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SANTA MESSA «IN COENA DOMINI»: OMELIA DI PAOLO VI – 1966

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SANTA MESSA «IN COENA DOMINI» NELL’ARCIBASILICA LATERANENSE

OMELIA DI PAOLO VI

Giovedì Santo, 7 aprile 1966

Fratelli e Figli!
Signori ed Amici!

Perché siamo noi questa sera di Giovedì Santo riuniti in questa Basilica? La Nostra domanda non si riferisce ora al grande rito religioso, che stiamo celebrando, ma risale più indietro; cerca la ragione che ha dato origine in passato, e che adesso giustifica l’atto misterioso e solenne, che stiamo compiendo. Da che cosa deriva la nostra sinassi, cioè la nostra riunione ecclesiale, e quale ne è il motivo primitivo ed essenziale?

«FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME»
Nessuno si stupisca per questa Nostra domanda, così semplice e di così facile risposta: nulla è più importante e nulla più fecondo di luce e di gaudio, che la rievocazione della causa iniziale della nostra celebrazione. Noi siamo qui, in questa fausta e pia ricorrenza del Giovedì Santo, per virtù d’una parola, due volte ripetuta dal Signore (cfr. 1 Cor. 11, 24-25), nell’ultima Cena, dopo che altre parole di preciso e immenso significato, quelle istitutive del sacrificio eucaristico, erano state pronunciate; e la parola che ora direttamente ci riguarda è questa: «Fate questo in memoria di Me» (Luc. 22, 19). Noi siamo riuniti questa sera per causa ed in ossequio di questa parola di Gesù Cristo; noi stiamo obbedendo ad un suo ordine, noi stiamo eseguendo una sua ultima volontà, noi stiamo rievocando, com’Egli ha voluto, la sua memoria.
È una cerimonia commemorativa la nostra. Noi vogliamo occupare il nostro spirito col ricordo di Lui, del nostro Fratello divino, del nostro sommo Maestro, del nostro unico Salvatore. La figura di Lui – oh, ne potessimo, noi così curiosi oggi delle immagini visive, averne le vere sembianze! – deve esserci davanti agli occhi dell’anima nelle forme che ci sono più care ed espressive, più umane e più ieratiche, Lui mite ed umile, Lui forte e grave, Lui, nostro Signore e nostro Dio (cfr. Io. 20, 28); dobbiamo in un certo senso, vederlo, sentirlo, ma soprattutto saperlo presente. La parola di Lui, il suo Vangelo, deve, come per incanto, salire dalla nostra subcoscienza, e risuonare tutta insieme al nostro spirito, come la ascoltassimo, come la potessimo in un atto solo tutta ricordare e comprendere: non è Lui la Parola di Dio fatto uomo, e perciò fatta nostra? E tutto l’alone immenso della profezia e della teologia, che lo circonda e lo definisce, e che a noi tanto lo avvicina e quasi di Lui c’investe e ci inebria, ed insieme ci umilia e ci abbaglia, noi lo dobbiamo contemplare questa sera, come quando ci lasciamo incantare dalla maestosa icone di Cristo sovrano, dominante dall’abside delle nostre antiche basiliche, pieno di interiorità e di potestà. Dobbiamo ricordarlo, questa sera, Lui il nostro Signore e Redentore. È un dovere di memoria, che stiamo compiendo. È la reviviscenza nei nostri spiriti della sua figura e della sua missione, che vogliamo in questo momento, più che in ogni altro, suscitare.

LA PASQUA PERENNE DEL SALVATORE
Ci facilita il compimento di questo dovere il pensare l’importanza che la memoria assume nella religione vera, positiva e rivelata, come la nostra. Essa si fonda su fatti concreti, che bisogna ricordare. Il loro ricordo forma il tessuto della fede e alimenta la vita spirituale e morale del credente. Tutto il racconto biblico si svolge sulla memoria di avvenimenti e di parole, che non devono dissolversi nel tempo, ma devono rimanere sempre presenti. Quella che noi chiamiamo oggi coscienza storica può farci comprendere qualche cosa circa la funzione della memoria nella tradizione sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. Non possiamo dimenticare che la Cena stessa, durante la quale Gesù ordinò di tener viva la sua memoria mediante la rinnovazione di ciò ch’Egli aveva allora compiuto, era un rito commemorativo; era il convito pasquale, che doveva ripetersi ogni anno per trasmettere alle generazioni future il ricordo indelebile della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto: «Habebitis autem hunc diem in monumentum et celebrabitis eam solemnem Domino in generationibus vestris cultu sempiterno» (Ex. 12, 14). L’Antico Testamento si svolge lungo il filo di fedeltà al ricordo di quella prima Pasqua liberatrice. Gesù, quella sera, sostituisce all’Antico il Nuovo Testamento: «Questo è il mio Sangue. Egli dirà, del Nuovo Testamento . . .» (Matth. 26, 28); all’antica Pasqua storica e figurativa Egli collega e fa succedere la sua Pasqua, anch’essa storica, definitiva questa, ma figurativa anch’essa d’un altro ultimo avvenimento, la parusia finale: «donec veniat» (1 Cor. 11, 26): memoria risolutiva e profetica è la Cena del Signore.

LA SS.MA EUCARISTIA ALIMENTO E VITA DEI CRISTIANI
Ma come questa memoria fedele e perenne di Cristo possa rinnovarsi e di quale contenuto essa sia piena ci è pur obbligo ripensare. Quel comando di Gesù: «Fate questo» è una parola creatrice, miracolosa: è una trasmissione d’un potere, ch’Egli solo possedeva; è l’istituzione d’un sacramento, il conferimento cioè del sacerdozio di Cristo ai suoi discepoli; è la formazione dell’organo costituente e santificante del Corpo mistico, la sacra gerarchia, resa capace di rinnovare il prodigio dell’ultima Cena.
E quale sia il prodigio dell’ultima Cena noi sappiamo. Il ricordo sarà realtà. Bisogna ripensare al momento e al modo con cui Cristo ha istituito l’Eucaristia. Essa è scaturita dal suo cuore nell’imminenza e nella chiaroveggenza della sua passione. Essa rappresenta tale passione e contiene Colui che l’ha sofferta. Gesù ha sigillato la sua presenza paziente e morente nei simboli – ormai non più altro che simboli e segni – del pane e del vino. Ha voluto essere ricordato così. Ha voluto, si può dire, sopravvivere e rimanere fra noi nel supremo suo atto d’amore, il suo sacrificio, la sua morte. Ha voluto rendersi presente, lungo il corso del tempo, fra noi nello stato simultaneo di sacerdote e di vittima, sostituendo alla sua presenza storica e sensibile quella non meno reale della presenza sacramentale, perché solo i credenti, solo i volontari della fede e dell’amore, potessero venire in comunione vitale con Lui. Gesù, sapendo di essere alla fine della sua presenza naturale sulla terra, ha fatto in modo che gli uomini non si dimenticassero di Lui. L’Eucaristia è appunto il memoriale perenne di Gesù Cristo. Celebrare l’Eucaristia vuol dire celebrare la sua memoria. Ed Egli ha voluto che questa forma singolarissima di ricordarlo, anzi di riaverlo presente, diventasse cibo, cioè alimento, cioè principio interiore d’energia e di vita, per le anime dei suoi veri seguaci.

La liturgia ben sa e bene ci insegna questa finalità del mistero eucaristico; e le dà un nome, che nel suono greco ed arcaico del vocabolo dice come sempre nei secoli, fin da principio, fin dal Vangelo così fu onorata l’Eucaristia; e cioè il nome di anàmnesi, che vuol appunto dire reminiscenza, rimembranza, e che trova il suo posto rituale immediatamente dopo la consacrazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, in connessione e quasi a sviluppo ed a commento delle parole citate dal Signore stesso: «Fate questo in memoria di me»: è a questo punto ineffabile che la liturgia della Messa aggancia nuovamente la storia nostra al Vangelo con le famose parole: «Unde et memores . . ., perciò noi ricordando . . .».

