Archive pour la catégorie 'PRO VITA (ACCADEMIA…E ALTRE FONTI)'

CONTRO L’ABORTO, L’ADOZIONE DI BAMBINI… E DI MAMME E PAPÀ

http://www.zenit.org/article-30988?l=italian

CONTRO L’ABORTO, L’ADOZIONE DI BAMBINI… E DI MAMME E PAPÀ

I progetti del Movimento per la Vita e del Comitato Civiltà dell’Amore presentati alla Fiera di Milano

di Luca Marcolivio

MILANO, venerdì, 1 giugno 2012 (ZENIT.org) – L’adozione come baluardo contro l’aborto. Un’iniziativa speciale con due patroni speciali: i beati Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II.
Il progetto Adoption no Abortion, portato avanti dal Movimento per la Vita italiano e dal Comitato Civiltà dell’Amore, è stato presentato oggi presso gli stand di Fieramilanocity, nell’ambito del VII Incontro Mondiale delle Famiglie.
Nel 1997, poco prima di morire, Madre Teresa lanciò il suo appello all’adozione per impedire l’aborto, da lei considerato “il più grande distruttore della pace” e alla sua sollecitazione il Movimento per la vita rispose prontamente.
Adoption no abortion intende andare incontro sia alle migliaia di bambini senza famiglia in tutto il mondo, sia alle coppie – con o senza figli naturali – che desiderano adottare e, sovente, sono costrette ad arrendersi di fronte agli ostacoli posti dai tribunali dei minorenni, dagli eccessivi costi e dalla burocrazia inflessibile.
A questo scopo, una decina di anni fa è nato il Progetto Gemma, che consente l’adozione a distanza di nascituri: attraverso il sostegno economico alle madri in attesa, sono stati salvati 20.000 bambini e riunito 1.210 adottanti (tra cui 120 parrocchie).
In Italia il numero di aborti è drammaticamente alto (circa 120mila l’anno), tuttavia l’elemento di speranza è determinato dall’ancora più alto numero di famiglie disposte ad accogliere un bambino (circa 200mila).
L’adozione di un nascituro, salvandolo dall’aborto, non è affatto un atto scontato. Come ha spiegato a Zenit, Paola Mancini, segretaria generale del Movimento per la Vita, “ci sono madri che dicono: ‘preferisco abortirlo, piuttosto che darlo in adozione’ e ciò è frutto di una grossa ignoranza”.
Il Movimento per la Vita ha quindi lanciato SOS Vita, con la possibilità di chiamare il numero verde 800.813000. Quest’ultimo non è destinato ai coniugi che desiderano adottare bensì a tutte le persone di buona volontà, desiderose di aiutare una futura mamma in difficoltà, perché questa non si chiuda in se stessa e non opti per la tragica scelta dell’aborto.
Durante l’Incontro Mondiale delle Famiglie, il segretario nazionale del Comitato Civiltà dell’Amore, Giuseppe Rotunno, ha illustrato i progetti Adotta un papà nel Sud del mondo e Adotta una Mamma. In particolare il progetto Adotta un papà ricevette la benedizione di Giovanni Paolo II, al termine dell’Angelus del 18 marzo 2001.
L’iniziativa a tutela dei padri permette il pagamento dello stipendio ad un capofamiglia che potrà così sfamare la moglie e i figli, nel proprio paese, senza esporsi ai rischi dell’emigrazione clandestina.
Ad oggi sono stati “adottati” 1.079 papà, per un totale di 21.580 settimane di lavoro pagate nei seguenti paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Burkina Faso, Camerun, Colombia, Ciad, Costa d’Avorio, Ecuador, Filippine, Kenya, India, Mozambico, Repubblica democratica del Congo, Romania e Sudan.
“In molti di questi paesi – ha spiegato Rotunno a ZENIT – con uno stipendio di 100 euro si sfama un’intera famiglia. Il costo della vita è mediamente dieci volte inferiore al nostro”.
All’Incontro Mondiale delle Famiglie è stato poi presentato il progetto di cooperazione Adotta una Mamma, che parte dall’appello del Patriarca Copto, Antonios Naguib, per le prime 40 donne che vogliano impegnarsi per una nuova “primavera” di emancipazione femminile.
Secondo i dati più recenti a seguito della rivoluzione consumatasi a piazza Tahrir all’inizio del 2011, circa il 40% della popolazione egiziana vive sotto il livello di povertà. Moltissimi uomini hanno perso il lavoro e numerosi bambini e ragazzi sono stati costretti ad abbandonare la scuola, mentre la microcriminalità dilaga.
Questa situazione ha indotto il Comitato Civiltà dell’Amore ad aiutare le prime 40 famiglie ad uscire dalla crisi, non semplicemente attraverso un aiuto economico ma in maniera più profonda.
Per mezzo delle mogli e delle madri di famiglia, si intende aiutare anche i mariti, i padri e i figli. Alle donne saranno insegnati mestieri manuali che vanno da ricamo e cucito, alla lavorazione di altri materiali che, in seguito, potranno anche essere destinati alla vendita.
Un progetto, dunque, non solo con finalità sociale ma altamente formativo, nello spirito della giustizia e della pace tra i popoli.
Per il progetto Adotta una mamma è stato stanziato un fondo di 4.770 euro per 4 centri, con il contributo gratuito di numerosi volontari che terranno le conferenze e le azioni sociali.
I proventi delle vendite delle attività delle donne coinvolte, se sufficienti, saranno poi reinvestiti per un nuovo ciclo del progetto, con 40 nuove destinatarie.

