LA PATRISTICA DEI PRIMI DUE SECOLI
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LA PATRISTICA DEI PRIMI DUE SECOLI
(metto solo la prima parte)
Padri apologisti danno il via all’attività filosofica cristiana con testi scritti in difesa della loro fede contro i persecutori. Marciano Aristide si rivolge all’imperatore Antonino Pio con un’apologia in difesa del cristianesimo.
Carattere della patristica Quando il cristianesimo, per difendersi dagli attacchi polemici e dalle persecuzioni, nonché per garantire la propria unità contro sbandamenti ed errori, dovette venire in chiaro dei propri presupposti teoretici e organizzarsi in un sistema di dottrine, si presentò come l’espressione compiuta e definitiva della verità che la filosofia greca aveva cercata, ma solo imperfettamente e parzialmente raggiunta. Una volta postosi sul terreno della filosofia, il cristianesimo tenne ad affermare la propria continuità con la filosofia greca ed a porsi come l’ultima e più compiuta manifestazione di essa. Giustificò questa continuità con l’unità della ragione (logos), che Dio ha creata identica in tutti gli uomini di tutti i tempi e alla quale la rivelazione cristiana ha dato l’ultimo e più sicuro fondamento; e con ciò affermò implicitamente l’unità della filosofia e della religione. Quest’unità non è un problema, per gli scrittori cristiani dei primi secoli: è piuttosto un dato o un presupposto, che guida e sorregge tutta la loro ricerca. E anche quando stabiliscono un’antitesi polemica tra dottrina pagana e cristiana (come è nel caso di Taziano), questa antitesi è posta sul terreno comune della filosofia e presuppone quindi la continuità tra cristianesimo e filosofia. Era naturale, da questo punto di vista, che si tentasse da un lato di interpretare il cristianesimo mediante concetti desunti dalla filosofia greca e così di riportarlo a tale filosofia, dall’altro di ricondurre il significato di quest’ultima allo stesso cristianesimo. Questo duplice tentativo, che in realtà è uno solo, costituisce l’essenza dell’elaborazione dottrinale che il cristianesimo subì nei primi secoli dell’èra volgare. In questa stessa elaborazione i Padri della Chiesa furono frequentemente aiutati e ispirati, com’era inevitabile, dalle dottrine delle grandi scuole filosofiche pagane; e specialmente dagli Stoici essi attinsero molte delle loro ispirazioni, spingendosi talora (come accadde a Tertulliano) sino ad accettare tesi apparentemente incompatibili con il cristianesimo, come quella della corporeità di Dio. Il periodo di questa elaborazione dottrinale è la patristica. Padri della Chiesa sono gli scrittori cristiani dell’antichità, che hanno contribuito alla elaborazione dottrinale del cristianesimo e la cui opera è stata accettata e fatta propria dalla Chiesa. Il periodo dei Padri della Chiesa si può considerare chiuso con la morte di Giovanni Damasceno per la Chiesa greca (754 circa) e con quella di Beda il Venerabile (735) per la Chiesa latina. Questo periodo può essere distinto in tre parti. La prima, che va sino al 200 circa, è dedicata alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari pagani e gnostici. La seconda, che va dal 200 sino al 450 circa, è dedicata alla formulazione dottrinale delle credenze cristiane. L’ultima, che va dal 450 sino alla fine della patristica, è contrassegnata dalla rielaborazione e sistemazione delle dottrine già formulate.
