Archive pour la catégorie 'PECCATI (I)'

6. ACCIDIA: LA TENTAZIONE DI CEDERE ALLO SCORAGGIAMENTO

http://www.novena.it/peccato/6.htm

I «sette peccati capitali»:

6. ACCIDIA: LA TENTAZIONE DI CEDERE ALLO SCORAGGIAMENTO

di Stefano Grossi *

Accidia. Questa parola è probabilmente poco familiare alla maggior parte della cultura moderna, non così l’esperienza che descrive e sintetizza: il desiderio, accompagnato da una certa tristezza, di fuggire dal compito che in quel preciso momento siamo chiamati a svolgere. Ricordo una simpatica mattonella che, riportando il decalogo del pigro, al primo articolo recitava: «non fare oggi ciò che potresti fare domani» e «se ti viene voglia di fare qualcosa, fermati! Vedrai che ti passa». Ecco una semplice, anche se parziale, immagine dell’accidia.

Questo termine non proviene tanto dalla tradizione biblica quanto da quella monastica dei primi secoli del cristianesimo – tra i più importanti ricordo: Giovanni Cassiano ed Evagrio Pontico – per poi arricchirsi nelle successive riflessioni teologiche. Tuttavia anche se «accidia» non compare nella Scrittura non mancano riferimenti a questa difficoltà interiore; basti citare il Siracide: «Non abbandonarti alla tristezza, non tormentarti con i tuoi pensieri» (30,31) o anche s. Paolo che parla di una «tristezza secondo il mondo» che conduce alla morte (2Cor 7,10).

L’accidia appare prima di tutto come uno stato d’animo negativo intessuto di scoraggiamento, di noia, di pesantezza, in questo manifestarsi però essa non è ancora peccato, ma solo tentazione. Peccato vero e proprio è cedere a questo sentimento e fuggire, fisicamente o con la mente, dall’attività intrapresa o che si dovrebbe intraprendere di lì a poco. L’accidia dice la difficoltà di fare oggetto del nostro pensiero e della nostra volontà un bene che non è ancora presente; è un segno del conflitto che può nascere in noi per dover scegliere tra cercare una soddisfazione materiale immediata, pur piccola, e impegnarsi per raggiungerne una più grande, spirituale, ma posta nel futuro.

Sentimento per sua natura oscuro, confuso, sfuggente, l’accidia è capace di molteplici manifestazioni talvolta opposte nella loro apparenza, ma unite da una medesima radice: l’annebbiamento della gerarchia del valore delle diverse situazioni, per cui tutto sembra farsi grigio ed omogeneo. Da un lato, infatti, troviamo gli atteggiamenti caratterizzati dal rimandare scelte e azioni; dallo sminuire l’importanza dei compiti affidatici; dallo svalutare l’urgenza di affrontare le situazioni che ci si presentano; dal non prendere sul serio responsabilità e doveri; dalla leggerezza e superficialità nell’operare che non fa differenza tra il portare a compimento qualcosa o lasciarla a mezzo. Dall’altro lato – con un aspetto meno evidente da collegare all’accidia – stanno gli atteggiamenti opposti: l’attivismo che vuole riempire ogni momento del tempo con qualcosa per paura di doversi fermare a riflettere; la frenesia del consumare novità di ogni genere con la scusa che più esperienze si fanno – non importa quali – più la vita si arricchisce; il dilettantismo del passare da continuamente da un impegno all’altro per timore di coinvolgersi troppo con persone e situazioni; l’irrequietezza di cambiare sbandierando la pretesa di inseguire un mai precisato «meglio». In modo più sottile e ipocrita, perché si ammantano di dinamicità e apertura, anche questi ultimi in fondo dicono che non esiste nulla di realmente importante a parte se stessi e le proprie sensazioni, che nulla e nessuno è in se stesso degno di fedeltà, sacrificio e dedizione.