LA « QUERCIA MILLENARIA » CHE GENERA VITA « Caring Perinatale »

http://www.zenit.org/article-30756?l=italian

LA « QUERCIA MILLENARIA » CHE GENERA VITA

Il 26 maggio al Gemelli di Roma verrà presentata la prima metodica di « Caring Perinatale » in Italia

di Massimo Losito
ROMA, lunedì, 21 maggio 2012 (ZENIT.org).- «Mi spiace ma in questi casi non c’è niente da fare, se non interrompere la gravidanza». Questa frase viene pronunciata molto frequentemente quando si è di fronte ad una diagnosi infausta durante la gestazione, fino al caso estremo del “feto terminale”, cioè incompatibile con la vita.
Eppure non è mai vero che non ci sia “nulla da fare”. Piuttosto c’è sempre molto da fare, dal punto di visto dell’assistenza medica, umana e spirituale. È quanto emerge dal lavoro serio svolto qui in Italia dall’associazione “La Quercia Millenaria ONLUS”, che presenterà la prima metodica di Caring Perinatale in Italia nel convegno « Il dono della cura, la cura del dono », sabato 26 maggio al Policlinico A. Gemelli di Roma.
ZENIT ne ha parlato con la fondatrice e presidente dell’associazione, Sabrina Pietrangeli Paluzzi.
Cosa racchiude una metodica di Caring Perinatale?
Sabrina Pietrangeli: La metodica racchiude tutta una serie di servizi, che non sono soltanto “tecnici e pratici”, ma conditi di un grande desiderio di aiutare i genitori a spezzare il dolore in tante parti, per portarne un pezzetto ciascuno. Si parte dall’affiancamento, subito dopo la diagnosi infausta, a famiglie che hanno già vissuto quel particolare e doloroso momento, alla programmazione di future ecografie, sempre da farsi con un operatore vicino per contenere l’ansia e sostenere i genitori. E poi l’accoglienza residenziale ove necessario, a titolo gratuito, fino a programmare un vero e proprio “piano nascita” per i bambini sicuramente terminali, dove i genitori possono esprimere tutti i loro desideri sulla gestione del travaglio, del parto, dei momenti da passare accanto al piccolo, fino al momento della morte e ai gesti di amore da fare anche dopo: vestirlo, tumularlo, conservare dei ricordi concreti come le foto, le impronte delle manine, una ciocca di capelli, o altro.
Si tratta dunque di qualcosa paragonabile al servizio che svolge un hospice per i malati terminali, ma qui il morente è un “nascente”: con poche ore di vita davanti… a molti sembrerà una vita senza senso.
Sabrina Pietrangeli: Il senso lo vedono i genitori che fanno una scelta di accoglienza, perché sono nutriti e sostenuti durante l’attesa e persino dopo la morte stessa del piccolo, grazie all’amore che realmente scorre tra la coppia e il bambino, che risponde agli stimoli e “partecipa” con tutta la sua famiglia ai suoi istanti di vita, sia intrauterina che terrena. I frutti si vedono nel tempo, e tutte le famiglie ne hanno raccontati molti. Dal nostro punto di vista, e con l’esperienza maturata, non potremmo mai dire che sono “vite senza senso”.
Dalle storie che avete raccolto nei vostri libri e sul vostro sito, si evince che non sempre la diagnosi infausta si traduce in realtà.
Sabrina Pietrangeli: Sono le storie più belle, quelle in cui un bambino riesce a sorprendere la scienza, anche quando è una scienza ben fatta. Sono episodi non prevedibili, ma non per questo trascurabili, anzi… Bisogna sempre dare una possibilità alla vita, perché la vita sa ancora sorprendere.
La “Quercia” ha rami in molte strutture ospedaliere in tutta Italia, ma sicuramente le radici per così dire qui a Roma: dopo anni di lavoro in collaborazione con gli specialisti del Policlinico Gemelli, cosa rappresenta questo convegno per voi?
Sabrina Pietrangeli: Rappresenta il coronamento di sette anni di lavoro in cui davvero persone concrete hanno perso la propria vita e messo nel progetto tutte le loro capacità e le abilità personali, nonché una enorme quantità di tempo, sacrificando spesso anche i propri interessi familiari.
Sono stati anni in cui è maturata la consapevolezza di quale buco istituzionale e assistenziale andavamo a coprire, e si sono messe in opera tutte le energie per rappresentare l’eccellenza nel campo. Eccellenza che si sposa con quella del Policlinico Gemelli, lì dove la Quercia Millenaria ha preso vita grazie alla nostra storia familiare con il nostro terzo figlio, “ex feto terminale”!
La vostra linfa però sembra scorrere dall’alto verso il basso, da quella che chiamate “la quercia celeste”…
Sabrina Pietrangeli: I “figli della Quercia” che sono in cielo sono per noi grande motivo di stupore e riflessione, perché li sentiamo vivi più che mai. Siamo sicuri che da lassù si diano un gran da fare per garantire benedizioni non solo alle loro famiglie, ma a tutti coloro che collaborano per far sì che quelle piccole vite, “le pietre scartate dai costruttori”, non vengano più uccise ma accolte con l’amore dovuto!

NON È L’ETÀ CHE CI RENDE PERSONE

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NON È L’ETÀ CHE CI RENDE PERSONE

I bambini hanno maggiore capacità di sopravvivenza ma vengono considerati meno importanti

