Archive pour la catégorie 'Papa Giovanni Paolo II'

Giovanni Paolo II: Inno di vittoria per il passaggio del Mar Rosso (lettura lunedì, martedì 20/21 luglio)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2001/documents/hf_jp-ii_aud_20011121_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì 21 novembre 2001

Cantico: Es 15,1-4a. 8-13. 17-18
Inno di vittoria per il passaggio del Mar Rosso
Lodi Sabato 1a Settimana (Lettura: Es 15,1-4a.13.17).

1. Questo inno di vittoria (cfr Es 15,1-18), proposto alle Lodi del sabato della prima settimana, ci riporta a un momento-chiave della storia della salvezza: all’evento dell’Esodo, quando Israele fu salvato da Dio in una situazione umanamente disperata. I fatti sono noti: dopo la lunga schiavitù in Egitto, ormai in cammino verso la terra promessa, gli Ebrei erano stati raggiunti dall’esercito del faraone, e nulla li avrebbe sottratti all’annientamento, se il Signore non fosse intervenuto con la sua mano potente. L’inno indugia a descrivere la tracotanza dei disegni del nemico armato: « inseguirò, raggiungerò, spartirò il bottino… » (Es 15,9).

Ma cosa può anche il più grande esercito, di fronte all’onnipotenza divina? Dio comanda al mare di aprire un varco per il popolo aggredito e di richiudersi al passaggio degli aggressori: « Soffiasti con il tuo alito: li coprì il mare, sprofondarono come piombo in acque profonde » (Es 15,10).

Sono immagini forti, che vogliono dare la misura della grandezza di Dio, mentre esprimono lo stupore di un popolo che quasi non crede ai suoi occhi, e si scioglie a una sola voce in un canto commosso: « Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato. È il mio Dio e lo voglio lodare, è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare! » (Es 15,2).

2. Il Cantico non parla soltanto della liberazione ottenuta; ne indica anche lo scopo positivo, il quale non è altro che l’ingresso nella dimora di Dio per vivere nella comunione con Lui: « Guidasti con il tuo favore questo popolo che hai riscattato, lo conducesti con forza alla tua santa dimora » (Es 15,13). Così compreso, questo evento non solo fu alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, ma divenne come il « simbolo » di tutta la storia della salvezza. Tante altre volte Israele sperimenterà situazioni analoghe, e l’Esodo si riattualizzerà puntualmente. In modo speciale quell’evento prefigura la grande liberazione che Cristo realizzerà con la sua morte e risurrezione.

Per questo il nostro inno risuona a titolo speciale nella liturgia della Veglia pasquale, per illustrare con l’intensità delle sue immagini ciò che si è compiuto in Cristo. In lui siamo stati salvati non da un oppressore umano, ma da quella schiavitù di Satana e del peccato, che fin dalle origini pesa sul destino dell’umanità. Con lui l’umanità si rimette in cammino, sul sentiero che riconduce alla casa del Padre.

3. Questa liberazione, già realizzata nel mistero e presente nel Battesimo come un seme di vita destinato a crescere, raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi, quando Cristo tornerà glorioso e « consegnerà il Regno a Dio Padre » (1Cor 15,24). Proprio a questo orizzonte finale, escatologico, la Liturgia delle Ore ci invita a guardare, introducendo il nostro Cantico con una citazione dell’Apocalisse: « Coloro che avevano vinto la bestia… cantavano il cantico di Mosé, servo di Dio » (Ap 15, 2.3).

Alla fine dei tempi, si realizzerà pienamente per tutti i salvati ciò che l’evento dell’Esodo prefigurava e la Pasqua di Cristo ha compiuto in modo definitivo, ma aperto al futuro. La nostra salvezza infatti è reale e profonda, ma sta tra il « già » e il « non ancora » della condizione terrena, come ci ricorda l’apostolo Paolo: « Nella speranza noi siamo stati salvati » (Rm 8,24).

4. « Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato » (Es 15,1). Mettendoci sulle labbra queste parole dell’antico inno, la Liturgia delle Lodi ci invita a porre la nostra giornata nel grande orizzonte della storia della salvezza. È questo il modo cristiano di percepire lo scorrere del tempo. Nei giorni che si accumulano ai giorni non c’è una fatalità che ci opprime, ma un disegno che si va dipanando, e che i nostri occhi devono imparare a leggere come in filigrana.

A questa prospettiva storico-salvifica erano particolarmente sensibili i Padri della Chiesa, che amavano leggere i fatti salienti dell’Antico Testamento – dal diluvio del tempo di Noè alla chiamata di Abramo, dalla liberazione dell’Esodo al ritorno degli Ebrei dopo l’esilio babilonese – come « prefigurazioni » di eventi futuri, riconoscendo a quei fatti un valore « archetipico »: in essi erano preannunciate le caratteristiche fondamentali che si sarebbero ripetute, in qualche modo, lungo tutto il corso della storia umana.

5. Del resto già i profeti avevano riletto gli eventi della storia della salvezza, mostrandone il senso sempre attuale e additandone la realizzazione piena nel futuro. È così che, meditando sul mistero dell’alleanza stipulato da Dio con Israele, essi giungono a parlare di una « nuova alleanza » (Ger 31,31; cfr Ez 36,26-27), nella quale la legge di Dio sarebbe stata scritta nel cuore stesso dell’uomo. Non è difficile vedere in questa profezia la nuova alleanza stipulata nel sangue di Cristo e realizzata attraverso il dono dello Spirito. Recitando questo inno di vittoria dell’antico Esodo alla luce dell’Esodo pasquale, i fedeli possono vivere la gioia di sentirsi Chiesa pellegrinante nel tempo, verso la Gerusalemme celeste.

6. Si tratta dunque di contemplare con stupore sempre nuovo quanto Dio ha disposto per il suo Popolo: « Lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua promessa, luogo che per tua sede, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno fondato » (Es 15,17). L’inno di vittoria non esprime il trionfo dell’uomo, ma il trionfo di Dio. Non è un canto di guerra, è un canto d’amore.

Lasciando che le nostre giornate siano pervase da questo fremito di lode degli antichi Ebrei, noi camminiamo per le strade del mondo, non prive di insidie, rischi e sofferenze, con la certezza di essere avvolti dallo sguardo misericordioso di Dio: nulla può resistere alla potenza del suo amore.

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 20 juillet, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II, festa del Sacro Cuore di Gesù, 1999

dal sito:

http://www.dehon.it/scj_dehon/cuore/dehoniana/1999/3-1999-02-typ.htm

IL CUORE DI CRISTO, CUORE DELLA CHIESA
 
(Messaggio del Papa nel Centenario della consacrazione
del genere umano al Sacro Cuore di Gesù)
Giovanni Paolo II

Molti Istituti e Movimenti che alimentano la loro vita di preghiera e di apostolato alla spiritualità del Cuore di Gesù hanno certamente seguito con profonda gratitudine e gioia i numerosi interventi del papa Giovanni Paolo II che, durante il suo « pellegrinaggio » in Polonia, più volte è tornato a illustrare i grandi valori suggeriti e alimentati dalla contemplazione adorante del Salvatore dal Costato aperto. Particolarmente gradito il « messaggio » che ha rivolto ai fedeli di tutto il mondo in data 11 giugno, per ricordare il centenario della consacrazione del genere umano al Cuore di Gesù. Riportando per intero il testo di questo « messaggio » ci è sembrato opportuno evidenziare, con carattere tipografico diverso, quei brani che ci paiono particolarmente significaviti o dal punto di vista teologico o in prospettiva spirituale e apostolica (NdR).

* * * * *

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. La ricorrenza del centenario della Consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù, stabilita per tutta la Chiesa dal mio Predecessore Leone XIII con la Lettera Enciclica Annum Sacrum (25 maggio 1899: Leonis XIII P.M. Acta, XIX [1899], 71-80) e avvenuta l’11 giugno 1899, ci spinge in primo luogo alla gratitudine verso « Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre » (Ap 1,5). (…)

La consacrazione del genere umano al Cuore di Gesù fu presentata da Leone XIII come « culmine e coronamento di tutti gli onori, che era nella consuetudine tributare al Sacratissimo Cuore » (Annum Sacrum, cit., 72). Tale consacrazione, spiega l’Enciclica, si deve a Cristo, Redentore del genere umano, per ciò che è in sé e per quanto ha operato per tutti gli uomini. Poiché nel Sacro Cuore il credente incontra il simbolo e la viva immagine dell’infinita carità di Cristo, che per se stessa sprona ad amarci scambievolmente, egli non può non avvertire l’esigenza della personale partecipazione all’opera della salvezza. Per questo ogni membro della Chiesa è invitato a vedere nella consacrazione un donarsi e obbligarsi verso Gesù Cristo, Re « dei figli prodighi », Re che chiama tutti « al porto della verità e all’unità della fede », Re di tutti coloro che attendono di essere introdotti « nella luce di Dio e nel suo regno » (Formula di consacrazione). La consacrazione così intesa è da accostare all’azione missionaria della Chiesa stessa, perché risponde al desiderio del Cuore di Gesù di propagare nel mondo, attraverso le membra del suo Corpo, la sua dedizione totale al Regno, e di unire sempre più la Chiesa nell’offerta al Padre e nel suo essere per gli altri.

