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IN UN VOLTO IL SEGRETO DELLA GIOIA CRISTIANA

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IN UN VOLTO IL SEGRETO DELLA GIOIA CRISTIANA

don Ivano in Bollettino Parrocchiale, aprile 2009

Credente nell’evangelo, nella buona notizia, il cristiano risponde con la gioia all’evento della salvezza portata da Gesù Cristo. La gioia è dunque coestensiva alla fede cristiana; non è una possibilità, ma una responsabilità del credente. Responsabilità che discende dall’evento pasquale con cui Dio ha resuscitato Gesù Cristo e dischiuso agli uomini la speranza della resurrezione. Tutto l’evangelo è racchiuso fra l’annuncio della grande gioia della nascita del Salvatore a Betlemme (Lc 2,10) e la gioia esplosa all’alba del primo giorno dopo il sabato, il giorno della resurrezione (Mt 28,8). Ma per comprendere cosa significhi che la vita cristiana è segnata dalla gioia occorre interrogarsi sull’esperienza umana della gioia. Se anche non riusciamo a definirla in modo esauriente, pure della gioia noi tutti abbiamo un’esperienza. È come un vertice dell’esistenza, una sensazione di pienezza in cui la vita appare nella sua positività, come piena di senso e meritevole di essere vissuta.
Con Hans Georg Gadamer potremmo cogliere la gioia come rivelazione: « La gioia non è semplicemente una condizione o un sentimento, ma una specie di manifestazione del mondo. La gioia è determinata dalla scoperta di essere soddisfatti ». Nell’esperienza della gioia la nostra quotidianità conosce una sorta di trasfigurazione: il mondo si dona a noi e noi entriamo nella gioiosa gratitudine: « Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine » (Th. W. Adorno). Si è grati di essere nella gioia. La gioia è esperienza di pienezza di senso che apre il futuro dell’uomo consentendo la speranza. Essa connota un determinato rapporto con il tempo: vi può infatti essere una gioia dell’attesa (l’attesa dell’arrivo di una persona cara, l’attesa di una nascita, ecc), una gioia per una presenza, e una gioia del ricordo (o, se si vuole, il ricordo della gioia: la gioia vissuta nel passato viene riesperita nel ricordo e grazie ad esso).
Questo è particolarmente evidente nella festa, che è la gioia di essere insieme: quando inizia e quando finisce la festa? Non è facile rispondere perché la festa esiste già nella gioia di chi l’attende e la prepara, ed esiste ancora nella gioia di chi la ricorda. Ma poi la gioia è connessa all’esperienza positiva dell’altro e dell’incontro con l’altro. È significativa la formula di saluto di molte culture: il greco chaire (lett. « rallegrati ») è augurio di gioia nel momento dell’incontro con l’altro; ma anche lo shalom ebraico (e termini affini in altre lingue semitiche) augura all’altro una situazione in cui possa sperimentare la gioia. Insomma, possiamo dire che la gioia è esperienza che coinvolge la totalità dell’esistenza umana e che emerge con forza nei momenti dell’amore (le gioie dell’amicizia e dell’amore) e della convi-vialità (dove il mangiare insieme è celebrazione per eccellenza della gioia di vivere e di vivere insieme).
Credo non sfugga a nessuno come queste dimensioni siano assunte e innestate in Cristo nell’Eucaristia: è « con gioia » che il cristiano rende grazie (‘Ringraziate con gioia il Padre »: Col 1,12) e l’Eucaristia è gioia nella memoria dell’evento pasquale rivissuto nell’oggi e atteso nel suo compimento escatologico quando verrà il Signore nella gloria. Ed è gioia, espressa particolarmente dal « bacio santo », per la comunione che la presenza del Cristo crea fra i credenti: « Vedersi insieme gli uni gli altri all’Eucaristia è sorgente di una gioia traboccante » (san Gerolamo). Questa gioia « in Cristo », è dunque una gioia umanissima, non dimentica delle dimensioni corporee e relazionali della stessa, e così essa culmina nel pasto eucaristico, dove il simbolo conviviale si carica, in Cristo, della dimensione di profezia del banchetto escatologico. Vi è infatti una dimensione escatologica della gioia cristiana, che si evidenzia soprattutto come « gioia anche nelle tribolazioni » (2Cor 7,4; Col 1,24), cioè come gioia che non viene meno pur nelle situazioni di sofferenza e di contraddizione.
Questo non significa certo dire che il cristiano non conosca più tristezze o dolori che escludono assolutamente la compresenza della gioia. Ma significa che la gioia cristiana abita nel profondo del credente e consiste nella sua vita nascosta con Dio. È la gioia indicibile e gloriosa (IPt 1,8-9) di chi ama Cristo e già vive con lui nel segreto della fede. È la gioia che nessuno può estirpare perché nessuno può impedire al cristiano di amare il Signore e i fratelli anche in situazioni estreme: i martiri sono lì a ricordarcelo. È la gioia a caro prezzo di chi assume la condizione di temporalità e mortalità e fa del suo ineluttabile scendere verso la morte una salita al Padre, un cammino pieno di speranza verso il Signore, verso l’incontro con Colui il cui volto tanto ha cercato nei giorni della sua esistenza.
Per questo la gioia nel Nuovo Testamento è un comando apostolico: « Rallegratevi senza posa nel Signore, lo ripeto, rallegratevi » (Fil 4,4); essa infatti è una dimensione di cui già si può fare esperienza, ma è anche gioia veniente alla quale acconsentire, gioia piena nell’incontro definitivo, faccia a faccia con il Signore. Essendo una sua responsabilità, il cristiano deve esercitarsi alla gioia, da un lato per sconfiggere lo spiritus tristitiae che sempre lo minaccia, dall’altro perché non può privare il mondo della testimonianza della gioia sgorgata dalla fede. È la gioia dei credenti, infatti, che narra al mondo la gloria di Dio! Questo, infatti, chiedono gli uomini: « Mostri il Signore la sua gloria: e voi credenti fateci vedere la vostra gioia! » (Is 66,5).