di Carlo Bellieni
membro della Pontificia Accademia pro Vita, Segretario del Comitato di Bioetica della Società Italiana di Pediatria
ROMA, venerdì, 2 marzo 2012 (ZENIT.org) – Leggiamo sul Journal of Medical Ethics che due studiosi italiani dall’Australia propongono “l’aborto dopo la nascita”, cioè l’uccisione del neonato nei casi in cui è permesso l’aborto. Certo, qui si parla di un intervento attivo per provocare la morte, ma non ci stupisce poi così tanto, perché nei fatti, quando si parla di decisioni di vita o morte, il neonato viene già trattato in molti Paesi (per ora non in Italia) con criteri etici diversi dai criteri con cui si considera l’opportunità di offrire cure ad un adulto, anche se l’intervento attivo è fortunatamente escluso.
I criteri differenti consistono nel sospendere le cure su una base probabilistica di morte (o  di malattia futura) legati all’età concezionale cioè al tempo passato dal concepimento (o al massimo su indicazioni prenatali) e non sulla base di una serie di accertamenti approfonditi da effettuare dopo la nascita per avere la certezza di una prognosi infausta, e sul tenere in particolar conto il parere dei genitori che secondo vari studi pesa molto sulla decisione di soccorrere attivamente o meno il bambino.
Detto questo, è chiaro che c’è un limite all’intervento, legato allo sviluppo del bambino, che sotto una certa età non sopravvive e legato al verificare che le cure si mostrano inefficaci. Ma è bene sapere che le stime di sopravvivenza fatte in base all’età dal concepimento non ci dicono se “quel” bambino sarà tra coloro che possono farcela, e che in realtà al momento della nascita non abbiamo nessuno strumento certo per poterlo dire.
Sono appena uscite le linee-guida dei medici svizzeri per la rianimazione dei neonati: cosa fare con quelli che sono così piccoli da essere a rischio di non farcela, o di avere severi handicap? Le linee-guida pubblicate sullo Swiss Medical Weekly, così sintetizzano: se il bimbo nasce fino 22 settimane e 6 giorni dal concepimento, si danno solo cure palliative; poi, fino a 23 settimane e 6 giorni, “generalmente cure palliative”; quindi, fino a 24 settimane e 6 giorni, “la costellazione individuale di fattori prognostici prenatali aggiuntivi può essere utile nel processo decisionale con i genitori”.  A 25 settimane, in genere si prevede la terapia intensiva, tranne che nei casi in cui “i dati prenatali siano sfavorevoli e i genitori siano d’accordo”.
In queste linee-guida vediamo come si dia un peso importante al parere dei genitori ma soprattutto che si danno cure palliative a bambini che la letteratura scientifica mostra avere possibilità di farcela. Infatti a dicembre è uscito sul Journal of the American Medical Association (a cura del Human Development Neonatal Research Network) uno studio sulla reale sopravvivenza dei neonati di 22-25 settimane (quelli di cui sopra).
