraico il superlativo assoluto è reso con un riferimento a Dio), i cedri del Libano da lui piantati”. (I cedri del Libano raggiungono anche i 40 m. di altezza, con un diametro alla base di 2,5 m.)
Dio per segnare le stagioni ha fatto il sole e la luna. Ritirando a sera la luce stende “le tenebre e viene la notte”; e anche nella notte prosegue la vita: “si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda”. Con i loro ruggiti “chiedono a Dio il loro cibo”. Il salmo presenta che gli animali carnivori sono stati creati così da Dio. Il libro della Genesi (1,30) presenta un mondo animale che si cibava di erbe nella situazione Edenica; ma è un’immagine rivolta a presentare come all’inizio non ci fosse la ferocia tra gli animali, benché non mancassero animali carnivori, creati da Dio, come il nostro salmo presenta.
L’uomo comincia il suo lavoro col sorgere del sole: “Allora l’uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera”.
Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l’autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell’assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l’alito delle narici “togli loro il respiro”. Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all’origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell’amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.

Publié dans:BIBBIA. A.T. SALMI, salmi |on 18 juillet, 2011 |Pas de commentaires »

Salmo 63: Abbondanza nel deserto (Taizé)

dal sito:

http://www.taize.fr/it_article172.html?date=2009-05-01

TAIZÉ – BIBBIA E FEDE

2009 Maggio

Salmo 63: Abbondanza nel deserto

O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
 
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
 
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
 
Ma quelli che attentano alla mia vita
scenderanno nel profondo della terra,
saranno dati in potere alla spada,
diverranno preda di sciacalli.
Il re gioirà in Dio,
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.
(Salmo 63)

Ogni essere umano sembra essere lavorato sino all’estremo da un desiderio d’assoluto che nulla può completamente appagare. Questa sete scava in noi un vuoto che siamo tentati di riempire con quanto abbiamo sottomano. È forse per paura di questo vuoto che arriviamo ad intossicarci con troppe cose.
Rifare l’esperienza del salmista nel deserto, riscoprire che Dio è colui che suscita sete è forse una delle più grandi urgenze del momento. «La mia anima ha sete di te». In ebraico anima si dice nefesh, gola. L’anima in noi è ciò che attende di ricevere il soffio di vita, la ruah. L’anima è dunque l’appetito di vita, la gola spalancata in attesa. È paradossale che un popolo che ha passato circa quarant’anni nel deserto e che ha dovuto fare un’esperienza della sete assai dolorosa abbia mantenuto lo stesso vocabolario per descrivere la ricerca di Dio. E pertanto, Dio si lascia cercare nell’esperienza di vuoto.
Per grande fortuna, l’insoddisfazione conduce anche ad altra cosa: il vuoto si riempie della visione, della contemplazione, «Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria». Perché Davide nel deserto parla ora del santuario: nostalgia di un tempo passato dove era tranquillo meditare nella casa di Dio? O visione della fede per la quale il deserto stesso diventa luogo della presenza di Dio? Questa seconda interpretazione apre delle prospettive interessanti: «gloria» di dice kabod in ebraico, che si traduce anche con «abbondanza». Nel deserto, anche se ho veramente sete, ho trovato la tua abbondanza!
Questa «abbondanza» passa attraverso la lode che riempie la bocca del salmista: letteralmente «labbra di gioia, lode di bocca». Il doppio plurale dell’inizio versetto segna ancor più il sentimento di ricevere la vita in proporzioni generose. Che contrasto tra questo versetto e l’inizio della supplica! Come la siccità e la non fertilità hanno potuto trasformarsi così?
Forse grazie a questo versetto intermediario: «Così ti benedirò finché io viva». Benedire significa trasmettere la vita. Altrimenti detto: con la mia vita (ben vivente!), ti renderò la vita che tu mi hai donata. Fare l’esperienza della propria vulnerabilità, della condizione fragile dell’essere umano, lascia posto a ricevere il dono della vita per poi trasmetterlo a nostra volta. È tutto lo scambio che si realizza nella preghiera: ti restituisco quel che ho ricevuto da te, e ne sono contento!
Dopo aver sperimentato l’abbondanza di Dio nel bel mezzo del deserto, il salmista si espone in una lode commovente, dove si succedono immagini materne che sottolineano la tenerezza del «suo Dio»: «A te si stringe l’anima mia», sei tu che mi precedi, sei tu che affronti il pericolo per me. «Esulto di gioia all’ombra delle tue ali», «a te che sei stato il mio aiuto». «Aiuto» è una bellissima parola: è quella che descrive il ruolo di Eva accanto ad Adamo; è quella che Gesù ha dovuto usare dicendo ai suoi discepoli: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Giovanni 14,16).
In questo contesto che sembrava ormai rasserenato, perché terminare con l’evocazione così dura dei nemici e dei mentitori? La Bibbia ha l’onestà di non dimenticare mai che viviamo in un mondo dove le tenebre e la luce coabitano. Questa libertà di tono verso Dio è essenziale affinché la preghiera sia vera. In Dio c’è posto per ricevere tutto, l’orecchio di Dio non ha paura d’ascoltare persino le parole violente. Tocca allo Spirito Santo, con un paziente lavoro che sfocerà nella dolcezza del Nuovo Testamento, trasformare l’ardore dell’imprecazione in perdono.

