Archive pour la catégorie 'Papa Giovanni Paolo II'

Giovanni Paolo II, incontro con i rappresentati della comunità ebraica dell’Alsazia (1988)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1988/october/documents/hf_jp-ii_spe_19881009_comunita-ebraica_it.html

PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ EBRAICA DELL’ALSAZIA

Strasburgo (Francia) – Domenica, 9 ottobre 1988

Signor gran Rabbino,
Signor presidente del Concistoro israelitico del Basso-Reno,
Signor Presidente della Comunità israelitica di Strasburgo,
Signori.

Il vostro cordiale saluto e la riflessione spirituale sul senso della storia che mi avete proposto non possono che ispirarmi auguri di pace e di prosperità per voi e per tutta la comunità israelitica.

1. Ringraziandovi per tante attenzioni, vorrei prolungare queste riflessioni prendendo come punto di partenza il versetto biblico del profeta Malachia che è inciso sulla vostra bella “Sinagoga della Pace”, e che voi avete voluto inserire nel cuore del vostro saluto: “Ha-lo ‘av ‘Ehad le-Kullà-nu” (Ml 2, 10). “Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre?”. Ecco il messaggio di fede e di verità di cui voi siete i messaggeri e i testimoni attraverso la storia, alla luce della parola e dell’alleanza di Dio con Abramo, Isacco, Giacobbe e tutta la sua discendenza. Una testimonianza che è arrivata fino al martirio, che è sopravvissuta alle lunghe tenebre dell’incomprensione, dell’orribile abisso della “Shoah”.

2. Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, grazie anche all’opera della commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e del Comitato Internazionale di collegamento tra cattolici ed ebrei, si è continuato – e si continua ancora oggi – ad allargare le basi già solide delle nostre relazioni fraterne e a tirarne delle conclusioni nel campo della cooperazione a tutti i livelli. Ed è soprattutto in queste istituzioni che io incoraggio il dialogo ebraico-cristiano, e mi rallegro con voi dei progressi ottenuti grazie alla vostra partecipazione a questo compito, attraverso una stima reciproca che si nutre in un’atmosfera di preghiera, di conversione, di disponibilità all’ascolto e all’obbedienza alla Parola di Dio, che ci chiama all’amore e al perdono.

3. Sì, per mezzo della mia voce la Chiesa cattolica, fedele a ciò che il Concilio Vaticano II ha dichiarato, riconosce il valore della testimonianza religiosa del vostro popolo, eletto di Dio, come scrive san Paolo: “quanto all’elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11, 28-29, cit. in Lumen Gentium, 16). Si tratta di un’elezione – come avete detto -, in vista della “santificazione del Nome”, per un servizio all’umanità intera. Questa vocazione alla santificazione del Nome, voi l’esprimete nella vostra preghiera quotidiana del “Qaddish”: “Sia magnificato e santificato il tuo grande Nome!”. O la proclamate con le parole di Isaia: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6, 3). Nelle preghiere di gioia o di penitenza che sono caratteristiche delle festività di “Rosh ha-Shanah”, “Kippur” e “Sukkot” che avete celebrato qualche giorno fa, voi supplicate e acclamate l’Eterno: “Nostro Padre, nostro re, perdona i nostri peccati”, “Hosha ‘na”, “Salvaci!”.

4. Tutte le Sacre Scritture – che voi venerate con una devozione profonda come sorgente di vita – celebrano il santo Nome di Dio, il Padre, la roccia che ha generato Iesurun, “il Dio che ti ha procreato”, come dice Mosè nel suo cantico (cf. Dt 32, 18). “Io sono un padre per Israele” dice il Signore per mezzo dell’oracolo di Geremia, che dice ancora: “Efraim è il mio primogenito” (Ger 31, 9) e Isaia si volta verso di lui dicendo: “Signore, tu sei nostro Padre!” (Is 64, 7). I salmi celebrano il suo nome: “Mio Padre, mio Dio e roccia della mia salvezza” (Sal 89, 27). Nella sua misericordia, egli ha anche rivelato il suo nome che ricorda il suo amore materno, il suo grembo di madre che ha partorito un figlio: “Il Signore passò davanti a lui proclamando: il Signore Dio, misericordioso e pietoso” (Es 34, 6).

5. È dunque attraverso la vostra preghiera, la vostra storia e la vostra esperienza di fede, che voi continuate ad affermare l’unità fondamentale di Dio, la sua paternità e la sua misericordia verso ogni uomo e ogni donna, il mistero del suo disegno di salvezza universale e le conseguenze che ne derivano, secondo i principi enunciati dai profeti, nell’impegno per la giustizia, la pace e gli altri valori etici.

6. Con il più grande rispetto per l’identità religiosa ebraica, vorrei anche sottolineare che per noi, cristiani, la Chiesa, Popolo di Dio e Corpo mistico del Cristo, è chiamata lungo il suo cammino nella storia a proclamare a tutti la buona novella di salvezza nella consolazione dello Spirito Santo. Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, essa potrà meglio comprendere il suo legame con voi, certamente grazie al dialogo fraterno, ma anche meditando sul proprio mistero (Nostra Aetate, 4). Ora questo mistero si radica nel mistero della persona di Gesù Cristo, giudeo, crocifisso e glorificato. Nella sua lettera agli Efesini, san Paolo scriveva: “Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili, cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3, 5-6). Precedentemente, l’Apostolo, rivolgendosi “a quanti sono in Roma diletti da Dio” (Rm 1, 7), aveva affermato: “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»” (Rm 8, 15). È per questo che anche noi riconosciamo e celebriamo la gloria di Dio, il Padre, Signore di coloro che l’adorano “in spirito e verità” (Gv 4, 24).

7. La civiltà europea conserva così le sue radici profonde vicino a questa sorgente d’acqua viva che sono le Sacre Scritture: Dio unico che si rivela come nostro Padre e ci impegna, con i suoi comandamenti, a rispondergli per mezzo dell’amore, nella libertà. All’alba di un nuovo millennio, la Chiesa, annunciando all’Europa il Vangelo di Gesù Cristo, scopre ogni volta di più, con gioia, i valori comuni, sia cristiani sia ebraici, attraverso i quali ci riconosciamo come fratelli e ai quali si riferiscono la storia, la lingua, l’arte, la cultura dei popoli e delle nazioni di questo continente.