A differenza di studi precedenti, questa ricerca fatta su oltre 10.000 bambini, toglie dal computo dei dati di sopravvivenza quelli degli ospedali che “a prescindere” non assistono in maniera attiva i piccolissimi, e inseriti insieme agli altri alterano le statistiche (se un ospedale che rianima tutti ha una sopravvivenza del 30%, messo insieme a 10 ospedali che quei bambini non li rianimano, finisce che la sopravvivenza media crolla quasi a zero!).
E i dati USA sono questi: sopravvivenza a 22 settimane: 27,1%; a 23 settimane: 41,8%, a 24 settimane: 60,4%: vi sembrano dati di sopravvivenza nulla o bassissima? Quanti adulti dopo un ictus o un infarto vorrebbero una prognosi di questo tipo! E nessuno pensa (finora) di non soccorrere chi ha un infarto (o di soccorrerlo discutendone prima con i parenti).
Si noti bene che anche le percentuali di bambini che sopravvivono con malattie gravi, per quanto presenti, non sono così disastrose, a quanto emerge dallo studio (e comunque il fatto che un bambino ha un handicap non deve essere mai motivo di sospendergli le cure).
Invitiamo a questo proposito tutti i medici a considerare questi dati, in particolare i medici cattolici: se la possibilità di vita è zero, le cure sono accanimento indebito, ma quando la possibilità di farcela è non più una chimera, come abbandonare il neonato senza un tentativo di salvarlo?
Paradossalmente – anche non considerando quanto detto finora – possiamo dire che stupisce il nostro stupore e indignazione per una richiesta che quantitativamente aumenta i limiti dell’aborto, come se eliminare una vita innocente dopo la nascita fosse più grave che eliminarla prima che nasca.
Semmai sono da considerare bene i dati della sopravvivenza dei prematuri, ben diversi da quanto avveniva 30 anni fa, perché proprio sulla possibilità di sopravvivere si basa per la legge 194 il limite massimo per abortire (art 6 e 7).
Comunque, non è la rianimazione alla nascita l’unico campo in cui il bambino neonato viene trattato talora con criteri diversi da come viene trattato un adulto. Basti pensare al trattamento del dolore e al diritto al benessere in ospedale, argomenti su cui abbiamo di recente pubblicato diversi lavori.
Così come ha fatto la neonatologa canadese Annie Janvier, che in uno dei suoi studi sul diverso trattamento del neonato rispetto al bambino più grande conclude: “I neonati e in particolare i prematuri sono sistematicamente svalorizzati in confronto a pazienti più grandi che hanno una prognosi uguale o anche peggiore”. Chiediamo solo questo: che per ogni essere umano si usi lo stesso criterio, perché in sostanza, non è l’età che ci rende “persone”.