 

Publié dans:meditazioni, Parrocchia (da una) |on 19 novembre, 2014 |Pas de commentaires »

I SANTI FABIANO E VENANZIO SOTTO IL MANTO DI MARIA – RICORDANDO DON ANDREA SANTORO

http://www.zenit.org/it/articles/i-santi-fabiano-e-venanzio-sotto-il-manto-di-maria

I SANTI FABIANO E VENANZIO SOTTO IL MANTO DI MARIA

RICORDANDO DON ANDREA SANTORO

ROMA, 03 DICEMBRE 2013 (ZENIT.ORG) RODOLFO PAPA

Nel lontano anno giubilare del 2000, don Andrea Santoro, allora parroco della chiesa dei SS. Fabiano e Venanzio a Roma, mi propose di dipingere una tela mariana per la sua chiesa, lanciandomi una grande sfida. Come potevo, allora giovane artista, rappresentare tutta la bellezza, il mistero, l’umiltà e l’accoglienza di Maria? Non è mai facile mettere il mare in una bottiglia, ma proprio questo è il compito dell’ arte. E proprio all’arte del passato allora mi rivolsi, cercando come negli altri secoli alcuni artisti avevano vinto la loro sfida, con la propria cultura e la propria maestria. In particolare un ‘immagine ha guidato la mia riflessione: la Madonna di Misericordia di Piero della Francesca, un’opera matura, incisiva, possente, aspramente comunicativa. Nella tavola di Piero, Maria apre il suo mantello formando «un nicchione bramantesco» , come disse il Longhi, e in quel nicchione è accolta l’umanità, rappresentata in dimensioni notevolmente inferiori. Il mantello così aperto attraeva i miei occhi e il mio cuore, ma la disparità proporzionale non rispondeva affatto alle mie esigenze. lo volevo rappresentare Maria Madre della Chiesa, Maria madre di tutti e di ciascuno: la corrispondenza proporzionale mi sembrava indispensabile per rappresentare il rapporto personale che lega Maria ai suoi figli. E così ho dipinto Maria ed i fedeli nella medesima scala dimensionale. Per rappresentare la maestà di Maria, ho cercato una strada diversa da quella della « grandezza », adottata da Piero, volevo rendere «avvertibile il mondo invisibile» ( come hanno detto i Padri conciliari agli artisti, alla chiusura del Vaticano II), attraverso il nostro mondo visibile. Dunque, Maria una donna come tutte, ma benedetta fra tutte le donne. Fare un’opera d’arte sacra è sempre un’avventura dello spirito, e richiede meditazione. Un passo di Isaia ha aiutato il mio lavoro: «Allarga 10 spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti, poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza entrerà in possesso delle nazioni, popolerà le città un tempo deserte» (Is 54, 2-3). Mi sembrava di sentirlo sulle labbra dei Santi Fabiano e Venanzio, che volevo rappresentare accanto a Maria. E così li ho dipinti nell’atto di allargare il manto di Maria, nel loro aiutarLa nell’azione di misericordia: tutta la Chiesa sub tutela Matris. Prosegue Isaia: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te….Cammineranno i popoli alla tua luce….Alza gli occhi intorno e guarda, tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te…» (Is 60, II; 3; 4-5). Ho inserito Maria in una circonferenza, determinata in alto dalla centina del telaio e in basso dall’andamento dei fedeli. La circonferenza è simbolo di perfezione, e anche segno cosmografico. Il centro di questa circonferenza è il ventre di Maria, perché Maria è tramite perfetto del progetto di Dio, e l’incarnazione del Figlio è il centro esatto della storia. I fedeli si radunano sotto il manto di Maria, sono giovani e anziani, in un incrocio che passa per il centro della tela. Alla chiamata vocazionale del martire Venanzio, dipinto in alto a sinistra, corrisponde diagonalmente un giovane che volutamente gli somiglia: il « sì » a Maria e a Cristo è ancora attuale e del tutto vitale. Non a caso il giovane indica Maria, Colei che attraverso il rosario gli indica la strada. In alto a destra, invece, San Fabiano I papa riceve in età avanzata i doni dello