La validità di quanto avvenne l’11 giugno 1899 ha trovato autorevole conferma in ciò che hanno scritto i miei Predecessori, offrendo approfondimenti dottrinali circa il culto del Sacro Cuore, e disponendo la rinnovazione periodica dell’atto di consacrazione. Fra questi mi è gradito ricordare: il santo successore di Leone XIII, il Papa Pio X, che dispose nel 1906 di rinnovarla ogni anno; il Papa Pio XI di venerata memoria, che ne fece richiamo nelle Encicliche Quas primas, nel contesto dell’Anno Santo 1925, e Miserentissimus Redemptor; il suo successore, il Servo di Dio Pio XII, che ne trattò nelle Encicliche Summi Pontificatus e Haurietis Aquas. Il Servo di Dio Paolo VI, poi, alla luce del Concilio Vaticano II, volle parlarne nell’Epistola apostolica Investigabiles divitias e nella Lettera Diserti interpretes, diretta il 25 maggio 1965 ai Superiori Maggiori degli Istituti che prendono il nome dal Cuore di Gesù.

Anch’io non ho mancato più volte di invitare i miei Fratelli nell’episcopato, i presbiteri, i religiosi ed i fedeli a coltivare nella propria vita le forme più genuine del culto al Cuore di Cristo. In quest’anno dedicato a Dio Padre, ricordo quanto scrissi nell’Enciclica Dives in Misericordia: « La Chiesa sembra professare in modo particolare la misericordia di Dio e venerarla, rivolgendosi al Cuore di Cristo. Infatti proprio l’accostarci a Cristo nel mistero del suo Cuore ci consente di soffermarci su questo punto – in un certo senso centrale e nello stesso tempo più accessibile sul piano umano – della rivelazione dell’amore misericordioso del Padre, che costituisce il contenuto centrale della missione messianica del Figlio dell’uomo » (n. 13). In occasione della solennità del Sacro Cuore e del mese di giugno, ho spesso esortato i fedeli a perseverare nella pratica di questo culto, che « contiene un messaggio che è ai nostri giorni di straordinaria attualità », perché « dal Cuore del Figlio di Dio, morto sulla croce, è scaturita la fonte perenne della vita che dona speranza ad ogni uomo. Dal Cuore di Cristo crocifisso nasce la nuova umanità, redenta dal peccato. L’uomo del Duemila ha bisogno del Cuore di Cristo per conoscere se stesso; ne ha bisogno per costruire la civiltà dell’amore » (Insegnamenti, XVII, 1 [1994], 1152).

La consacrazione del genere umano del 1899 costituisce un passo di straordinario rilievo nel cammino della Chiesa ed è tuttora valido rinnovarla ogni anno nella festa del Sacro Cuore. Ciò va detto anche dell’Atto di riparazione che si è soliti recitare nella festa di Cristo Re. Ancora attuali risuonano le parole di Leone XIII: « Si deve pertanto ricorrere a chi è la Via, la Verità e la Vita. Ci siamo sviati: dobbiamo ritornare sulla Via; si sono oscurate le menti: si deve dissolvere l’oscurità con la luce della Verità; la morte ha preso il sopravvento: si deve far trionfare la Vita » (Annum Sacrum, cit., p. 78). Non è questo il programma del Concilio Vaticano II e del mio stesso pontificato?

2. Mentre ci stiamo preparando a celebrare il Grande Giubileo del 2000, questo centenario ci aiuta a contemplare con speranza la nostra umanità e ad intravedere il terzo millennio illuminato dalla luce del mistero di Cristo, « Via, Verità e Vita » (Gv 14,6).

Nel constatare che « gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo » (Cost. past. Gaudium et Spes, 10), la fede scopre felicemente che « nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo » (ivi, 22), poiché « con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo » (ibid.). Dio ha disposto che il battezzato, « associato al mistero pasquale e assimilato alla morte di Cristo », potesse andare « incontro alla risurrezione confortato dalla speranza », ma ciò vale « anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia » (ibid.). « Tutti gli uomini – come ricorda ancora il Concilio Vaticano II – sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti » (Cost. dogm. Lumen Gentium, 3).

Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa è magistralmente detto che « per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo per offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2,4-10). I discepoli di Cristo, quindi, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e rendano ragione della speranza che è in loro della vita eterna (1 Pt 3,15) » (ivi, 10). Di fronte al compito della nuova evangelizzazione, il cristiano che, guardando al Cuore di Cristo, signore del tempo e della storia, a Lui si consacra e insieme consacra i propri fratelli, si riscopre portatore della sua luce. Animato dal suo spirito di servizio, egli coopera ad aprire a tutti gli esseri umani la prospettiva di essere elevati verso la propria pienezza personale e comunitaria. « Dal Cuore di Cristo infatti il cuore dell’uomo impara a conoscere il vero e unico senso della sua vita e del suo destino, a comprendere il valore di una vita autenticamente cristiana, a guardarsi da certe perversioni del cuore umano, a unire l’amore filiale verso Dio con l’amore del prossimo » (Messaggio alla Compagnia di Gesù, 5 ottobre 1986: Insegnamenti, IX, 2 [1986], 843).

Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato. Si tratta ancora oggi di condurre i fedeli a fissare lo sguardo adorante sul mistero di Cristo, Uomo-Dio, per divenire uomini e donne di vita interiore, persone che sentono e vivono la chiamata alla vita nuova, alla santità, alla riparazione, che è cooperazione apostolica alla salvezza del mondo. Persone che si preparano alla nuova evangelizzazione, riconoscendo il Cuore di Cristo come cuore della Chiesa: è urgente per il mondo comprendere che il cristianesimo è la religione dell’amore.

Il Cuore del Salvatore invita a risalire all’amore del Padre, che è la sorgente di ogni autentico amore: « In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1 Gv 4,10).

Gesù riceve incessantemente dal Padre, ricco di misericordia e compassione, l’amore che Egli prodiga agli uomini (cfr. Ef 2,4; Gc 5,11). Il suo Cuore rivela particolarmente la generosità di Dio verso il peccatore. Dio, reagendo al peccato, non diminuisce il suo amore, ma l’allarga in un movimento di misericordia che diventa iniziativa di redenzione.

La contemplazione del Cuore di Gesù nell’Eucaristia spingerà i fedeli a cercare in quel Cuore l’inesauribile mistero del sacerdozio di Cristo e di quello della Chiesa. Farà gustare loro, in comunione con i fratelli, la soavità spirituale della carità alla sua stessa fonte. Aiutando ognuno a riscoprire il proprio Battesimo, li renderà più consapevoli della loro dimensione apostolica da vivere nella diffusione della carità e nella missione evangelizzatrice. Ciascuno si impegnerà maggiormente nel pregare il Padrone della messe (cfr. Mt 9,38) perché conceda alla chiesa « pastori secondo il suo cuore » (Ger 3,15) che, innamorati di Cristo Buon Pastore, modellino il proprio cuore ad immagine del suo e siano disposti ad andare per le vie del mondo per proclamare a tutti che Egli è Via, Verità e Vita (cfr. Esort. Ap. Post-sinod. Pastores dabo vobis, 82). A ciò si aggiungerà l’azione fattiva, perché anche molti giovani di oggi, docili alla voce dello Spirito Santo, siano formati a lasciar risonare nell’intimità del loro cuore le grandi attese della Chiesa e dell’umanità e a rispondere all’invito di Cristo per consacrarsi con Lui, entusiasti e gioiosi, « per la vita del mondo » (Gv 6,51).

3. La coincidenza di questo centenario con l’ultimo anno di preparazione al Grande Giubileo del 2000, che ha la « funzione di dilatare gli orizzonti del credente secondo la prospettiva stessa di Cristo: la prospettiva del « Padre che è nei cieli » (cfr. Mt 5,45) » (Lett. Ap. Tertio Millennio adveniente, 49) costituisce un’opportuna occasione per presentare il Cuore di Gesù, « fornace ardente di amore, … simbolo ed espressiva immagine di quell’amore eterno col quale Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito » (Gv 3,16) (Paolo VI, Epist. Ap. Investigabiles divitias, 5: AAS 57 [1965], 268). Il Padre « è Amore » (1 Gv 4,8.16), e il Figlio unigenito, Cristo, ne manifesta il mistero, mentre svela pienamente l’uomo all’uomo.

