Archive pour la catégorie 'Papa Giovanni Paolo II'

Giovanni Paolo II: Preghiera alla Beata Vergine di Guadalupe

dal sito:

http://www.floscarmeli.org/modules.php?name=News&file=article&sid=468

Preghiera alla Beata Vergine di Guadalupe

pronunciata il 23 gennaio 1999 da Giovanni Paolo II
nell’omelia della S.Messa per la conclusione del Sinodo dei Vescovi per l’America

9. Desidero affidare e offrire il futuro del Continente a Maria Santissima, Madre di Cristo e della Chiesa. Sono quindi lieto di annunciare che ho stabilito che il giorno 12 dicembre in tutta l’America si celebri la Vergine Maria di Guadalupe con il rango liturgico di festa.
O Madre! Tu conosci le vie che seguirono i primi evangelizzatori del Nuovo Mondo, dalle isole Guanahani e La Española alle foreste dell’Amazzonia e alle vette andine, giungendo fino alla terra del Fuoco nel Sud e ai grandi laghi e alle montagne del Nord. Accompagna la Chiesa che svolge la sua opera nelle nazioni americane affinché sia sempre evangelizzatrice e rinnovi il suo spirito missionario. Incoraggia tutti coloro che dedicano la propria vita alla causa di Gesù e alla diffusione del suo Regno.
O dolce Signora del Tepeyac, Madre di Guadalupe! Ti presentiamo questa moltitudine incalcolabile di fedeli che pregano Dio in America. Tu che sei entrata nel loro cuore, visita e conforta i focolari domestici, le parrocchie e le Diocesi di tutto il Continente. Fa’ sì che le famiglie cristiane educhino in modo esemplare i propri figli nella fede della Chiesa e nell’amore del Vangelo, affinché siano un vivaio di vocazioni apostoliche. Volgi oggi il tuo sguardo verso i giovani e incoraggiali a camminare con Gesù Cristo.
O Signora e Madre d’America! Conferma la fede dei nostri fratelli e sorelle laici, affinché in tutti i campi della vita sociale, professionale, culturale e politica agiscano conformemente alla verità e alla legge nuova che Gesù ha portato all’umanità. Guarda propizia all’angustia di quanti soffrono per la fame, la solitudine, l’emarginazione o l’ignoranza. Facci riconoscere in essi i tuoi figli prediletti e infondici l’impeto della carità per aiutarli nei loro bisogni.
Vergine Santa di Guadalupe, Regina della Pace! Salva le nazioni e i popoli del Continente. Fa’ sì che tutti, governanti e cittadini, imparino a vivere nell’autentica libertà agendo secondo le esigenze della giustizia e il rispetto dei diritti umani, affinché la pace si consolidi definitivamente.
A te, Signora di Guadalupe, Madre di Gesù e Madre nostra, tutto l’affetto, l’onore, la gloria e la lode costante dei tuoi figli e delle tue figlie d’America! 

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II, preghiere |on 11 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II: Escatologia universale: l’umanità in cammino verso il Padre

dal sito:

http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01091999_p-18_it.html

La Catechesi di Giovanni Paolo II

Escatologia universale: l’umanità in cammino verso il Padre

Concluso il tema del dialogo della Chiesa con le religioni diverse dal cristianesimo, nell’udienza generale di mercoledì 26 maggio Giovanni Paolo II ha affrontato un nuovo tema: l’escatologia universale, il traguardo finale della storia dell’umanità in cammino verso il Padre, il ritorno definitivo di ogni cosa a Colui dal quale tutto proviene.
1. Il tema su cui stiamo riflettendo in questo ultimo anno di preparazione al Giubileo, cioè il cammino dell’umanità verso il Padre, ci suggerisce di meditare sulla prospettiva escatologica, ossia sul traguardo finale della storia umana. Specialmente nel nostro tempo tutto procede con incredibile velocità, sia per i ritrovati della scienza e della tecnica, sia per l’influsso dei mezzi di comunicazione sociale. Viene allora spontaneo chiedersi qual è il destino e la meta finale dell’umanità. A questo interrogativo offre una specifica risposta la Parola di Dio, che ci presenta il disegno di salvezza che il Padre realizza nella storia per mezzo di Cristo e con l’opera dello Spirito.
Nell’Antico Testamento è fondamentale il riferimento all’Esodo, con il suo orientamento verso l’ingresso nella Terra Promessa. L’Esodo non è solo un avvenimento storico, ma la rivelazione di un’attività salvifica di Dio, che si compirà progressivamente, come i profeti si incaricano di mostrare illuminando il presente e il futuro di Israele.
2. Al tempo dell’Esilio, i profeti annunciano un nuovo Esodo, un ritorno nella Terra Promessa. Con questo rinnovato dono della terra, Dio non solo radunerà il suo popolo disperso fra le genti, ma trasformerà ciascuno nel cuore, ossia nelle sue capacità di conoscere, di amare e di agire: “Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Ez 11,19-20; cfr 36,26-28).
Impegnandosi ad osservare le norme stabilite nell’alleanza, il popolo potrà abitare in un ambiente simile a quello uscito dalle mani di Dio al momento della creazione: “La terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell’Eden; le città rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate” (ivi, 36,35). Si tratterà di un’alleanza nuova, concretizzata nell’osservanza di una legge scritta nel cuore (cfr Ger 31,31-34).
Poi la prospettiva si allarga e viene promessa una nuova terra. Il traguardo finale è quello di una nuova Gerusalemme, in cui cesserà ogni afflizione, come leggiamo nel libro di Isaia: “Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra… e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia” (Is 65,17-19).
3.L’Apocalisse riprende questa visione. Giovanni scrive: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,1s.).
Il passaggio a questo stato di nuova creazione esige un impegno di santità, che il Nuovo Testamento rivestirà di una radicalità assoluta, come si legge nella seconda Lettera di Pietro: “Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3,11-13).
4. La risurrezione di Cristo, la sua ascensione e l’annuncio del suo ritorno hanno aperto nuove prospettive escatologiche. Nel Discorso dopo la Cena, infatti, Gesù dice: “Io vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3). San Paolo quindi scriveva ai Tessalonicesi: “Il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nubi, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo con il Signore” (1 Ts 4,16-17).
Sulla data di questo evento finale non siamo informati. Bisogna pazientare nell’attesa di Gesù risorto, che, richiesto dagli apostoli se stesse per ricostituire il regno di Israele, rispose invitandoli alla predicazione e alla testimonianza: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,7-8).
5.La tensione all’evento finale va vissuta con serena speranza, impegnandosi nel tempo presente alla costruzione di quel Regno che alla fine sarà consegnato da Cristo nelle mani del Padre: “Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza” (1 Cor 15,24). Con Cristo, vincitore sulle potenze avversarie, anche noi parteciperemo alla nuova creazione, la quale consisterà in un ritorno definitivo di ogni cosa a Colui dal quale tutto proviene: “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (ivi, 15,28).
Pertanto, dobbiamo essere convinti che “la nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20). Non abbiamo quaggiù una città stabile (cfr Eb 13,14). Pellegrini e alla ricerca di una dimora definitiva, dobbiamo aspirare come i Padri nella fede a una patria migliore, “cioè a quella celeste” (ivi, 11,16).

Oggi la Chiesa celebra la festa della Dedicazione della basilica Lateranense… Giovanni Paolo II (9 novembre 1986)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/angelus/1986/documents/hf_jp-ii_ang_19861109_it.html

GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Domenica, 9 novembre 1986

1. Oggi la Chiesa celebra la festa della Dedicazione della basilica Lateranense…

“omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput” (“madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”), la cattedrale di Roma, fatta costruire dall’imperatore Costantino e inizialmente dedicata al santissimo Salvatore, e poi, sotto il pontificato di san Gregorio Magno, intitolata anche ai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, a ciascuno dei quali era consacrato un oratorio annesso al battistero.

La Basilica del Laterano, coi palazzi adiacenti, fu per molti secoli sede abituale del Vescovo di Roma. In essa si tennero cinque Concili ecumenici, tra i quali nel 1215, sotto il papa Innocenzo III, il Lateranense IV, considerato dagli storici il Concilio più importante del medioevo. Per mille anni la storia di Roma cristiana gravitò intorno a tale basilica, che papi, imperatori, re e fedeli adornarono via via di preziosi donativi e di splendide opere d’arte, segno della loro intensa fede in Cristo.