 Ho già fatto l’esperienza di un vuoto interiore? È stata positiva o negativa?
 L’insoddisfazione e la lode possono coabitare?
 «Trovare l’abbondanza nel deserto»: mi è già capitato?

Publié dans:salmi |on 4 juillet, 2011 |Pas de commentaires »

Salmo 39 (40)

dal sito:

http://www.perfettaletizia.it/bibbia/salmi/Salmo39.htm

Al maestro del coro. Di Davide.

Salmo 39 (40)
 
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
 
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
 
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
 
Beato l’uomo che ha posto la sua fiducia nel Signore
e non si volge verso chi segue gli idoli
né verso chi segue la menzogna.
 
Quante meraviglie hai fatto,
tu, Signore, mio Dio,
 
quanti progetti in nostro favore:
nessuno a te si può paragonare!
Se li voglio annunciare e proclamare,
sono troppi per essere contati.
 
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
 
Allora ho detto: “Ecco, io vengo.
Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
 
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo”.
 
Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
 
Non ho nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore,
la tua verità e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho celato il tuo amore
e la tua fedeltà alla grande assemblea.
 
Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia;
il tuo amore e la tua fedeltà mi proteggano sempre,
 
perché mi circondano mali senza numero,
le mie colpe mi opprimono e non riesco più a vedere:
sono più dei capelli del mio capo,
il mio cuore viene meno.
 
Dégnati, Signore, di liberarmi;
Signore, vieni presto in mio aiuto.
 
Siano svergognati e confusi
quanti cercano di togliermi la vita.
Retrocedano, coperti d’infamia,
quanti godono della mia rovina.
 
Se ne tornino indietro pieni di vergogna
quelli che mi dicono: “Ti sta bene!”.
 
Esultino e gioiscano in te
quelli che ti cercano;
dicano sempre: “Il Signore è grande!”
quelli che amano la tua salvezza.
 
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.
 