8. Dove potremmo riporre la nostra speranza, per condividerla con tutti coloro che hanno sete di una consolazione fraterna, di un messaggio di vita, di una solidarietà durevole e sincera? Cosa potremmo annunciare insieme per rendere il nostro servizio spirituale all’Europa, così ricca di risorse ma allo stesso tempo interrogata dalle questioni sul senso da dare a queste risorse nel contesto dello sviluppo mondiale? Permettetemi di proporvi qui tre considerazioni:

- che i popoli europei non dimentichino mai che abbiamo la nostra origine in un Padre comune, ed è da questa fonte che nasce, per noi, il dovere di una responsabilità reciproca e fraterna che deve intendersi con la stessa profondità nei riguardi di ogni persona, immagine di Dio, e di ogni popolo del mondo;

- che noi, cristiani, prendiamo sempre più coscienza del compito particolare che dobbiamo realizzare in cooperazione con gli ebrei, in ragione della nostra comune eredità che ci impegna a promuovere la giustizia e la pace, ad opporci ad ogni discriminazione, a vivere secondo le esigenze dei comandamenti, fedeli alla voce di Dio, nel rispetto di ogni creatura. E mi auguro che possa svilupparsi una vera collaborazione a livello sociale, in numerosi campi, secondo i principi che ho indicato nella mia enciclica Sollicitudo Rei Socialis.

- È dunque con profonda fedeltà alla vocazione alla quale il Dio della pace e della giustizia ci chiama – e, con noi, tutti i popoli europei – che io ripeto di nuovo con voi la più ferma condanna di ogni tipo di antisemitismo e razzismo, che si oppongono ai principi del cristianesimo, e verso i quali non esiste alcuna giustificazione nelle culture che vogliono riferirsi ad essi. Per le stesse ragioni, dobbiamo eliminare ogni pregiudizio religioso che la storia ci ha mostrato come ispirato da stereotipi antiebraici, o contraddicenti la dignità di ogni persona.

Che Dio ci confermi in questo proposito e nella fede, e ci dia la sua consolazione, come dice il salmo:

“Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
Davanti a lui camminerà la giustizia
e sulla via dei suoi passi la salvezza” (Sal 85, 13-14).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 1 mars, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II – preghiera alla Beata Vergine Maria (Lourdes, 15 agosto 1983)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1983/documents/hf_jp-ii_hom_19830815_assunzione_it.html

PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO A LOURDES

SANTA MESSA ALLA GROTTA DELLE APPARIZIONI A LOURDES

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria
Lourdes (Francia), 15 agosto 1983

preghiera dopo l’omelia

7. Bella Signora! O Donna vestita di sole! Accogli il nostro pellegrinaggio in questo anno di Avvento del Giubileo della Redenzione. Aiutaci, con la luce di questo Giubileo, a penetrare il tuo mistero:

- il mistero della Vergine Madre;

- il mistero della Regina Ancella;

- il mistero di Colei che può tutto e che si fa orante.

Aiutaci a scoprire sempre più profondamente in questo mistero il Cristo, Redentore del mondo, Redentore dell’uomo.

Tu sei vestita di sole, il sole dell’inscrutabile Divinità, il sole dell’impenetrabile Trinità. “Piena di grazia” fino al vertice dell’Assunzione al cielo! E nello stesso tempo . . . per noi che viviamo su questa terra, per noi, poveri figli di Eva in esilio, tu sei vestita del sole di Cristo dopo Betlemme e Nazaret, dopo Gerusalemme e il Calvario. Tu sei vestita del sole della Redenzione dell’uomo e del mondo, realizzata con la Croce e la Risurrezione di tuo Figlio.

Fa’ che il sole risplenda senza interruzione per noi sulla terra! Fa’ che non si oscuri mai nell’anima degli uomini! Fa’ che rischiari i terrestri cammini della Chiesa, di cui tu sei la prima figura! E che la Chiesa, fissando lo sguardo in te, Madre del Redentore, impari ad essere sempre madre!

Guarda! Ecco ciò che dice il libro dell’Apocalisse: “Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato” (Ap 12, 4).

O Madre, che nell’Assunzione al cielo, hai esperimentato la pienezza della vittoria sulla morte dell’anima e del corpo, difendi i tuoi figli e le figlie di questa terra contro la morte dell’anima! O Madre della Chiesa!

Di fronte all’umanità, che sembra sempre affascinata da ciò che è temporale – e quando “il dominio sul mondo” nasconde la prospettiva del destino eterno dell’uomo in Dio, sii tu stessa un testimone di Dio! Tu, sua Madre! Chi può resistere alla testimonianza di una madre?

Tu che sei nata per le fatiche di questa terra: concepita in modo immacolato!

Tu che sei nata per la Gloria del cielo! Assunta in cielo!

Tu che sei vestita del sole dell’insondabile Divinità, del sole dell’impenetrabile Trinità, colma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!

Tu, a cui la Trinità si dona come unico Dio, il Dio della creazione e della Rivelazione! Il Dio dell’alleanza e della Redenzione. Il Dio dell’inizio e della fine. L’Alfa e l’Omega. Il Dio-Verità. Il Dio Amore. Il Dio-Grazia. Il Dio-Santità. Il Dio che tutto supera e tutto abbraccia. Il Dio che è “tutto in tutti”.

Tu che sei vestita di sole! Nostra Madre! Sii il testimone di Dio! . . . davanti al mondo del millennio che si conclude, davanti a noi, figli di Eva in esilio, sii il testimone di Dio! Amen

Publié dans:Maria Vergine, Papa Giovanni Paolo II |on 11 février, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II 2002 (per la festa della presentazione del Signore) : “Lumen ad revelationem gentium” (Luce per illuminare le genti).

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1979/documents/hf_jp-ii_hom_19790202_presentazione-signore_it.html

FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Venerdì, 2 febbraio 2002 

“Lumen ad revelationem gentium” (Luce per illuminare le genti).

1. La liturgia della festa odierna ci ricorda, anzitutto, le parole del profeta Malachia: “Ecco, entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate… ecco viene”. Di fatto queste parole si avverano in questo momento: entra per la prima volta nel suo tempio Colui che è il suo Signore. Si tratta del tempio dell’antica alleanza, la quale costituiva la preparazione per l’alleanza nuova. Dio stringe questa nuova alleanza col suo popolo in Colui, che “ha unto e mandato nel mondo”, cioè nel suo Figlio. Il tempio dell’antica alleanza aspetta quell’Unto, il Messia. La ragione, per così dire, della sua esistenza è questa attesa.

Ed ecco entra. Portato dalle mani di Maria e di Giuseppe. Entra come un bambino di quaranta giorni al fine di adempiere alle esigenze della legge di Mosè. Lo portano nel tempio come tanti altri bambini israeliti: il bambino di poveri genitori. Entra dunque inosservato e – quasi in contrasto con le parole del profeta Malachia – non atteso da nessuno. “Deus absconditus” (Dio nascosto) (cf.Is 45,15). Nascosto nella carne umana, nato nella stalla nei pressi della città di Betlemme. Sottomesso alla legge del riscatto, come la sua Genitrice a quella della purificazione.