Nel culto al Cuore di Gesù ha preso forma la parola profetica richiamata da san Giovanni: « Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto » (Gv 19,37; cfr. Zc 12,10). È uno sguardo contemplativo, che si sforza di penetrare nell’intimo dei sentimenti di Cristo, vero Dio e vero uomo. In questo culto il credente conferma ed approfondisce l’accoglienza del mistero dell’Incarnazione, che ha reso il Verbo solidale con gli uomini, testimone della ricerca nei loro confronti da parte del Padre. Questa ricerca nasce nell’intimo di Dio, il quale « ama » l’uomo « eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo » (Tertio Millennio adveniente, 7). Contemporaneamente la devozione al Cuore di Gesù scruta il mistero della Redenzione, per scoprirvi la dimensione di amore che ha animato il suo sacrificio di salvezza.

Nel Cuore di Cristo è viva l’azione dello Spirito Santo, a cui Gesù ha attribuito l’ispirazione della sua missione (Lc 4,18; cfr. Is 61,1) e di cui aveva nell’Ultima Cena promesso l’invio. È lo Spirito che aiuta a cogliere la ricchezza del segno del costato trafitto di Cristo, dal quale è scaturita la Chiesa (cfr. Cost. Sacrosanctum Concilium, 5). « La Chiesa, infatti – come ebbe a scrivere Paolo VI – è nata dal Cuore aperto del Redentore e dal quel Cuore riceve alimento, giacché Cristo « ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola » (Ef 5,25-26) » (Lettera Diserti interpretes, cit.). Per mezzo poi dello Spirito Santo, l’amore che pervade il Cuore di Gesù si diffonde nel cuore degli uomini (cfr. Rm 5,5) e li muove all’adorazione delle sue « imperscrutabili ricchezze » (Ef 3,8) e alla supplica filiale e fidente verso il Padre (cfr. Rm 8, 15-16), attraverso il Risorto, « sempre vivo per intercedere per noi » (Eb 7,25).

4. Il culto al Cuore di Cristo, « sede universale della comunione con Dio Padre …, sede dello Spirito Santo » (Insegnamenti, XVII, 1 [1994], 1152), tende a rafforzare i nostri legami con la Santa Trinità. Pertanto, la celebrazione del centenario della consacrazione del genere umano al Sacro Cuore, prepara i fedeli al Grande Giubileo, sia per ciò che attiene al suo obiettivo di « glorificazione della Trinità, dalla quale tutto viene e alla quale tutto si dirige, nel mondo e nella storia » (Tertio Millennio adveniente, 55), sia per il suo orientamento all’Eucaristia (cfr. ibid.), in cui la vita che il Cristo è venuto a portare in abbondanza (cfr. Gv 10,10) è comunicata a coloro che mangeranno di lui per vivere di Lui (cfr. Gv 6,57). Tutta la devozione al Cuore di Gesù in ogni sua manifestazione è profondamente eucaristica: si esprime in pii esercizi che stimolano i fedeli a vivere in sintonia con Cristo, « mite e umile di cuore » (Mt 11,29) e si approfondisce nell’adorazione. Essa si radica e trova il suo culmine nella partecipazione alla Santa Messa, soprattutto a quella domenicale, dove i cuori dei credenti, riuniti fraternamente nella gioia, ascoltano la parola di Dio, apprendono a compiere con Cristo l’offerta di sé e di tutta la propria vita (Sacrosanctum Concilium, 48), si nutrono del pasquale convito del Corpo e Sangue del Redentore e, condividendo pienamente l’amore che pulsa nel suo Cuore, si sforzano di essere sempre più evangelizzatori e testimoni di solidarietà e di speranza.

Rendiamo grazie a Dio, nostro Padre, che ci ha rivelato il suo amore nel Cuore di Cristo e ci ha consacrato con l’unzione dello Spirito Santo (cfr. Cost. dogm. Lumen gentium, 10) in modo che, uniti a Cristo, adorandolo in ogni luogo e operando santamente, consacriamo a Lui il mondo stesso (ivi, 34) e il nuovo Millennio.

Consapevoli della grande sfida che ci sta dinanzi, invochiamo l’aiuto della Vergine Santissima, Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Sia Lei a guidare il Popolo di Dio oltre la soglia del Millennio che sta per iniziare. Lo illumini sulle vie della fede, della speranza, della carità! Aiuti, in particolare, ogni cristiano a vivere con generosa coerenza la consacrazione a Cristo che ha il suo fondamento nel sacramento del Battesimo e che opportunamente trova conferma nella consacrazione personale al Sacratissimo Cuore di Gesù, nel quale soltanto l’umanità può trovare perdono e salvezza.

Varsavia, 11 giugno 1999

Solennità del Sacro Cuore di Gesù

Giovanni Paolo II (1989, la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste)

dal sito:

http://www.jesus.2000.years.de/holy_father/john_paul_ii/audiences/1989/documents/hf_jp-ii_aud_19890809_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 agosto 1989
 

1. La discesa dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste è il compimento definitivo del mistero pasquale di Gesù Cristo e realizzazione piena degli annunci dell’antico testamento, specialmente quelli dei profeti Geremia e Ezechiele, circa una nuova, futura alleanza che Dio avrebbe stabilito con l’uomo in Cristo e una “effusione” dello Spirito di Dio “sopra ogni uomo” (Gl 3, 1): ma essa ha anche il significato di una nuova iscrizione della legge di Dio “nel profondo” dell’“essere” umano, o come dice il profeta, nel “cuore” (cf. Ger 31, 33). Si ha così una “nuova legge”, o “legge dello Spirito”, che dobbiamo ora considerare per una più completa conoscenza del mistero del paraclito.

2. Abbiamo già messo in rilievo il fatto che l’antica alleanza tra Dio-Signore e il popolo d’Israele, costituita per mezzo della teofania del Sinai, era basata sulla legge. Al suo centro si trova il decalogo. Il Signore esorta il suo popolo all’osservanza dei comandamenti: “Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 5-6).

Poiché quell’alleanza non fa custodita fedelmente, Dio, per il tramite dei profeti, annunzia che costituirà una alleanza nuova: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni. Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore”. Queste parole di Geremia, già riportate nella precedente catechesi, sono legate alla promessa: “Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33).

3. Dunque la nuova (futura) alleanza annunciata dai profeti si doveva stabilire per mezzo di un cambiamento radicale del rapporto dell’uomo con la legge di Dio. Invece di essere una regola esterna, scritta su tavole di pietra, la legge doveva diventare, grazie all’azione dello Spirito Santo sul cuore dell’uomo, un orientamento interno, costituito “nel profondo dell’essere umano”.

Questa legge si riassume, secondo il Vangelo, nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Quando Gesù afferma che “da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 40), fa capire che essi erano contenuti già nell’antico testamento (cf. Dt 6, 5; Lv 19, 18). L’amore di Dio è il comandamento “più grande e primo”; l’amore del prossimo è “il secondo e simile al primo” (cf. Mt 22, 37-39), ed è anche condizione per l’osservanza del primo: “perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge”, come scriverà san Paolo (Rm 13, 8).

4. Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, essenza della nuova legge istituita da Cristo con l’insegnamento e l’esempio (fino a dare “la vita per i propri amici” [cf. Gv 15, 13]), viene “scritto” nei cuori dallo Spirito Santo. Per questo diventa la “legge dello Spirito”.

Come scrive l’Apostolo ai Corinzi: “È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori” (2 Cor 3, 3). La legge dello Spirito è dunque l’imperativo interiore dell’uomo, nel quale agisce lo Spirito Santo che diventa così maestro e guida dell’uomo dall’intimo del cuore.

5. Una legge così intesa è ben lontana da ogni forma di costrizione esterna dalla quale l’uomo sia soggiogato nei propri atti. La legge del Vangelo, contenuta nella Parola e confermata dalla vita e dalla morte di Cristo, consiste in una Rivelazione divina, che include la pienezza della verità sul bene delle azioni umane, e nello stesso tempo risana e perfeziona la libertà interiore dell’uomo, come scrive san Paolo: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8, 2). Secondo l’Apostolo, lo Spirito Santo che “dà vita”, perché per suo mezzo lo spirito dell’uomo partecipa alla vita di Dio, diventa allo stesso tempo il nuovo principio e la nuova fonte dell’agire dell’uomo: “perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito” (Rm 8, 4).