ADORARE, RINGRAZIARE, AMARE CRISTO PRESENTE TRA NOI
Perciò, Fratelli e Figli, come il grande rito vuole, un grande sforzo di memoria a noi questa sera è domandato. Dobbiamo ricordare Gesù Cristo con tutte le forze del nostro spirito. Questo è l’amore che ora gli dobbiamo. Ricorda chi ama. La nostra grande colpa è l’oblio, è la dimenticanza. È la colpa ricorrente nella vicenda biblica: mentre Dio non si dimentica mai di noi . . . . «Potrà mai una donna dimenticarsi del suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? . . .» (Is. 49, 15), noi ci dimentichiamo così facilmente di Lui. Siamo giunti a tanto, nel nostro tempo, da credere una liberazione lo scordarci di Dio, da volere scordarci di Lui; come fosse liberazione lo scordarci del sole della nostra vita! Noi spingiamo sovente la giusta distinzione dei vari ordini sia del sapere, che dell’azione, la quale non vuole confusione fra il sacro e il profano e rivendica a ciascuno la loro relativa autonomia, fino alla negazione dell’ordine religioso, e alla diffidenza e alla resistenza nei suoi confronti, per l’errata convinzione che nel laicismo radicale sia prestigio umano e vera sapienza. Così la dimenticanza di Cristo si fa abituale anche in una società che tanto da Lui ha ricevuto e tuttora riceve; e si insinua qualche volta anche nella comunità ecclesiale: «Tutti cercano, lamenta l’Apostolo, le cose proprie, non quelle di Gesù Cristo» (Phil. 2, 21).
Dobbiamo ricordarci invece di Lui, come Lui con la moltiplicata, silenziosa, amorosa presenza eucaristica si ricorda di noi, di ciascuno di noi. E se nella quotidiana celebrazione della Messa questa memoria si riaccende e risplende nelle nostre sacre assemblee e nel foro interiore delle nostre anime, quest’oggi un’ultima dimenticanza noi dobbiamo vincere, quella che l’abitudine produce e che rende la nostra memoria appena formale e insensibile. Oggi la pienezza della memoria si ravviva nella fede alla realtà del fatto eucaristico, nella meraviglia, nella riconoscenza, nell’amore: qui è il Cristo venuto, qui è il Cristo presente, qui è il Cristo che verrà; a Lui onore e gloria, oggi e per sempre.

Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria – Paolo VI, Omelia 8.12.1963

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1963/documents/hf_p-vi_hom_19631208_it.html
 
OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Domenica, 8 dicembre 1963

Ai Santi Dodici Apostoli

Il Santo Padre inizia la paterna Esortazione col chiedersi: quali i motivi della Sua presenza nella storica e monumentale Basilica? Può subito rispondere che una delle ragioni è quella di salutare affettuosamente l’Em.mo Cardinale Tappouni, Patriarca di Antiochia dei Siri, titolare della Basilica, che è legata all’Oriente con tanti vincoli a cominciare dalla memoria del Cardinale Bessarione – le cui spoglie riposano in questo tempio – Padre insigne al Concilio Ecumenici di Firenze nel secolo XV.
L’Augusto Pontefice è lieto inoltre di incontrare e salutare il Cardinale Pro Vicario di Roma, il Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana e, con essi, tutti gli altri ecclesiastici. Uno speciale affettuoso pensiero Egli rivolge alla Famiglia Religiosa dei Frati Minori Conventuali, che officiano la Basilica, a cominciare dal Ministro Generale, a quanti gli fanno corona o hanno qui dappresso dimora, pregando e svolgendo apostolato nello spirito di S. Francesco.
Infine la benedizione augurale del Vicario di Gesù Cristo è diretta all’intero popolo romano, di cui una folta rappresentanza Egli prevedeva oggi in questa chiesa, tanto gloriosamente innestata nella topografia, nella storia, nel cuore dell’Urbe.
Ma, soprattutto, il precipuo motivo della visita – che ogni altro avvalora ed innalza – è quello di presentare omaggio alla Vergine SS.ma al termine della tradizionale fervorosa novena, la quale richiama eccezionale numero di partecipanti in preparazione alla bellissima festa di domani: l’Immacolata Concezione.
È stato infatti preciso intento di Sua Santità rendere questo, benché semplice e familiare, pubblico atto di culto alla Madre di Dio, all’indomani della seconda Sessione del Concilio, durante la quale molto si è parlato della Madonna, con desiderio generale ardente di poter esprimere quello che tutti i Padri hanno nel cuore: un grande atto filiale, cioè, un singolare, sentitissimo omaggio alla celeste Regina. Ora, quasi in acconto di quanto avverrà – e si spera nella prossima Sessione – il Papa vuole, insieme con quanti Lo circondano, riaffermare illimitata devozione e fervida speranza a Maria. Tanto più – e tutti sicuramente abbiamo nel cuore questi pensieri – che la festa sì cara ed alta della Immacolata Concezione ci presenta Maria SS.ma in una luce, una prerogativa che non finiremmo mai di meditare e contemplare. Si rimane abbagliati dall’aspetto con cui la santa Liturgia, vale a dire la dottrina, la fede nostra, ci presenta il mistero della Immacolata Concezione: una soprannaturale, sublime bellezza che ci rende avidi di raggiungere meta così eccelsa.
La natura umana si è mai espressa in una forma completamente perfetta?
Da Adamo in poi l’umanità non ha più avuto questa fortuna, salvo che in Nostro Signore Gesù Cristo e nella Madre sua Santissima. È questa nostra Sorella, questa eletta Figlia della stirpe di David, a rivelare il disegno originario di Dio sul genere umano, quando ci creò a sua immagine e somiglianza. Il ritratto, dunque, di Dio. Poterlo ammirare in Maria, finalmente ricostituito, finalmente riprodotto nella genuina e nativa bellezza e perfezione: ecco una realtà che ci incanta e rapisce, placando, si direbbe, l’accesa e inappagata nostalgia di bellezza che gli uomini portano nel cuore. Essi infatti ritengono, con moltiplicati sforzi – la vita moderna è tesa verso questo scopo – di poter raggiungere l’ideale allorché della bellezza dànno qualche forma, qualche espressione, senza però mai riuscire a portarla alle sue profonde, vere caratteristiche, che sono quelle non della forma, ma dell’essere.
Maria è perfetta nel suo essere; è immacolata nella sua intima natura, dal primo istante della sua vita. Noi staremmo perciò ad ammirare di continuo un tale prodigioso riflesso della bellezza divina, fino a sentirci, ovviamente, pur tanto dissimili, arcanamente consolati.
Dissimili, perché Maria è l’unica, la privilegiata, e nessuno potrà mai non solo eguagliarla, ma neppure avvicinarla. Consolati, nondimeno, perché Maria è la Madre nostra; perché Ella ci ripresenta ciò che abbiamo tutti in fondo al cuore: l’immagine autentica dell’umanità, l’immagine dell’umanità innocente, santa. Ce ne svela i principii, poiché Maria è in assoluto rapporto con Dio mediante la Grazia; perché il suo essere è tutto armonia, candore, semplicità; è tutto trasparenza, gentilezza, perfezione; è tutto bellezza.
Che cosa diremo, allora, alla Madonna, in questo sguardo che diamo, rapiti e consolati, al mistero di innocenza e di santità? Diremo intanto ciò che abbiamo poco fa proferito: Tota pulchra est, Maria . . .!
Finalmente l’immagine della bellezza si leva sopra l’umanità senza mentire, senza turbare. Le creature tutte la rimirano ed esclamano: Sei veramente, sei realmente la bellezza: Tota pulchra es!
In secondo luogo, dopo aver considerato questo ineffabile dono di Dio in Maria, ci convinceremo che esso non è un sogno fallace, non è un tentativo vòlto ad aumentare ancora in noi acuta nostalgia e doloroso rammarico. Ci rianima, invece; e proclama che la perfezione è possibile; che a noi pure è accordato di ricostituire, – se non certo nella medesima completezza e uguale splendore, ma con le stesse energie, che sono quelle della Grazia, dei divini carismi, dello Spirito Santo – quel pensiero che Iddio ha avuto sopra di noi creandoci, per cui anche noi possiamo ,diventare buoni, virtuosi, santi, se viviamo il mistero della Grazia, il grande mistero di Maria.
Ognuno voglia – conclude con paterno cuore l’Augusto Pontefice – prefiggersi un tale programma di vita, quasi purificando nel proprio essere ciò che di torbido e di manchevole la vita – immersa nell’esperienza del mondo – ha prodotto attraverso le contaminazioni del secolo, e divenire, così, degni tutti di essere veramente quali per vocazione desideriamo: figli devoti e fedeli della Madonna Santissima.