Benché tutto sembri indicare che nessuno qui, in questo momento, lo attenda e nessuno lo scorga, in realtà non è così. Il vecchio Simeone va incontro a Maria e a Giuseppe, prende il Bambino sulle braccia e pronuncia le parole che sono una viva eco della profezia di Isaia: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola, / perché i miei occhi han visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,29-32; cf.Is 2,2-5;25,7).

Queste parole sono la sintesi di tutta l’attesa, la sintesi dell’antica alleanza. L’uomo, che le enuncia, non parla da se stesso. È profeta: parla dal profondo della rivelazione e della fede di Israele. Annuncia il compimento dell’antico e l’inizio del nuovo.

2. Oggi la Chiesa benedice le candele che danno luce. Queste candele sono, nello stesso tempo, simbolo dell’altra luce, della luce che è proprio Cristo. Egli ha incominciato ad esserlo dal momento della sua nascita. Si è rivelato come luce agli occhi di Simeone il quarantesimo giorno dopo la sua nascita. Poi come luce è rimasto per trent’anni nel nascondimento di Nazaret. In seguito, ha iniziato a insegnare, e il periodo del suo insegnamento è stato breve. Ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Quanto è stato crocifisso “si fece buio nella terra” (Mt 27,45), ma il terzo giorno queste tenebre hanno ceduto il posto alla luce della risurrezione.

È con noi la luce!

Che cosa illumina?

Illumina il buio delle anime umane. Le tenebre dell’esistenza. Perenne e immenso è lo sforzo dell’uomo per aprirsi la strada e arrivare alla luce; luce della conoscenza e dell’esistenza. Quanti anni, a volte, l’uomo dedica per chiarire a se stesso qualche fatto, per trovare la risposta a una determinata domanda. E quanto lavoro su noi stessi costa ad ognuno di noi affinché possiamo, attraverso tutto ciò che in noi è “oscuro”, tenebroso, attraverso tutto il nostro “io peggiore”, attraverso l’uomo soggiogato alla concupiscenza della carne, degli occhi, e alla superbia della vita (cf.1Gv 2,16) svelare ciò che è luminoso: l’uomo di semplicità, di umiltà, di amore, di disinteressato sacrificio; i nuovi orizzonti del pensiero, del cuore, della volontà, del carattere. “Le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende”, scrive San Giovanni (1Gv 1,8).

Se chiediamo che cosa illumini questa luce, riconosciuta da Simeone nel Bambino di quaranta giorni, ecco la risposta. È la risposta dell’esperienza interiore di tanti uomini, che hanno deciso di seguire questa luce. È la risposta della vostra vita, miei cari Fratelli e Sorelle, Religiosi e Religiose, che oggi partecipate alla Liturgia di questa festa, tenendo nelle vostre mani le candele accese. È come pregustare la vigilia pasquale quando la Chiesa, cioè ognuno di noi, tenendo alta la candela accesa varcherà la soglia del tempio, cantando “Lumen Christi”. In modo particolare è in profondità che Cristo illumina il mistero dell’uomo. Particolarmente e profondamente, e con quanta delicatezza nello stesso tempo, discende nel segreto delle anime e delle coscienze umane. È il Maestro della vita, nel senso più profondo. È il Maestro delle nostre vocazioni. Eppure proprio lui, lui, l’unico, ha rivelato ad ognuno di noi e sempre rivela a tanti uomini la verità che “l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé (cf.Lc 17,33)” (Gaudium et Spes, 24).

Rendiamo grazie oggi per la luce che è in mezzo a noi. Rendiamo grazie per tutto ciò che, mediante il Cristo, è diventato in noi stessi luce; ha cessato di essere “il buio e l’incognito”.

3. Alla fine Simeone dice a Maria, prima nei riguardi del suo Figlio: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione”. Poi nei riguardi di lei stessa: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35).

Questo giorno è la sua festa: la festa di Gesù Cristo, nel quarantesimo giorno della sua vita, nel tempio di Gerusalemme secondo le prescrizioni della legge di Mosè (cf.Lc 2,22-24). Ed è pure la festa di lei: di Maria.

Lei regge il Bambino nelle sue braccia. Lui, anche nelle sue mani, è la luce delle nostre anime, la luce che illumina le tenebre della conoscenza e dell’esistenza umana, dell’intelletto e del cuore.

I pensieri di tanti cuori vengono svelati quando le sue materne mani portano questa grande luce divina, quando la avvicinano all’uomo.

Ave, tu che sei diventata Madre della nostra luce a prezzo del grande sacrificio del tuo Figlio, a prezzo del materno sacrificio del tuo cuore!

4. E, infine, mi sia consentito, oggi, all’indomani del mio ritorno dal Messico, ringraziarti, o Madonna di Guadalupe, per questa Luce, che il tuo Figlio è per i figli e le figlie di quel Paese e anche di tutta l’America Latina. La III Conferenza Generale dell’Episcopato di quel Continente, iniziata solennemente ai tuoi piedi, o Maria, nel santuario a Guadalupe, dal 28 gennaio sta svolgendo a Puebla i suoi lavori sul tema dell’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, e si sforza di mostrare le vie per le quali la luce di Cristo deve raggiungere la generazione contemporanea in quel grande e promettente Continente.

Raccomandiamo nella preghiera tali lavori, guardando oggi al Cristo portato in braccio da sua Madre, e ascoltando le parole di Simeone: “Lumen ad revelationem gentium”.

Giovanni Paolo II: « Fede, Speranza, Carità in prospettiva ecumenica » (Lettura: Ef 4,1-6) (Mercoledì 22.11.2000)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2000/documents/hf_jp-ii_aud_20001122_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 22 novembre 2000 

« Fede, Speranza, Carità in prospettiva ecumenica » (Lettura: Ef 4,1-6)

1. La fede, la speranza e la carità sono come tre stelle che s’accendono nel cielo della nostra vita spirituale per guidarci verso Dio. Sono, per eccellenza, le virtù ‘teologali’: ci mettono in comunione con Dio e ci conducono a Lui. Esse compongono un trittico che ha il suo vertice nella carità, l’agape, cantata egregiamente da Paolo in un inno della prima Lettera ai Corinzi. Esso è suggellato dalla seguente dichiarazione: ‘Queste sono le tre cose che permangono: la fede, la speranza, la carità. Ma di tutte più grande è la carità’ (13,13).

Nella misura in cui animano i discepoli di Cristo, le tre virtù teologali li spingono all’unità, secondo l’indicazione delle parole paoline ascoltate in apertura: ‘Un solo corpo’, una sola speranza’ un solo Signore, una sola fede’, un solo Dio Padre’ (Ef 4,4-6). Continuando a riflettere sulla prospettiva ecumenica affrontata nella precedente catechesi, vogliamo oggi approfondire il ruolo delle virtù teologali nel cammino che conduce alla piena comunione con Dio Trinità e con i fratelli.