2. Nel ricordo della iniziale dedicazione della cattedrale di Roma a Gesù Salvatore del mondo, la festività liturgica odierna ci invita a meditare su uno dei misteri fondamentali della rivelazione cristiana: Gesù di Nazaret, Messia, Signore, Figlio di Dio, è colui che ha portato la salvezza totale e definitiva agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi! Nella sua vita pubblica Gesù si rivela come salvatore anzitutto mediante i miracoli operati a favore degli infermi, lebbrosi, ciechi, muti, storpi e perfino di morti, che egli richiama alla vita. Gesù tuttavia fa comprendere che questi suoi prodigi, questi gesti di misericordia verso i malati devono essere intesi come atti che rimandano al di là della semplice salvezza corporale. Gesù porta agli uomini una salvezza ben più profonda e radicale: egli afferma di essere venuto per “salvare ciò che era perduto” a causa del peccato; per “salvare il mondo e non per condannarlo” (cf. Lc 9, 56; 19, 10; Gv 3, 17; 12, 47).

3. Dinanzi a Cristo Salvatore, l’uomo è chiamato a una scelta decisiva, da cui dipende la sua sorte eterna. Alla scelta di fede da parte dell’uomo corrisponde, da parte di Dio, il dono della redenzione e della vita eterna.

A Cristo, Uomo–Dio, Redentore dell’uomo e della storia, va oggi la nostra umile adorazione e la nostra ardente preghiera perché l’umanità intera accolga la salvezza, che egli offre, la liberazione, che egli promette. E chiediamo anche, per noi e per tutti, l’intercessione della sua santissima Madre, mentre recitiamo la preghiera che ci ricorda l’Incarnazione del Verbo.

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 8 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II : La Provvidenza divina e il destino dell’uomo: il mistero della predestinazione in Cristo, 28

dal sito:

http://www.disf.org/Documentazione/05-1-860528-CatMer_ita.asp

Giovanni Paolo II,

La Provvidenza divina e il destino dell’uomo: il mistero della predestinazione in Cristo, 28

 Maggio 1986

[come tema metto un passo del testo: Nella predestinazione è contenuta dunque l'eterna vocazione dell'uomo alla partecipazione alla natura stessa di Dio. E vocazione alla santità, mediante la grazia dell'adozione a figli («per essere santi e immacolati al suo cospetto») (Ef 1,3-6).]

1. Dimensione soteriologica ed escatologica della Provvidenza. 2. «Predestinandoci ad essere noi figli adottivi». 3. La scelta di Dio «nel» Figlio suo Gesù Cristo. 4. La finalità ultima della creazione. 5. «Ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto». 6. In Cristo si compie la finalità del mondo e dell’uomo. 7. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati». 8. Il mondo creato in vista del Regno. 9. «Per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe».

1. La domanda sul proprio destino è molto viva nel cuore dell’uomo. E una domanda grande, difficile, eppure decisiva: «Che sarà di me domani?». C’è il rischio che cattive risposte conducano a forme di fatalismo, di disperazione, o anche di orgogliosa e cieca sicurezza. «Stolto, questa notte morrai», ammonisce Dio (Lc 12,20). Ma proprio qui si manifesta l’inesauribile grazia della Provvidenza divina. E Gesù che apporta una luce essenziale. Egli infatti, parlando della Provvidenza divina nel Discorso della Montagna, termina con la seguente esortazione: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Nell’ultima catechesi abbiamo riflettuto sul profondo rapporto che esiste tra la Provvidenza di Dio e la libertà dell’uomo. E proprio all’uomo, prima di tutto all’uomo, creato a immagine di Dio, che sono indirizzate le parole sul regno di Dio e sulla necessità di cercarlo prima di ogni cosa.

Questo legame tra la Provvidenza e il mistero del regno di Dio, che deve realizzarsi nel mondo creato, orienta il nostro pensiero sulla verità del destino dell’uomo: la sua predestinazione in Cristo. La predestinazione dell’uomo e del mondo in Cristo, Figlio eterno del Padre, conferisce a tutta la dottrina sulla Provvidenza divina una decisa caratteristica soteriologica ed escatologica. Lo stesso divin Maestro lo indica nel suo colloquio con Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

2. Queste parole di Gesù costituiscono il nucleo della dottrina sulla predestinazione, che troviamo nell’insegnamento degli apostoli e specialmente nelle lettere di san Paolo. Leggiamo nella lettera agli Efesini: «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo… in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia» (Ef 1,3-6).

