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LA PATRISTICA DEI PRIMI DUE SECOLI

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LA PATRISTICA DEI PRIMI DUE SECOLI

(metto solo la prima parte)

Padri apologisti danno il via all’attività filosofica cristiana con testi scritti in difesa della loro fede contro i persecutori. Marciano Aristide si rivolge all’imperatore Antonino Pio con un’apologia in difesa del cristianesimo.

Carattere della patristica Quando il cristianesimo, per difendersi dagli attacchi polemici e dalle persecuzioni, nonché per garantire la propria unità contro sbandamenti ed errori, dovette venire in chiaro dei propri presupposti teoretici e organizzarsi in un sistema di dottrine, si presentò come l’espressione compiuta e definitiva della verità che la filosofia greca aveva cercata, ma solo imperfettamente e parzialmente raggiunta. Una volta postosi sul terreno della filosofia, il cristianesimo tenne ad affermare la propria continuità con la filosofia greca ed a porsi come l’ultima e più compiuta manifestazione di essa. Giustificò questa continuità con l’unità della ragione (logos), che Dio ha creata identica in tutti gli uomini di tutti i tempi e alla quale la rivelazione cristiana ha dato l’ultimo e più sicuro fondamento; e con ciò affermò implicitamente l’unità della filosofia e della religione. Quest’unità non è un problema, per gli scrittori cristiani dei primi secoli: è piuttosto un dato o un presupposto, che guida e sorregge tutta la loro ricerca. E anche quando stabiliscono un’antitesi polemica tra dottrina pagana e cristiana (come è nel caso di Taziano), questa antitesi è posta sul terreno comune della filosofia e presuppone quindi la continuità tra cristianesimo e filosofia. Era naturale, da questo punto di vista, che si tentasse da un lato di interpretare il cristianesimo mediante concetti desunti dalla filosofia greca e così di riportarlo a tale filosofia, dall’altro di ricondurre il significato di quest’ultima allo stesso cristianesimo. Questo duplice tentativo, che in realtà è uno solo, costituisce l’essenza dell’elaborazione dottrinale che il cristianesimo subì nei primi secoli dell’èra volgare. In questa stessa elaborazione i Padri della Chiesa furono frequentemente aiutati e ispirati, com’era inevitabile, dalle dottrine delle grandi scuole filosofiche pagane; e specialmente dagli Stoici essi attinsero molte delle loro ispirazioni, spingendosi talora (come accadde a Tertulliano) sino ad accettare tesi apparentemente incompatibili con il cristianesimo, come quella della corporeità di Dio. Il periodo di questa elaborazione dottrinale è la patristica. Padri della Chiesa sono gli scrittori cristiani dell’antichità, che hanno contribuito alla elaborazione dottrinale del cristianesimo e la cui opera è stata accettata e fatta propria dalla Chiesa. Il periodo dei Padri della Chiesa si può considerare chiuso con la morte di Giovanni Damasceno per la Chiesa greca (754 circa) e con quella di Beda il Venerabile (735) per la Chiesa latina. Questo periodo può essere distinto in tre parti. La prima, che va sino al 200 circa, è dedicata alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari pagani e gnostici. La seconda, che va dal 200 sino al 450 circa, è dedicata alla formulazione dottrinale delle credenze cristiane. L’ultima, che va dal 450 sino alla fine della patristica, è contrassegnata dalla rielaborazione e sistemazione delle dottrine già formulate.