2. Nel brano menzionato della Lettera agli Efesini l’Apostolo esalta innanzitutto l’unità della fede. Tale unità ha la sua sorgente nella parola di Dio, che tutte le Chiese e Comunità ecclesiali considerano come lampada per i propri passi nel cammino della loro storia (cfr Sal 119,105). Insieme le Chiese e Comunità ecclesiali professano la fede in ‘un solo Signore’, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, e in ‘un solo Dio Padre di tutti’ (Ef 4,5.6). Questa unità fondamentale, insieme a quella costituita dall’unico battesimo, emerge chiaramente dai molteplici documenti del dialogo ecumenico, anche quando permangono su un punto o un altro motivi di riserva. Così si legge, ad esempio, in un documento del Consiglio Ecumenico delle Chiese: ‘I cristiani credono che l’’unico vero Dio’, che si è fatto conoscere ad Israele, si è rivelato in modo supremo in ‘colui che ha mandato’, Gesù Cristo (Gv 17,3); che in Cristo, Dio ha riconciliato a sé il mondo (2 Cor 5,19) e che, mediante il suo Santo Spirito, Dio porta nuova ed eterna vita a tutti coloro che per mezzo di Cristo si affidano a lui’ (CEC, Confessare una sola fede, 1992, n. 6).

Tutte insieme le Chiese e Comunità ecclesiali si riferiscono agli antichi Simboli della fede e alle definizioni dei primi Concili ecumenici. Rimangono, però, certe divergenze dottrinali da superare perché il cammino dell’unità della fede giunga alla pienezza additata dalla promessa di Cristo: ‘Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore’ (Gv 10,16).

3. Paolo, nel testo della Lettera agli Efesini che abbiamo posto ad emblema del nostro incontro, parla anche di una sola speranza alla quale siamo stati chiamati (cfr 4,4). È una speranza che si esprime nell’impegno comune, attraverso la preghiera e l’operosa coerenza di vita, per l’avvento del Regno di Dio. All’interno di questo vasto orizzonte, il movimento ecumenico si è orientato verso mete fondamentali che s’intrecciano tra loro, come obiettivi di un’unica speranza: l’unità della Chiesa, l’evangelizzazione del mondo, la liberazione e la pace nella comunità umana. Il cammino ecumenico ha tratto vantaggi anche dal dialogo con le speranze terrene e umanistiche del nostro tempo, persino con la speranza nascosta, apparentemente sconfitta, dei ‘senza speranza’. Di fronte a queste molteplici espressioni della speranza nel nostro tempo, i cristiani, pur in tensione tra loro e provati dalla divisione, sono stati spinti a scoprire e testimoniare ‘una comune ragione di speranza’ (CEC, Commissione ‘Faith and Order’ Sharing in One Hope, Bangalore 1978), riconoscendone in Cristo il fondamento indistruttibile. Un poeta francese ha scritto: ‘Sperare è la cosa difficile’ la cosa facile è disperare ed è la grande tentazione’ (Ch. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù, ed. Pléiade, p. 538). Ma per noi cristiani rimane sempre valida l’esortazione di san Pietro a rendere ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15).

4. Al vertice delle tre virtù teologali c’è l’amore, che Paolo paragona quasi a un nodo d’oro che raccoglie in armonia perfetta tutta la comunità cristiana: ‘Sopra di tutto vi sia la carità, che è vincolo di perfezione’ (Col 3,14). Cristo, nella solenne preghiera per l’unità dei discepoli, ne rivela il substrato teologico profondo: ‘L’amore col quale tu, (o Padre), mi hai amato sia in essi e io in loro’ (Gv 17,26). Proprio questo amore, accolto e fatto crescere, compone in un unico corpo la Chiesa, come ci indica ancora Paolo: ‘Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità’ (Ef 4,15-16).

5. L’approdo ecclesiale della carità, e al tempo stesso la sua sorgente inesauribile, è l’Eucaristia, comunione col corpo e sangue del Signore, anticipazione dell’intimità perfetta con Dio. Purtroppo, come ho ricordato nella precedente catechesi, nei rapporti fra i cristiani divisi, ‘a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più con un cuore solo’ (Ut unum sint, 45). Il Concilio ci ha ricordato che ‘questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una ed unica, supera le forze e le doti umane’. Dobbiamo pertanto riporre tutta la nostra speranza ‘nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo’ (UR, 24).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 17 janvier, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II, festa del Battesimo di Gesù 2003 (credo anno B)

per la festa del Battesimo di Gesù, il 2003 era anno B, se ho capito bene, dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/2003/documents/hf_jp-ii_hom_20030112_baptism-lord_it.html

SANTA MESSA NELLA CAPPELLA SISTINA E
AMMINISTRAZIONE DEL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Festa del Battesimo del Signore
Domenica, 12 gennaio 2003
 

1. « Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino » (Is 55,6).

Queste parole, tratte dalla seconda parte del Libro di Isaia, risuonano in questa domenica conclusiva del tempo del Natale. Esse costituiscono un invito ad approfondire il significato che ha per noi l’odierna festa del Battesimo del Signore.

Torniamo idealmente sulle rive del Giordano, dove Giovanni Battista amministra un battesimo di penitenza, esortando alla conversione. Di fronte al Precursore giunge anche Gesù, il quale con la sua presenza trasforma quel gesto di penitenza in una solenne manifestazione della sua divinità. All’improvviso risuona dal cielo una voce: « Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto » (Mc 1,11), e lo Spirito scende su Gesù sotto forma di colomba.

In quell’evento straordinario Giovanni vede realizzarsi quanto era stato detto riguardo al Messia nato a Betlemme, adorato dai pastori e dai Magi. È proprio Lui l’annunciato dai Profeti, il Figlio prediletto del Padre, che dobbiamo cercare mentre si fa trovare, e invocare mentre ci è vicino.

Con il Battesimo ogni cristiano lo incontra in maniera personale: viene inserito nel mistero della sua morte e della sua resurrezione, e riceve una vita nuova, che è la stessa vita di Dio. Quale grande dono e quale grande responsabilità!

2. La liturgia ci invita quest’oggi ad attingere « con gioia alle sorgenti della salvezza » (Is 12,3); ci esorta a rivivere il nostro Battesimo, rendendo grazie per i tanti doni ricevuti.

Con questi sentimenti, mi accingo, come ormai è tradizione, ad amministrare il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati, in questa stupenda Cappella Sistina, dove il pennello di grandi artisti ha raffigurato momenti essenziali della nostra fede. Ventidue sono i bambini provenienti in gran parte dall’Italia, ma anche dalla Polonia e dal Libano.