« L’amore cambia tutte le cose »: Storie di vita e di maternità tra nascite e interruzione della gravidanza

dal sito:

http://www.zenit.org/article-27440?l=italian

“L’AMORE CAMBIA TUTTE LE COSE”

Storie di vita e di maternità tra nascite e interruzione della gravidanza

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 18 luglio 2011 (ZENIT.org).- Dieci storie vere di mamme che si dibattono se accettare la gravidanza o interromperla, raccontate in un libro.
Si tratta del saggio “L’amore cambia tutte le cose” scritto da Antonella Diegoli, presidente di Federvita dell’Emilia Romagna, e appena pubblicato dalle edizioni Interlinea
Arricchito dalle note di Gianni Mussini ed Eugenia Roccella, il ricavato dei diritti d’autore del libro della Diegoli verrà devoluto al Progetto Gemma (
http://www.mpv.org/pls/mpv/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=44), un servizio per l’adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà.
Attraverso questo servizio e con un contributo minimo mensile, si può adottare per 18 mesi una mamma e aiutare così il suo bambino a nascere.
Finora il progetto Progetto Gemma ha aiutato a nascere circa 14.000 tra bambini e bambine.
Per meglio conoscere il contenuto e le finalità del libro, ZENIT ha intervistato l’autrice Antonella Diegoli.
Di che cosa parla il libro?
Diegoli: Parla di maternità, accolta o negata. Storie di donne che hanno in comune l’esperienza del portare la vita in grembo, storie difficili, non tutte a lieto fine, ma reali.
Perchè ha sentito la necessità di scriverlo?
Diegoli: In questi anni di volontariato per la vita ho conosciuto persone e incontrato storie che davano valore al mio impegno per il solo fatto di esistere: loro erano reali, appartenevano alla vita vera e io ne traevo vantaggio perché mi trovavo a parlarne, magari a convegni o in altri colloqui per situazioni simili. Quando la mia vita ha subito una pausa forzata – a causa di un banale incidente sugli sci – ho avuto il tempo di scrivere di loro, una sorta di tributo a quel mondo fatto di dolore ma anche di mistero e di gioia profonda.
Che cosa pensa di comunicare ai lettori?
Diegoli: Vorrei che questo piccolo libro potesse servire ad avvicinare al tema della maternità con cuore sincero, senza ideologia, senza ipocrisia: potersi porre tutti, uomini e donne, con verità e silenziosa partecipazione, davanti al mistero più grande del quale tutti siamo parte. Dice Simone Weil nel suo libro “L’ombra e la grazia” : La meditazione sul caso che ha fatto incontrare mio padre e mia madre è ancor più salutare di quella sulla morte. C’è forse una sola cosa in me che non abbia la sua origine in quell’incontro? Solo Iddio. E anche la mia idea di Dio ha origine in quell’incontro. E poi vorrei che potesse servire ai giovani e alle ragazze nel loro cammino di vita, che agisse come una sorta di input alla riflessione, caso di necessità.
Quale dei dieci frammenti di storie che racconta considera più significativo e perchè?
Diegoli: Certamente il primo perché c’è racchiusa la storia di un’amica carissima che è arrivata a distruggere se stessa, spinta da un aborto. Glielo dovevo: parlare di lei per aiutare le altre donne a non arrivare a quel dolore. Scritto quello, poi sono arrivata a tutti gli altri.
La Camera dei Deputati ha appena votato la legge contro l’eutanasia. Qual è il suo parere in proposito?
Diegoli: Ho sofferto quando è morta Eluana. Ho assistito mia madre l’ultima settimana della sua vita e so cosa significa vedere una persona soffrire la fame e la sete. Credo che giustizia sia fatta, credo che finalmente i nostri politici abbiano trovato il coraggio di alzarsi in piedi, come Giovanni Paolo II ci chiese di fare ogni volta che la vita è minacciata:
Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata…
Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita.
Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l’autorità di distruggere la vita non nata…
(…) Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