Alla Basilica Liberiana (Santa Maria Maggiore)
Nel rivolgere amabile saluto ai Cardinali, ai Prelati e ai numerosi fedeli che Lo ascoltano, il Santo Padre esprime viva letizia perché, nel solenne momento, è a tutti possibile offrire pieno, sincero, il sentimento personale di devozione alla Santissima Vergine. È felicemente abituale, continuo, il nostro omaggio alla Madonna: in quest’ora esso si illumina appieno e la sua luce pervade le nostre anime, presentandoci Maria con la sua prerogativa più bella, ideale, sublime: Immacolata sin dal primo istante, nella perfetta rispondenza della sua vita umana al pensiero divino che l’ha così voluta e creata.
Dobbiamo consentire alle nostre anime di inebriarsi in questa visione, sì che il nostro affetto acquisti una tenerezza ed un entusiasmo, tali da rinvigorire sempre ,più la nostra preghiera, la nostra devozione Mariana.
Se poi – come è ovvio – aspiriamo a cogliere qualche particolare di questa mirabile visione della Madonna, penseremo che il Signore l’ha resa così eletta in virtù del Cristo Signor nostro. Oggi la Chiesa inizia la sua prece con le parole: «Deus, qui per Immaculatam Virginis Conceptionem dignum Filio tuo habitaculum praeparasti . . .». L’Immacolata Concezione non è che una essenziale premessa alla Maternità Divina: vale a dire il presupposto adeguato alla venuta del Cristo sulla terra. In tal modo il Figlio di Dio si riservò, nella immensa palude che è la povera umanità, una zolla innocente, un’aiuola fiorita, fragrante su cui posarsi: la Madonna SS.ma.
Tutto ciò ricorda che la nostra devozione a Maria deve condurci a Cristo; e se davvero amiamo la Madonna, dobbiamo trovare, nel culto che a Lei tributiamo, un più intenso desiderio del Signore, un più alacre zelo nella fede e nella rispondenza a Lui.
La Madonna ci conduce a Cristo. Ad Jesum per Mariam.
Non dobbiamo quindi, dinanzi a tanta Madre, limitarci a un semplice atto di contemplazione, rimanendo meravigliati e sorpresi della sua eccezionale bellezza, quasi che ciò non costituisse alcuna relazione con noi. C’è, invece: e vasta, meravigliosa!
La Madonna assurge sopra di noi, in questo fulgore di luce, innocenza, virtù, bellezza, in così ineffabile congiungimento con la vita divina, per esserci modello, essendo proposta alla nostra imitazione. Se noi ci limitassimo ad innalzare voci di giubilo e preghiere a Maria, senza volere che la nostra vita ne venisse migliorata e modificata, la nostra devozione non sarebbe completa. È, invece, una devozione che deve agire nella maniera di vivere, di pensare: deve rendere puri, buoni: deve trasfondere innocenza, e consolidare la certezza che la virtù è possibile. Finché gli uomini non avevano la Madonna, avrebbero potuto essere disperati, poiché giammai essi, da soli, sarebbero riusciti a raggiungere la virtù, a seguire il bene. La Madonna, invece, gratia piena, cioè ricca della misericordia, ricolma della azione di Dio sopra di noi, ci dimostra come anche per noi c’è speranza, anche per noi c’è possibilità, e, se vogliamo, possiamo. Il grave pessimismo che attrista la coscienza del mondo, appunto perché ha sminuito la fede e ha perduto la visione tonificante e confortante della Madonna, non deve allignare in noi. Dobbiamo sempre credere alla possibilità di essere buoni, di migliorare, di diventare immuni, anche camminando in questo mondo così inquinato dal vizio e dalla corruzione, da colpe e cadute. È possibile essere puri, virtuosi, fedeli; è possibile, in una parola, imitare la Madonna.
In tale profondo, assoluto convincimento, la devozione a Maria, mentre ci unisce a Cristo, fa sì che la Madonna resti, materna, accanto a noi. Ecco una certezza ineffabilmente ristoratrice. Essa dimostra che l’atto di venerare Maria SS.ma non è una esaltazione estranea alla nostra vita, sia di fede sia di costume, ma ci rende davvero migliori, più vicini al Redentore, a Lui più fedeli.
E così sia – conclude il Santo Padre. – E così sia, figli carissimi, per la vostra schietta gioia, per la vostra completa consolazione, per la vostra incrollabile fiducia, per la materna benedizione con cui Maria Santissima Immacolata vi accompagnerà sicuramente nella vita.                                          

Publié dans:Maria Vergine, Papa Paolo VI |on 7 décembre, 2011 |Pas de commentaires »

La spiritualità eucaristica di Papa Paolo VI

dal sito:

http://www.zenit.org/article-27816?l=italian

La spiritualità eucaristica di Papa Paolo VI

ROMA, sabato, 3 settembre 2011 (ZENIT.org).- La figura e l’opera di Paolo VI sono state rievocate il 6 agosto agosto, trentatreesimo anniversario della sua morte, in due celebrazioni, una nella Basilica di San Pietro e l’altra nella chiesa parrocchiale di San Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo.
Nell’omelia della Messa celebrata nella Basilica vaticana l’Arcivescovo-vescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, ha inserito il ricordo del Pontefice bresciano nel suo rapporto profondo con l’Eucaristia.
Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia di mons. Crepaldi.