Saluto tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, che avete voluto prendere parte a questa suggestiva celebrazione. Con grande affetto saluto particolarmente voi, cari genitori, padrini e madrine, chiamati ad essere per questi piccoli i primi testimoni del dono fondamentale della fede. Il Signore vi affida, quali custodi responsabili, le loro vite così preziose ai suoi occhi. Impegnatevi amorevolmente perché crescano « in sapienza, età e grazia »; aiutateli ad essere fedeli alla loro vocazione.

Tra poco, anche a nome loro, rinnoverete la promessa di lottare contro il male e di aderire pienamente a Cristo. Che la vostra esistenza sia sempre segnata da questo impegno generoso!

3. Siate altresì coscienti che il Signore chiede a voi una nuova e più profonda collaborazione: vi affida cioè il compito quotidiano di accompagnarli nel cammino della santità. Sforzatevi di essere voi stessi santi per guidare i vostri figli verso questa alta meta della vita cristiana. Non dimenticate che, per essere santi, « c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera » (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 32).

Maria, la Santa Madre del Redentore, che ha accolto con totale disponibilità il progetto di Dio, vi sostenga, alimentando la vostra speranza e il vostro desiderio di servire fedelmente Cristo e la sua Chiesa. Aiuti la Madonna specialmente questi piccoli, perché realizzino fino in fondo il progetto che Iddio ha per ciascuno di loro. Aiuti le famiglie cristiane del mondo intero ad essere autentiche « scuole di preghiera », nelle quali il pregare uniti costituisca sempre più il cuore e la sorgente di ogni attività!

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 10 janvier, 2009 |Pas de commentaires »

CANONIZZAZIONE DI JUAN DIEGO CUAUHTLATOATZIN – 9 dicembre memoria facoltativa

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/2002/documents/hf_jp-ii_hom_20020731_canonization-mexico_it.html

VIAGGIO APOSTOLICO A TORONTO,
A CIUDAD DE GUATEMALA E A CIUDAD DE MÉXICO

CANONIZZAZIONE DI JUAN DIEGO CUAUHTLATOATZIN

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Città del Messico
Mercoledì, 31 luglio 2002 
 

1. « Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te » (Mt, 11,25-26).

Carissimi fratelli e sorelle: queste parole di Gesù nel Vangelo di oggi costituiscono per noi un invito speciale a lodare e a rendere grazie a Dio per il dono del primo santo indigeno del Continente americano.

Con grande gioia sono venuto in pellegrinaggio a questa Basilica di Guadalupe, cuore mariano del Messico e dell’America, per proclamare la santità di Juan Diego Cuauhtlatoatzin, l’indio semplice ed umile che contemplò il volto dolce e sereno della Vergine del Tepeyac, tanto caro alle popolazioni del Messico.

2. Ringrazio per le affettuose parole che mi ha rivolto il Signor Cardinale Norberto Carrera Rivera, Arcivescovo di Messico, così come per la calorosa accoglienza degli uomini e delle donne di questa Arcidiocesi Primaziale: a tutti va il mio più cordiale saluto. Saluto con affetto anche il Cardinale Ernesto Corripio Ahumada, Arcivescovo emerito di Messico, e gli altri Cardinali, i Vescovi messicani, dell’America, delle Filippine e di altre parti del mondo. Allo stesso tempo ringrazio in modo particolare il Signor Presidente e le Autorità civili per la loro partecipazione a questa celebrazione.

Rivolgo oggi un saluto particolarmente affettuoso ai numerosi indigeni giunti dalle varie regioni del Paese, rappresentanti delle diverse etnie e culture che costituiscono la ricca e multiforme realtà messicana. Il Papa esprime loro la sua vicinanza, il suo profondo rispetto e ammirazione, e li accoglie fraternamente nel nome del Signore.

3. Come era Juan Diego? Perché Dio fissò il suo sguardo su di lui? Il libro dell’Ecclesiastico, come abbiamo ascoltato, ci insegna che « grande è la potenza del Signore e dagli umili egli è glorificato » (3, 20). Ugualmente, le parole di san Paolo proclamate in questa celebrazione illuminano questo modo divino di realizzare la salvezza: « Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio » (1 Cor 1, 28.29).

È commovente leggere le narrazioni guadalupane, scritte con delicatezza ed intrise di tenerezza. In esse la Vergine Maria, la serva « che glorifica il Signore » (Lc 1, 46), si manifesta a Juan Diego come la Madre del vero Dio. Ella gli dona, come segno, alcune rose preziose e lui, quando le mostra al Vescovo, scopre raffigurata sul suo mantello la benedetta immagine di Nostra Signora.

« L’evento Guadalupano – come ha rilevato l’Episcopato Messicano – significò l’inizio dell’evangelizzazione con una vitalità che superò ogni aspettativa. Il messaggio di Cristo, attraverso sua Madre, riprese gli elementi centrali della cultura indigena, li purificò e diede loro il definitivo significato di salvezza » (14.05.2002, n. 8). Pertanto, Guadalupe e Juan Diego possiedono un profondo significato ecclesiale e missionario e sono un modello di evangelizzazione perfettamente inculturata.

4. « Il Signore guarda dal cielo, egli vede tutti gli uomini » (Sal 32, 13), abbiamo proclamato col salmista, confessando ancora una volta la nostra fede in Dio, che non fa distinzioni di razza o di cultura. Juan Diego, nell’accogliere il messaggio cristiano senza rinunciare alla sua identità indigena, scoprì la profonda verità della nuova umanità, nella quale tutti sono chiamati ad essere figli di Dio. In tal modo facilitò l’incontro fecondo di due mondi e si trasformò in protagonista della nuova identità messicana, intimamente unita alla Vergine di Guadalupe, il cui volto meticcio esprime la sua maternità spirituale che abbraccia tutti i messicani. Attraverso di esso, la testimonianza della sua vita deve continuare a dare vigore alla costruzione della nazione messicana, a promuovere la fraternità tra tutti i suoi figli e a favorire sempre di più la riconciliazione del Messico con le sue origini, i suoi valori e le sue tradizioni.

Questo nobile compito di edificare un Messico migliore, più giusto e solidale, richiede la collaborazione di ciascuno. In particolare è necessario sostenere oggi gli indigeni nelle loro legittime aspirazioni, rispettando e difendendo gli autentici valori di ciascun gruppo etnico. Il Messico ha bisogno dei suoi indigeni e gli indigeni hanno bisogno del Messico!

Amati Fratelli e Sorelle di tutte le etnie del Messico e dell’America, nell’esaltare oggi la figura dell’indio Juan Diego, desidero esprimere la vicinanza della Chiesa e del Papa a tutti voi, abbracciandovi con affetto ed esortandovi a superare con speranza le difficili situazioni che attraversate.