Con un po’ di zucchero la pillola va giù…

dal sito:

http://www.zenit.org/article-24876?l=italian

Con un po’ di zucchero la pillola va giù…

di Paul De Maeyer

ROMA, giovedì, 9 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Un po’ di chimica non guasta mai. O almeno sembra. Secondo un sondaggio basato su un campione di 350 ginecologi italiani e presentato in occasione dell’86° Congresso nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), la pillola anticoncezionale avrebbe infatti un effetto benefico sulla salute delle donne, anzi sarebbe secondo l’agenzia AGI (15 novembre) “un vero alleato di salute per la donna”. Di questo è convinto ben il 73% degli intervistati. Le donne che consumano la pillola badano infatti molto allo stile di vita, in particolare per quanto riguarda il fumo (l’89%), l’attività fisica (il 67%) e i chili superflui (il 56%). Meglio ancora, il 71% degli intervistati ritiene che la pillola – consumata attualmente da circa 2,5 milioni di italiane – migliora persino la fertilità delle donne.
Francamente, l’inchiesta lascia qualche perplessità. Si tratta infatti solo di un sondaggio, condotto per via telefonica fra ottobre e novembre di quest’anno, e dunque l’analisi delle risposte è stata effettuata in tempi record. Inoltre, non si riesce ad intuire il legame causale fra l’uso della molecola e la buona salute delle donne. Il sondaggio offre piuttosto un profilo delle donne che consumano la pillola e nient’altro. L’impressione è che si tratta di una sorta di pubblicità per la prima pillola detta “naturale”, Klaira, da settembre disponibile nelle farmacie italiane. La nuova molecola è la prima a base di estrogeno naturale, l’estradiolo, un prodotto che secondo Franca Fruzzetti, ginecologa della clinica universitaria dell’Ospedale S. Chiara di Pisa, “apre nuovi orizzonti per tutte le donne in età fertile”. A riferire le sue parole è sempre l’agenzia AGI.
Ciò che è chiaro è che l’esito del sondaggio ignora tutta una serie di studi o pareri negativi sull’uso della pillola. Proprio lunedì 15 novembre il sito MercatorNet ha pubblicato un articolo di Cristina Alarcon, bioeticista e farmacista a Vancouver, in Canada, che con parole chiare e nette denuncia il silenzio attorno all’inquinamento provocato dalla pillola, non solo ambientale ma anche nel corpo delle donne. Secondo la Alarcon, che scrive anche per il quotidiano canadese The National Post, si tratta di un vero e proprio “blind spot” o punto cieco. Già il 15 gennaio scorso lo stesso sito aveva pubblicato un articolo di Robert F. Conkling, medico di base nella Virginia (USA) e cofondatore del FertilityCare nella regione capitolina di Washington DC, che si soffermava sia sull’inquinamento ambientale causato dalla pillola sia sui rischi per la salute legati al consumo della molecola, come il rischio aumentato di sviluppare tumori al seno, malattie sessualmente trasmissibili (MST o STD in acronimo inglese) o depressione. Per sostenere la sua tesi, Conkling ha portato tre studi di altrettanti enti o organismi statunitensi: la Potomac Conservancy, la US Preventive Services Task Force e i Centers for Disease Control (CDC).