In questo insegnamento san Paolo avrebbe potuto appellarsi a Gesù stesso, che nel discorso della montagna avvertiva: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5, 17). Proprio un tale compimento, che Gesù Cristo ha dato alla legge di Dio con la sua Parola e col suo esempio, costituisce il modello del “camminare secondo lo Spirito”. In questo senso nei credenti in Cristo, partecipi del suo Spirito, esiste ed opera la “Legge dello Spirito”, da questo scritta “sulla carne dei cuori”.

6. Tutta la vita della Chiesa primitiva, come ci appare dagli Atti degli Apostoli, è una manifestazione della verità enunciata da san Paolo, secondo il quale “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5). Pur tra i limiti e i difetti degli uomini che la compongono, la comunità di Gerusalemme partecipa alla nuova vita che “viene data dallo Spirito”, vive dell’amore di Dio. Anche noi riceviamo questa vita in dono dallo Spirito Santo, il quale ci infonde l’amore – amore di Dio e del prossimo – contenuto essenziale del comandamento più grande. Così la nuova legge, impressa nei cuori degli uomini dall’amore come dono dello Spirito Santo, è in essi legge dello Spirito. Ed essa è la legge che libera, come scrive san Paolo: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8, 2).

7. Per questo la Pentecoste, in quanto è “l’effusione nei nostri cuori” dell’amore di Dio (cf. Rm 5, 5), segna l’inizio di una nuova morale umana, radicata nella “legge dello Spirito”. Questa morale è qualcosa di più della sola osservanza della legge dettata dalla ragione o dalla stessa Rivelazione. Essa deriva da una profondità maggiore e al tempo stesso giunge ad una profondità maggiore. Deriva dallo Spirito Santo e fa vivere di un amore che viene da Dio e che diventa realtà dell’esistenza umana per mezzo dello Spirito Santo “riversato nei nostri cuori”.

L’apostolo Paolo fu il più alto banditore di questa morale superiore, radicata nella “verità dello Spirito”. Lui che era stato uno zelante fariseo, buon conoscitore, meticoloso osservante e fanatico difensore della “lettera” dell’antica legge, diventato più tardi apostolo di Cristo, potrà scrivere di sé: “Dio . . . ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Cor 3, 6).

Publié dans:feste, Papa Giovanni Paolo II |on 29 mai, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II, (1989, per la Pentecoste)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1989/documents/hf_jp-ii_aud_19890802_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 2 agosto 1989 

1. Nella Pentecoste di Gerusalemme trova il suo coronamento la Pasqua della Croce e della Risurrezione di Cristo. Nella discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme con Maria e con la prima comunità dei discepoli di Cristo, si ha l’adempimento delle promesse e degli annunzi fatti da Gesù ai suoi discepoli. La Pentecoste costituisce la solenne manifestazione pubblica della nuova alleanza stretta tra Dio e l’uomo “nel sangue” di Cristo: “Questa è la nuova alleanza nel mio sangue”, aveva detto Gesù nell’ultima Cena (cf. 1 Cor 11, 25). Si tratta di un’alleanza nuova, definitiva ed eterna, preparata dalle precedenti alleanze, di cui parla la Sacra Scrittura. Queste, infatti, già recavano in sé l’annuncio del patto definitivo, che Dio avrebbe stretto con l’uomo in Cristo e nello Spirito Santo. La Parola divina, trasmessa dal profeta Ezechiele, già invitava a vedere in questa luce l’evento della Pentecoste: “Porrò il mio spirito dentro di voi” (Ez 36, 27).

2. Abbiamo precedentemente rilevato che, se in un primo tempo la Pentecoste era stata la festa della mietitura (cf. Es 23, 14), in seguito cominciò ad essere celebrata anche come ricordo e quasi come rinnovamento dell’alleanza stipulata da Dio con Israele dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto (cf. 2 Cor 15, 10-13). Del resto, già nel libro dell’Esodo leggiamo che Mosé “prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!”. Mosé prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!»”. (Es 24, 7-8).

3. L’alleanza del Sinai era stata stabilita tra Dio-Signore e il popolo di Israele. Prima di essa vi erano già state, secondo i testi biblici, l’alleanza di Dio col patriarca Noè e con Abramo.

L’alleanza stabilita con Mosé dopo il diluvio conteneva l’annuncio di una alleanza, che Dio intendeva stringere con tutta l’umanità: “Ecco, io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi . . . con tutti gli animali che sono usciti dall’arca” (Gen 9, 9-10). E dunque, non soltanto con l’umanità, ma con tutta la creazione che circonda l’uomo nel mondo visibile.

L’alleanza con Abramo aveva anche un altro significato. Dio sceglieva un uomo e con lui stabiliva un’alleanza a motivo della sua discendenza: “Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te” (Gen 17, 7). L’alleanza con Abramo era l’introduzione all’alleanza con un intero popolo, Israele, in considerazione del Messia che doveva provenire proprio da quel popolo, eletto da Dio a tale scopo.

4. L’alleanza con Abramo non conteneva una legge vera e propria. La legge divina venne data più tardi, nell’alleanza del Sinai. Dio ne fece la promessa a Mosé, salito sul monte dietro sua chiamata: “Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra . . . Queste parole dirai agli Israeliti” (Es 19, 5). Riferita la promessa divina agli anziani d’Israele, “tutto il popolo rispose insieme e disse: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo”. E Mosé tornò dal Signore e riferì le parole del popolo” (Es 19, 8).

Questa descrizione biblica della preparazione dell’alleanza e dell’azione mediatrice di Mosé mette in risalto la figura di questo grande capo e legislatore di Israele, mostrando la genesi divina del codice che egli diede al popolo, ma vuole anche fare intendere che l’alleanza del Sinai comportava impegni da ambedue le parti: Dio, il Signore, sceglieva Israele come sua particolare proprietà, “un regno di sacerdoti; una nazione santa” (Es 19, 6), ma a condizione che il popolo osservasse la legge che egli avrebbe dato col decalogo (cf. Es 20, 1 ss.), e le altre prescrizioni e norme. Da parte sua Israele si impegnò a questa osservanza.

5. La storia dell’antica alleanza ci attesta che questo impegno molte volte non è stato mantenuto. Specialmente i profeti rimproverano Israele per le sue infedeltà, e interpretano gli avvenimenti luttuosi della sua storia come castighi divini. Essi minacciano nuovi castighi, ma nello stesso tempo danno l’annunzio di un’altra alleanza. Leggiamo, per esempio, in Geremia: “Ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele (e con la casa di Giuda) io concluderò un’alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato” (Ger 31, 31-32).

La nuova – futura – alleanza verrà costituita coinvolgendo in modo più intimo l’essere umano. Leggiamo ancora: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33).

Questa nuova iniziativa di Dio concerne soprattutto l’uomo “interiore”. La legge di Dio sarà “posta” nel profondo dell’“essere” umano (dell’“io” umano). Questo carattere d’interiorità viene confermato da quell’altra parola: “la scriverò sul loro cuore”. Si tratta dunque di una legge, con la quale l’uomo si identifica interiormente. Solamente allora Dio è veramente “il suo” Dio.

6. Secondo il profeta Isaia la legge costitutiva della nuova alleanza verrà stabilita nello spirito umano ad opera dello Spirito di Dio. Infatti lo Spirito del Signore “si poserà su un virgulto che spunterà dal tronco di Iesse” (Is 11, 2), cioè sul Messia. In lui si realizzeranno le parole del profeta: “Lo Spirito del Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1). Il Messia, guidato dallo Spirito di Dio, realizzerà l’alleanza e la renderà “nuova” ed “eterna”. E ciò che preannuncia lo stesso Isaia con parole profetiche sospese sull’oscurità della storia: “Quanto a me, ecco la mia alleanza con essi, dice il Signore: il mio spirito che è sopra di te e le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre” (Is 59, 21).

7. Qualunque siano i termini storici e profetici, entro i quali si colloca la visuale di Isaia, possiamo ben dire che le sue parole trovano il pieno compimento in Cristo, nella Parola che è la sua “propria” ma anche “del Padre che lo ha mandato” (cf. Gv 5, 37); nel suo Vangelo, che rinnova, completa e vivifica la legge; e nello Spirito Santo, che viene mandato in virtù della Redenzione operata da Cristo mediante la sua Croce e la sua Risurrezione, a piena conferma di ciò che Dio aveva annunziato per mezzo dei profeti già nell’antica alleanza. Con Cristo e nello Spirito Santo si ha l’alleanza nuova, della quale il profeta Ezechiele, come portavoce di Dio, aveva predetto: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi . . . voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36, 26-28).