Commento
 
Il salmo inizia con una lode a Dio per la liberazione da grandi difficoltà. E’ una lode piena di giubilo, di forza, di annuncio della bontà del Signore. Il salmista è giunto ad una grande intimità con Dio, e Dio gli ha posto “sulla bocca un canto nuovo”. Egli con uno sguardo lieto verso il futuro afferma che “molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore”. Egli crede che tutta la terra conoscerà il tempo della pace.
Egli presenta la beatitudine dell’uomo che rimane col Signore e “e non si volge verso chi segue gli idoli”,  di coloro che si credono autosufficienti e seguono così la menzogna. Il salmista nel suo giubilo ricorda le opere del Signore fatte a favore del suo popolo: “Quante meraviglie hai fatto, tu, Signore, mio Dio, quanti progetti in nostro favore”.
Egli afferma che il culto a Dio non è una semplice ritualità, ma deve scaturire dal cuore, da un vero amore a Dio, che si esprime nell’obbedienza alla sua parola. Egli ha capito – “gli orecchi mi hai aperto” – come il culto al tempio, senza l’obbedienza del cuore, disgusta Dio: “Sacrificio e offerta non gradisci”. “Gli orecchi mi hai aperto”, è traduzione che legge l’ebraico “karatta”, “forato”, come “aperto”. Questa lettura si collega a 1Samuele 9,15 e a Isaia 50,5 ed è stata promossa da autorevoli esegeti (Podechard e Dorme).
Ha capito perché ha ascoltato la Scrittura (Il rotolo del libro), e quindi ha obbedito alla Parola la quale lo ha illuminato sul vero culto da rendere a Dio. L’orecchio è organo dell’ascoltare, ma qui è pure simbolo dell’obbedire.
L’espressione “gli orecchi mi hai aperto”, si trova con versione diversa nella traduzione greca detta dei LXX : “un corpo invece mi hai preparato”. Questa versione è poi entrata nella lettera agli Ebrei (10,5), che dipende quanto a citazioni del Vecchio Testamento dalla traduzione dei LXX. La spiegazione di questa diversità va ricercata in una deficienza introdotta da un copista nel manoscritto, o più manoscritti di derivazione, a disposizione dei LXX, i quali dovettero superare l’incertezza letteraria con un pensiero teologico, affermando che nell’adorazione a Dio, nel vero culto a Dio, tutto l’uomo entra in gioco; il corpo deve essere sottomesso con decisa volontà ai comandamenti di Dio. I sacrifici, gli olocausti del tempio, sono un appello “al sacrificio, all’olocausto”, di dominio del proprio corpo. Sulla base di questo pensiero teologico i LXX fecero la loro traduzione; e questa è entrata nella lettera agli Ebrei riguardo l’Incarnazione.
Il salmista ha letto che nella Legge (Il rotolo del libro) è comandato di fare la volontà di Dio, che è amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze; dunque non un culto dove sia assente il cuore, dove il senso non sia dominato, dove non ci sia obbedienza alla Parola, e non amore verso i fratelli. Egli dice: “su di me è scritto”; poiché “Il rotolo del libro” non chiede solo l’adesione della collettività, ma innanzi tutto l’adesione personale.
Fare la volontà di Dio è il desiderio intimo del salmista.
Egli nel giubilo non si dimentica del dovere di annunciare agli altri quanto Dio ha fatto per lui: “Non ho celato il tuo amore e la tua fedeltà alla grande assemblea”.
E il suo giubilo scaturisce dall’umiltà; perciò non è euforia. Egli, umile, si dichiara colpevole davanti a Dio, e chiede a lui sostegno per sostenere e uscire dai mali che lo circondano: “La tua fedeltà e la tua grazia mi proteggano sempre, poiché mi circondano mali senza numero”.
Anche se “povero e bisognoso”, il salmista non dubita affatto che Dio ha cura di lui e perciò termina il salmo con  un grande atto di fiducia: “Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare”

Publié dans:salmi |on 16 juin, 2011 |Pas de commentaires »

Il Miserere (Salmo 50)

dal sito:

http://www.arciconfraternitadisantamonica.com/multimedia/le-musiche/il-miserere

Il Miserere
 
Il lento incedere delle Processioni del Venerdì Santo viene accompagnato da una preghiera penitenziale antichissima, il Miserere, cantato in latino, inno al Dio misericordioso elevato dal peccatore pentito che chiede perdono.
Il Miserere è uno dei sette salmi penitenziali della liturgia cattolica, segnato con il numero 50 secondo la Vulgata, con il numero 51 secondo la tradizione ebraica; inizia con le parole “Miserere mei Deus” (Abbi pietà di me o Dio). Fu scritto e pregato dal re David intorno al 970 a.C. In esso, David, dopo l’incontro con il profeta Nathan, che gli rimproverava il duplice peccato dell’adulterio con Betsabea e dell’uccisione del marito di lei, Uria, invoca la misericordia di Dio e ne canta le lodi, sicuro, in fede, del Suo perdono.
Il Miserere esprime la dimensione profonda dell’innata debolezza morale dell’uomo. Il Salmo nella prima parte appare come un’analisi del peccato, condotta davanti a Dio e declama la triste realtà che proviene dalla libertà umana male impiegata. In esso viene espresso innanzitutto un senso vivissimo del peccato, percepito come una scelta libera, connotata negativamente a livello morale e teologale: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (v. 6). C’è poi nel Salmo un senso altrettanto vivo della possibilità di conversione: il peccatore, sinceramente pentito, (cfr v. 5), si presenta in tutta la sua miseria e nudità a Dio, supplicandolo di non respingerlo dalla sua presenza (cfr v. 13). C’è, infine, nel Miserere, una radicata convinzione del perdono divino che “cancella, lava, monda” il peccatore (cfr vv. 3-4) e giunge perfino a trasformarlo in una nuova creatura che ha spirito, lingua, labbra, cuore trasfigurati (cfr vv. 14-19).
Di anno in anno, durante il periodo quaresimale, si rinnova il tradizionale appuntamento alle prove di canto del “Coro del Miserere”; coro a tre voci composto da circa 150 persone, giovani e meno giovani. Il canto del Miserere viene eseguito in alternanza fra due gruppi, corrispondenti al “Coro” che canta solo le strofe dispari (strofe in grassetto nel testo del Miserere) e la “Risposta” che canta solo le strofe pari.
L’ascolto del canto del Miserere andrebbe accompagnato con l’ausilio di una traduzione in lingua italiana. Per avere una comprensione maggiore del testo andrebbe comunque alternata la lettura in latino ed in italiano, come proponiamo di seguito.
 
Miserère mei, Deus, * secùndum magnam misericòrdiam tuam. Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia.
Et secùndum multitùdinem miseratiònum tuàrum, * dele iniquitàtem meam. Nel tuo grande amore cancella il mio peccato.
Amplius lava me ab iniquitàte mea: * et a peccàto meo munda me. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.
Quòniam iniquitàtem meam ego cognòsco: * et peccàtum meum contra me est semper. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Tibi soli peccàvi, et malum coram te feci: * ut justificèris in sermònibus tuis, et vincas cum judicàris. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.
Ecce enim in iniquitàtibus concèptus sum: * et in peccàtis concèpit me mater mea. Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre.
Ecce enim veritàtem dilexìsti: * incèrta et occùlta sapièntiae tuae manifestàsti mihi. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza.
Aspèrges me hyssòpo, et mundàbor: * lavàbis me, et super nivem dealbàbor. Purificami con issòpo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve.
Audìtui meo dabis gàudium et laetìtiam: * et exsultàbunt ossa humiliàta. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato.
Avèrte fàciem tuam a peccàtis meis: * et omnes iniquitàtes meas dele. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.
Cor mundum crea in me, Deus: * et spìritum rectum ìnnova in viscèribus meis. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.
Ne projìacias me a fàcie tua: * et spìritum sanctum tuum ne àuferas a me. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.
Redde mihi laetìtiam salutàris tui: * et spìritu principàli confìrma me. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso.
Docèbo inìquos vias tuas: * et ìmpii ad te convertèntur. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.
Lìbera me de sanguìnibus, Deus, Deus salùtis meae: * et exultàbit lingua mea justìtiam tuam. Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza. La mia lingua esalterà la tua giustizia.
Dòmine, làbia mea apèries: * et os meum annuntiàbit laudem tuam. Signore, apri le mie labbra e la ma bocca proclami la tua lode.
Quòniam si voluìsses sacrificium, dedìssem ùtique: * holocàustis non delectàberis. Poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti.
Sacrifìcium Dei spìritus contribulàtus: * cor contrìtum, et humiliàtum, Deus, non despìcies. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi.
Benìgne fac, Dòmine, in bona voluntàte tua Sion: * ut aedificèntur muri Jerùsalem. Nel tuo amore fa’ grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme.
Tunc acceptàbis sacrifìcium justìtiae, oblatiònes, et holocàusta: * tunc impònent super altàre tuum vìtulos. Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