Spirito, simboleggiati dalla colomba, che è suo attributo iconografico, e anch’egli ha un proprio corrispondente tra i fedeli rappresentati: un vecchio, quasi nascosto, in basso a sinistra, che ha occhi solo per Maria, ad affermare che la vecchia è l’età della preghiera, della contemplazione e della saggezza, come ricorda il Santo Padre nella Lettera agli anziani. L’asse che collega i Santi ai propri corrispondenti contemporanei passa sempre nel centro, nel grembo santo di Maria. Ogni santità è possibile solo nel Verbo incarnato. Tutti gli altri fedeli, ognuno con la sua propria storia, si presentano davanti a Maria: per contemplarLa, per pregarLa di qualche grazia, o esteticamente rapiti dalla bellezza dello stare con Lei. Volevo che questa tela esprimesse gioia, ma una gioia che nasce dalla contemplazione della croce attraverso gli occhi di Maria: San Fabiano e San Venanzio portano le palme del martirio, riposando insieme a Cristo nel Paradiso. Il giovane con i capelli rossi, in basso al centro, apre le braccia in forma di croce, e con quel gesto intona lo Stabat Mater, ricorda come Maria proprio stando sotto la croce è divenuta madre di tutti noi. Il giovane ha al polso un orologio che segna l’ora della morte di Cristo. La predella, rappresentata come una balaustra in bassorilievo, racconta cinque momenti della vita di Maria: 1′Annunciazione, la Natività, la Pietà, la Pentecoste e Maria a Efeso con Giovanni. Nella quarta formella, Pentecoste, Maria è al centro del cenacolo nel momento in cui si sente come «un rombo di tuono» e un apostolo indicando la folgore di luce, indica anche il « Libro », che è poggiato sulla balaustra, segnato da una matita proprio al passo 2,1 degli Atti degli Apostoli. Maria a Efeseo è una tipologia rappresentata forse per la prima volta, ed è un invito a riflettere sull’azione apostolica di Maria nel mondo, con il suo nuovo figlio Giovanni. Ritornando alla parte superiore, il gruppo di Maria, dei Santi e dei fedeli costruisce una stella a cinque punte rivolta verso l’alto. Maria con il velo forma il vertice principale, rivolto verso l’alto. Il mantello tenuto dai Santi forma le due punte laterali e l’incrocio dei fedeli individua le due punte inferiori. Questa stella, nell’azzurro del cielo, indica che Maria è la rotta da seguire. Maria, Stella Maris, è colei che indica il cammino ai viandanti, anche a noi pellegrini di questo anno giubilare. Prosegue Isaia: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te….Cammineranno i popoli alla tua luce….Alza gli occhi intorno e guarda, tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te…» (Is 60, II; 3; 4-5). Ho inserito Maria in una circonferenza, determinata in alto dalla centina del telaio e in basso dall’andamento dei fedeli. La circonferenza è simbolo di perfezione, e anche segno cosmografico. Il centro di questa circonferenza è il ventre di Maria, perché Maria è tramite perfetto del progetto di Dio, e l’incarnazione del Figlio è il centro esatto della storia. I fedeli si radunano sotto il manto di Maria, sono giovani e anziani, in un incrocio che passa per il centro della tela. Alla chiamata vocazionale del martire Venanzio –che ricordiamo in questi giorni- dipinto in alto a sinistra, corrisponde diagonalmente un giovane che volutamente gli somiglia: il « sì » a Maria e a Cristo è ancora attuale e del tutto vitale. Non a caso il giovane indica Maria, Colei che attraverso il rosario gli indica la strada. In alto a destra, invece, San Fabiano I papa riceve in età avanzata i doni dello Spirito, simboleggiati dalla colomba, che è suo attributo iconografico, e anch’egli ha un proprio corrispondente tra i fedeli rappresentati: un vecchio, quasi nascosto, in basso a sinistra, che ha occhi solo per Maria, ad affermare che la vecchiaia è l’età della preghiera, della contemplazione e della saggezza, come