Nell’evento della Pentecoste di Gerusalemme la discesa dello Spirito Santo compie definitivamente la “nuova ed eterna” alleanza di Dio con l’umanità stabilita “nel sangue” del Figlio unigenito, come momento culminante del “dono dall’alto” (cf. Gc 1, 17). In quell’alleanza il Dio uno e trino “si dona” ormai non al solo popolo eletto, ma a tutta l’umanità. La profezia di Ezechiele: “Sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36, 28) trova allora una dimensione nuova e definitiva: l’universalità. Realizza compiutamente la dimensione dell’interiorità, perché la pienezza del dono – lo Spirito Santo – deve riempire tutti i cuori, dando a tutti la forza necessaria per il superamento di ogni debolezza e di ogni peccato. Trova la dimensione dell’eternità: è un’alleanza “nuova ed eterna” (cf. Eb 13, 20). In quella pienezza del dono ha il proprio inizio la Chiesa come Popolo di Dio della nuova ed eterna alleanza. Così trova compimento la promessa di Cristo sullo Spirito Santo inviato come “un altro Consolatore” (Parákletos), “perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14, 16).

Publié dans:feste, Papa Giovanni Paolo II |on 29 mai, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II, udienza, (temi: Lo Spirito Santo, il vento, la colomba)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1990/documents/hf_jp-ii_aud_19901017_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 17 ottobre 1990

(TEMI: LO SPIRITO SANTO COME PERSONA, IL VENTO, LA COLOMBA) 

1. Nel Nuovo Testamento è contenuta la rivelazione circa lo Spirito Santo come Persona, sussistente col Padre e col Figlio nell’unità della Trinità. Ma non è rivelazione con i tratti marcati e precisi di quella riguardante le due prime Persone. L’affermazione di Isaia, secondo cui il nostro è un “Dio nascosto” (Is 45, 15), si può riferire in particolare proprio allo Spirito Santo. Il Figlio, infatti, facendosi uomo, è entrato nella sfera della visibilità sperimentale per quelli che hanno potuto “vedere con i loro occhi e toccare con le loro mani qualcosa del Verbo della vita”, come dice san Giovanni (1 Gv 1, 1); e la loro testimonianza offre un concreto punto di riferimento anche per le generazioni cristiane successive. Il Padre, a sua volta, pur rimanendo nella sua trascendenza invisibile e ineffabile, si è manifestato nel Figlio. Diceva Gesù: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14, 9). Del resto la “paternità” – anche a livello divino – è abbastanza conoscibile per l’analogia con la paternità umana, che è un riflesso, sia pure imperfetto, di quella increata ed eterna, come dice san Paolo (Ef 3, 15).

2. La Persona dello Spirito Santo, invece, è più radicalmente al di là di tutti i nostri mezzi di avvicinamento conoscitivo. Per noi la Terza Persona è un Dio nascosto e invisibile, anche perché ha analogie più fragili in ciò che avviene nel mondo della conoscenza umana. La stessa genesi e spirazione dell’amore, che nell’anima umana è un riflesso dell’Amore increato, non ha la trasparenza dell’atto conoscitivo, che in qualche modo è autocosciente. Di qui il mistero dell’amore, a livello psicologico e teologico, come fa notare san Tommaso. Si spiega così che lo Spirito Santo – come lo stesso amore umano – trovi espressione specialmente nei simboli. Questi indicano il suo dinamismo operativo, ma anche la sua Persona presente nell’azione.

3. Così il simbolo del vento, che è centrale nella Pentecoste, evento fondamentale nella rivelazione dello Spirito Santo: “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano (i discepoli con Maria)” (At 2, 2).

Il vento viene spesso presentato, nei testi biblici e altrove, come una persona che va e viene. Così fa Gesù nel colloquio con Nicodemo, quando prende l’esempio del vento per parlare della persona dello Spirito Santo: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3, 8). L’azione dello Spirito Santo, per cui si “nasce dallo Spirito” (come avviene nella figliolanza adottiva operata dalla grazia divina) è paragonata al vento. Questa analogia impiegata da Gesù mette in rilievo la totale spontaneità e gratuità di questa azione, per mezzo della quale gli uomini sono resi partecipi della vita di Dio. Il simbolo del vento sembra rendere in modo particolare quel soprannaturale dinamismo, per mezzo del quale Dio stesso si avvicina agli uomini, per trasformarli interiormente, per santificarli e – in certo senso, secondo il linguaggio dei Padri – per divinizzarli.

4. Bisogna aggiungere che dal punto di vista etimologico e linguistico il simbolo del vento è quello più strettamente connesso con lo Spirito. Ne abbiamo già parlato in catechesi precedenti. Qui basti ricordare soltanto il senso della parola “ruah” (Gen 1, 2), cioè “il soffio”. Sappiamo che quando Gesù, dopo la risurrezione, appare agli apostoli, “alita” su di loro e dice: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 22-23).

Occorre anche notare che il simbolo del vento, in riferimento esplicito allo Spirito Santo e alla sua azione, appartiene al linguaggio e alla dottrina del Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento il vento, come “uragano”, propriamente è l’espressione dell’ira di Dio (cf. Ez 13, 13), mentre il “mormorio di un vento leggero”, parla dell’intimità della sua conversazione con i profeti (cf. 1 Re 19, 12). Lo stesso termine è usato per indicare l’alito vitale, significativo della potenza di Dio, che restituisce la vita agli scheletri umani nella profezia di Ezechiele (Ez 37, 9): “Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”. Col Nuovo Testamento il vento diventa dichiaratamente simbolo dell’azione e della presenza dello Spirito Santo.

5. Altro simbolo: la colomba, che secondo i sinottici e il Vangelo di Giovanni si manifesta in occasione del battesimo di Gesù nel Giordano. Questo simbolo è più adatto di quello del vento per indicare la Persona dello Spirito Santo, perché la colomba è un essere vivente, mentre il vento è solo un fenomeno naturale. Gli evangelisti ne parlano in termini quasi identici. Scrive Matteo (Mt 3, 16): “Si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (cioè su Gesù). Similmente Marco (Mc 1,10), Luca (Lc 3, 21-22), Giovanni (Gv 1, 32). A motivo dell’importanza di questo momento nella vita di Gesù, che riceve in modo visibile l’“investitura messianica”, il simbolo della colomba si è consolidato nelle immagini artistiche, e nella stessa rappresentazione immaginativa del mistero dello Spirito Santo, della sua azione e della sua Persona.

Nell’antico Testamento la colomba era stata messaggera della riconciliazione di Dio con l’umanità ai tempi di Noè. Essa infatti aveva portato a quel patriarca l’annuncio della cessazione del diluvio sulla superficie della terra (cf. Gen 8, 9-11).

Nel Nuovo Testamento questa riconciliazione avviene mediante il battesimo, del quale parla Pietro nella sua prima Lettera, mettendolo in riferimento alle “persone . . . salvate per mezzo dell’acqua” nell’arca di Noè (1 Pt 3, 20-21). Si può dunque pensare a una anticipazione del simbolo pneumatologico, perché lo Spirito Santo, che è Amore, “versando quest’amore nei cuori degli uomini”, come dice san Paolo (Rm 5, 5), è anche il datore della pace, che è dono di Dio.

6. E ancora: l’azione e la Persona dello Spirito Santo sono indicate anche con il simbolo del fuoco. Sappiamo che Giovanni Battista annunciava sul Giordano: “Egli (cioè il Cristo) vi battezzerà in Spirito e fuoco” (Mt 3, 11). Il fuoco è fonte di calore e di luce, ma è anche una forza che distrugge. Per questo nei Vangeli si parla di “gettare nel fuoco” l’albero che non porta frutto (Mt 3, 10); si parla anche di “bruciare la pula in un fuoco inestinguibile” (Mt 3, 12). Il battesimo “in Spirito e fuoco” indica la potenza purificatrice del fuoco: di un fuoco misterioso, che esprime l’esigenza di santità e di purezza di cui lo Spirito di Dio è portatore.

Gesù stesso diceva: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso” (Lc 12, 49). In questo caso si tratta del fuoco dell’amore di Dio, di quell’amore che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5, 5). Quando il giorno di Pentecoste sopra le teste degli apostoli “apparvero lingue come di fuoco”, esse significavano che lo Spirito portava il dono della partecipazione all’amore salvifico di Dio. Un giorno san Tommaso avrebbe detto che la carità – il fuoco portato da Gesù Cristo sulla terra – è “una certa partecipazione dello Spirito Santo”. In questo senso il fuoco è un simbolo dello Spirito Santo, la cui Persona nella Trinità divina è Amore.

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 17 mai, 2009 |Pas de commentaires »

“Victimae paschali laudes immolent christiani » (italiano-latino) Papa Giovanni Paolo II, Domenica di Pasqua 19 aprile 1987

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/messages/urbi/documents/hf_jp-ii_mes_19870419_easter-urbi_it.html

MESSAGGIO URBI ET ORBI
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Domenica di Pasqua, 19 aprile 1987      

1. “Victimae paschali laudes immolent christiani”.