I Padri apologisti I PADRI APOSTOLICI del I secolo sono gli autori di Lettere che illustrano singoli punti della dottrina cristiana e regolano questioni di ordine pratico e religioso. Essi sono: l’autore della cosìddetta Lettera di Barnaba, Clemente Romano, Erma, Ignazio d’Antiochia e Policarpo. Ma questi scrittori ancora non affrontano problemi filosofici. La vera attività filosofica cristiana comincia con i PADRI APOLOGISTI nel II secolo. Questi Padri scrivono in difesa (apologia) del cristianesimo contro gli attacchi e le persecuzioni che gli vengono mossi. In questo periodo «i cristiani sono osteggiati dagli ebrei come stranieri e sono perseguitati dai pagani» (Epist. ad Diogn., 5, 17). Scrittori pagani adoperano contro il cristianesimo la satira e il dileggio (Luciano, Celso). I cristiani sono fatti oggetto all’odio delle plebi pagane e alle persecuzioni sistematiche dello stato. Da queste condizioni di fatto nascono le apologie. La più antica di cui si abbia notizia è la difesa presentata all’imperatore Adriano intorno al 124, in occasione di una persecuzione dei cristiani, da QUADRATO, discepolo degli apostoli. Di essa abbiamo solo un frammento, conservatoci da Eusebio (Hist. eccles , IV, 3, 2). Lapologia del filosofo MARCIANO ARISTIDE è stata ritrovata nel 1878 ed è diretta all’imperatore Antonino Pio (138-61). In essa si afferma già esplicitamente il principio che soltanto il cristianesimo è la vera filosofia. Difatti, solo i cristiani hanno quel concetto di Dio che deriva necessariamente dalla considerazione della natura. Concetti platonici vengono utilizzati in questa dimostrazione. L’ordine del mondo, quale appare nei cieli e sulla terra, fa pensare che tutto sia mosso con necessità e che Dio sia colui che muove e governa tutto. Aristide insiste sull’irraggiungibilità e l’ineffabilità dell’essenza divina, per contrapporre il monoteismo rigoroso del cristianesimo alle credenze dei barbari, che hanno adorato elementi materiali, dei Greci che hanno attribuito ai loro dèi debolezze e passioni umane, e dei Giudei, che pur ammettendo un solo Dio, servono piuttosto gli angeli che Lui. Ma la prima grande figura di Padre apologista e il vero fondatore della patristica è Giustino.
Giustino
GIUSTINO nacque, probabilmente, nel primo decennio del secolo II a Flavia Neapolis, l’antica Sichem, ora Nablus in Palestina. Egli stesso ci descrive la sua formazione spirituale. Figlio di genitori pagani, frequentò i rappresentanti delle varie scuole filosofiche, Stoici, Peripatetici e Pitagorici, e professò a lungo le dottrine dei Platonici. Finalmente, trovò nel cristianesimo ciò che cercava e da allora con la parola e con gli scritti Io difese, come l’unica vera filosofia. Visse a Roma molto tempo e vi fondò una scuola; e a Roma subì il martirio tra il 163 e il 167. Delle opere che ci rimangono solo tre sono sicuramente autentiche: il Dialogo con Trifone giudeo e due Apologie. La prima e più importante di queste è diretta all’imperatore Antonino Pio e deve essere stata composta negli anni 150-55. La seconda, che è un supplemento o un’appendice della prima, fu occasionata dalla condanna di tre cristiani, rei soltanto di professarsi tali. Il Dialogo con Trifone giudeo riferisce una disputa che ebbe luogo ad Efeso tra Giustino e Trifone ed è diretto sostanzialmente a dimostrare che la predicazione di Cristo realizza e completa l’insegnamento del Vecchio Testamento. La dottrina fondamentale di Giustino è che il cristianesimo è «la sola filosofia sicura ed utile» (Dial., 8) e che esso è il risultato ultimo e definitivo al quale la ragione deve giungere nella sua ricerca. Giacché la ragione non è che il Verbo di Dio, cioè il Cristo, del quale partecipa tutto il genere umano. «Noi imparammo – egli dice (Apol. prima, 46) – che il Cristo è il primogenito di Dio e che è la ragione, della quale partecipa tutto il genere umano. E coloro che vissero secondo ragione sono cristiani, anche se furono creduti atei; come fra i Greci Socrate, Eraclito e altri come loro; e tra i barbari, Abramo e Anania e Azaria e Misael ed Elia. Sicché anche quelli che nacquero prima e vissero senza ragione erano