* * *

Eminenze, Eccellenze, Confratelli nel Sacerdozio, carissimi fratelli e sorelle,
È con animo commosso che presiedo questa celebrazione eucaristica presso l’altare della Cattedra nella Basilica Vaticana in memoria del Servo di Dio Papa Paolo VI, continuando la devota tradizione avviata dall’Arcivescovo Pasquale Macchi, solerte e generoso Segretario del compianto Pontefice. Questa Basilica, nella quale risuonò più volte il Magistero di Papa Montini, resta un coinvolgente memoriale di straordinari eventi ecclesiali legati al ministero del defunto Pontefice: le sessioni del Concilio da Lui presiedute, gli incontri con il Patriarca Atenagora, la soppressione delle scomuniche e la proschinesi da Lui voluta quale gesto riparatorio per le divisioni del 1054 con il suo inginocchiarsi davanti al Metropolita Melitone. Un Pontefice, Paolo VI, che designò quale Pastore della Chiesa di Monaco il teologo Ratzinger, oggi Benedetto XVI, elevato da  Lui anche alla porpora cardinalizia.  Cari fratelli e sorelle, che siete venuti in questo luogo di singolare significatività per tutto l’Orbe Cattolico a fare memoria dell’opera e della persona di Paolo VI, consentitemi una breve riflessione su quanto il Servo di Dio ha offerto all’intera Chiesa Cattolica circa il mistero dell’Eucaristia. Vuole essere questo un piccolo contributo per preparaci al meglio alla celebrazione, nel prossimo settembre, del Congresso Eucaristico Nazionale Signore da chi andremo?
Paolo VI costruì la sua spiritualità sull’Eucarestia, celebrata ed adorata. I pomeriggi delle domeniche — non impegnate nei viaggi apostolici o nelle visite alla Parrocchie romane — venivano trascorsi nella sua cappella — resa preziosa da opere di artisti da Lui apprezzati e conosciuti — davanti al Tabernacolo, dove rimaneva in lunga e orante adorazione, affidando a Cristo eucaristico problemi e soluzioni per il rinnovamento spirituale e pastorale della Chiesa. Sì, l’Eucaristia, assieme alla preghiera del Rosario, contraddistinse la pietas di Montini, sacerdote, vescovo e Sommo Pontefice. L’educazione giovanile presso i sacerdoti dell’Oratorio delle Grazie di Brescia, dove l’amore alla liturgia e lo spirito liturgico comunicato da uomini di formidabile statura, quali il futuro card. Giulio Bevilacqua ed il futuro vescovo di Crema mons. Carlo Manziana, influì in maniera determinante sulla formazione spirituale del giovane Montini. I suoi soggiorni nell’Abbazia benedettina di Engelberg in Svizzera e le Settimane a Camaldoli affinarono il suo spirito ad una vita eucaristico-liturgica “actenta ac devota”. L’affermazione di de Lubac — l’Eucarestia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucarestia — Montini la propose e la sottolineò al suo presbiterio ambrosiano quale interiore tensione da vivere nella quotidianità della vita pastorale. È ancora viva, per auditu, l’ammirazione dei fedeli di Melkal per la compostezza liturgica e la presenza adorante nella chiesa parrocchiale di quel piccolo villaggio delle Alpi Svizzere, dove l’arcivescovo Montini passava con il fratello Francesco e la sua famiglia qualche giorno di vacanza, ai primi di agosto, negli anni del suo ministero a Milano. Montini era solito leggere davanti al Tabernacolo della sua cappella nell’arcivescovado le lettere che gli pervenivano dai più stretti collaboratori del S. Padre. Eucaristia e ministero petrino erano per Lui in stretta connessione. Non è forse sulle rive del lago di Tiberiade, non lontano da Cafarnao, che il Signore Gesù ci offrì la dottrina del pane eucaristico che è il suo Corpo dato per la vita del mondo, e non è grazie alla fede di Pietro — Signore da chi andremo? —, che Cristo Gesù, riconoscendo la volontà del Padre, conferì il primato al Pescatore di Galilea, costituendolo sua Roccia per la fede di chi avrebbe guardato a Cristo quale salvatore e redentore?
Il Papa Paolo VI, pur in una rispettosa attenzione verso ogni realtà culturale, sociale e religiosa, era ben consapevole della missione che il Signore gli aveva affidato. A Ginevra, nell’ambito di un incontro ecumenico, davanti ai rappresentanti delle Chiese sorelle e delle Comunità ecclesiali affermò: «Sono Pietro e in virtù di questo pondus indico e cerco con voi la strada della verità e dell’unità». Quel memorabile discorso — come fu confidato da mons. Macchi ad un sacerdote suo collaboratore per la causa di beatificazione di Paolo VI — lo limò, lo lesse e rilesse davanti all’Eucaristia. È proprio nell’Eucaristia, vero Corpo e Sangue di Cristo, mistero grande della nostra fede, che si deve cercare l’anima apostolica di Paolo VI. La strada del dialogo, da Lui indicata quale attenzione di carità evangelica per l’offerta della verità all’uomo moderno, sia credente che non credente, trae le sue radici da quel dialogo fatto Persona che è Cristo Gesù, il quale continuamente si pone alla ricerca di chi è smarrito o si è allontanato. Ricordava Jean Guitton che quando si recava a Castel Gandolfo per la compilazione del suo libro Dialoghi con Paolo VI, il Santo Padre, per prima cosa, lo invitava a fare una breve visita al Santissimo nella Cappella del Palazzo Apostolico. Fu proprio in una di quelle visite che Guitton suggerì al Papa di coprire le scene di guerra affrescate in quel luogo santo.
Possiamo ben dire che per comprendere la figura e l’opera di Paolo VI è necessario scoprire il suo rapporto profondo con l’Eucaristia, Mistero Pasquale di Cristo per la salvezza del mondo, vera e reale presenza del Signore in mezzo ai Suoi e per l’autentica riforma di ogni cristiano e dell’intero Popolo di Dio.  E’ questa presenza che noi dobbiamo cercare perché solo in Essa vi sono parole di vita eterna. Così l’Arcivescovo Montini si esprimeva nell’omelia del Corpus Domini a Milano nel 1956: «Infatti l’Eucaristia diffonde sopra di noi e dentro di noi un invito a penetrare, oltre lo schermo delle specie sensibili, fino alla realtà d’una divina presenza. Questo invito fa scuola per tutta la nostra vita spirituale ed intellettuale.  Di che cosa, infatti, ha maggiormente bisogno la nostra vita, sovreccitata dagli aspetti sensibili, esteriori, materiali, fenomenici della scena terrena, se non di essere richiamata, da un lato, alla vita interiore e superiore dello spirito, dall’altro, all’intelligenza profonda del Pensiero, della divina Sapienza, che governa il mondo e le sue leggi? Ed ancora. Ci parla l’Eucaristia, nel suo segno sacramentale, di un sovrano disegno di pace e di unione. “Come questo pane macinato era prima grano sparso qua e là per i colli — dice un antichissimo testo cristiano (Didachè, IX) —, e poi divenne una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa, o Signore, dai confini della terra nel tuo regno; perché tua è la gloria e la potenza per Gesù Cristo nei secoli”. Segno di pace e di unione della Vita divina con la nostra; di pace e di unione dei nostri cuori fra loro, resi fratelli e solidali dalla comunione con l’unico Cristo. E di quale più urgente rimedio, di quale più solido vincolo ha bisogno il mondo in cui viviamo, la nostra vita sociale, la nostra stessa città, che quello d’un legame sincero ed affettuoso di fraternità, di concordia di sentimenti e di opere, di unità di pensiero e di fede, di pace e di amore? E poi ancora. Ci è segno l’Eucaristia d’un dono, infinitamente amoroso e generoso, d’un dono totale di Cristo per la nostra salvezza; è il Suo sacrificio, che si rispecchia e si contiene nel sacramento; è la Sua immolazione resa presente e perenne.
E non dovremmo esultare che questa pubblica esaltazione del sacrificio redentore di Cristo venga a proclamare fra noi, anche nella nostra vita civile contro l’egoismo che paralizza e soffoca il senso sociale, la legge della bontà generosa, dell’eroismo salvatore, del sacrificio di sé per il bene altrui, e che ancora ci richiami a rigenerare nell’amore la nostra vita privata, familiare e sociale? Sì; Gesù, anche nell’Eucaristia, è Maestro…» (Mons. G.B. Montini, Discorso al termine della processione del Corpus Domini, Milano 31.5.1956).
A Voi, cari Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, a voi estimatori del Servo di Dio Paolo VI, a Voi che lo Spirito ha costituito Assemblea dei Redenti in questa solenne celebrazione, rivolgo a me e a tutti voi questo umile invito: seguiamo, ascoltiamo Cristo, Pastore e Maestro, lasciandoci accompagnare dalla fede nell’Eucaristia del Servo di Dio Paolo VI, che auspichiamo di venerare presto tra i Beati.

Basilica Vaticana, 6 agosto 2011
Trasfigurazione del Signore

Publié dans:EUCARESTIA (SULL), Papa Paolo VI |on 9 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II – SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL XXI ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PAPA MONTINI (giorno della Tasfigurazione del Signore)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1999/documents/hf_jp-ii_hom_06081999_it.html

SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL XXI ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PAPA MONTINI

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II

ALL’INIZIO DELLA SANTA MESSA

Castel Gandolfo – Venerdì, 6 agosto 1999

(Trasfigurazione del Signore)

L’Eucaristia, che ci apprestiamo a celebrare, ci conduce oggi spiritualmente sul Tabor, insieme agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, per ammirare estasiati lo splendore del Signore trasfigurato. Nell’evento della Trasfigurazione contempliamo l’incontro misterioso fra la storia che si edifica ogni giorno e l’eredità beata che ci attende in Cielo, nell’unione piena con Cristo, Alfa e Omega, Principio e Fine. A noi, pellegrini sulla terra, è dato di gioire della compagnia del Signore trasfigurato, quando ci immergiamo nelle cose di lassù mediante la preghiera e la celebrazione dei divini misteri. Ma, come i discepoli, pure noi dobbiamo scendere dal Tabor nell’esistenza quotidiana, dove le vicende degli uomini interpellano la nostra fede. Sul monte abbiamo visto; sulle strade della vita ci è chiesto di proclamare instancabilmente il Vangelo, che illumina i passi dei credenti.
Questa profonda convinzione spirituale ha guidato l’intera missione ecclesiale del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, tornato alla casa del Padre proprio nella festa della Trasfigurazione, ventun’anni orsono. Nell’Angelus che egli avrebbe voluto pronunciare in quel giorno, il 6 agosto 1978, affermava: “L’odierna solennità getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana e ci fa rivolgere la mente al destino immortale che quel fatto in sé adombra”.
Sì! Ci ricorda Paolo VI: siamo fatti per l’eternità, e l’eternità comincia fin d’ora, poiché il Signore è in mezzo a noi, vive con e nella sua Chiesa.
Mentre, con intima commozione, facciamo memoria di questo indimenticabile mio Predecessore nella sede di Pietro, preghiamo affinché ogni cristiano dalla contemplazione di Cristo, “irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza” (Eb 1, 3), sappia trarre coraggio e costanza per annunciarlo e testimoniarlo fedelmente mediante le parole e le opere.
Maria, Madre sollecita e premurosa, ci aiuti ad essere scintilla splendente della luce salvifica del suo Figlio Gesù
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IL DIO CON NOI – PAOLO VI in Mysterium Fidei, nn. 67-69

dal sito:

http://www.novena.it/lanterna/lanterna_16.htm

PAOLO VI in Mysterium Fidei, nn. 67-69

IL DIO CON NOI

Durante il giorno i fedeli non o mettano di fare la visita al SS. Sacramento, che dev’essere custodito in luogo distintissimo, col massimo onore nelle chiese, secondo le leggi liturgiche, perché la visita è prova di gratitudine, segno d’amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente.

Ognuno comprende che la divina Eucaristia conferisce al popolo cristiano incomparabile dignità. Giacché non solo durante l’offerta del Sacrificio e l’attuazione del Sacramento, ma anche dopo, mentre l’Eucaristia è conservata nelle chiese e negli oratorii, Cristo è veramente l’Emmanuel, cioè il «Dio con noi». Poiché giorno e notte è in mezzo a noi, abita con noi pieno di grazia e verità (cf Gv 1,14); restaura i costumi, alimenta le virtù, consola gli afflitti, fortifica ì deboli, e sollecita alla sua imitazione tutti quelli che si accostano a Lui, affinché col suo esempio imparino ad essere miti e umili di cuore, e a cercare non le cose proprie, ma quelle di Dio. Chiunque perciò si rivolge all’augusto Sacramento eucaristico con particolare devozione e si sforza di amare con slancio e generosità Cristo che ci ama infinitamente, sperimenta e comprende a fondo, non senza godimento dell’animo e frutto, quanto sia preziosa la vita nascosta con Cristo in Dio (cf Col 3,3) e quanto valga stare a colloquio con Cristo, di cui non c’è niente più soave sulla terra, niente più efficace a percorrere le vie della santità.