I Padri apologisti I PADRI APOSTOLICI del I secolo sono gli autori di Lettere che illustrano singoli punti della dottrina cristiana e regolano questioni di ordine pratico e religioso. Essi sono: l’autore della cosìddetta Lettera di Barnaba, Clemente Romano, Erma, Ignazio d’Antiochia e Policarpo. Ma questi scrittori ancora non affrontano problemi filosofici. La vera attività filosofica cristiana comincia con i PADRI APOLOGISTI nel II secolo. Questi Padri scrivono in difesa (apologia) del cristianesimo contro gli attacchi e le persecuzioni che gli vengono mossi. In questo periodo «i cristiani sono osteggiati dagli ebrei come stranieri e sono perseguitati dai pagani» (Epist. ad Diogn., 5, 17). Scrittori pagani adoperano contro il cristianesimo la satira e il dileggio (Luciano, Celso). I cristiani sono fatti oggetto all’odio delle plebi pagane e alle persecuzioni sistematiche dello stato. Da queste condizioni di fatto nascono le apologie. La più antica di cui si abbia notizia è la difesa presentata all’imperatore Adriano intorno al 124, in occasione di una persecuzione dei cristiani, da QUADRATO, discepolo degli apostoli. Di essa abbiamo solo un frammento, conservatoci da Eusebio (Hist. eccles , IV, 3, 2). Lapologia del filosofo MARCIANO ARISTIDE è stata ritrovata nel 1878 ed è diretta all’imperatore Antonino Pio (138-61). In essa si afferma già esplicitamente il principio che soltanto il cristianesimo è la vera filosofia. Difatti, solo i cristiani hanno quel concetto di Dio che deriva necessariamente dalla considerazione della natura. Concetti platonici vengono utilizzati in questa dimostrazione. L’ordine del mondo, quale appare nei cieli e sulla terra, fa pensare che tutto sia mosso con necessità e che Dio sia colui che muove e governa tutto. Aristide insiste sull’irraggiungibilità e l’ineffabilità dell’essenza divina, per contrapporre il monoteismo rigoroso del cristianesimo alle credenze dei barbari, che hanno adorato elementi materiali, dei Greci che hanno attribuito ai loro dèi debolezze e passioni umane, e dei Giudei, che pur ammettendo un solo Dio, servono piuttosto gli angeli che Lui. Ma la prima grande figura di Padre apologista e il vero fondatore della patristica è Giustino.

Giustino

GIUSTINO nacque, probabilmente, nel primo decennio del secolo II a Flavia Neapolis, l’antica Sichem, ora Nablus in Palestina. Egli stesso ci descrive la sua formazione spirituale. Figlio di genitori pagani, frequentò i rappresentanti delle varie scuole filosofiche, Stoici, Peripatetici e Pitagorici, e professò a lungo le dottrine dei Platonici. Finalmente, trovò nel cristianesimo ciò che cercava e da allora con la parola e con gli scritti Io difese, come l’unica vera filosofia. Visse a Roma molto tempo e vi fondò una scuola; e a Roma subì il martirio tra il 163 e il 167. Delle opere che ci rimangono solo tre sono sicuramente autentiche: il Dialogo con Trifone giudeo e due Apologie. La prima e più importante di queste è diretta all’imperatore Antonino Pio e deve essere stata composta negli anni 150-55. La seconda, che è un supplemento o un’appendice della prima, fu occasionata dalla condanna di tre cristiani, rei soltanto di professarsi tali. Il Dialogo con Trifone giudeo riferisce una disputa che ebbe luogo ad Efeso tra Giustino e Trifone ed è diretto sostanzialmente