malvagi e nemici del Cristo e uccisori di coloro che vivono secondo ragione; ma quelli che vissero e vivono secondo ragione sono cristiani impavidi e tranquilli». Tuttavia questi cristiani avanti lettera non conobbero l’intera verità. C’erano in loro semi di verità, che essi non potettero intendere appieno (Ib., 44). Poterono certo, vedere oscuramente la verità mediante quel seme di ragione che era innato in essi. Ma altro è il seme e l’imitazione, altro è lo sviluppo compiuto e la realtà, da cui il seme e l’imitazione si generano (Apol. sec., 13). Qui la dottrina stoica delle ragioni seminali viene adoperata a fondare la continuità del cristianesimo con la filosofia greca, a riconoscere nei maggiori filosofi greci gli anticipatori del cristianesimo e a giustificare l’opera della ragione mediante l’identificazione di essa con Cristo. Questa stessa dottrina consente a Giustino l’identificazione completa tra il cristianesimo e la verità filosofica. «Tutto ciò che è stato detto di vero appartiene a noi cristiani; giacché, oltre Dio, noi adoriamo ed amiamo il Logos del Dio ingenito e ineffabile, il quale si fece uomo per noi, per guarirci delle nostre infermità partecipando di esse» (Ib., 13). Dio è l’eterno, l’ingenerato, l’ineffabile: la conoscenza di Dio è un fatto inesplicabile, radicato nella natura stessa degli uomini (Apol. sec., 6). Accanto a lui e al disotto di lui vi è l’altro Dio, il Logos coesistente e generato prima della creazione, per mezzo del quale Dio creò e ordinò tutte le cose (Ib., 5). Come una fiamma non diminuisce quando ne accende un’altra, così è accaduto a Dio per la creazione del Logos (Dial., 48). Dopo il Padre e il Logos c’è lo Spirito Santo, detto da Giustino lo Spirito profetico, al quale gli uomini debbono le virtù e i doni profetici (Apol. prima, 6). L’uomo è stato creato da Dio libero di fare il bene ed il male. Se l’uomo non avesse libertà, non avrebbe merito del bene né colpa del male compiuto (Apol. prima, 43). L’anima dell’uomo è immortale soltanto per opera di Dio: senza di questa, con la morte ritornerebbe nel nulla (Dial., 6). Ma anche il corpo è destinato a partecipare dell’immortalità dell’anima. Dovrà venire infatti, secondo l’annunzio dei profeti, una seconda parusia del Cristo; e questa volta egli verrà in gloria, accompagnato dalla legione degli angeli: risusciterà i corpi e rivestirà di immortalità quelli dei giusti, mentre condannerà al fuoco eterno quelli degli iniqui (Apol. prima, 52).
Altri Padri apologisti Scolaro di Giustino a Roma fu TAZIANO l’Assiro, nato in Siria e convertitosi a Roma dopo essersi acquistato un nome come filosofo. Più tardi, probabilmente nel 172, si separò dalla Chiesa per passare agli Gnostici. Taziano è autore di un’apologia intitolata Discorsi ai Greci che è in realtà una critica dell’ellenismo. Lo scritto di Taziano è essenzialmente polemico. Egli accusa di immoralità i pensatori e i poeti greci e si diffonde in invettive contro di loro. Agli errori dei Greci contrappone la dottrina cristiana intorno a Dio ed al mondo, al peccato e alla redenzione. Il Logos è la potenza razionale di Dio ed è nato da lui attraverso un atto di partecipazione, non di separazione. Come una fiaccola ne accende tante senza che la sua luce diminuisca, così il Logos non esaurisce la potenza di ragione del suo generatore (Or. ad Graec., 5). Nell’uomo egli distingue l’anima e lo spirito. Lo spirito solo è immagine e similitudine di Dio (Ib., 12). L’anima non è un’essenza semplice ma è composta di più parti. La sua esistenza è legata al corpo e non è separabile da esso, perciò non è immortale (Ib., 15). Soltanto per la loro unione con lo spirito, l’anima e il corpo partecipano dell’immortalità. Attraverso lo spirito, l’uomo può riunirsi con Dio. Egli deve disprezzare la materia, della quale si servono i demoni per perderlo, e rivolgersi esclusivamente alla vita spirituale (Ib., 16). ATENAGORA di Atene è autore di un’apologia intitolata Supplica per i cristiani diretta a Marco Aurelio o Commodo e perciò composta tra il 176 e il 180, probabilmente nel 177. Lo scritto si propone di confutare le tre accuse che comunemente