Vi è inoltre ben noto, Venerabili Fratelli, che l’Eucaristia è conservata nei templi e negli oratorii come il centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale, anzi della Chiesa universale e di tutta l’umanità, perché essa sotto il velo delle sacre specie contiene Cristo Capo invisibile della Chiesa, Redentore del mondo, centro di tutti i cuori, per cui sono tutte le cose e noi per Lui (1 Con 8,6).

Publié dans:Papa Paolo VI |on 19 juillet, 2010 |Pas de commentaires »

1963 Omelie di Paolo VI, stralci: L’ANIMA IN ASCOLTO DEL MESSAGGIO DIVINO; «VIENI, O SIGNORE GESÙ!» OGNI STATO DI VITA POSSIBILE INCONTRO CON DIO

dal sito:

http://www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/index.htm

1963 Omelie di Paolo VI

INCONTRO CON L’UNIONE DEI GIURISTI CATTOLICI
III Domenica d’Avvento, 15 dicembre 1963

(stralci)


L’ANIMA IN ASCOLTO DEL MESSAGGIO DIVINO
Che fare, dunque, per conseguire una vera disciplina spirituale, atta a conferire anche a noi le sue ricchezze soprannaturali? Dapprima una domanda: il Signore ci parla nel rumore o nel silenzio? Rispondiamo tutti: nel silenzio. E allora perché non facciamo silenzio qualche volta; perché non ascoltiamo, appena si percepisce, un qualche sussurro della voce di Dio vicino a noi? E ancora: parla Egli all’anima agitata o all’anima quieta? Sappiamo benissimo che per tale ascolto deve esserci un po’ di calma, di tranquillità; occorre un po’ isolarsi da ogni eccitazione o stimolo incombenti; ed essere noi stessi, noi soli, essere dentro di noi. Ecco l’elemento essenziale: dentro di noi! Perciò il punto di convegno non è fuori, ma all’interno. È d’uopo quindi creare nel proprio spirito una cella di raccoglimento perché l’Ospite divino possa incontrarsi con noi. La vita religiosa non consiste tanto nell’apparato del rito, pur necessario con la sua alta funzione: essa esige una vera e propria integrità. Io devo offrire a Dio il mio cuore, – per usare la parola più semplice ed espressiva – ivi è il punto di convegno; l’appuntamento sarà dentro di me. La coscienza incalza: sono io capace di concentrarmi nel mio intimo? Quando è che sono con me stesso, – «secum vivebat», si dice di S. Benedetto, l’uomo della vita interiore che ha istruito generazioni e generazioni al colloquio con Dio, vivendo con se stesso -, quando è che pure io vivo con me stesso? Si può forse pretendere che Iddio discenda in un’anima ingombra di sentimenti non buoni; se è macchiata e dimentica della sentenza del Maestro: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio»? Occorre purità, lindezza, candore, ordine morale perché avvenga l’incontro con Dio. Ciò è essenziale. Anzitutto, dunque, questa rettifica del nostro essere. Passando poi dal negativo al positivo, sempre Dio si concederà a noi, purché di Dio nutriamo vivo desiderio.

«VIENI, O SIGNORE GESÙ!»
Lo desideriamo Dio? Abbiamo sete di Lui? Il cuore nostro invoca: dove sei? come ti riveli? vuoi tu parlarmi, o Signore? Quest’ansia dell’anima in cerca di Dio si definisce preghiera. E noi, preghiamo? Se non preghiamo, può il Signore ascoltare chi non Lo invoca? Talvolta è accaduto, ma come evento singolarissimo. Il Signore fa ciò che vuole. Potrebbe folgorarci come sulla via di Damasco, S. Paolo, che non solo non lo cercava, ma intendeva opporsi ai suoi disegni, ai suoi nuovi fedeli. Tuttavia ciò non può pretendersi nell’economia ordinaria della Grazia. È necessario, invece, che l’anima sia vegliante, desiderante; persista nella fiducia e divenga degna di accogliere, ospite atteso, il misterioso Pellegrino che va in cerca di ognuno di noi. Forse Egli è vicino, già alle soglie della nostra anima: tocca a noi compiere l’atto volenteroso ed esclamare: Vieni, o Signore Gesù! Talvolta l’uomo ha paura che il Signore diventi padrone del suo essere; è geloso della libertà, e si ostina a difenderla davanti a Colui che l’ha data e l’ha elargita proprio perché tutti noi imparassimo a restituirla con un atto di amore a Lui.
A molti, purtroppo, sembra assai difficile questo elemento fondamentale della religione. Esso esige tensione e disciplina non sempre accettate di buon grado: ed è forse questo che giustifica o almeno spiega la indifferenza religiosa intorno a noi. Domina, invece, la pigrizia; l’incapacità a compiere atti spirituali preparatori e si limita a guardare soltanto il mondo; si lascia affievolire la fede, e si attenua la pratica religiosa. Se il mondo fosse veramente umano, se possedesse la reale disposizione di pregare, desiderare, figgere il suo sguardo al Cielo, non resterebbe deluso.


OGNI STATO DI VITA POSSIBILE INCONTRO CON DIO
Iddio, poi, non si lascia mai superare in generosità. Innumerevoli sono le sue vie e non sono esclusive; su ogni sentiero possiamo incontrare il Divino Viandante che muove verso di noi. Il che significa: non è necessario diventare anacoreti, o formulare un programma di vita sequestrata da tutta la comune profanità o dalle occupazioni temporali per incontrarsi con Cristo.
Le vie del Signore sono molte: il Santo Padre vuol dire di più: sono tutte. Qualsiasi stato di vita, purché sia retto e tale persista, può essere un incontro con Dio. «Dirigite viam vestram». Se noi sappiamo inserire in fase religiosa, divina, la nostra esistenza, ogni vita umana, onesta, buona, comune può diventare un sentiero, una traccia che porta verso il Signore. Come da ogni punto della circonferenza si può tracciare un raggio che perviene al centro, così da ogni periferia della vita umana può dipartirsi un percorso atto a portare a Cristo; centro di ogni vita, di ogni risorsa, attività ed umana esperienza. E come fare per raggiungere una mèta cotanto luminosa? Ecco. Anche qui potremmo approfondire l’essenza propria dei giuristi e professionisti cattolici. Essa potrebbe riassumersi in due punti. Anzitutto dirigere la vita, cercando di elevarla con la preghiera, la rettitudine, con qualche momento specifico esclusivamente consacrato all’incontro con Dio. È quello che si fa coi Sacramenti, e seguendo il Ciclo liturgico della Chiesa. Ma c’è un altro punto che risulta proprio caratteristico dell’intero Movimento dei Laureati Cattolici e dei Giuristi in particolare. Esso proclama: non solo si deve rendere buona, e santificare la professione, ma questa deve venir considerata essa medesima santificante, perfettiva. Non è necessario uscire dal proprio sentiero per diventare buono, degno del Vangelo, degno di Cristo. Basta rimanervi, insistervi; è sufficiente cioè dedicare ai doveri specifici quell’attenzione e fedeltà che rendono l’uomo probo, onesto, giusto, esemplare; colui che chiamiamo comunemente, – ma si deve dar peso a questa parola -, il bravo uomo, il galantuomo

Papa Paolo VI: Noi predichiamo Cristo a tutta la terra (1970)

UFFICIO DELLE LETTURE DI DOMENICA 27 GIUGNO

Seconda lettura

Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa

(Manila, 29 novembre 1970)
Noi predichiamo Cristo a tutta la terra

    «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16). Io sono mandato da lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr. Mt 16,16). Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito d’ogni creatura (cfr. Col 1,15). È il fondamento d’ogni cosa (cfr. Col 1,12). Egli è il Maestro dell’umanità, e il Redentore. Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita. Egli è l’uomo del dolore e della speranza. È colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, come noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di lui. Egli è la luce, è la verità, anzi egli è «la via, la verità, la vita» (Gv 14,6). Egli è il pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete, egli è il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore e paziente nella sofferenza. Per noi egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore ed i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli.
    Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anz ivoi, la maggior parte certamente, siete già suoi siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore il ponte fra la terra e il cielo; egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché egli è il Figlio d iDio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, e madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico.
    Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli.