a dimostrare che la predicazione di Cristo realizza e completa l’insegnamento del Vecchio Testamento. La dottrina fondamentale di Giustino è che il cristianesimo è «la sola filosofia sicura ed utile» (Dial., 8) e che esso è il risultato ultimo e definitivo al quale la ragione deve giungere nella sua ricerca. Giacché la ragione non è che il Verbo di Dio, cioè il Cristo, del quale partecipa tutto il genere umano. «Noi imparammo – egli dice (Apol. prima, 46) – che il Cristo è il primogenito di Dio e che è la ragione, della quale partecipa tutto il genere umano. E coloro che vissero secondo ragione sono cristiani, anche se furono creduti atei; come fra i Greci Socrate, Eraclito e altri come loro; e tra i barbari, Abramo e Anania e Azaria e Misael ed Elia. Sicché anche quelli che nacquero prima e vissero senza ragione erano malvagi e nemici del Cristo e uccisori di coloro che vivono secondo ragione; ma quelli che vissero e vivono secondo ragione sono cristiani impavidi e tranquilli». Tuttavia questi cristiani avanti lettera non conobbero l’intera verità. C’erano in loro semi di verità, che essi non potettero intendere appieno (Ib., 44). Poterono certo, vedere oscuramente la verità mediante quel seme di ragione che era innato in essi. Ma altro è il seme e l’imitazione, altro è lo sviluppo compiuto e la realtà, da cui il seme e l’imitazione si generano (Apol. sec., 13). Qui la dottrina stoica delle ragioni seminali viene adoperata a fondare la continuità del cristianesimo con la filosofia greca, a riconoscere nei maggiori filosofi greci gli anticipatori del cristianesimo e a giustificare l’opera della ragione mediante l’identificazione di essa con Cristo. Questa stessa dottrina consente a Giustino l’identificazione completa tra il cristianesimo e la verità filosofica. «Tutto ciò che è stato detto di vero appartiene a noi cristiani; giacché, oltre Dio, noi adoriamo ed amiamo il Logos del Dio ingenito e ineffabile, il quale si fece uomo per noi, per guarirci delle nostre infermità partecipando di esse» (Ib., 13). Dio è l’eterno, l’ingenerato, l’ineffabile: la conoscenza di Dio è un fatto inesplicabile, radicato nella natura stessa degli uomini (Apol. sec., 6). Accanto a lui e al disotto di lui vi è l’altro Dio, il Logos coesistente e generato prima della creazione, per mezzo del quale Dio creò e ordinò tutte le cose (Ib., 5). Come una fiamma non diminuisce quando ne accende un’altra, così è accaduto a Dio per la creazione del Logos (Dial., 48). Dopo il Padre e il Logos c’è lo Spirito Santo, detto da Giustino lo Spirito profetico, al quale gli uomini debbono le virtù e i doni profetici (Apol. prima, 6). L’uomo è stato creato da Dio libero di fare il bene ed il male. Se l’uomo non avesse libertà, non avrebbe merito del bene né colpa del male compiuto (Apol. prima, 43). L’anima dell’uomo è immortale soltanto per opera di Dio: senza di questa, con la morte ritornerebbe nel nulla (Dial., 6). Ma anche il corpo è destinato a partecipare dell’immortalità dell’anima. Dovrà venire infatti, secondo l’annunzio dei profeti, una seconda parusia del Cristo; e questa volta egli verrà in gloria, accompagnato dalla legione degli angeli: risusciterà i corpi e rivestirà di immortalità quelli dei giusti, mentre condannerà al fuoco eterno quelli degli iniqui (Apol. prima, 52).