Alla vittima pasquale la lode e la gloria!
Cristiani, uniamoci in questo inno!
Cristiani di Roma e del mondo!
Uniamoci nell’adorazione della Vittima pasquale,
nell’adorazione dell’Agnello immolato,
nell’adorazione del Signore risorto!

2. “Agnus redemit oves”:
“L’agnello ha redento il suo gregge,
l’innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre”.
Ecco Cristo! Ecco il nostro Redentore! Il Redentore del mondo!
Ha donato la sua vita per le pecore.
Uniamoci nell’adorazione di questa morte
che ci porta la vita,
perché l’amore è più potente della morte:
ecco, la morte accettata per amore vince la morte!
Ecco, la morte accettata per amore
rivela Dio, che è l’amante della vita,
il quale vuole che noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (cf. Gv 10, 10)
- che abbiamo la vita stessa che è in lui.
Alla Vittima pasquale la massima gloria e la lode più alta!
Nella sua morte è la riconciliazione col Padre.
Questa è la riconciliazione dei peccatori con Dio
la riconciliazione dell’uomo, il quale a causa del peccato muore a Dio
e non ha più in sé la vita che è in Dio e solo in Dio.
Soltanto in Dio.
La morte di Cristo è un nuovo inizio.
L’inizio della vita che non ha fine.
Non ha fine, perché è da Dio e in Dio.
Mentre la creatura muore, Dio vive!
Quando muore Cristo, tutto il creato rinasce.
Sii benedetta, morte vivificante!
Benedetto il giorno che ci è stato dato dal Signore.

3. Sii benedetto Cristo, Figlio del Dio vivente!
Sii benedetto Figlio dell’uomo, Figlio di Maria,
benedetto, perché sei entrato nella storia dell’uomo e del mondo,
fino ai confini della morte:
“Mors et vita duello conflixere mirando”:
“Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”.
Sì. La storia dell’uomo e del mondo è segnata dal mistero della morte,
segnata col marchio del morire – da un capo all’altro.
Hai preso questo marchio su di te, Figlio eternamente generato,
Figlio consustanziale al Padre: vita da vita,
e l’hai portato attraverso i confini della morte, che grava sulla creazione,
attraverso i confini della nostra morte umana,
per rivelare in essa lo Spirito che dà la vita.

4. Noi tutti che veniamo nel mondo portando la morte con noi,
noi che nasciamo dalle nostre madri terrene
segnati dalla ineluttabilità del morire,
viviamo della potenza dello Spirito.
E nella potenza di questo Spirito, che ci è dato dal Padre,
per opera della tua morte, o Cristo,
attraversiamo i confini della morte che è in noi
e ci innalziamo dal peccato alla vita
rivelata nella tua risurrezione!
Tu sei il Signore della vita, tu, consustanziale al Padre,
che è la stessa vita, insieme con te,
nello Spirito Santo che è l’amore stesso
- e proprio l’amore è vita!
Nella tua morte, o Cristo, la morte è apparsa inerme
di fronte all’amore. E la vita ha vinto.
“Mors et vita duello conflixere mirando.
Dux vitae mortuus, regnat vivus”.

5. Tu, che sei il Risorto e “regni vivo” per sempre,
resta accanto all’uomo,
all’uomo di oggi
che la morte col suo fascino tenebroso
in mille modi tenta ed insidia.
Concedi che egli riscopra la vita come dono
che in ogni sua manifestazione rivela l’amore del Padre:
quando si riversa nei rinati dal fonte battesimale,
o zampilla in ogni fibra del corpo
che si muove, respira, gioisce;
quando si dispiega nella multiforme varietà degli animali,
o riveste la terra di alberi, di erbe, di fiori.
Ogni forma di vita ha nel Padre tuo l’inesauribile sorgente.
Da lui fluisce senza sosta
e a lui infallibilmente ritorna:
a lui, munifico datore di ogni dono perfetto (cf. Gc 1, 17).

6. In Dio ha origine in modo singolare
la vita dell’essere umano,
che egli stesso modella a sua immagine quando sboccia
nel seno materno.
Non s’estingua nell’uomo contemporaneo
la meraviglia riverente per il mistero d’amore
che ne avvolge l’ingresso nel mondo!
Ti preghiamo, Signore dei vivi!
Fa’ che l’uomo dell’era tecnologica
non riduca se stesso ad oggetto,
ma rispetti, già nel primo suo inizio,
l’irrinunciabile dignità che gli è propria.
Fa’ che viva, in sintonia col piano divino,
l’unica logica che gli si addice,
quella del dono da persona a persona
in un contesto di amore
espresso attraverso la carne nel gesto
che fin dalle origini
Dio volle a suggello del dono.

7. Fa’, o Signore, che l’uomo sempre rispetti
la trascendente dignità di ogni suo simile,
povero o affamato che sia,
prigioniero, malato, moribondo,
ferito nel corpo o nel cuore,
in preda al dubbio o tentato dalla disperazione.
Sempre egli resta Figlio di Dio,
perché il dono di Dio non conosce pentimenti.
A tutti è offerto il perdono e la risurrezione.
Ciascuno merita rispetto e sostegno.
Merita amore.

8. “Dic nobis Maria, quid vidisti in via”:
“Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?”
visitando, all’alba del terzo giorno, la tomba,
il luogo dove era stato sepolto.
Raccontaci, Maria di Magdala, tu che hai tanto amato.
Ecco, hai trovato la tomba vuota:
“Sepulcrum Christi viventis,
et gloriam vidi Resurgentis”.
Il Signore vive! Ho visto il Risorto.
“Angelicos testes, sudarium et vestes”.
Chi ha potuto renderne testimonianza? quale lingua umana?
Soltanto gli angeli potevano spiegare
che cosa significasse quella tomba vuota
e il sudario abbandonato.
Il Signore vive! Ho visto la gloria di lui,
pieno di grazia e di verità (cf. Gv 1, 14).
Ho visto la gloria
“Surrexit Christus spes mea”:
“Cristo, mia speranza, è risorto,
e vi precede in Galilea”.

9. Sì. Prima lì, nella terra che l’ha dato
come Figlio dell’uomo.
Nella terra
della sua infanzia e della giovinezza.
Nella terra della vita nascosta.
Prima lì, in Galilea per incontrare gli apostoli.
E poi . . .
E poi, mediante la testimonianza degli apostoli,
in tanti luoghi, a tante nazioni, popoli e razze!
Oggi la voce di questo messaggio pasquale
risonato in Gerusalemme,
presso la tomba vuota,
desidera raggiungere tutti:
“Scimus Christum surrexisse a mortuis vere”,
sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
“Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza”.
Amen, alleluia!

Publié dans:Inni, Papa Giovanni Paolo II, Pasqua |on 13 avril, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II, Regina Coeli, lunedì dell’Angelo 1991

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/angelus/1991/documents/hf_jp-ii_reg_19910401_it.html

GIOVANNI PAOLO II

REGINA COELI

Lunedì dell’Angelo, 1° aprile 1991 

Oggi siamo nella seconda giornata dell’Ottava di Pasqua. Ieri è stata la solennità di Pasqua, oggi è il lunedì di Pasqua. In Italia c’è la bella tradizione di chiamare questa giornata « Pasquetta », ma io non voglio parlare di « Pasquetta ».

C’è anche un altro nome per indicare questo giorno: il giorno, o la festa « dell’Angelo ». E’ questa una tradizione molto bella che corrisponde profondamente alle fonti bibliche sulla Risurrezione. Ci ricordiamo della narrazione dei Vangeli Sinottici, quando le donne vanno al Sepolcro e lo trovano aperto. Esse temevano di non poter entrare perché la tomba era chiusa da una grande pietra. Invece è aperta e, dall’interno, sentono le parole: « Gesù Nazareno non è qui ».

Per la prima volta vengono pronunciate le parole: « E’ risorto ». Gli evangelisti ci dicono che queste parole sono state pronunciate dagli Angeli. Vi è un profondo significato in questa presenza angelica e in questa proclamazione angelica: come per annunciare l’Incarnazione del Verbo, Figlio di Dio, non poteva essere che un Angelo, Gabriele, così anche per esprimere per la prima volta le parole « è risorto », la Risurrezione, non era sufficiente un soggetto umano, non era sufficiente una parola umana. Ci voleva un essere superiore, perché per l’essere umano questa verità e le parole che comunicano la verità, « è risorto », questa verità stessa è così sconvolgente, talmente incredibile, che forse nessun uomo avrebbe osato pronunciarla.