RESPONSORIO         2Tm 1,10; Gv 1,16; Col 1,16-17

R. Gesù Cristo nostro salvatore ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo. * Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.
V. Tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
R. Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia

Publié dans:Papa Paolo VI |on 3 juillet, 2010 |Pas de commentaires »

Udienza Generale di Paolo VI, 1964 (anche Santa Caterina da Siena)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/documents/hf_p-vi_aud_19640429_it.html

UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Mercoledì, 29 aprile 1964

(anche Santa Caterina da Siena) 

Diletti Figli e Figlie!

Il sentimento, che nasce nel Nostro cuore alla visione della vostra presenza – anche oggi quanto numerosa, quanto varia, e quanto affettuosa! – è quello della riconoscenza: grazie, grazie, diciamo a ciascuno di voi per essere venuto a visitarci, a procurarci il piacere di conoscervi, di salutarvi, di pregare con voi, di benedirvi. Voi capite come questo sentimento cresce in proporzione della devozione che qua vi conduce, dei disagi e delle spese del vostro pellegrinaggio, della distanza, che voi avete superata per avvicinarvi alle tombe degli Apostoli ed a Noi; così quelli che vengono da più lontano Ci sono ora più vicini!

Questo Nostro ringraziamento, carissimi Figli e Figlie, non è soltanto l’espressione doverosa e consueta della cortesia di chi è visitato ai suoi visitatori; è qualche cosa di più: è la voce della carità, di cui vive la Chiesa, è la vibrazione dei vincoli che uniscono il Padre ai suoi figli a lui stretti d’intorno, è la prova dell’unità spirituale, che a questo incontro esteriore mostra l’interiore, rete di rapporti che tutti ci fa fratelli in Cristo, e tutti variamente imparentati nella compagine organica e visibile del suo mistico Corpo: voi Figli e Figlie, e Noi, in Cristo, vostro Padre; voi discepoli, e Noi per suo mandato, maestro vostro; voi gregge del Signore, e Noi, nel suo nome, vostro Pastore.

Comprendete perciò come un’udienza, pia e domestica come questa, è per Noi come una festa di famiglia, una consolazione dello spirito, una celebrazione del mistero della Chiesa. Perciò vi siamo grati della vostra venuta; perciò accogliamo con umile gioia le vostre acclamazioni, non fermate alla Nostra Persona, ma rivolte al ministero, che esercitiamo, e al Signore, che rappresentiamo. Vi diremo di più: la vostra adesione è la Nostra letizia, la Nostra speranza nelle tante apprensioni, nelle tante necessità, nelle tante pene, che fanno grave – voi lo potete ben credere – il Nostro servizio apostolico. Voi Ci confortate al pensiero, nascente della vostra fedeltà, che la forza del Papa è l’amore dei suoi figli. Qui, ora, quasi Ce ne fate gustare l’esperienza; Noi ve ne siamo, Figli e Figlie, gratissimi.

Sì, la forza del Papa è l’amore dei suoi figli, è l’unione della comunità ecclesiastica, è la carità dei fedeli che sotto la guida formano un Cuor solo e un’anima sola. Questo contributo di energie spirituali, che viene dal popolo cattolico alla Gerarchia della Chiesa, dal singolo cristiano fino al Papa, Ci fa pensare alla Santa, che domani la Chiesa onorerà con festa speciale, Santa Caterina da Siena, l’umile, sapiente, impavida vergine domenicana, che, voi tutti sapete, amò il Papa e la Chiesa, come non si sa che altri facesse con pari altezza e pari vigore di spirito.

Fra le tante e immense cose che questa devotissima figlia della Chiesa c’insegna, due ne possiamo ricordare quasi a conferma di quanto vi stiamo dicendo; e cioè: anche una povera donna, una figliola del popolo, può amare e quindi servire la Chiesa ed il Papato con grandezza d’animo superlativa e con effetti benefici, che solo la Provvidenza, per verità, può disporre e calcolare. Cioè tutti, come del resto voi fate in questo momento, devono amare la Chiesa, e tutti possono renderle così un grande dono: quello del cuore. E poi: la Chiesa ed il Papato si possono e si devono amare, S. Caterina ce lo insegna, anche se il loro volto fosse velato da umane infermità: la testimonianza di fedeltà e di carità sarà allora più grande, più intelligente, più meritoria; ed è forse questa la lezione di cui tanti moderni, che pur si dicono cattolici, bene non comprendono, intenti come sono, e quasi appassionati a cercare difetti nella Chiesa e nella Curia Romana, formulando critiche non sempre serene e .talora non oggettive. Gesù una volta ebbe a dire: «Beato colui che non si sarà scandalizzato di me» (Matth. 11, 6); è parola, che la storia della Chiesa ci fa meditare; e che il figlio della Chiesa, che abbia di essa l’intelligenza vera e che ad essa dia tributo di carità vera, ancor oggi troverà, come Gesù l’annunciò, sorgente di beatitudine. 

Publié dans:Papa Paolo VI |on 28 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Tempo di Avvento, Anno A: 8 dicembre 2007 Messaggio di Insuperabile bellezza (sul pensiero di Papa Paolo VI)

dal sito:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/annoA-08/01-AvventoA-07/Omelie/01-Immacolata-DG.html

TEMPO DI AVVENTO / ANNO A /

 08 DICEMBRE 2007: MARIA IMMACOLATA
 LITURGIA DELLA DOMENICA / Omelia

MESSAGGIO DI INSUPERABILE BELLEZZA

Paolo VI ha detto che l’Avvento è la « migliore stagione liturgica del culto di Maria »: sta bene quindi il ricordo di Lei nel periodo dell’attesa, della nostra preparazione alla venuta di Gesù.

1. La Madonna, infatti, con la sua Immacolata Concezione, segna, per così dire, il primo atto dell’amore misericordioso di Dio, che prepara la restaurazione dopo il peccato. Con l’annuncio che « la donna », con la « sua stirpe » sarebbe stata l’eterna nemica dell’infernal serpente, comincia l’Avvento, comincia l’attesa, la speranza, il cammino verso la vera restaurazione. Di tutto questo Maria Immacolata è il segno e la promessa (cfr. I lett.).

Già all’inizio della storia dell’uomo colpevole, è dunque manifesto il disegno dell’amore di Dio. Egli dopo il castigo non abbandonò l’uomo in potere della morte, ma fece subito balenare alla mente dell’uomo una vittoria sul male. E Maria è il simbolo più bello di questa vittoria nella Chiesa.

2. Con la nascita di questa creatura eccezionale, « piena di grazia », l’Avvento entra nella sua fase culminante, nella fase ultima. La Madonna sorge all’orizzonte dell’umanità come l’aurora annunciatrice della salvezza, come foriera del sole nato da Lei, Gesù, come pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse, come incarnazione dell’amore e della bontà del Dio salvatore.
Con Maria, dunque, « si compiono i tempi e si instaura una nuova economia » (LG 55).

3. Maria pertanto è modello vivo di quanti attendono Gesù e la sua salvezza e si dispongono umilmente a riceverla. Dice infatti il Concilio: « Maria primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza » (LG, 55).
La Madonna è modello con la sua insuperabile purezza: Ella, infatti, è la « piena di grazia », cioè Colei che non ha mai interrotto il suo rapporto con Dio; Colei nella quale ritroviamo il modello originale della creatura uscita integra dalle mani del Creatore; la creatura unica, degna di offrirsi allo sguardo purissimo di Dio con i segni dell’amicizia, della fedeltà, della piena corrispondenza.
La Madonna è modello con la sua perfetta collaborazione al disegno di Dio: Ella infatti si offre alla prospettiva del Signore come serva disponibile e fedelissima: « Ecco la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (Lc. 1,38).

La Madonna è modello con la sua abissale umiltà: si riconosce « serva » del Signore e si offre come strumento umile, ma docilissimo a Dio, perché operi in Lei le « le grandi cose » della storia della salvezza.
(Maria dunque ci sta innanzi come modello di un cammino che ci conduce verso il Signore. Saremo capaci di seguirla?
Tale cammino è cammino di purezza, cioè di rifiuto del male e del peccato, sotto ogni forma; è cammino di rettitudine di intenti e di azione. E’ cammino di collaborazione con la grazia di Dio che ci previene e ci accompagna. E’ cammino di umiltà, cioè di riaffermata e sempre sofferta pochezza, consapevole dei propri limiti.)