Altri Padri apologisti Scolaro di Giustino a Roma fu TAZIANO l’Assiro, nato in Siria e convertitosi a Roma dopo essersi acquistato un nome come filosofo. Più tardi, probabilmente nel 172, si separò dalla Chiesa per passare agli Gnostici. Taziano è autore di un’apologia intitolata Discorsi ai Greci che è in realtà una critica dell’ellenismo. Lo scritto di Taziano è essenzialmente polemico. Egli accusa di immoralità i pensatori e i poeti greci e si diffonde in invettive contro di loro. Agli errori dei Greci contrappone la dottrina cristiana intorno a Dio ed al mondo, al peccato e alla redenzione. Il Logos è la potenza razionale di Dio ed è nato da lui attraverso un atto di partecipazione, non di separazione. Come una fiaccola ne accende tante senza che la sua luce diminuisca, così il Logos non esaurisce la potenza di ragione del suo generatore (Or. ad Graec., 5). Nell’uomo egli distingue l’anima e lo spirito. Lo spirito solo è immagine e similitudine di Dio (Ib., 12). L’anima non è un’essenza semplice ma è composta di più parti. La sua esistenza è legata al corpo e non è separabile da esso, perciò non è immortale (Ib., 15). Soltanto per la loro unione con lo spirito, l’anima e il corpo partecipano dell’immortalità. Attraverso lo spirito, l’uomo può riunirsi con Dio. Egli deve disprezzare la materia, della quale si servono i demoni per perderlo, e rivolgersi esclusivamente alla vita spirituale (Ib., 16). ATENAGORA di Atene è autore di un’apologia intitolata Supplica per i cristiani diretta a Marco Aurelio o Commodo e perciò composta tra il 176 e il 180, probabilmente nel 177. Lo scritto si propone di confutare le tre accuse che comunemente venivano lanciate contro i cristiani: l’ateismo, i conviti tiestei e l’incesto alla foggia di Edipo. La prima accusa è demolita mediante l’esposizione della dottrina cristiana di Dio; contro le altre due vengono addotti i capisaldi della morale cristiana. Nella Supplica ricorre per la prima volta una prova razionale della unicità di Dio. Se esistessero più divinità, non potrebbero esistere nello stesso luogo perché, essendo tutte ingenerate, non potrebbero cadere sotto un tipo o modello comune. Dovrebbero dunque esistere in luoghi diversi. Ma non possono esistere in luoghi diversi perché lo spazio al di là del mondo è la sede di un unico Dio che è essenza sopra-mondana e così non vi è spazio per altre divinità. Un’altra divinità potrebbe esistere in un altro mondo o intorno ad un altro mondo; ma in tal caso essa non giungerebbe a noi e per la limitatezza della sua sfera d’azione essa non sarebbe la vera divinità (Suppl. pro crist., 8). Perciò anche i poeti e filosofi greci hanno conosciuto l’unicità di Dio, per quanto la chiara, sicura e compiuta conoscenza di essa ci sia stata data soltanto attraverso i profeti (Ib., 7). Il Logos generato dal Padre e coeterno con lui, è il modello, la forza creatrice di tutte le cose create, mentre lo Spirito Santo è un efflusso di Dio, simile al raggio del sole (Ib., 24). TEOFILO di Antiochia fu vescovo di questa città e ci ha lasciato tre libri Ad Autolico, che sono tre scritti indipendenti, di cui il terzo è stato composto intorno al 181-82 e i primi due poco avanti. Alla sfida di Autolico: «Mostrami il tuo Dio», Teofilo risponde: «Mostrami il tuo uomo ed io ti mostrerò il mio Dio». Dio infatti è visto solo da coloro che hanno bene aperti gli occhi dell’anima. Come non si può vedere la faccia dell’uomo sullo specchio coperto di ruggine così l’uomo, quando è in peccato, non può scorgere Dio (Ad Autol., I, 2). Alla domanda: «Tu che lo vedi, descrivimi l’aspetto di Dio», Teofilo risponde: «Ascoltami: la bellezza di Dio è indicibile e ineffabile e non si può vedere con gli occhi corporei» (Ib., I, 3). Dio che è eterno, quindi ingenerato e immutabile, è il creatore di tutto: tutto egli fece dal nulla, affinché attraverso le sue opere si comprendesse la sua grandezza. Perciò egli diventa visibile attraverso la sua creazione. «Come l’anima umana che è invisibile agli uomini viene conosciuta attraverso i movimenti del corpo così Dio, che non può essere visto dagli occhi umani, può essere visto e conosciuto attraverso la sua provvidenza e le sue opere» (Ib., I, 5). Il tramite della creazione divina è il Logos. Dio mediante il Logos e la sapienza ha creato tutte le cose (Ib., I, 7). Il Logos è il consigliere di Dio, la mente e la prudenza di lui (Ib., Il, 22). Per la prima volta Teofilo ha usato la parola trinità (trias) per indicare la distinzione delle persone divine. I tre giorni della creazione della luce di cui parla la Genesi «sono immagini della trinità, di Dio, del suo Verbo, della sua sapienza» (Ib., II, 15). Sotto il nome di Giustino ci è stata tramandata una Lettera a Diogneto che certamente non appartiene a Giustino per la diversità dello stile e della dottrina. L’autore risponde ai dubbi proposti da un pagano che si interessa del cristianesimo. La composizione della Lettera deve cadere non prima del 160, verosimilmente alla fine del II secolo. L’autore risponde a tre dubbi di Diogneto. Al culto pagano e giudaico la Lettera contrappone il culto cristiano del Dio invisibile e creatore. La religione cristiana non è una scoperta umana ma una rivelazione divina: Dio ha mandato suo Figlio, l’eterna Verità e l’eterna Parola, a insegnare agli uomini la vera religione; e il Figlio di Dio è venuto nel mondo non come signore ma come salvatore e liberatore e ci ha avviati alla salvezza con l’amore (Ep. ad Diogn., 7). Con il titolo Irrisione dei filosofi pagani di ERMIA filosofo, ci è giunto un piccolo scritto polemico nel quale si mettono sarcasticamente in luce le contraddizioni dei filosofi greci nella loro dottrina intorno all’anima umana ed ai principi fondamentali delle cose. Lo scritto appartiene probabilmente alla fine del II secolo.