ha ricordato il beato Giovanni Paolo II nella Lettera agli anziani nel 1999. L’asse che collega i Santi ai propri corrispondenti contemporanei passa sempre nel centro, nel grembo santo di Maria. Ogni santità è possibile solo nel Verbo incarnato. Tutti gli altri fedeli, ognuno con la sua propria storia, si presentano davanti a Maria: per contemplarLa, per pregarLa di qualche grazia, o esteticamente rapiti dalla bellezza dello stare con Lei. Volevo che questa tela esprimesse gioia, ma una gioia che nasce dalla contemplazione della croce attraverso gli occhi di Maria: San Fabiano e San Venanzio portano le palme del martirio, riposando insieme a Cristo nel Paradiso. Il giovane con i capelli rossi, in basso al centro, apre le braccia in forma di croce, e con quel gesto intona lo Stabat Mater, ricorda come Maria proprio stando sotto la croce è divenuta madre di tutti noi. Il giovane ha al polso un orologio che segna l’ora della morte di Cristo. La predella, rappresentata come una balaustra in bassorilievo, racconta cinque momenti della vita di Maria: 1′Annunciazione, la Natività, la Pietà, la Pentecoste e Maria a Efeso con Giovanni. Nella quarta formella, rappresentante Pentecoste, Maria è al centro del cenacolo nel momento in cui si sente come «un rombo di tuono» e un apostolo indicando la folgore di luce, indica anche il « Libro », che è poggiato sulla balaustra, segnato da una matita proprio al passo 2,1 degli Atti degli Apostoli. Maria a Efeso è una tipologia rappresentata forse per la prima volta, e personalmente voluta da don Andrea, ed è un invito a riflettere sull’azione apostolica di Maria nel mondo, con il suo nuovo figlio Giovanni. Ritornando alla parte superiore, il gruppo di Maria, dei Santi e dei fedeli costruisce una stella a cinque punte rivolta verso l’alto. Maria con il velo forma il vertice principale, rivolto verso l’alto. Il mantello tenuto dai Santi forma le due punte laterali e l’incrocio dei fedeli individua le due punte inferiori. Questa stella, nell’azzurro del cielo, indica che Maria è la rotta da seguire. Maria, Stella Maris, è colei che indica il cammino ai viandanti, anche a noi pellegrini.. Quando la tela fu finita e collocata nella parrocchia con solenne processione, don Andrea Santoro scrisse una bellissima preghiera, che fece stampare dietro l’immagine del mio quadro. Anni dopo, quando don Andrea Santoro fu ucciso in Turchia, sulle tracce della Madre del Signore, quella preghiera ha assunto un significato ancora più luminoso: ALLA MADONNA DEL MANTO (Preghiera): «Ecco tua madre» mi disse Gesù/quando ero con te sotto la croce./Allora Maria permetti che ti preghi cosi:/«Madre mia portami nel tuo cuore, prendimi per mano,/donami quel latte santo con cui allattasti Gesù/tienimi sotto il tuo manto/come tenevi Gesù all’ombra delle tue braccia./Madre mia, parlami di Gesù, raccontami tutto di lui/da quella notte di Natale alla notte del Calvario, dalla luce del concepimento alla luce della risurrezione./Guidami a scoprire quella volontà del Padre/che avevi in comune con lui./Guidami ad accogliere quello Spirito Santo/che dette vita a1 tuo grembo e dette vita alla sua tomba /Aprimi a quell’amore/che ti rese benedetta e piena di grazia/Aprimi a quella missione/che ti rinchiuse prima nei silenzi di Nazareth/e ti portò poi in terra straniera in cerca dei figli dispersi /Insegnami l’abbandono e la fiducia,/la povertà e l’umiltà,/la mitezza e il nascondimento./Insegnami a piangere, a soffrire, a morire./Insegnami a donarmi, a dire « eccomi » a colui che può tutto /Insegnami a camminare per dove lui vuole. Insegnami a perdere tutto per diventare con te madre di tutti./Assistimi in ogni ora, soprattutto in quell’ultima/che mi porterà a vedere il tuo volto./Insegnanti a dire « sì » quando verrai con Gesù a prendermi/da questo mondo per portarmi al Padre».

Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio.

«È Cristo che tiè er timone»: poesia di un parroco romano

http://www.zenit.org/it/articles/e-cristo-che-tie-er-timone-poesia-di-un-parroco-romano

«È Cristo che tiè er timone»: poesia di un parroco romano

Padre Lucio Zappatore, carmelitano della Capitale, saluta il Papa dimissionario con dei versi in romanesco

Roma, 21 Febbraio 2013 (Zenit.org).

Salutare il Papa in romanesco, nel dialetto della città di cui è stato – ed è, fino al 28 febbraio – vescovo. Padre Lucio Maria Zappatore, settant’anni nel prossimo agosto, carmelitano, dal 2000 alla guida dela comunità parrocchiale di Santa Maria Regina Mundi a Torre Spaccata, ma soprattutto un poeta nela lingua di Trilussa, ha dedicato una poesia al Santo Padre. Un saluto affettuoso da un sacerdote romano, che ben interpreta i sentimenti anche degli altri presbiteri.

Il titolo: «Ar Papa uscente Benedetto XVI». Di seguito la poesia composta da padre Zappatore:

So’ rimasto de stucco, che sconforto,
ner sentì ch’ha deciso de mollà.

A Roma, er Papa, o è vivo o è morto
Nun ce so’ vie de mezzo da ‘nventà.

«Morto un Papa se ne fa ‘n’antro»: è duro,
ma mo nun vale più: come faremo?

«Ogni morte de Papa» …t’assicuro
che qui sta vivo: come la mettemo?

Ma er core poi me dice de fidasse,
che ‘sto Papa, lui sa quello che fa:

prima ch’er tempo suo lo buggerasse,
s’è aritirato solo e in umirtà.

E la fede me dice da che esisto,
che la barca de Pietro nun vacilla,

ché, Papa dopo Papa, è sempre Cristo,
che tiè er timone e la fa annà tranquilla!

Dio santo-comunione dei santi (da una Parrocchia)

http://www.parrocchiaruvo.it/home/lettera-aperta-settimanale/156-dio-santo-comunione-dei-santi-.html

Dio santo-comunione dei santi

 Martedì 08 Novembre 2011 

Da principio, la Bibbia riservò a Iahvè il titolo di «Santo», parola che aveva allora un significato molto vicino a quello di «sacro»:  Dio è l’ «Altro», così trascendente e così lontano che l’uomo non può pensare di partecipare alla sua vita. Davanti alla sua santità  l’uomo non può provare che rispetto e timore.
In una religione di salvezza come quella d’Israele, Dio doveva comunicare la sua santità al popolo, il quale diviene esso pure «altro», manifestando nella sua vita quotidiana, e soprattutto nel suo culto, un comportamento diverso da quello di altri popoli.
Ma per attuare questa santità alla quale Dio lo chiamava, il popolo eletto non aveva altro che mezzi legali e pratiche di purificazione esteriore. Gli uomini più impegnati presero ben presto coscienza della insufficienza di tali mezzi, e cercarono la «purezza di cuore» capace di farli partecipi della vita di Dio. Essi posero la loro speranza in una santità che sarebbe stata comunicata direttamente da Dio. Questo anelito si realizza nel Cristo; egli irradia la santità di Dio; su di lui riposa «lo Spirito di santità»; egli rivendica il titolo di «santo». Viene infatti a santificare tutta l’umanità.
Gesù Cristo, divenuto «Signore», trasmette la sua santità alla Chiesa per mezzo dei sacramenti che portano all’uomo la vita di Dio. Questa dottrina era così viva nei primi secoli, che i membri della Chiesa non esitarono a chiamarsi «i santi» e la Chiesa stessa era chiamata «comunione dei santi». Questa espressione, che troviamo ancora nel Credo, trae la sua origine dall’assemblea eucaristica, durante la quale «i santi» partecipano alle «cose sante». La santità cristiana appare, dunque, come una partecipazione alla vita di Dio, che si attua con i mezzi che la Chiesa ci offre, in particolare con i sacramenti.
La santità non è il frutto dello sforzo umano che tenta di raggiungere Dio con le sue forze; essa è dono dell’amore di Dio e risposta dell’uomo all’iniziativa divina.

Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)

A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt’altro che pericolosa.
Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.
Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.
Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita è nascosta con lui in Dio.
Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.

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