5. In questo momento decisivo della storia del Messico, già oltrepassata la soglia del nuovo millennio, affido all’efficace intercessione di San Juan Diego le gioie e le speranze, i timori e le angustie del diletto popolo messicano, che porto nel mio cuore.

Benedetto Juan Diego, indio buono e cristiano, che il popolo semplice ha sempre considerato come un vero santo! Ti chiediamo di accompagnare la Chiesa pellegrina in Messico, perché ogni giorno sia sempre più evangelizzatrice e missionaria. Incoraggia i Vescovi, sostieni i sacerdoti, suscita nuove e sante vocazioni, aiuta tutti coloro che offrono la propria vita per la causa di Cristo e per la diffusione del suo Regno.

Felice Juan Diego, uomo fedele ed autentico! Ti affidiamo i nostri fratelli e sorelle laici, perché sentendosi chiamati alla santità, impregnino tutti gli ambiti della vita sociale con lo spirito evangelico. Benedici le famiglie, sostieni gli sposi nel loro matrimonio, appoggia gli sforzi dei genitori per educare cristianamente i loro figli. Guarda benigno il dolore di quanti soffrono nel corpo e nello spirito, di quanti patiscono povertà, solitudine, emarginazione o ignoranza. Che tutti, governanti e sudditi, agiscano sempre secondo le esigenze della giustizia e il rispetto della dignità di ogni uomo, perché così si consolidi la vera pace.

Amato Juan Diego, « l’aquila che parla »! Insegnaci il cammino che conduce alla Virgen Morena del Tepeyac, affinché Ella ci accolga nell’intimo del suo cuore, giacché Ella è la Madre amorosa e compassionevole che ci conduce fino al vero Dio. Amen.

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II, Santi |on 10 décembre, 2008 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II – Lettera enciclica Laborem exercens, 27 : « Impiegatele »

dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=11/19/2008#

Giovanni Paolo II
Lettera enciclica Laborem exercens, 27

« Impiegatele »

Il sudore e la fatica, che il lavoro necessariamente comporta nella condizione presente dell’umanità, offrono al cristiano e ad ogni uomo, che è chiamato a seguire Cristo, la possibilità di partecipare nell’amore all’opera che il Cristo è venuto a compiere. Quest’opera di salvezza è avvenuta per mezzo della sofferenza e della morte di croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità. Egli si dimostra vero discepolo di Gesù, portando a sua volta la croce ogni giorno nell’attività che è chiamato a compiere.
Cristo, «sopportando la morte per noi tutti peccatori, ci insegna col suo esempio che è necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia»; però, al tempo stesso, «con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo, a cui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra, opera ormai nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, … purificando e fortificando quei generosi propositi, con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra» (Vaticano II, GS 38).
Nel lavoro umano il cristiano ritrova una piccola parte della croce di Cristo e l’accetta nello stesso spirito di redenzione, nel quale il Cristo ha accettato per noi la sua croce. Nel lavoro, grazie alla luce che dalla risurrezione di Cristo penetra dentro di noi, troviamo sempre un barlume della vita nuova, del nuovo bene, quasi come un annuncio dei «nuovi cieli e di una terra nuova» (Ap 21,1), i quali proprio mediante la fatica del lavoro vengono partecipati dall’uomo e dal mondo.

Giovanni Paolo II : Cantico (cfr. Col 1,3.12-20) (24.11.04)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2004/documents/hf_jp-ii_aud_20041124_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 24 novembre 2004

Cantico cfr Col 1,3.12-20


Cristo fu generato prima di ogni creatura,
è il primogenito di coloro che risuscitano dai morti
Vespri del Mercoledì della 2a settimana (Lettura: Col
1,3.12.15-17)

1. È risuonato ora il grande inno cristologico con cui si apre la Lettera ai Colossesi. In esso campeggia appunto la figura gloriosa di Cristo, cuore della liturgia e centro di tutta la vita ecclesiale. Lorizzonte dellinno, tuttavia, ben presto sallarga alla creazione e alla redenzione coinvolgendo ogni essere creato e lintera storia.

In questo canto è rintracciabile il respiro di fede e di preghiera dellantica comunità cristiana e lApostolo ne raccoglie la voce e la testimonianza, pur imprimendo allinno il suo sigillo.

2. Dopo una introduzione nella quale si rende grazie al Padre per la redenzione (cfr vv. 12-14), due sono le strofe in cui si articola questo Cantico, che la Liturgia dei Vespri ripropone ogni settimana. La prima celebra Cristo come «primogenito di ogni creatura», ossia generato prima di ogni essere, affermando così la sua eternità che trascende spazio e tempo (cfr vv. 15-18a). Egli è l’«immagine», l’«icona» visibile di quel Dio che rimane invisibile nel suo mistero. Era stata questa lesperienza di Mosè che, nel suo ardente desiderio di gettare uno sguardo sulla realtà personale di Dio, si era sentito rispondere: «Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es 33,20; cfr anche Gv 14,8-9).

Invece, il volto del Padre Creatore delluniverso diventa accessibile in Cristo, artefice della realtà creata: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui… e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17). Cristo dunque, da un lato, è superiore alle realtà create, ma dallaltro, è coinvolto nella loro creazione. Per questo può essere da noi visto come «immagine di Dio invisibile», reso a noi vicino attraverso latto creativo.

3. La lode in onore di Cristo procede, nella seconda strofa (cfr vv. 18b-20), verso un altro orizzonte: quello della salvezza, della redenzione, della rigenerazione dellumanità da lui creata ma che, peccando, era piombata nella morte.

Ora, la «pienezza» di grazia e di Spirito Santo che il Padre ha posto nel Figlio fa sì che egli possa, morendo e risorgendo, comunicarci una nuova vita (cfr vv. 19-20).

4. Egli è pertanto celebrato come «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (1,18b). Con la sua «pienezza» divina, ma anche col suo sangue sparso sulla croce, Cristo «riconcilia» e «rappacifica» tutte le realtà, celesti e terrestri. Egli le riporta così alla loro situazione originaria, ricreando larmonia primigenia, voluta da Dio secondo il suo progetto damore e di vita. Creazione e redenzione sono, quindi, connesse tra loro come tappe di una stessa vicenda di salvezza.

5. Secondo il nostro solito, facciamo ora spazio alla meditazione dei grandi maestri della fede, i Padri della Chiesa. Sarà uno di essi a guidarci nella riflessione sullopera redentrice compiuta da Cristo nel suo sangue sacrificale.