Publié dans:PATROLOGIA E PATRISTICA |on 19 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

PATROLOGIA e PATRISTICA

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PATROLOGIA e PATRISTICA

Vocaboli di origine protestante. Nella teologia luterana del sec. XVII si cominciò a parlare di una « theologia patristica » nel senso di una collezione di testimoni dei Padri per i singoli dogmi. Questo concetto teologico del termine « patristica » si confuse con il concetto letterario di « patrologia », che come termine fu usato per la prima volta dal teologo luterano Johs Gerhardus (m. nel 1637) nella sua opera Patrologia, sive de primitivae Ecclesiae christianae Doctorum vita ac lucubrationibus opuspostumum (lena 1653). Ma se i due termini « patrologia » e « patristica » sono di origine protestante, i due concetti, quello teologico e l’altro letterario, per valutare gli scrittori ecclesiastici della Chiesa antica, si trovano già nella letteratura cattolica. Il concetto di « Padre » è di carattere dogmatico, avendo la sua base nella prova dogmatica della tradizione, mentre l’esigenza di considerare gli scrittori antichi sotto un aspetto letterario si manifesta già nel De viris illustribus di s. Girolamo. Partendo dal concetto dogmatico di « padre » la patristica (o patrologia) si avvicina, come disciplina teologica, alla dogmatica o alla storia dei dogmi; seguendo la strada iniziata da s. Girolamo si arriva alla « storia della letteratura cristiana antica », cioè a una disciplina particolare della storia della Chiesa. La scienza cattolica ha scelto e l’una e l’altra via. L’opera, già citata di s. Girolamo (ed. di C. A. Bernoulli; Friburgo in Br. 1895, di E. C. Richardson, Lipsia 1896; v.: H. Edmonds, 2a ed., in Altertum, Lipsia 1941, P. 348 sg.) resa pubblica nell’anno 392, è in fondo nient’altro che un catalogo, il quale non esclude né scrittori giudaici (Filone, Flavio Giuseppe e Giusto di Tiberiade), né autori scismatici ed eretici e annovera nel suo elenco letterario anche gli Evangelisti. L’operetta aveva scopo apologetico, perché voleva dimostrare contro Celso, Porfirio e l’imperatore Giuliano che nella Chiesa non erano mai mancati filosofi eloquenti e dottori. Nella forma Girolamo ha copiato Svetonio, nel contenuto dipende da Eusebio (Historia ecclesiastica e Chronicon), ma non mancano notizie che si basino su letture proprie. La critica di testi biblici è assai libera, il profilo dello stile caratteristico di singoli autori è superficiale (non paragonabile con la critica letteraria di Fozio; sull’opera di Girolamo, cf. C. A. Bernoulli, Der Schriftstellerkatalog des Hieronymus, Friburgo in Br. 1895; St. von Sychowski, Hieronymus als Literaturhistoriker, Munster 1894; A. Feder, Studien zum Schriftstellerkatalog des hl. Hieronymus, Friburgo 927; P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Parigi 1943, P. 78 sg.). Verso il 480 il sacerdote semipelagiano Gennadio di Marsiglia scrisse una continuazione dell’opera di s. Girolamo; perciò la maggior parte dei manoscritti di Girolamo contiene anche la continuazione di Gennadio. L’opera di Gennadio è più accurata, più teologica di quella di Girolamo, ma rivela anche la sua posizione semipelagiana (13. Czapla, Gennadius als Literaturhistoriker, Munster 1898; F. Diekamp, Wann hat Gennadius seinen Schriftstellerkatalog verfasst, in Romische Quartalschr., 12 [1898], P. 411 sg.; A. Feder, Der Semipelagianismus im Schriftstellerkatalog des G., in Scholastik, 2 [1927], P. 481 sg.; id., Die Entstehung und Veróffentlichung des gennadianischen Schriftstellerkatalogs, ibid., 8 [1933], p. 27 sg.; id., Zusatze des Gennadian. Schriftstellerkatalogs, ibid., P. 380 sg.; P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Parigi 1943, P. 221 sg.). Continuatori di s. Girolamo e Gennadio con particolari interessi per gli scrittori spagnoli furono Isidoro di Siviglia (tra il 615 e il 618: PL 83, 1081-1106) e il suo discepolo Ildefonso di Toledo (m. nel 667: PL 96, 195 sg.; cf. G. V. Dzialowski, Isidor und Ildefons als Literaturhistoriker, Munster 1898; F. Schutte, Studien úber den Schriftstellerkatalog des hl. Isidor, in M. Sdralek, Kirchengeschichtliche Abhandlungen, Breslavia 902, P. 75 sg.; M. Ihm, Beitráge zur alten Geschichte und griech.