Publié dans:Pasqua, salmi |on 7 avril, 2011 |Pas de commentaires »

I cieli narrano… (Salmo 19) (Gianfranco Ravasi)

dal sito:

http://www.apostoline.it/riflessioni/salmi/Salmo19.htm

I SALMI   CANTI SUI SENTIERI DI DIO

I cieli narrano… (Salmo 19)

L’estate col trionfo del sole evoca al lettore attento della Bibbia alcune pagine tutte intrise di luce, di calore, di splendore.

È il caso del Salmo 19 (18 nella numerazione della liturgia), illuminato da due dischi solari, quello dell’astro naturale che incombe anche sulla nostra estate e sulle nostre vacanze e quello della parola di Dio i cui « comandi sono limpidi, danno luce agli occhi ». Il salmo è affacciato, allora, proprio su questi due soli, quello che brilla nel nostro cielo (vv. 2-7) e quello che risplende all’orizzonte delle nostre coscienze (vv. 8-15). Un rabbino medievale, grande studioso della Bibbia, di nome Kimchì, affermava che « come il mondo non si illumina e vive se non per opera del sole, così l’anima non si sviluppa e non raggiunge la sua pienezza di vita se non attraverso la parola di Dio ». E in questi anni più vicini a noi il pastore protestante e teologo D. Bonhoeffer, che è stato impiccato nei campi di concentramento nazisti, scriveva: « Il salmo 19 non può parlare della magnificenza del corso degli astri senza pensare, con uno slancio improvviso e nuovo, alla magnificenza della rivelazione della legge di Dio ».
Noi ci fermeremo a contemplare il primo sole, quello della natura, così come ce lo dipinge il poeta biblico nella prima parte della sua lirica-preghiera. Se questa strofa può essere letta proprio nella cornice di una luminosa giornata estiva, essa però non si riduce ad un idillio paesaggistico. Il sole e il mondo sono sempre agli occhi del credente « creazione », sono quasi una misteriosa parola sussurrata da Dio all’uomo. Il celebre astronomo Keplero nella sua opera Armonia cosmica, dopo aver citato il nostro salmo, scriveva: « Ti ringrazio, mio Dio, nostro creatore, di avermi mostrato la bellezza della tua creazione e così io gioisco dell’opera delle tue mani. Ecco, io ho compiuto l’opera alla quale mi sono sentito chiamato: ho annunciato agli uomini lo splendore delle tue opere. Nella misura in cui il mio spirito limitato le ha potute comprendere, gli uomini ne leggeranno qui le prove ». Ascoltiamo anche noi le parole del salmista:

I cieli narrano la gloria di Dio
e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
Non è linguaggio e non sono parole
di cui non si oda il suono.
Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.
Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale,
esulta come prode che percorre la via.
Egli sorge da un estremo del cielo
e la sua corsa raggiunge l’altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore (vv. 2-7).