4. Guardiamo all’Immacolata. Non tanto per cogliere la bellezza in cui La colloca il privilegio divino che oggi celebriamo, quanto piuttosto per ammirare in Lei la Donna perfettamente afferrata da Dio, perfettamente disponibile all’attuazione dei piani divini. E’ in questa linea la nostra ammirazione per questa dolce sorella, tanto grande, eppure tanto vicina a noi. Ciò che è grande in Maria è l’offerta di sé, fatta da Lei al Signore: offerta libera, generosa, cosciente, illimitata.

(Il racconto dell’Annunciazione contenuto nel Vangelo odierno è la pagina antecedente al Natale, è la premessa necessaria. Senza l’atteggiamento di perfetta donazione di Maria, Dio non avrebbe potuto scegliere la via che ha scelto, mediante la sua nascita dalla Vergine.
Siamo dunque invitati a riconoscere il posto della Madonna nel piano della salvezza.
Sul cammino del nostro incontro con Gesù, sul nostro avvento, cioè sulla linea della nostra attesa cocente della salvezza, sta Maria, passaggio obbligato e soavissimo. Riconoscerlo è un dovere, è un bisogno, è una grazia. Approfittarne è condizione di vita.
Davanti alla bellezza di questa creatura che tanto ci onora e che tanto ci dona, non possiamo non esclamare in coro: – Siano rese grazie a Dio! – precisamente come ci invita a fare San Paolo nella seconda lettura di oggi.):

5. La Madonna con la sua bellezza totale, di cui ci parla eloquentemente il privilegio dell’Immacolata Concezione, mostra a noi chiaramente la meta del disegno di Dio, a cui noi siamo incamminati.
Cioè, Maria è la creatura riuscita, la creatura arrivata. In Lei noi vediamo quello che dobbiamo essere e quello che saremo. La Madonna, mentre ci si offre come modello di quella giustizia originale, frutto del primitivo, incorrotto disegno di Dio, ci parla anche di quanto Dio opererà in noi con la sua redenzione.
(In questo senso la parola di Paolo, nella seconda lettura: « Dio in Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto, nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo… » (Ef. 1,4-5).

Questo il disegno divino, anche a nostro riguardo. L’Immacolata è l’anticipazione di esso, è la garanzia del suo compimento anche per noi…).
Di qui la nostra gioia per questa celebrazione, la speranza che ci canta in cuore, mentre fissiamo il nostro sguardo sul volto purissimo e splendente della nostra Mamma Immacolata…
Certo, quanto noi vediamo brillare nella candida figura della Madonna contrasta vivamente con l’angoscia che agita il nostro tempo, che ignora i valori della più autentica bellezza.

Chiediamoci: l’Immacolata dice ancora qualche cosa agli uomini del nostro tempo?
(Una simile inchiesta è stata fatta, e si è anche pubblicato un libro, in cui gli interlocutori rispondo alla domanda: « Chi sei tu, Maria? » – Torino 1973).

1. L’uomo è sempre stato affascinato dalla bellezza. Oggi questo fascino è potenziato dai diffusissimi mezzi della comunicazione sociale: stampa, radio, TV.
Un aspetto deteriore di questa adorazione della bellezza è il fenomeno del divismo. Schiere di giovani impazziscono freneticamente per il loro idolo cinematografico, musicale o sportivo.

2. Lo sforzo dell’arte moderna di escogitare sempre nuove forme espressive, non dice chiaramente questo insaziabile desiderio del cuore umano di bellezza?

3. Tuttavia questa « adorazione della bellezza » – è doveroso riconoscerlo – si degrada troppo spesso verso forme di idolatria ingiustificata e pericolosa e si trasforma in potente incentivo verso il peccato, specialmente impuro…

4. Pertanto la Madonna, Immacolata e « tutta bella », si offre a noi, oggi, come modello di insuperabile bellezza. Bellezza autentica: originale, non offuscata dalla minima macchia sia fisica che morale; bellezza antitetica al peccato, per cui Ella è costituita nemica perenne del demonio e del male.
« Ecco la tua Mamma! », ci ripete Gesù: « vedi come è bella, come è pura, come è santa. Imitala! ».
Il messaggio dunque dell’Immacolata per gli uomini d’oggi è questo: un messaggio di bellezza insuperabile, da contemplare, da ammirare, da amare; un messaggio di purezza, da opporre alla corruzione dilagante, da opporre agli incentivi del male organizzato e trionfante, da opporre al richiamo potente della carne e del « mondo ».
Non vorremo noi ascoltare questa voce materna, questo invito pressante? (1).
Se l’ideale ci sembra troppo sublime e troppo difficile da raggiungere, la Madonna stessa ci indica il sostegno, il rimedio…
Nella santa Messa una candida ostia viene innalzata sulle nostre teste. Un simbolo di purezza immacolata che si affianca oggi a quello di Maria Immacolata. Ma non solo simbolo. La purezza della Madonna trova la sua ragione nella purezza di quell’ostia. La purezza di Maria è un riverbero, un dono della purezza di Gesù…
Da quell’ostia, in cui Gesù si fa tutto presente con la sua grazia di salvezza, con la sua vita, scaturisce anche la nostra purezza e, cioè, la forza sovrumana di resistenza a satana e al peccato. L’Eucaristia è « il pane degli angeli », il « vino che germina i vergini ». Per mantenersi puri – e tanti giovani di ieri e di oggi lo sono – bisogna mangiare quel Pane e bere quel Vino, senza dei quali la lotta – che è di tutti – per resistere al male, è vana e destinata alla più umiliante sconfitta.
Se oggi la corruzione dilaga è perché troppe anime si sono allontanate da Gesù, dal Gesù dell’Eucaristia, offerto quale nutrimento dell’anima, quale fermento di vita, contro i miasmi delle sollecitazioni del male. Gesù ci chiama al suo banchetto, perché siamo forti, perché siamo sani, perché siamo come Lui ci vuole. Gesù vuol venire dentro di noi per irrobustire la nostra virtù, per rendere più candida la nostra purezza. Il nostro corpo a contatto con Gesù diviene più resistente agli assalti del demonio.
Oggi la Madonna ci accompagna all’altare per ripeterci: « Se vuoi imitarmi, devi andare a Gesù, devi nutrirti di Gesù, devi trasformarti in Gesù. E’ Lui, solo Lui, l’autore della mia purezza: vuol esserlo anche della tua… ».
Ascoltiamo l’invito della Mamma tutta Immacolata ed Ella ci otterrà da Gesù una viva nostalgia di candore e di purezza.).
NB/ Saltando tutto ciò che racchiuso tra parentesi, qui sopra, si potrebbero avere queste altre seguenti conclusioni, a seconda dell’uditorio.

1. Conclusione:

Certe persone non hanno bisogno di parlare… basta la loro presenza…
La Madonna con la sua bellezza continua ad affascinare le anime più generose.
« Vent’anni. Secondo anno di medicina. Una gran bella ragazza. Ricca e sportiva. Un giorno dice:
- Ho deciso… entrerò in clausura.
Meraviglia e stupore di tutti. Difficoltà e lacrime dei genitori. Niente da fare. Quando Dio chiama, si parte.
- Allora è proprio decisa a venire con noi? Non vorrei che si facesse illusioni. Lei deve sapere che entrare al Carmelo è cominciare a soffrire.
La Superiora le sgrana tutto il complesso di asprezze, di rinunzie che comporta il voto di povertà. La ragazza ascolta pensierosa. Sembra che prepari la risposta.
- Madre, ditemi: nella mia celletta, nel refettorio, negli altri luoghi di riunione, troverò l’immagine del Crocifisso?
- Sì, cara…
- Mi basterà, Madre. Mi lasci pure entrare. Guardando Gesù Crocifisso, io mi ricorderò della povertà da Lui sofferta a Betlemme, in Egitto, a Nazaret e specialmente sul Calvario.
Ma la Madre per essere più sicura dell’autenticità di quella vocazione si affrettò a descrivere le difficoltà che comporta il voto di obbedienza e la serietà con cui avrebbe dovuto vivere il voto di castità.
Quand’ebbe finito, la postulante domandò:
- Madre, quando sarò in convento oltre all’immagine del Crocifisso, potrò ancora avere una corona della Madonna?
- Sì, senz’altro.
- Ebbene, accettatemi, Madre. Di fronte alle difficoltà che incontrerò, mi aggrapperò alla corona della Madonna, penserò a Lei e mi sentirò forte e sicura tra le braccia della mia Mamma Immacolata.
Disarmata nei suoi argomenti, la Madre le aprì le porte del convento e quelle del suo cuore.