-rómischen Altertumskunde [Festschrift fur 0. Hirschfeld], Berlino 1903, P. 341 sg.; H. Koeppler, in Journal of theolog. studies, 38 [1936], p. 16 sg.). Mentre in Bisanzio Fozio riprese lo studio dei Padri insieme con quello degli autori antichi (il suo Myriobiblon = Biblioteca : PG 103-104), nell’Occidente la letteratura dei De viris illustribus fu di nuovo iniziata nel sec. XI da Sigeberto di Gembloux (m. nel 1112: PL 16o, 547 sg.), in Belgio da Onorio di Autun (ca. il 1122) nel suo De luminaribus Ecclesiae (PL 172, 197 sg.) e dal cosiddetto Anonymus Mellicensis (De scriptoribus ecclesiasticis: PL 213, 959 sg.) e nel sec. XV da Giovanni Tritemio. Tutti questi autori si basano per l’epoca patristica su s. Girolamo e Gennadio. Le loro opere sono importanti per la conoscenza degli scrittori della loro epoca; per la ricostruzione del testo di Girolamo e Gennadio questa tradizione indiretta è di scarso valore (v. A. Feder, Studien Zum Schriftstellerkatalog des hl. Hieronymus, Friburgo in Br. 1927, P. 90). La linea di questi « nomenclatores » (v. I. A. Fabricius, Bibliotheca ecclesiastica, Amburgo 1718) fu continuata con Giovanni Gerhardus, Giuseppe Húlsemann ecc. da parte dei luterani, e con s. Roberto Bellarmino nel suo Liber de scriptoribus ecclesiasticis (Roma 1613), edizione aumentata da F. Labbé (Parigi 1670) e da Casimiro Oudin (ivi 1682), da parte cattolica. Il primo grande tentativo di una trattazione critica dell’antica letteratura cristiana fu dato da Louis Ellies Du Pin (m. nel 1719) con la sua Nouvelle bibliothèque des auteurs ecclésiastiques, ecc. (Parigi 1686-1711) in 47 voll. (v. Reusch, Index der verbotenen Búcher, Il, i, p. 586). Il libro, che fu messo all’Indice, suscitò molte polemiche letterarie (M. Petit-Didier, R. Simon, R. Ceillier ed altri). La mancanza di rispetto nel linguaggio ed il gallicanismo furono le cause principali della condanna di questa opera. Un lavoro di pregio è l’Apparatus ad Bibliothecam maximam Patrum veterum (Parigi 1604), di Le Nourry, ma il capolavoro critico-storico sono i famosi Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siècles di L. S. Le Nain de Tillemont ([n. nel 1698], Parigi 1693-1712) in 16 voll., opera che ancora oggi viene consultata con profitto dagli studiosi. Nel campo protestante sono da menzionare in quest’epoca i lavori di William Cave, James Usher, John E. Grabe (v.), John Pearson, H. Dodwell, anglicani che per difendere la loro posizione dogmatica erano costretti ad occuparsi dei Padri. Accanto ad essi si possono ancora menzionare gli studi di Le Clere, Dallaeus e Oudin. Dei lavori riguardanti la storia della letteratura antica cristiana nell’epoca moderna si ricordano: J. A. Móhler, Patrologie (vol. 1 [unico], Ratisbona 1840); J. Nirschl, Lehrbuch der Patrologie und Patristik (3 voli., Magonza 1881-85), I. Fessler, Institutiones Patrologiae (2.a ed. di Jungmann, Innsbruck 1890-96); Ad. Harnack, Geschichte der altkirchlichen Literatur bis auf Eusebius (3 voll., Lipsia 1893-1904); H. Kihn, Patrologie (Paderborn 1904-1908); O. Bardenhewer, Patrologie (3 II ed. Friburgo 19 io); id., Geschichte der altchristlichen Literatur (5 voli., ivi 1913-32); H. Jordan, Geschichte der altchristlichen Lìteratur (Lipsia 1911); I. Tixeront, Mélanges de patrologie et d’histoìre des dogmes (Parigi 1921); H. Lietzmann, Christliche Literatur (Lipsia 1923); F. Cayré, Précis de Patrologie (2 voll., Parigi 1927-1930); B. Steidle, Patrologia (Friburgo 1937); U. Mannucci, Istituzioni di patrologia (ed. di A. Casamassa, Roma 1948-5o); E. I. Goodspeed, A History of early christian literature (Chicago 1942); B. Altaner, Patrologie (2a ed., Friburgo 1950; anche in trad. it. riveduta da A. Ferrua, Torino 1944); J. Quasten, Patrology, I. The Beginnings of Patristic Literature (Utrecht-Bruxelles 1950). Opere speciali che riguardano la patristica greca : K. Krumbacher-A. Ehrhard, Geschichte der byzantinischen Literatur (2a ed., Monaco 1897); O. Stahlin, Die altchristliche griechische Literatur, in W. v. Christ, Geschichte der griechischen Literatur (2 voli., 6a ed., ivi 1924); A. Puech, Littérature grecque chrétienne (Parigi 1928); I. M. Campbell, The Greek Fathers (Londra 1929). Sulla conoscenza dei Padri greci nella Chiesa latina v. : P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident (Parigi 1943); A. Siegmund, Die Uberlieferung der griechischen Literatur in der lateinischen Kirche bis zum 12. Jahrhundert (Monaco 1949). Opere speciali sulla patristica latina : P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne (7 voll., Parigi 1901-23); R. Pichon, Etudes sur l’histoire de la littérature latine dans les Gaules (ivi 1906); W. S. Teuffel, Geschichte der romischen Literatur (III, 6a ed., Lipsia 