Si intravedono facilmente all’interno di questa strofa,che costituisce il primo movimento del salmo, alcuni simboli applicati al sole: nuziale, militare, atletico. Il sole, infatti, tanto celebrato soprattutto in Egitto in seguito ad una riforma religiosa di stampo monoteistico imposta dal faraone Akhnaton (XIV sec, a. C.), è dipinto dal poeta biblico come un eroe guerriero che, dopo essere uscito dalla stanza nuziale ove ha trascorso la notte (il grembo delle tenebre), inizia la sua folle corsa sull’orizzonte come un campione che non conosce soste e stanchezze, mentre tutto il pianeta è avvolto dal calore irresistibile del giorno.
Questo intreccio di immagini nuziali, sportive e militari era noto anche nelle preghiere mesopotamiche: « O Sole, guerriero ed atleta, e tu Notte, sua sposa, lanciate sempre uno sguardo favorevole alle mie suppliche e alle mie pie azioni! ».
Questo primo movimento del salmo si snoda, però, su due piccoli quadri. Il primo raccoglie il canto dei cieli, presentati come se fossero persone che fanno da testimoni entusiasti dell’opera creatrice di Dio. Essi, infatti, « narrano », « annunciano » le meraviglie del Creatore che li ha fatti. Anche il giorno e la notte sono rappresentati come messaggeri che trasmettono di postazione in postazione la grande notizia del Signore che si rivela proprio nelle sue creature. Spazio (i cieli) e tempo (notte e giorno) sono, perciò, coinvolti in una specie di « vangelo »di gioia e di luce, « nell’universo – scriveva un commentatore tedesco dei Salmi, H. Gunkel – risuona una musica teologica ».
Si tratta, però, di una musica e di un messaggio che non conoscono parole sonore ed echi; eppure questa strana voce silenziosa percorre tutto l’universo. Lo sguardo interiore dell’uomo e il suo orecchio spiritualmente attento possono decifrare questo enigma che è il creato. Il mondo muto si rivela all’occhio e all’orecchio dell’uomo come una realtà che parla e canta. S. Giovanni Crisostomo, celebre padre della Chiesa di Cappadocia (nell’attuale Turchia centrale), scriveva: « Questo silenzio dei cieli è una voce più risonante di quella di una tromba. Questa voce grida ai nostro occhi e ai nostro orecchi la grandezza di chi li ha fatti ». Il salmo si trasforma, allora, in un invito a vivere la nostra vacanza non come un semplice spazio vuoto, di riposo, di divertimento, di dispersione ma come un tempo colmo di scoperte e di stupore. Lo scrittore inglese Chesterton, il famoso creatore del personaggio popolare di P. Brown, sacerdote-investigatore, affermava che « il mondo non perirà per mancanza di meraviglie ma per mancanza di meraviglia ».
Il secondo quadro è avvolto dalla luce del sole, il principe del nostro orizzonte. La « tenda » è la notte ove il sole si ritira come fa il nomade che all’incombere della tenebra si rifugia nella sua tenda. Da questa camera nuziale notturna il sole esce all’alba come sposo – guerriero – atleta, pronto ad iniziare il suo lavoro – conquista – corsa negli spazi siderali.  Ecco, ormai il poeta vede fiammeggiare il sole in pieno cielo, tutta la terra è pervasa dal suo calore, l’aria è immobile, nessun angolo può sfuggire alla sua luce. Ma a questo punto il salmo ha una svolta: diventa un inno al sole della parola di Dio. E noi invitiamo chi ci ha seguito fin qui a prendere tra le mani una Bibbia e a concludere da solo la lettura del Salmo 19 scoprendo i raggi di luce che emanano dalla parola di Dio.

 GIANFRANCO RAVASI

(da SE VUOI) 

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI, salmi |on 23 mars, 2011 |Pas de commentaires »

SALMO 121 (messa di domenica 28 novembre 2010)

dal sito:

http://www.perfettaletizia.it/bibbia/salmi/salmo121.htm

SALMO 121

Canto delle salite. Di Davide 
 
Quale gioia, quando mi dissero:
“Andremo alla casa del Signore!”.

Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte Gerusalemme!

Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.

Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;

sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: “Su te sia pace!”.

Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.