L’episodio è una dimostrazione della forza che ha sull’animo nostro la semplice evocazione della figura della Madonna, come avviene attraverso una sua immagine.
Siamo di fronte a una legge morale che Bergson ha studiato a lungo, quando parlava dei cosiddetti « creatori morali ».
« Ci sono persone – diceva il filosofo – che non hanno bisogno di parlare. La loro presenza è già un appello che in certi momenti ti spinge al bene o ti trattiene dal male ».

Perché nella vita cristiana la devozione alla Madonna ha sempre avuto un’importanza così grande? Non solo per ragioni teologiche, ma anche per ragioni pedagogiche, ossia per l’importanza formativa dei grandi: essi ci spingono all’eroismo e ci salvano da certe miserie. Nelle lotte per la purezza la sola evocazione di Colei che è: tutta pura, Immacolata, sarà come un colpo d’ala che solleva l’anima al di sopra di tutte le miserie umane.
Cari fratelli e sorelle, fissiamo sovente il nostro sguardo sul candore della Madonna, e porteremo sempre nel nostro cuore una struggente nostalgia della nostra Mamma Immacolata.

2. Conclusione:        

Notte lunare. – Un Angelo annuncia che all’alba sarebbe sceso per cogliere il fiore più bello per profumare il trono del Signore.
I fiori si raccolgono a concilio: c’era la rosa, la regina dei fiori; la camelia, superba e insipida; il garofano capriccioso; la viola mammola e un giglio candido, serio, che se ne stava in disparte.

Sorse l’aurora e apparve l’Angelo. Guardò la rosa e disse: « Tu sei troppo bella; ti piace di essere adulata e temo della tua semplicità ».
Sorpassò il garofano e la camelia; sorrise alla violetta: « Mi piace la tua modestia, ma servi troppo per adornare le dame e non posso prenderti: Dio vuole qualcosa più preziosa ».
Il profumo del giglio lo richiamò. « Qual è la tua missione? ».
- « Io sono poco ricercato per le feste mondane, ma mi si dona alla Vergine, ai bimbi nel giorno della Prima Comunione, adorno gli altari e tengo compagnia a Gesù nelle processioni ».
L’Angelo sorrise e, rompendo lo stelo, lo trapiantò in Cielo.

Cari fratelli e Sorelle, abituiamoci anche noi ad ornare l’Immacolata, gli altari di Gesù in Sacramento qui in terra, se vogliamo che l’Angelo dell’Immacolata ci trapianti poi un giorno in Cielo.

                                                                               D. SEVERINO GALLO sdb  (+ 23. 3. 2007)

Catechesi del Santo Padre Paolo VI sullo Spirito Santo (1972)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/documents/hf_p-vi_aud_19721129_it.html

UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Catechesi del Santo Padre Paolo VI sullo Spirito Santo

Mercoledì, 29 novembre 1972
 

Noi ci siamo chiesti più volte quali siano i bisogni maggiori della Chiesa, noi che dalla meditata sapienza del Concilio abbiamo approfondito la conoscenza e la coscienza di questo fenomeno umano, polarizzato in Gesù Cristo, definito Popolo di Dio, suo Corpo mistico, di Cristo, in Lui compaginato e articolato (Cfr. Eph. 4, 16), destinato a fare del genere umano una società di fratelli, dall’aspetto così  luminoso da orientare gli uomini, come segno e strumento, al loro destino religioso (Lumen Gentium, 1); noi, che dall’esperienza del mondo moderno, gigante meraviglioso di scienza e di potenza, ma a tratti cieco e folle su ciò che più importa, l’amore e la vita; noi, che intravediamo designarsi nei secoli passati e aprirsi al secolo nuovo più chiara, più diritta, più impellente la vocazione santificatrice e missionaria di lei, la Chiesa, e che la sentiamo impegnata a collaborare nel superamento del dislivello sociale, quasi scala, non ostacolo, che ancora separa e contrappone fra loro gli uomini a causa della diversa e spesso ingiusta fruizione del regno della terra, mentre tutti sono invitati, e più lo sono i poveri, al godimento del regno dei cieli; noi, quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa benedetta e diletta, quale?

Lo dobbiamo dire, quasi trepidanti e preganti, perché è il suo mistero, e la sua vita, voi lo sapete: lo Spirito, lo Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo  consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna (Cfr. Lumen Gentium, 5).

La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo.

La Chiesa ha bisogno d’essere tempio di Spirito Santo (Cfr. 1 Cor. 3, 16-17; 6, 19; 2 Cor. 6, 16), cioè di totale mondezza e di vita interiore; ha bisogno di risentire dentro di sé, nella muta vacuità di noi uomini moderni, tutti estroversi per l’incantesimo della vita esteriore, seducente, affascinante, corruttrice con lusinghe di falsa felicità, di risentire, diciamo, salire dal profondo della sua intima personalità, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito, che, come c’insegna S. Paolo, a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta Lui il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio (Cfr. Rom. 8, 26-27).

Ha bisogno la Chiesa di riacquistare l’ansia, il gusto, la certezza della sua verità (Cfr. Io. 16, 13), e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, anzi il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito; il Quale insegna «ogni verità» (Ibid.); e poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che a noi è stato dato» (Rom. 5, 5); e quindi, tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare un nuovo stimolo di attivismo, l’espressione nelle opere di questa carità (Cfr. Gal. 5, 6), anzi la sua pressione, il suo zelo, la sua urgenza (2 Cor. 5, 14),  la testimonianza, l’apostolato.

Uomini vivi, voi giovani, e voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio, ci ascoltate? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo. Dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi-Chiesa.

Come mai si è affievolita questa pienezza interiore in tanti spiriti, che pur della Chiesa si dicono? come mai tante schiere di fedeli militanti nel nome e sotto la guida della Chiesa si sono impigrite e diradate? come mai molti si sono fatti apostoli della contestazione, della laicizzazione e della secolarizzazione, quasi pensando di dare più libero corso alle espressioni dello Spirito? o talvolta più fidando nello spirito del mondo, che in quello di Cristo? E ancora: come mai alcuni hanno allentato, anzi denunciato come catene moleste, i vincoli dell’obbedienza ecclesiale e della gelosa adesione alla comunione col ministero della Chiesa, per il pretesto di vivere secondo  lo Spirito, affrancati dalle forme e dalle norme proprie delle istituzioni canoniche, di cui il corpo visibile della Chiesa pellegrina, storico ed umano, anche se mistico, deve essere compaginato? Sarebbe forse il ricorso allo Spirito Santo ed ai suoi carismi un pretesto, non forse troppo sincero, per vivere, o per credere di vivere, la religione cristiana in modo autentico, mentre chi di tale pretesto si serve, vive secondo il proprio spirito, il proprio libero esame, la propria arbitraria e spesso effimera interpretazione?

Oh! se cotesto fosse vero Spirito, non saremo noi certamente ad  estinguerlo! (Thess. 5, 19) Ben sappiamo che «lo Spirito soffia dove vuole» (Io. 3, 8); e sappiamo che la Chiesa, se è esigente verso i veri fedeli per le sue stabilite osservanze, e se spesso ella si mostra cauta e diffidente verso le possibili illusioni spirituali di chi prospetta fenomeni singolari, ella è e vuol essere estremamente rispettosa delle esperienze soprannaturali concesse ad alcune anime, o dei fatti prodigiosi, che talvolta Iddio si degna miracolosamente inserire nella trama delle naturali vicende.

Ma vogliamo ancora una volta valerci dell’autorità della tradizione,espressa, com’è noto, da S. Agostino, il quale ci ricorda che«nulla deve più temere il cristiano quanto il separarsi dal corpo di Cristo. Se infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più membro di Lui; e se non membro di Lui, non è nutrito dallo Spirito di Lui (In Ev. Io. 27, 6; PL 35, 1618) «non vive dello Spirito di Cristo, se non il corpo di Cristo» (Ibid. 26, 13). Perché l’umile e fedele adesione alla Chiesa non solo non ci priva dello Spirito Santo, ma ci mette piuttosto nella migliore e sotto un certo aspetto nell’indispensabile condizione per godere personalmente e collettivamente della sua vivificante circolazione. La quale ciascuno di noi può mettere in attività. Primo con l’invocazione. Dobbiamo avere come prima «devozione» quella allo Spirito Santo (e quella alla Madonna ad essa ci porta, come a Cristo ci porta!). Secondo con il culto dello stato di grazia, si sa. E terzo con la vita tutta penetrata ed al servizio della Carità, che altro non è se non l’effusione dello Spirito Santo. Ecco: di Lui, soprattutto, ha oggi bisogno la Chiesa!

Dite dunque e sempre tutti a Lui: vieni! con la nostra Apostolica Benedizione.

Publié dans:Papa Paolo VI |on 29 mai, 2009 |Pas de commentaires »
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