Accanto a queste forme individuali, il card. Martini, appena prima di iniziare il Giubileo, in un discorso nella vigilia di s. Ambrogio centrava l’attenzione sulla manifestazione sociale di questo male oscuro. Esiste anche una «accidia pubblica o politica» fatta di esaltazione della moderazione come mediocrità e di chi se ne fa ad ogni livello unico portabandiera; di una piatta neutralità; di un’incapacità timida e impaurita, ma elevata a virtù, di valutare oggettivamente ed eticamente le situazioni; di incapacità di proporre qualcosa di diverso da una convivenza fiacca, opaca, frammentata, che genera una società senza forma e tuttavia, attraverso l’adulazione dei media, capace di addormentare le coscienze dei singoli e dei gruppi.
Contro un nemico così sfuggente e multiforme, quasi fatto d’ombra, la tradizione spirituale cristiana individua le armi più efficaci nella resistenza e nella costanza amorosa – per dirla in una parola nella virtù della fortezza, dono dello Spirito Santo – applicate a tutti gli atti dell’esistenza: da quelli spirituali a quelli materiali.

Diviene così fondamentale imparare a mantenersi vigili e coscienti del presente; imporsi metodo e disciplina nelle azioni; esercitare con costanza ed esigenza la veracità verso se stessi e gli altri; vivere la speranza attiva e paziente del costruire giorno per giorno. Infine, visto che l’accidia pretende di prendersi troppo sul serio e ingigantisce l’importanza della propria tristezza, ottimo antidoto è una buona dose di autoironia che con una risata sappia farci riportare le cose che ci coinvolgono alla loro giusta proporzione.

Don Stefano Grossi, docente di filosofia alla Facolta Teologica dell’Italia Centrale, vi tiene corsi di antropologia e di etica. Tratto da: Toscana Oggi

 

Publié dans:PECCATI (I) |on 8 septembre, 2015 |Pas de commentaires »

ACCIDIA E FEDELTA’ / 1

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Celebrazioni/04-05/11-Accidia_e_Fedelta.html

ACCIDIA E FEDELTA’ / 1

Il vizio capitale dell’accidia
L’accidia è il vizio capitale che attacca in modo subdolo la vita del cristiano. Il credente, infatti, poco alla volta, incomincia ad infastidirsi della sua fede, lascia la preghiera, va raramente a Messa, non legge mai la Bibbia, non s’interessa del suo prossimo, pensa solo a se stesso e così Dio rischia di essere messo da parte.

La pigrizia spirituale, l’indolenza, la svogliatezza si sono alleate insieme sì da impadronirsi sia dell’intelligenza che della volontà.
Costoro si comportano come quelle persone che per mantenere la linea e apparire quali manichini perfetti, alla moda, non vogliono più mangiare. Il cibo dà loro fastidio. E così, come esiste l’inappetenza fisica esiste anche quella spirituale che è appunto l’accidia.
Purtroppo ci sono tanti cristiani all’acqua di rosae. Non sono né carne né pesce, eppure si proclamano cristiani. Per costoro la Bibbia riserva una frase che ci deve far riflettere: “Conosco le tue opere, tu non sei né freddo né caldo. Ma poiché tu sei tiepido sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,15-16). È proprio il mitissimo nostro Salvatore Gesù che ci apostrofa con queste parole. Tutti, purtroppo, chi più chi meno, veniamo attirati dalla pigrizia, ci adagiamo comodamente, con mille scuse, sull’inerzia spirituale e così trascuriamo gli insegnamenti di Gesù, accontentandoci del dolce far niente spirituale.
L’accidia è una parola che viene dal greco e vuol dire negligenza, indifferenza. Nella Chiesa cattolica il vizio capitale dell’accidia consiste nella negligenza dell’esercizio delle virtù cristiane e in generale, nelle attività dello spirito che dovrebbero tendere alla santificazione dell’anima. Altre sfaccettature dell’accidia sono: indolenza, pigrizia, svogliatezza, inerzia, ignavia. San Tommaso ci dice che si tratta di tedio e persino di tristezza di un bene spirituale. Purtroppo a motivo di tristezza, tedio, avvilimento, alcuni fanno tante cose sbagliate, che poi ci fanno piangere per tutta la vita, come capitò all’apostolo Pietro quando, in quella notte, tutto scoraggiato, vide il suo Maestro catturato, condannato, sconfitto, si comportò da vigliacco e lo rinnegò.
Davvero l’accidia è capace di addormentarci, di spingerci a non renderci conto di ciò che sta succedendo nella nostra vita spirituale. Non si tratta di una semplice trascuratezza di qualche cosa di veniale, ma può portare, se uno non è vigilante, a diventare incapaci di volere e di operare per la deplorevole mancanza di forza morale. Quando uno si getta in balia di dubbi, di esempi per nulla cristiani, di discorsi che distruggono ogni valore, diventa un pusillanime privo di forza d’animo, un vile incapace di testimoniare la sua fede, un vigliacco senza coraggio pronto a rinnegare la sua fede e cambiare anche religione.