Commento

Questo salmo era usato per i pellegrinaggi annuali a Gerusalemme. Probabilmente venne scritto dopo la ricostruzione del tempio e delle mura di Gerusalemme al tempo del ritorno dall’esilio; infatti la grande gioia alla notizia che “Andremo alla casa del Signore”, presuppone un fatto straordinario, lungamente atteso, e non uno dei tre pellegrinaggi annuali prescritti dalla legge (Es 23,17; 34,23).
Lo stupore di fronte alla compattezza che presenta la città si apre alla lode di Dio: “Gerusalemme è costruita come città unita e compatta”.
La città viene celebrata come il centro dell’unità religiosa per la presenza del tempio e come centro del governo civile: “E’ là che salgono le tribù, le tribù del Signore (…) per lodare il nome del Signore. Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide”: benché politicamente non autonoma Gerusalemme è retta dalle leggi di Israele; la menzione di Davide dice che per l’Israelita Gerusalemme rimane legata a Davide, e quindi al futuro Messia.
Il salmista non manca di rivolgersi ai pellegrini invitandoli a pregare: “Chiedete pace per Gerusalemme”; e invoca pace su quanti la amano, cioè su quanti credono nel disegno di Dio su Gerusalemme. La pace invocata è quella che verrà portata dal Principe della pace.
A Gerusalemme si è formata la prima Chiesa particolare, che è stata la madre delle altre Chiese particolari, poiché il Vangelo è partito dalla comunità di Gerusalemme. Ma tutte le Chiese particolari, compresa quella di Gerusalemme, formano e sussistono nell’unica Chiesa di Cristo, che ha come vincolo di unità il successore di Pietro.
Il pellegrinaggio dei popoli, delle dodici tribù della terra, trova il suo gioioso approdo alle “porte” della Gerusalemme messianica, pronta ad accogliere tutte le genti. La Gerusalemme messianica è la “civitas cristiana”, che ha come costitutivo fondante la Chiesa (Cf. Ap 21,9s).
Per la “civitas cristiana”, o società dell’amore, bisogna sempre pregare perché tragga costantemente dal Cristo la sua pace e la diffonda estendendosi a tutta la terra.
Il pellegrinaggio, tuttavia, non è cessato perché terminerà solo con l’ingresso nella Gerusalemme celeste.
Lo stupore di potere andare nella “casa del Signore” i cristiani lo hanno avuto nell’erezione delle prime basiliche a Roma, dopo le ondate di persecuzione per annullare la Chiesa.
Il primo stupore di fronte alla Gerusalemme messianica, o civiltà dell’amore, i cristiani lo hanno avuto quanto hanno visto il potere politico di Roma aprirsi a Cristo e alla Chiesa.
Ora il potere politico delle nazioni si sta sempre più chiudendo alla Chiesa, ma non si annullerà il germe della “civitas cristiana”; verrà infatti il giorno in cui su tutta la terra fiorirà la civiltà della verità e dell’amore.

Publié dans:salmi |on 27 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

« Inizio della sapienza è il timore del Signore »

dal sito: 