Dopo questo primo annuncio si comincia a ripetere: « il Signore è risorto e si è rivelato a Pietro, a Simone », ma il primo annuncio richiedeva un’intelligenza superiore a quella umana. Così questa festa dell’Angelo, almeno io la intendo in questo modo, è un completamento dell’Ottava pasquale. Nelle letture bibliche, nei brani dei Vangeli si legge sempre di questi Angeli, ma la festa italiana sottolinea il momento di questa presenza angelica, non solo la sottolinea, ma spiega anche il perché di questo momento della Risurrezione. Al di sopra dell’umana costatazione che il sepolcro era vuoto, ci voleva un’altra, sovrumana costatazione: « E’ risorto ».

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II, Pasqua |on 13 avril, 2009 |Pas de commentaires »

Allocuzione di Giovanni Paolo I alla fine della « via Crucis » (1998)

da quando c’è stato il terremoto all’Aquila e nei dintorni ho seguito le notizie in televisone per quasi tutto il tempo, ieri notte fino a tardi, è una grande sofferenza, io non ho nessuno lì, ossia non ho nessuno, nessun parente che non sia romano, ma la sofferenza per le persone, per quei luoghi bellissimi, è grande, a me piacciono tanto, da sempre, quei piccoli paesi di montagna e la città dell’Aquila e l’impressione che qualcosa è andata perduta per sempre ce l’ho, posto questa « Allocuzione » di Giovanni Paolo II che avevo « messo da parte » per la Pasqua, sper domani di fare di più, dal sito:

 http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1998/april/documents/hf_jp-ii_spe_10041998_via-crucis_it.html

ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA FINE DELLA « VIA CRUCIS »

Venerdì 10 aprile 1998 

1. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

« Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito » (cfr Gv 3,16). L’eterno Figlio di Dio, che ha assunto la nostra natura umana per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, si è fatto « obbediente al Padre fino alla morte e alla morte di croce » (cfr Fil 2,8) per la salvezza del mondo. La Chiesa ogni giorno medita il sommo mistero dell’Incarnazione salvifica e della morte redentrice del Figlio di Dio, immolatosi per noi sulla croce.

Quest’oggi, Venerdì Santo, ci soffermiamo a contemplarlo con maggiore intensità. Nel buio della sera ormai avanzata, siamo venuti qui, al Colosseo, per ripercorrere, mediante il pio esercizio della Via Crucis, le tappe della via dolorosa di Cristo sino al drammatico epilogo della sua morte.

Salire spiritualmente sul Golgota, ove Gesù è stato crocifisso ed ha reso lo spirito, assume un particolare valore significativo tra queste rovine della Roma imperiale, specialmente in questo luogo legato al sacrificio di tanti martiri cristiani.

2. L’animo nostro, in questo momento, risale con la memoria a quanto è narrato nell’antica Storia Sacra, per trovarvi anticipazioni e preannunci della morte del Signore. Come non rievocare, ad esempio, l’itinerario di Abramo verso il monte Moria? E’ giusto ricordare questo grande patriarca, che san Paolo qualifica come « padre di tutti i credenti » (cfr Rm 4,11-12). Egli è il depositario delle promesse divine dell’Antica Alleanza, e la sua vicenda umana prefigura anche momenti della passione di Gesù.

Sul monte Moria (cfr Gen 22,2), simbolico richiamo al monte sul quale il Figlio dell’Uomo sarebbe morto in croce, Abramo salì con il figlio Isacco, il figlio della promessa, per offrirlo in olocausto. Dio gli aveva chiesto il sacrificio di quell’unico figlio, che egli aveva atteso a lungo e con speranza mai spenta. Abramo, nel momento di immolarlo, si fa, in certo modo, egli stesso « obbediente fino alla morte »: morte del figlio, e morte spirituale del padre.

Questo gesto, pur restando solo una prova di obbedienza e di fedeltà, giacché l’angelo del Signore fermò la mano del patriarca e non permise che Isacco fosse ucciso (cfr Gen 22,12-13), si pone come eloquente preannuncio del definitivo sacrificio di Gesù.

3. Dice l’evangelista Giovanni: l’eterno Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Gli fa eco l’apostolo Paolo: il Figlio si fece « per noi obbediente fino alla morte e alla morte di croce » (cfr Fil 2,8). La mano dei carnefici non fu fermata dall’angelo nel sacrificare il Figlio di Dio.

Eppure nel Getsemani il Figlio aveva pregato, affinché, se possibile, passasse da lui il calice della passione, esprimendo però immediatamente la piena disponibilità perché si compisse la volontà del Padre (cfr Mt 26,39). Obbediente per amore nostro, il Figlio si è offerto in sacrificio, compiendo l’opera della redenzione. Di questo sconvolgente mistero tutti noi siamo oggi testimoni.

4. Sostiamo in silenzio sul Golgota. Ai piedi della Croce sta Maria, Mater dolorosa: questa donna col cuore squarciato dai dolori, ma pronta ad accettare la morte del Figlio. La Madre addolorata riconosce ed accoglie nell’olocausto di Gesù la volontà del Padre per la redenzione del mondo. Di Lei ricorda il Concilio Vaticano II: « Avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr Gv 19,25) soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco il tuo figlio (cfr Gv 19,26-27) » (Lumen gentium, 58).

Maria fu data come Madre a tutti noi, chiamati a seguire fedelmente i passi del Figlio, che per noi si è fatto obbediente fino alla morte ed alla morte di croce: « Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis » (Ant. della Settimana Santa; cfr Fil 2,8).

5. E’ ormai notte fonda. Contemplando Cristo morto sulla croce, il pensiero va alle tante ingiustizie e sofferenze che prolungano la sua passione in ogni angolo della terra. Penso ai luoghi dove l’uomo è offeso ed umiliato, percosso e sfruttato. In ogni persona colpita dall’odio e dalla violenza, o emarginata dall’egoismo e dall’indifferenza, Cristo soffre ancora e muore. Sui volti degli « sconfitti della vita » si stagliano i lineamenti del volto di Cristo morente sulla croce. Ave, Crux, spes unica! Dalla Croce scaturisce anche oggi la speranza per tutti.

Uomini e donne del nostro tempo, volgete lo sguardo verso Colui che è stato trafitto! Egli per amore ha dato la sua vita per noi. Fedele e docile alla volontà del Padre, Egli ci è di esempio e di incoraggiamento. Proprio per questa sua obbedienza filiale, il Padre « l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome » (Fil 2,9).

Possa ogni lingua proclamare « che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre » (cfr ibid., 2,11).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II, Pasqua |on 7 avril, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II – Festa di San Giuseppe 19 marzo 2001

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/2001/documents/hf_jp-ii_hom_20010319_episcopal-ordination_it.html

CAPPELLA PAPALE PER L’ORDINAZIONE DI 9 VESCOVI
NELLA SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Lunedì, 19 marzo 2001 

1. « Ecco il servo saggio e fedele, che il Signore ha posto a capo della sua famiglia » (cfr Lc 12,42).

Così l’odierna liturgia ci presenta san Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria e Custode del Redentore. Egli, servo fedele e saggio, ha accolto con obbediente docilità la volontà del Signore, che gli ha affidato la « sua » famiglia sulla terra, perché la curasse con quotidiana dedizione.

In questa missione san Giuseppe perseverò con fedeltà e amore. Per questo la Chiesa ce lo addita come singolare modello di servizio a Cristo e al suo misterioso disegno di salvezza. E lo invoca come speciale patrono e protettore dell’intera famiglia dei credenti. In modo speciale, Giuseppe ci viene oggi indicato, nel giorno della sua festa, come il Santo sotto il cui efficace patrocinio la divina Provvidenza ha voluto porre le persone e il ministero di quanti sono chiamati ad essere, all’interno del popolo cristiano, « padri » e « custodi ».

2. « «Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» … «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» » (Lc 2,48-49).
In questo semplice e familiare dialogo tra la Madre e il Figlio, che il Vangelo poc’anzi ci ha proposto, si trovano le coordinate della santità di Giuseppe. Esse rispondono al disegno divino su di lui, che egli, da uomo giusto quale era, seppe assecondare con mirabile fedeltà.

« Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo », dice Maria. « Io devo occuparmi delle cose del Padre mio », replica Gesù. Sono proprio queste parole del Figlio ad aiutarci a capire il mistero della « paternità » di Giuseppe. Ricordando ai genitori il primato di Colui che chiama « Padre mio », Gesù rivela la verità del ruolo sia di Maria che di Giuseppe. Questi è veramente «sposo» di Maria e «padre» di Gesù, come Lei afferma quando dice: «Tuo padre e io ti cercavamo». Ma la sua sponsalità e paternità è totalmente relativa a quella di Dio. Ecco in che modo Giuseppe di Nazaret è chiamato a diventare a sua volta discepolo di Gesù: dedicando l’esistenza al servizio del Figlio unigenito del Padre e della Vergine Madre, Maria.