1913; gli autori cristiani sono trattati da E. Klostermann); M. Schanz, G. Hosius, G. Kruger, Geschichte der rom. Literatur (III, 3a ed., ivi 1922; IV, I, ivi 1914; IV, II, ivi 1920); la letteratura cristiana è trattata da G. Kruger); U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, 3 voli., in 5 tomi (Torino 1915-1934); P. Monceaux, Histoire de la littérature latine chrétienne (Parigi 1924); C. Weymann, Beitráge zur Geschichte der christlich-lateinischen Poesie (Monaco 1926); N. Terzaghi, Storia della letteratura latina da Tiberio a Giustiniano (Milano 1934); L. Salvatorelli, Storia della letteratura latina cristiana (ivi 1936); E. Bickel, Lehrbuch der Geschichte der rómischen Literatur (Heidelberg 1938); P. de Labriolle, Histoire de la littérature latine chrétienne, 3a ed. di G. Barzy (2 Voll., Parigi 1947); P. Courcelle, Histoire littéraire des grandes invasions germaniques (ivi 1948); E. Dellers, Clavis Patrum latinorum (Steenbrugge 1951, in Sacris erudiri, III). La trasmissione dei Padri nella vita della Chiesa durante il medioevo e ì tempi moderni è stata trattata negli ottimi studi di J. de Ghellinck, Patrìstique et moyen-áge (3 voll., Bruxelles 1946-48). I riflessi della letteratura cristiana sulla letteratura europea sono studiati da E. R. Curtius, Europáische Literatur und lateinisches Mittelalters (Berna 1948). LA PUBBLICAZIONE DEI TESTI PATRISTICI. È stato l’umanesimo che ha dato l’impulso alla prima stampa dei testi patristici. Alcune di queste pubblicazioni hanno il valore di un manoscritto perché molti codici di allora sono andati perduti. Le prime edizioni critiche uscirono nei sec. XVII e XVIII. Come editori sono da menzionare Fronton le Due (« Ducaeus », m. nel 1624), l’editore di Crisostomo e Giovanni Damasceno, Jacques Sirmond (m. nel 1651), Jean Garnier (m. nel 1681), Fr. Combefis (m. nel 1679), I. B. Cotelier (m. nel 1686) e i grandi rappresentanti della Congregazione benedettina di S. Mauro (V. MAURINI): I. L. D’Achéry (m. nel 1685), Jean Mabillon (v.), R. Massuet (m. nel 1716, editore di s. Ireneo), P. Constant (m. nel 1721), Le Nourry (m. nel 1724), Julien Garnier (m. nel 1725, editore di Basilio), Ch. de la Rue (m. nel 1739, editore di Origene), B. de Montfaucon (v.), P. Maran (m. nel 1762). Le prime grandi collezioni sono la Sacra bibliotheca veterum Patrum (Colonia 1618-22) o Maxima bibliotheca veterum Patrum (27 voll., Lione 1677). Ancora di valore oggi è la Bibliotheca veterum Patrum di Andrea Gallandi (14 Voll., Venezia 1764-81; 2.a ed. ivi 1788). In fondo, la grande Patrologia di J.-P. Migne (v.) è la continuazione di queste vecchie Bibliothecae Patrum . Il Migne poteva aumentare la sua edizione in seguito alle numerose pubblicazioni dei card. A. Mai (v.) e Jean Baptiste Pitra (v.); per l’edizione del Migne v. ancora F. Cavallera, Patrologiae cursus completus. Series graeca. Indices (Parigi 1912); Th. Hopfner, Index locupletissimus (ivi 1928 sg.). Edizioni critiche di tutti gli scrittori ecclesiastici latini dal I al VII sec. sono state progettate dall’Accademia di Vienna (dal 1866). Finora sono stati pubblicati di questo Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (CSEL o CV) 70 voll. Una collezione corrispondente per i Padri greci è Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte (GCS o CB, pubblicati dall’Accademia di Berlino (dal 1897), finora 4, voll. Alla preparazione dei testi greci serve la collezione : Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, ed. O. V. Gebhardt e A. Harnack (Lipsia 1882 sg.). Questa collezione ha la sua corrispondente nella collezione: Texts and Studies. Contributions to Biblical and Patristic Literature, ed. I. A. Robinson (Cambridge 1891) ed in un senso più largo in Studi e testi (pubblicazioni della Biblioteca Vaticana, Roma 1900 sgg.; v. A. M. Albareda, Nel cinquantesimo di « Studi e testi », Città del Vaticano 1950). Delle collezioni per usi scolastici vanno nominati Florilegium Patristicum, ed. B. Geyer e I. Zellinger (44 fase., Bonn 1904 sg.); Cambridge Patristic Texts, ed. A. I. Mason (Cambridge 1899 sg.); Textes et documents pour l’étude historique du christianisme ed. H. Hemmer P. Lejay (20 Voli., Parigi 1904-12), Testi cristiani, con versione italiana di G. Manacorda (Firenze 1930 sg.); Corona Patrum Salesiana (Sanctorum Patrum graecorum et latinorum opera selecta, addita interpretatione vulgari), ed. P. Ricaldone (Torino 1937 sg.); Sources chrétiennes, ed. H. de Lubac e i. Daniélou (Parigi 1941 sg.).