Adamo ed Eva si lasciano tentare dal serpente
Quando uno rifiuta di stare con Dio, di obbedirlo e amarlo, è chiaro che va incontro a qualche cosa di brutto. Un dramma che hanno vissuto i nostri progenitori e che vivono coloro che hanno deciso di rompere i ponti con l’Altissimo. Il serpente antico, geloso, li spinse a dubitare della Parola di Dio, come narra il racconto della Genesi.

Il serpente disse alla donna:
– “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare il frutto di nessun albero del giardino?”.
– “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”.
– “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”.
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei (cf Genesi 3).

Preghiamo con il Salmo 9

Rit.: Abbi pietà di me, Signore.

Signore, tu sei mio rifugio e mio riparo,
nel tempo dell’angoscia e dell’oppressione.
Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché tu non abbandoni chi ti cerca. Rit.

Cantate inni al Signore, che abita in Sion,
Tu vedi la mia miseria, Signore,
strappami dalle soglie della morte,
perché possa annunziare le tue lodi,
esultare per la tua salvezza. Rit.

I popoli sprofondano nella fossa
che si sono scavata,
e nella rete che hanno teso
s’impiglia il loro piede. Rit.

Come possiamo definire l’accidia

La definizione del vizio capitale dell’accidia è: la negligenza nell’esercizio delle virtù cristiane e nell’attività spirituale tendente alla santificazione dell’anima. Si tratta quindi di pigrizia, di inerzia circa le cose che riguardano Dio e precisamente i suoi comandamenti, la sua volontà santissima per la salvezza degli uomini. Se non stiamo attenti, se non ci sforziamo di camminare per il retto sentiero tracciato dalla Parola di Dio, se non seguiamo con coraggio il nostro unico salvatore Gesù Cristo, rischiamo tutti di cadere nell’indifferenza, nella pigrizia spirituale, fino al punto di negare Dio e di far prevalere nella nostra vita il nostro “io”.
Anche i cedri del Libano, così maestosi e forti, possono cadere al suolo, come avvenne al re Salomone.

L’esempio del Re Salomone

Dio diede a Salomone “sapienza e intelligenza come nessuno ha mai avuto e mai potrà avere” (1 Re 3,12).
Ebbene, mentre il Signore aveva proibito agli Israeliti matrimoni con gente pagana perché li avrebbero spinti ad adorare altri dèi. Il re Salomone trasgredì questo comando unendosi a donne pagane e accettò di prostrarsi davanti alle molte divinità che ogni donna adorava (1 Re 11,1-13). Egli stesso fece costruire santuari in onore di dèi abominevoli. Salomone si era stancato del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, forse era arrivato al punto di credersi veramente sapiente, il più sapiente di tutti, tanto da stabilire per se stesso ciò che era bene o male.

Preghiamo con il Salmo 93

Rit.: Tu sei giusto, Signore, e vedi ogni cuore.

Dio che fai giustizia, o Signore,
Dio che fai giustizia: mostrati!
Alzati, giudice della terra,
rendi la ricompensa ai superbi. Rit.

Fino a quando gli empi, Signore,
fino a quando gli empi trionferanno?
Sparleranno, diranno insolenze,
si vanteranno tutti i malfattori? Rit.

Dicono: “Il Signore non vede,
il Dio di Giacobbe non se ne cura”.
Comprendete, insensati tra il popolo,
stolti, quando diventerete saggi? Rit.

Don Timoteo Munari SDB

 

Publié dans:PECCATI (I) |on 16 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

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