Queste luminose affermazioni spiegano, in modo autentico e autorevole, in che cosa consiste ciò che in linguaggio cristiano chiamiamo «Predestinazione» (latino: «praedestinatio»). E infatti importante liberare questo termine dai significati erronei o anche impropri e non essenziali, entrati nell’uso comune: predestinazione come sinonimo del «cieco fato» («fatum») o dell’«ira» capricciosa di qualche divinità invidiosa. Nella rivelazione divina la parola «predestinazione», significa l’eterna scelta di Dio, una scelta paterna, intelligente e positiva, una scelta d’amore.

3. Questa scelta, con la decisione in cui si traduce, cioè il piano creativo e redentivo, appartiene alla vita intima della santissima Trinità: è operata eternamente dal Padre insieme col Figlio nello Spirito Santo. E un’elezione che, secondo san Paolo, precede la creazione del mondo («prima della creazione del mondo»); e dell’uomo nel mondo. L’uomo, ancor prima di essere creato, viene «scelto» da Dio. Questa scelta avviene nel Figlio eterno («in lui»), cioè nel Verbo dell’eterna Mente. L’uomo viene dunque eletto nel Figlio alla partecipazione della sua stessa figliolanza per divina adozione. In questo consiste l’essenza stessa del mistero della predestinazione, che manifesta l’eterno amore del Padre («nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo»). Nella predestinazione è contenuta dunque l’eterna vocazione dell’uomo alla partecipazione alla natura stessa di Dio. E vocazione alla santità, mediante la grazia dell’adozione a figli («per essere santi e immacolati al suo cospetto») (Ef 1,3-6).

4. In questo senso la predestinazione precede «la fondazione del mondo», cioè la creazione, giacché questa si realizza nella prospettiva della predestinazione dell’uomo. Applicando alla vita divina le analogie temporali del linguaggio umano, possiamo dire che Dio vuole «prima» comunicarsi nella sua divinità all’uomo chiamato ad essere nel mondo creato sua immagine e somiglianza; «prima» lo elegge, nel Figlio eterno e consostanziale, a partecipare alla sua figliolanza (mediante la grazia), e solo «dopo» («a sua volta») vuole la creazione, vuole il mondo, al quale l’uomo appartiene. In questo modo il mistero della predestinazione entra in un certo senso «organicamente» in tutto il piano della divina Provvidenza. La rivelazione di questo disegno dischiude davanti a noi la prospettiva del regno di Dio e ci conduce al cuore stesso di questo regno, dove scopriamo la finalità ultima della creazione.

5. Leggiamo infatti nella lettera ai Colossesi: «Ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati» (Col 1,12-14). Il regno di Dio è, nel piano eterno di Dio Uno e Trino, il regno del «Figlio diletto», in particolare perché per opera sua si è compiuta «la redenzione» e «la remissione dei peccati». Le parole dell’apostolo alludono anche al «peccato» dell’uomo. La predestinazione, cioè l’adozione a figli dell’eterno Figlio, si opera quindi non solo in relazione alla creazione del mondo e dell’uomo nel mondo, ma in relazione alla redenzione, compiuta dal Figlio, Gesù Cristo. La redenzione diventa l’espressione della Provvidenza, cioè del governo premuroso che Dio Padre esercita in particolare nei riguardi delle creature, dotate di libertà.

6. Nella lettera ai Colossesi troviamo che la verità della «predestinazione» in Cristo è strettamente congiunta con la verità della «creazione in Cristo». «Egli – scrive l’apostolo – è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose…» (Col 1,15-16). Così dunque il mondo, creato in Cristo, eterno Figlio, fin dall’inizio porta in sé, come primo dono della Provvidenza, la chiamata, anzi il pegno della predestinazione in Cristo, a cui si unisce, quale compimento della salvezza escatologica definitiva, e prima di tutto dell’uomo, finalità del mondo. «Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza» (Col 1,19). Il compimento della finalità del mondo, e in particolare dell’uomo, avviene proprio ad opera di questa pienezza che è in Cristo. Cristo è la pienezza. In lui si compie in un certo senso quella finalità del mondo, secondo la quale la Provvidenza divina custodisce e governa le cose del mondo e in particolare l’uomo nel mondo, la sua vita, la sua storia.

7. Comprendiamo così un altro aspetto fondamentale della divina Provvidenza: la sua finalità salvifica. Dio infatti «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). In questa prospettiva è doveroso allargare una certa concezione naturalistica di Provvidenza, limitata al buon governo della natura fisica o anche del comportamento morale naturale. In realtà, la Provvidenza divina si esprime nel conseguimento delle finalità che corrispondono al piano eterno della salvezza. In questo processo, grazie alla «pienezza» di Cristo, in lui e per mezzo di lui viene anche vinto il peccato, che si oppone essenzialmente alla finalità salvifica del mondo, al compimento definitivo che il mondo e l’uomo trovano in Dio. Parlando della pienezza, che ha preso dimora in Cristo, l’apostolo proclama: «Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20).