BIBLIOGRAFIA: Letteratura patristica: A. Ehrhard, Die altchristl. Liter. und ihre Erforschung seit 1880, Friburgo i, Br. 1894, continuazione, 1900; F. DrexI, io Jahre griechischer Patristik, in Bursians Jahresberichte uber die Fortschritte der klassisch. Altertumswiss., 220 (1929), pp. 131-263; ibid., 230 (1931), PI. 163-273; I. Martin, Christ-latein. Dichter, ibid., (1929), pp. 65-140; W. Wilbrand, Die altchrist.-Latein. Liter., ibid., 256 (1930), pp. 157-206; G. Kruger, A Decade of Research in early christ. Liter. (1921-30), in Harvard Theolog. Review, 26 (1933), p. 173 sg.; G. Madoz, Un decenio de estudios patrísticos en Espana (1931-40), in Rev. espanola de teol., 1 (1940, PI). 919-62; id., Segundo decenio de estudios sobre patrística espanola 1941-50 (Estudios Onienses, sez. I, Vol. 5), Madrid 1951; B. Altaner, DerStand der Patrologisch. Wissensch. und das Problem einer neuen altchristl. Literaturgesch., in Misc. Giov. Mercati, 1, Città del Vaticano 1946, p. 483 sg.; I. De Ghellinck, Les recherches batristiques, progrès et problèmes, in Mélanges F. Cavallera, Tolosa 1948, p. 65 sg.; Dix années d’études byzantines, Bibliogr. internat. 1939-48, Parigi 1949. Erik Peterson (Tratto dall’Enciclopedia Cattolica)

Publié dans:PATROLOGIA E PATRISTICA |on 3 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

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