Infatti, non mancano gli studi scientifici che mettono in guardia sul rischio di tumori nelle donne che utilizzano la pillola o simili. Una ricerca britannica, pubblicata sulla rivista medica The Lancet e menzionata dal sito HealthScoutNews (3 aprile del 2003), conferma che la pillola contraccettiva aumenta l’insorgenza di tumori all’utero. Secondo la ricerca, il rischio sarebbe direttamente legato alla durata del consumo dell’anticoncezionale ormonale. A ricordare il pericolo di tumori mammari è invece uno studio norvegese, basato sui dati di più di 96.000 donne fra i 30 e i 70 anni, e seguiti per un periodo di otto anni (Telegraph, 19 maggio 2003). Nel 2005, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ha inserito infatti la molecola nel suo elenco di agenti cancerogeni (National Post, del 02 maggio 2007). Ad ammettere implicitamente il rischio è stata la stessa Food and Drug Administration (FDA). Quando nel novembre 2001 ha dato il via libera al “patch” o cerotto anticoncezionale Ortho-Evra, l’organismo ha ricordato che non va mai applicato sul seno (Associated Press, 21 novembre 2001). L’avvertimento non è mai stato revocato. Basta consultare il sito italiano Farmaco e Cura. “Mai sul seno” (persino sottolineato!), così si legge ancora oggi nella sua pagina dedicata al cerotto in questione.
Un altro pericolo che pesa sulla salute delle donne che prendono la pillola è il rischio di trombi o grumi di sangue. Secondo uno studio menzionato dal Telegraph (20 luglio 2001) e realizzato da ricercatori dell’Università di Utrecht, Olanda, il pericolo sarebbe molto accentuato in donne che prendono la pillola anticoncezionale della terza generazione: quasi il doppio rispetto alla pillola delle prime generazioni (1,7 volte). Micidiale sarebbe proprio il cerotto anticoncezionale Ortho Evra. Secondo un rapporto dell’agenzia americana per il controllo sui farmaci, cioè la FDA, il rischio di morire o di avere una trombosi causata dall’anticoncezionale è tre volte più elevato rispetto alla classica pillola (Associated Press, 17 luglio 2005). Infatti, lo stesso organismo ha lanciato nel novembre 2005 un avvertimento sul livello degli ormoni rilasciati dal “patch” (idem, 11 novembre 2005).
L’elenco dei pesanti effetti secondari o collaterali della pillola (nelle sue varie forme) non finisce qui. Secondo uno studio spagnolo, pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility e menzionato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (23 giugno 2005), nelle donne che prima della gravidanza hanno preso la molecola per almeno due anni il rischio di presentare un aborto spontaneo sarebbe 2,5 volte più alto rispetto alle donne che non l’hanno usata.
Chi osanna la pillola (e simili) o vanta i suoi benefici non deve dimenticare inoltre un’altra dura verità: la sostanza uccide. In vari paesi del mondo, fra cui Nuova Zelanda (la sedicenne Stacey Brindle), Svizzera o Austria, la morte di giovani donne viene messa in relazione con l’assunzione della molecola. Secondo un’inchiesta della Thüringer Allgemeine Zeitung, la pillola di quarta generazione Yasmin avrebbe provocato in Germania almeno sette vittime (Der Standard, del 27.07.2009).
Forse le donne menzionate nel sondaggio della SIGO sarebbero ancora più sane se non avessero preso la pillola. Chissà. Sarebbe auspicabile che le autorità applicassero il famoso “principio di precauzione” quando si tratta della pillola, ma per un motivo o l’altro non lo fanno o non vogliono farlo. “Se gli inquinanti estrogenici non vanno bene per roditori o pesci, perché le donne devono consumarli?”, così chiede giustamente la Alarcon.

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