http://www.cristianiortodossi.it/monastero/inizio_sapienza.htm

Inizio della sapienza…

« Inizio della sapienza è il timore del Signore« , così il salmista ammonisce, ed al frequentatore contemporaneo della pagine (solo delle « pagine ») della Scrittura questo suona come un anacronistico richiamo alla minaccia di punizioni temporali (da una disgrazia personale o familiare fino al Diluvio) o alla terribile visione dei tormenti eterni dell’Inferno, magari usciti da una Divina Commedia illustrata dal Dorè. Niente di più falso: il « timor di Dio » di cui parlano le Sacre Pagine, è, come » la legge fatta di prescrizioni e di decreti », il salutare rimedio posto dall’economia del piano salvifico di Dio all’immaturità dei suoi figli che – finché restano nella minorità spirituale - » in nulla differiscon dallo schiavo » come ricorda Paolo ai Galati; e siccome noi non siamo – probabilmente – ancora pervenuti alla statura dell’amore che « caccia via il timore, perché chi teme non è perfetto nell’amore » (prima epistola di San Giovanni, 4) – cominciamo la nostra riflessione sapienziale dal timor di Dio. Scopriremo che, lontano dal rivelare un volto terribile di Dio, dimostra la premura paterna di liberarci da uno dei più terribili inganni che ci sovrastano; spesso noi pensiamo che « esser liberi » equivalga a « fare ciò che vogliamo » non avvedendoci che « ciò che vogliamo  » è invece ciò che esige la necessità – deterministica direi – della nostra natura fisica. L’equazione esprime cioè l’inganno della falsa libertà.
L’istinto naturale infatti -quello che abbiamo in comune con gli animali – è la più pesante catena, il più terribile giogo che ci portiamo appresso, fino a quell’istinto di morte che Freud (Al di là del principio del piacere) vide giustamente iscritto in ogni organismo vivente, uomo non escluso; così l’asservimento alla nostra natura fisica equivale, filosoficamente parlando, al nostro « essere per la morte » caro ad alcuni pensatori esistenzialisti; « chi – dunque – ci libererà da questo corpo di morte ? » – « inizio della sapienza è il timore del Signore », esso si oppone alla necessità naturale e ci addita la legge come massimamente liberatoria.
Dice l’istinto: « mangia! se vuoi vivere, paga al ventre il tuo tributo! » La legge al contrario prescrive il digiuno ascetico come via per affrancarci dalla servitù all’istinto, perchè l’uomo « vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio »; pensate a certi santi asceti che hanno vissuto di niente: poco pane qualche goccia d’acqua fino a ridurre il nutrimento alla sola Comunione Eucaristica; agiografie d’oriente e d’occidente son pronte a fornirci, fino ai giorni nostri, esempi numerosi: uomini e donne spiritualizzati, fatti lievi, lontani da ogni pesantezza carnale e terrena, già deiformi, pronti – come aquile dall’alto volo- a raggiungere le vette del Tabor spirituale, del Sinai mistico di San Gregorio di Nissa, del Carmelo dei contemplativi spagnoli del XVI secolo; corpi da icona, con le labbra piccole per la consumazione del frammento eucaristico solo, cui fanno riscontro i grandi occhi, dilatati fino all’estremo per l’incontro interpersonale con Dio e con i fratelli, occhi contemplanti già da quaggiù la visione della Luce Increata; « occhi chiaroveggenti » per dirla con Dovstoevskij.
Dice l’istinto naturale: « fa’ sesso! quando ne senti il bisogno, ché « l’astuzia della ragione » (della ragione immanente di hegeliana memoria), lo userà per riprodurre la specie, per chiamare alla vita altri « destinati alla morte » . Al contrario la legge: non fornicare! – ossia, in una interpretazione amplia, sii tu dominatore e non dominato del tuo appetito sessuale, incornicialo in un rapporto interpersonale in cui l’incontrarsi dei volti – ricorda i grandi occhi delle icone – sia più pregnante di senso che non l’incontro genitale dei corpi; oppure mettilo al servizio dell’eros trasfigurato della vita monastica che guarda lontano, verso orizzonti escatologici, là dove « non si prende né moglie né marito ma si è come gli angeli del cielo ».
Dice l’istinto « aggredisci », « per non esser sopraffatto,segui l’istinto: homo homini lupus  » (Hobbes) . E la legge di rimando: « tu non ucciderai! »,  » vi dico: non resistete al malvagio, se uno ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra »; « beati i mansueti: loro erediteranno la terra »; sì, la terra nuova ed cieli nuovi del Regno. Così, e solo così, l’uomo può avviare il suo processo di trasfigurazione, di redenzione dalla morte, di deificazione, a cui il Risorto ha dato irreversibile inizio ed a cui noi siamo chiamati a rispondere in maniera sinergica, attiva, personale; in questo modo la legge diviene legge di libertà, dell’unica vera libertà; ed il timore si schiude sull’amore sponsale dell’amante Cristo che ci vuol partecipi, nei talami celesti, alla sua vita senza fine.

Un Monaco
Monastero Ortodosso di San Serafino di Sarov

Publié dans:meditazioni, Ortodossia, salmi |on 5 novembre, 2010 |Pas de commentaires »
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