Si tratta d’una missione che egli prolunga nei confronti della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, alla quale non fa mancare la sua provvida assistenza, come ha fatto per l’umile Famiglia di Nazaret.

3. In questo contesto, è facile volgere l’attenzione a ciò che costituisce oggi il centro della nostra celebrazione. Sto per imporre le mani a nove Sacerdoti, che vengono chiamati ad assumere la responsabilità di Vescovi nella Chiesa. Il Vescovo svolge nella Comunità cristiana un compito che ha molte analogie con quello di san Giuseppe. Lo pone bene in risalto il Prefazio dell’odierna solennità, indicando Giuseppe come « servo saggio e fedele posto a capo della santa Famiglia, per custodire, come padre il Figlio Dio ». « Padri » e « custodi » sono i Pastori nella Chiesa, chiamati a comportarsi come « servi » saggi e fedeli. A loro è affidata la quotidiana cura del popolo cristiano che, grazie al loro aiuto, può avanzare con sicurezza sul cammino della perfezione cristiana.
Venerati e cari Fratelli ordinandi, la Chiesa si stringe a voi e vi assicura la sua preghiera, perché possiate espletare con fedele generosità, a immagine di san Giuseppe, il vostro ministero pastorale. Vi assicurano la loro preghiera in particolare coloro che vi accompagnano in questo giorno di festa: i vostri familiari, i sacerdoti, gli amici, come pure le Comunità da cui provenite e alle quali siete destinati.

4. Le Ordinazioni episcopali, da me di solito conferite nel giorno dell’Epifania, sono state quest’anno posticipate a causa della conclusione del Grande Giubileo. Ho così l’opportunità di compiere questo rito nell’odierna ricorrenza, tanto cara al popolo cristiano. Ciò mi consente di affidare con particolare insistenza ciascuno di voi all’incessante protezione di san Giuseppe, Patrono della Chiesa universale.

Con grande cordialità vi saluto, carissimi, e insieme con voi saluto tutti coloro che si uniscono alla vostra gioia. Vi auguro di cuore di proseguire con generosità rinnovata nel servizio che già rendete alla causa del Vangelo.

5. A te, Monsignor Fernando Filoni, è affidata la missione di Nunzio Apostolico in Iraq e Giordania, a sostegno delle comunità cristiane sparse in quelle terre: sono certo che sarai per loro un messaggero di pace e di speranza. Tu, Monsignor Henryk Józef Nowacki, dopo aver lavorato a lungo al mio fianco, sarai, quale Rappresentante della Sede Apostolica in Slovacchia, sollecito araldo del Vangelo in quel Paese di antica tradizione cristiana. E tu, Monsignor Timothy Paul Broglio, a cui sono grato per la fedele cooperazione offerta al Cardinale Segretario di Stato, ti recherai alle porte del continente americano come Nunzio nella Repubblica Dominicana e Delegato Apostolico in Porto Rico: sii tra quelle care popolazioni testimone dell’affetto del Successore di Pietro.

Anche a te, Monsignor Domenico Sorrentino, sono riconoscente per il prezioso servizio svolto nella Segreteria di Stato, e ora, nell’affidarti la Prelatura di Pompei e il suo celebre Santuario mariano, pongo il tuo ministero sotto lo sguardo benedicente della Vergine del Santo Rosario, chiedendole di guidare i tuoi passi sulle orme di san Paolino, Vescovo di Nola, tua terra natale, e vanto della Campania. La Vergine Santissima continui a vegliare pure sui tuoi passi, Monsignor Tomasz Peta, chiamato ad assumere l’Amministrazione Apostolica di Astana, nel Kazakhstan, dove già da diversi anni operi con lodevole zelo apostolico.

Tu, Monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, proseguirai nell’apprezzato servizio di Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di quella delle Scienze Sociali, istituzioni alle quali attribuisco grande importanza per il dialogo della Chiesa con il mondo della cultura. A te, Monsignor Marc Ouellet, ho voluto affidare l’Ufficio di Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, compito di particolare rilievo per la nobilissima finalità che lo ispira e per le rinnovate speranze che la celebrazione dell’Anno giubilare ha suscitato nell’animo di tanti cristiani.
E tu, Monsignor Giampaolo Crepaldi, assumerai il ruolo di Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, continuando con responsabilità maggiori il tuo già qualificato servizio in tale Dicastero. Infine, abbraccio con affetto te, Monsignor Djura Dudar, che ho scelto quale Ausiliare dell’Eparca di Mukacheve in Transcarpazia, in Ucraina, Paese che tra non molto, a Dio piacendo, avrò la gioia di visitare e al quale invio fin d’ora un cordiale, beneaugurante saluto.

6. Carissimi Fratelli, come san Giuseppe, modello e guida del vostro ministero, amate e servite la Chiesa. Imitate l’esempio di questo grande Santo, come anche quello della sua Sposa, Maria. Se talora vi capiterà di incontrare difficoltà e ostacoli, non esitate ad accettare di soffrire con Cristo a vantaggio del suo Corpo mistico (cfr Col 1,24), perché con Lui possiate gioire di una Chiesa tutta bella, senza macchia né ruga, santa e immacolata (cfr Ef 5,27). Il Signore, che non vi farà mancare la sua grazia, oggi vi consacra e vi invia come apostoli nel mondo. Portate scolpite nel cuore le sue parole: « Io sono con voi tutti i giorni » (Mt 28,20) e non temete. Come Maria, come Giuseppe, fidatevi sempre di Lui. Egli ha vinto il mondo.

Giovanni Paolo I, II di Quaresima B (1996-97) Angelus

dal sito Vaticano:  

GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Domenica, 2 marzo 1997 (Dom III di quaresima anno B, Gv 2, 13-15) 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Nel Vangelo di questa terza domenica di Quaresima, san Giovanni racconta che Gesù, trovando nel tempio di Gerusalemme venditori e cambiavalute, fece una sferza di cordicelle e prese a scacciarli con parole di fuoco: « Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato! » (Gv 2, 16).

L’atteggiamento « severo » del Signore sembrerebbe in contrasto con l’abituale mitezza, con cui Egli avvicina i peccatori, guarisce i malati, accoglie i piccoli e i deboli. A ben vedere, però, mitezza e severità sono espressioni dello stesso amore che sa essere, a seconda del bisogno, tenero ed esigente. L’amore autentico si accompagna sempre alla verità.

Lo zelo e l’amore di Gesù per la casa del Padre non si ferma certo a un tempio di pietra. E’ il mondo intero che appartiene a Dio, e non va profanato. Con il gesto profetico che ci riferisce l’odierno testo evangelico, Cristo ci mette in guardia dalla tentazione di « mercanteggiare » persino la religione, piegandola ad interessi mondani o comunque ad essa estranei.

La voce di Cristo si leva forte anche contro i « mercanti del tempio » della nostra epoca, contro quanti cioè fanno del mercato la loro « religione », fino a calpestare, in nome del « dio-potere, del dio-denaro », la dignità della persona umana con abusi di ogni genere. Pensiamo, ad esempio, al mancato rispetto della vita, fatta oggetto talora di pericolose sperimentazioni; pensiamo all’inquinamento ecologico, alla mercificazione del sesso, allo spaccio della droga, allo sfruttamento dei poveri e dei bambini.

2. La pagina evangelica ha anche un significato più specifico, che rimanda al mistero di Cristo ed annuncia la gioia della Pasqua. Rispondendo a coloro che Gli chiedevano di accreditare con un « segno » la sua profezia, Gesù lancia una sorta di sfida: « Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere » (Gv 2, 19). Lo stesso evangelista annota che parlava del suo corpo, alludendo alla futura Risurrezione. L’umanità di Cristo si presenta così come il vero « tempio », la casa vivente di Dio. Essa sarà « distrutta » sul Golgota, ma subito « riedificata » nella gloria, per essere spirituale dimora di quanti accolgono il messaggio evangelico e si lasciano plasmare dallo Spirito di Dio.

3. Ci aiuti la Vergine ad accogliere le parole del suo divin Figlio. La missione di Maria è appunto quella di portarci a Lui, ripetendoci l’invito che fece ai servi a Cana: « Fate quello che egli vi dirà » (Gv 2, 5). Ascoltiamo la sua voce materna! Maria sa bene che le esigenze del Vangelo, anche quando sono pesanti e severe, costituiscono il segreto della vera libertà e della nostra autentica gioia.

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 13 mars, 2009 |Pas de commentaires »
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