Commentando il nostro inno, san Giovanni Damasceno, nel Commento alle Lettere di san Paolo a lui attribuito, scrive: «San Paolo parla di « redenzione mediante il suo sangue » (Ef 1,7). È dato infatti come riscatto il sangue del Signore, che conduce i prigionieri dalla morte alla vita. Non era proprio possibile, per quelli che erano soggetti al regno della morte, essere liberati in altro modo, se non mediante colui che è diventato partecipe con noi della morte… Dalloperazione svolta con la sua venuta abbiamo conosciuto la natura di Dio che era prima della sua venuta. È infatti opera di Dio aver estinta la morte, restituito la vita e ricondotto a Dio il mondo. Perciò dice: « Egli è limmagine del Dio invisibile » (Col 1,15), per manifestare che è Dio, anche se egli non è il Padre, ma limmagine del Padre, e ha lidentità con lui, benché egli non sia lui» (I libri della Bibbia interpretati dalla grande tradizione, Bologna 2000, pp. 18.23).

Giovanni Damasceno poi conclude con uno sguardo dinsieme allopera salvifica di Cristo: «La morte di Cristo salvò e rinnovò luomo; e riportò gli angeli alla primitiva gioia, a motivo dei salvati, e congiunse le realtà inferiori con quelle superiori… Fece infatti la pace e tolse di mezzo linimicizia. Perciò gli angeli dicevano: « Gloria a Dio nellalto dei cieli e pace sulla terra »» (ibid., p. 37).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 18 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

Omelia di Giovanni Paolo II per la Canonizzazione di Edith Stein 11.10.1998 – (temi paolini)

dal sito: 

http://www.gesuiti.it/moscati/Ital3/GPaolo2_ES_Cn.html

Omelia di Giovanni Paolo II per la

Canonizzazione di Edith Stein

Roma, 11 Ottobre 1998

« Eminente figlia di Israele e fedele figlia della Chiesa »

1. « Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo » (cfr Gal 6, 14). Le parole di San Paolo ai Galati ben si addicono all’esperienza umana e spirituale di Teresa Benedetta della Croce, che oggi solennemente viene iscritta nell’albo dei santi. Anche lei può ripetere con l’Apostolo: « Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo. »

La croce di Cristo! Nella sua costante fioritura l’albero della Croce porta sempre rinnovati frutti di salvezza. Per questo, alla Croce guardano fiduciosi i credenti, traendo dal suo mistero di amore coraggio e vigore per camminare fedeli sulle orme di Cristo crocifisso e risorto. II messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne cambiandone l’esistenza.

Un esempio eloquente di questo straordinario rinnovamento interiore è la vicenda spirituale di Edith Stein. Una giovane donna in cerca della verità, grazie al lavorio silenzioso della grazia divina, è diventata una santa ed una martire: è Teresa Benedetta della Croce, che quest’oggi dal cielo ripete a tutti noi le parole che hanno segnato la sua esistenza: « Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Gesù Cristo ».2. Il primo maggio 1987, nel corso della mia visita pastorale in Germania, ho avuto la gioia di proclamare Beata, nella città di Colonia, questa generosa testimone della fede. Oggi, a undici anni di distanza, qui a Roma, in Piazza San Pietro, mi è dato di presentare solennemente come Santa davanti a tutto il mondo questa eminente figlia d’Israele e figlia fedele della Chiesa.

Come allora, così quest’oggi ci inchiniamo dinanzi alla memoria di Edith Stein, proclamando l’invitta testimonianza da lei resa durante la vita e soprattutto con la morte. Accanto a Teresa d’Avila ed a Teresa di Lisieux, quest’altra Teresa va a collocarsi fra lo stuolo di santi e sante che fanno onore all’Ordine carmelitano.

Carissimi Fratelli e Sorelle, che siete convenuti per questa solenne celebrazione, rendiamo gloria a Dio per l’opera da lui compiuta in Edith Stein.3. Saluto i numerosi pellegrini venuti a Roma, con un particolare pensiero per i membri della famiglia Stein, che hanno voluto essere con noi per questa lieta circostanza. Un saluto cordiale va anche alla rappresentanza della Comunità carmelitana, la quale è diventata la « seconda famiglia » per Teresa Benedetta della Croce.

Rivolgo, poi, il mio benvenuto alla delegazione ufficiale della Repubblica Federale di Germania, guidata dal Cancelliere Federale uscente Helmut Kohl, che saluto con deferente cordialità. Saluto inoltre, i rappresentanti dei Länder Nordrhein-Westfalen e Rheinland-Pfalz, come anche il Primo Sindaco della Città di Colonia.

Anche dalla mia patria è venuta una delegazione ufficiale guidata dal Primo Ministro Jerzy Buzek. Rivolgo ad essa un cordiale saluto.

Una speciale menzione voglio poi riservare ai pellegrini delle diocesi di Breslavia (Wroclaw), di Colonia, Münster, Spira, Kraków e Bielsko-ywiec, presenti con i loro Vescovi e sacerdoti. Essi si uniscono alla numerosa schiera di fedeli venuti dalla Germania, dagli Stati Uniti d’America e dalla mia patria, la Polonia.4. Cari Fratelli e Sorelle! Perché ebrea, Edith Stein fu deportata insieme con la sorella Rosa e molti altri ebrei dei Paesi Bassi nel campo di concentramento di Auschwitz, ove insieme con loro trovò la morte nelle camere a gas. Di tutti facciamo oggi memoria con profondo rispetto. Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: « Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta ».

Nel celebrare d’ora in poi la memoria della nuova Santa, non potremo non ricordare di anno in anno anche la Shoah, quel piano efferato di eliminazione di un popolo, che costò la vita a milioni di fratelli e sorelle ebrei. Il Signore faccia brillare il suo volto su di loro e conceda loro la pace (Nm 6, 25 s.).

Per amore di Dio e dell’uomo ancora una volta io levo un grido accorato: mai più si ripeta una simile iniziativa criminale per nessun gruppo etnico, nessun popolo, nessuna razza, in nessun angolo della terra! È un grido che rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà; a tutti coloro che credono all’eterno e giusto Iddio; a tutti coloro che si sentono uniti in Cristo, Verbo di Dio incarnato. Tutti dobbiamo trovarci in questo solidali: è in gioco la dignità umana. Esiste una sola famiglia umana. Questo ha ribadito la nuova Santa con grande insistenza: «Il nostro amore verso il prossimo – scriveva – è la misura del nostro amore a Dio. Per i cristiani – e non solo per loro – nessuno è «straniero». L’amore di Cristo non conosce frontiere».

5. Cari Fratelli e Sorelle! L’amore di Cristo fu il fuoco che incendiò la vita di Teresa Benedetta della Croce. Prima ancora di rendersene conto, essa ne fu completamente catturata. All’inizio il suo ideale fu la libertà. Per lungo tempo Edith Stein visse l’esperienza della ricerca. La sua mente non si stancò di investigare ed il suo cuore di sperare. Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: « Chi cerca la verità consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio ».