venivano lanciate contro i cristiani: l’ateismo, i conviti tiestei e l’incesto alla foggia di Edipo. La prima accusa è demolita mediante l’esposizione della dottrina cristiana di Dio; contro le altre due vengono addotti i capisaldi della morale cristiana. Nella Supplica ricorre per la prima volta una prova razionale della unicità di Dio. Se esistessero più divinità, non potrebbero esistere nello stesso luogo perché, essendo tutte ingenerate, non potrebbero cadere sotto un tipo o modello comune. Dovrebbero dunque esistere in luoghi diversi. Ma non possono esistere in luoghi diversi perché lo spazio al di là del mondo è la sede di un unico Dio che è essenza sopra-mondana e così non vi è spazio per altre divinità. Un’altra divinità potrebbe esistere in un altro mondo o intorno ad un altro mondo; ma in tal caso essa non giungerebbe a noi e per la limitatezza della sua sfera d’azione essa non sarebbe la vera divinità (Suppl. pro crist., 8). Perciò anche i poeti e filosofi greci hanno conosciuto l’unicità di Dio, per quanto la chiara, sicura e compiuta conoscenza di essa ci sia stata data soltanto attraverso i profeti (Ib., 7). Il Logos generato dal Padre e coeterno con lui, è il modello, la forza creatrice di tutte le cose create, mentre lo Spirito Santo è un efflusso di Dio, simile al raggio del sole (Ib., 24). TEOFILO di Antiochia fu vescovo di questa città e ci ha lasciato tre libri Ad Autolico, che sono tre scritti indipendenti, di cui il terzo è stato composto intorno al 181-82 e i primi due poco avanti. Alla sfida di Autolico: «Mostrami il tuo Dio», Teofilo risponde: «Mostrami il tuo uomo ed io ti mostrerò il mio Dio». Dio infatti è visto solo da coloro che hanno bene aperti gli occhi dell’anima. Come non si può vedere la faccia dell’uomo sullo specchio coperto di ruggine così l’uomo, quando è in peccato, non può scorgere Dio (Ad Autol., I, 2). Alla domanda: «Tu che lo vedi, descrivimi l’aspetto di Dio», Teofilo risponde: «Ascoltami: la bellezza di Dio è indicibile e ineffabile e non si può vedere con gli occhi corporei» (Ib., I, 3). Dio che è eterno, quindi ingenerato e immutabile, è il creatore di tutto: tutto egli fece dal nulla, affinché attraverso le sue opere si comprendesse la sua grandezza. Perciò egli diventa visibile attraverso la sua creazione. «Come l’anima umana che è invisibile agli uomini viene conosciuta attraverso i movimenti del corpo così Dio, che non può essere visto dagli occhi umani, può essere visto e conosciuto attraverso la sua provvidenza e le sue opere» (Ib., I, 5). Il tramite della creazione divina è il Logos. Dio mediante il Logos e la sapienza ha creato tutte le cose (Ib., I, 7). Il Logos è il consigliere di Dio, la mente e la prudenza di lui (Ib., Il, 22). Per la prima volta Teofilo ha usato la parola trinità (trias) per indicare la distinzione delle persone divine. I tre giorni della creazione della luce di cui parla la Genesi «sono immagini della trinità, di Dio, del suo Verbo, della sua sapienza» (Ib., II, 15). Sotto il nome di Giustino ci è stata tramandata una Lettera a Diogneto che certamente non appartiene a Giustino per la diversità dello stile e della dottrina. L’autore risponde ai dubbi proposti da un pagano che si interessa del cristianesimo. La composizione della Lettera deve cadere non prima del 160, verosimilmente alla fine del II secolo. L’autore risponde a tre dubbi di Diogneto. Al culto pagano e giudaico la Lettera contrappone il culto cristiano del Dio invisibile e creatore. La religione cristiana non è una scoperta umana ma una rivelazione divina: Dio ha mandato suo Figlio, l’eterna Verità e l’eterna Parola, a insegnare agli uomini la vera religione; e il Figlio di Dio è venuto nel mondo non come signore ma come salvatore e liberatore e ci ha avviati alla salvezza con l’amore (Ep. ad Diogn., 7). Con il titolo Irrisione dei filosofi pagani di ERMIA filosofo, ci è giunto un piccolo scritto polemico nel quale si mettono sarcasticamente in luce le contraddizioni dei filosofi greci nella loro dottrina intorno all’anima umana ed ai principi fondamentali delle cose. Lo scritto appartiene probabilmente alla fine del II secolo.