Pur essendo stata educata nella religione ebraica dalla madre, Edith Stein a quattordici anni « si era consapevolmente e di proposito disabituata alla preghiera ». Voleva contare solo su se stessa, preoccupata di affermare la propria libertà nelle scelte della vita. Alla fine del lungo cammino le fu dato di giungere ad una constatazione sorprendente: solo chi si lega all’amore di Cristo diventa veramente libero.

L’esperienza di questa donna, che ha affrontato le sfide di un secolo travagliato come il nostro, diventa esemplare per noi: il mondo moderno ostenta la porta allettante del permissivismo, ignorando la porta stretta del discernimento e della rinuncia. Mi rivolgo specialmente a voi, giovani cristiani, in particolare ai numerosi ministranti convenuti in questi giorni a Roma: guardatevi dal concepire la vostra vita come una porta aperta a tutte le scelte! Ascoltate la voce del vostro cuore! Non restate alla superficie, ma andate al fondo delle cose! E quando sarà il momento, abbiate il coraggio di decidervi! II Signore attende che voi mettiate la vostra libertà nelle sue mani misericordiose.6. Santa Teresa Benedetta della Croce giunse a capire che l’amore di Cristo e la libertà dell’uomo s’intrecciano, perché l’amore e la verità hanno un intrinseco rapporto. La ricerca della verità e la sua traduzione nell’amore non le apparvero in contrasto; essa, anzi, capì che si richiamavano a vicenda.

Nel nostro tempo la verità viene scambiata spesso con l’opinione della maggioranza. Inoltre è diffusa la convinzione che ci si debba servire della verità anche contro l’amore o viceversa. Ma la verità e l’amore hanno bisogno l’una dell’altro. Suor Teresa Benedetta ne è testimone. La « martire per amore », che donò la sua vita per gli amici, non si fece superare da nessuno nell’amore. Allo stesso tempo ella cercò con tutta se stessa la verità, della quale scriveva: « Nessuna opera spirituale viene al mondo senza grandi travagli. Essa sfida sempre l’uomo intero. »

Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L’uno senza l’altra diventa una menzogna distruttiva.7. La nuova Santa ci insegna, infine, che l’amore per Cristo passa attraverso il dolore. Chi ama davvero non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza: accetta la comunione nel dolore con la persona amata.

Consapevole di ciò che comportava la sua origine ebraica, Edith Stein ebbe al riguardo parole eloquenti: « Sotto la croce ho compreso la sorte del popolo di Dio… Infatti, oggi conosco molto meglio ciò che significa essere la sposa del Signore nel segno della Croce. Ma poiché è un mistero, con la sola ragione non potrà mai essere compreso ».

Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l’offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla « scienza della croce », ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d’amore. L’amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l’amore.

Attraverso l’esperienza della Croce, Edith Stein poté aprirsi un varco verso un nuovo incontro col Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Fede e croce le si rivelarono inseparabili. Maturata alla scuola della Croce, ella scoprì le radici alle quali era collegato l’albero della propria vita. Capì che era molto importante per lei « essere figlia del popolo eletto e di appartenere a Cristo non solo spiritualmente, ma anche per un legame di sangue. » 8. « Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità » (Gv 4, 24). Carissimi Fratelli e Sorelle, con queste parole il divino Maestro s’intrattenne con la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Quanto egli donò alla sua occasionale ma attenta interlocutrice lo troviamo presente anche nella vita di Edith Stein, nella sua « salita al Monte Carmelo ».

La profondità del mistero divino le si rese percettibile nel silenzio della contemplazione. Man mano che, lungo la sua esistenza, essa maturava nella conoscenza di Dio, adorandolo in spirito e verità, sperimentava sempre più chiaramente la sua specifica vocazione a salire sulla Croce con Cristo, ad abbracciarla con serenità e fiducia, ad amarla seguendo le orme del suo diletto Sposo: Santa Teresa Benedetta della Croce ci viene additata oggi come modello a cui ispirarci e come protettrice a cui ricorrere.

Rendiamo grazie a Dio per questo dono. La nuova Santa sia per noi un esempio nel nostro impegno a servizio della libertà, nella nostra ricerca della verità. La sua testimonianza valga a rendere sempre più saldo il ponte della reciproca comprensione tra ebrei e cristiani.

Tu, Santa Teresa Benedetta della Croce, prega per noi! Amen.[Testo dell'omelia pronunciata da Giovanni Paolo II, durante la canonizzazione di Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, svoltasi domenica 11 ottobre 1998 in Piazza S. Pietro.]

 

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 5 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II – « Il sabato è stato fatto per l’uomo » (Mc 2,27)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=10/31/2008#

Giovanni Paolo II
Lettera apostolica « Dies Domini », 61

« Il sabato è stato fatto per l’uomo » (Mc 2,27)

Lo « shabbat », il giorno settimo benedetto e consacrato da Dio, mentre chiude l’intera opera della creazione, si lega immediatamente all’opera del sesto giorno, in cui Dio fece l’uomo « a sua immagine e somiglianza » (Gn 1, 26). Questa relazione più immediata tra il « giorno di Dio » e il « giorno dell’uomo » non sfuggì ai Padri nella loro meditazione sul racconto biblico della creazione. Dice a tal proposito Ambrogio: « Grazie dunque al Signore Dio nostro che fece un’opera ove egli potesse trovare riposo. Fece il cielo, ma non leggo che ivi abbia riposato; fece le stelle, la luna, il sole, e neppure qui leggo che abbia in essi riposato. Leggo invece che fece l’uomo e che allora si riposò, avendo in lui uno al quale poteva perdonare i peccati ». Il « giorno di Dio » avrà così per sempre un collegamento diretto con il « giorno dell’uomo ».

Quando il comandamento di Dio recita: « Ricordati del giorno di sabato per santificarlo » (Es 20, 8), la sosta comandata per onorare il giorno a lui dedicato non è affatto, per l’uomo, un’imposizione onerosa, ma piuttosto un aiuto perché egli avverta la sua vitale e liberante dipendenza dal Creatore, e insieme la vocazione a collaborare alla sua opera e ad accogliere la sua grazia. Onorando il « riposo » di Dio, l’uomo ritrova pienamente se stesso, e così il giorno del Signore si manifesta profondamente segnato dalla benedizione divina (Gn 2, 3) e si direbbe dotato, in forza di essa, al pari degli animali e degli uomini (Gn 1, 22.28), di una sorta di « fecondità ». Essa si esprime soprattutto nel ravvivare e, in certo senso, « moltiplicare » il tempo stesso, accrescendo nell’uomo, col ricordo del Dio vivente, la gioia di vivere e il desiderio di promuovere e donare la vita.

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 31 octobre, 2008 |Pas de commentaires »
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