8. Sullo sfondo di queste riflessioni, attinte dalle lettere di san Paolo, diventa meglio comprensibile l’esortazione di Cristo a proposito della Provvidenza del Padre celeste che abbraccia ogni cosa (cf. Mt 6,23-34 e anche Lc 12,22-31), quando dice: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Con quel «prima» Gesù intende indicare ciò che Dio stesso vuole «prima»: ciò che è la sua prima intenzione nella creazione del mondo, e insieme il fine ultimo del mondo stesso: «il regno di Dio e la sua giustizia» (la giustizia di Dio). Il mondo intero è stato creato in vista di questo regno, affinché si realizzi nell’uomo e nella sua storia. Affinché per mezzo di questo «regno» e di questa «giustizia» si adempia quell’eterna predestinazione che il mondo e l’uomo hanno in Cristo.

9. A questa visione paolina della predestinazione corrisponde quanto scrive san Pietro: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non ci corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi» (1Pt 1,3-5). Veramente «sia benedetto Dio», che ci rivela come la sua Provvidenza sia il suo instancabile, premuroso intervento per la nostra salvezza. Essa è infaticabilmente all’opera fino a quando giungeranno «gli ultimi tempi», quando «la predestinazione in Cristo» degli inizi si realizzerà definitivamente «mediante la risurrezione in Gesù Cristo», che è «l’alfa e l’omega» del nostro umano destino (Ap 1,8).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 21 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

“L’Amore per il Creato nelle Composizioni Artistiche (Magistero di Giovanni Paolo II)”: “Laudato sii, mi Signore, con tucte le tue creature”

dal sito:

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_commissions/pcchc/documents/rc_com_pcchc_20041017_ucai_it.html

PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

RELAZIONE DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA

“L’Amore per il Creato nelle Composizioni Artistiche (Magistero di Giovanni Paolo II)”

Napoli, Convegno Nazionale UCAI, 15-17 ottobre 2004

“Laudato sii, mi Signore, con tucte le tue creature”
(San Francesco d’Assisi, Cantico di Frate Sole)

Quando San Francesco d’Assisi volle esaltare il Signore con il suo Cantico di Frate Sole lo magnificò attraverso le creature che Dio stesso aveva plasmato e posto nel cosmo. San Francesco si inseriva in una grande tradizione religiosa e letteraria di celebrazione della grandezza del Signore attraverso il creato, che ha i suoi inizi nella Sacra Scrittura, nel Salmo 104 e nel “Cantico dei tre giovani” del libro di Daniele (3, 51-90).

La menzione del serafico Padre ci permette di entrare nell’argomento del presente convegno nazionale dell’Unione Cattolica Artisti Italiani, che fin dal titolo, L’attualità del cantico delle creature: i cristiani responsabili dei beni della creazione, si richiama esplicitamente al suo insegnamento spirituale di cristiano esemplare, amante di Dio e, quindi, di tutte le sue creature, a cominciare dall’uomo, fino agli animali, alle piante e alle cose inanimate.

1. Il creato nella visione cristiana

In occasione della XXIII Giornata mondiale della pace, il Santo Padre ha scritto un memorabile messaggio, dove è sintetizzata la visione teologica cristiana del cosmo: (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXIII Giornata mondiale della pace, Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato, 1° gennaio 1990).

La riflessione del Santo Padre parte dai primi capitoli della Genesi dove, quasi a sigillo dell’opera di ciascun giorno della creazione, si afferma, “e Dio vide che era cosa buona” (cfr Gen 1, 4 ecc.), salvo osservare, dopo la creazione dell’uomo e della donna il sesto giorno, “e Dio vide che era cosa molto buona” (Gen 1, 31).

Quest’ultima accentuazione, che rivela l’eccellenza della collocazione dell’uomo e della donna nella creazione, è successivamente esplicitata dall’affidamento ad Adamo e ad Eva di tutto il creato (Gen 2, 3), come vocazione a partecipare all’attuazione del piano di Dio sulla creazione, stimolata da capacità e doni, che distinguono la persona umana da ogni altra creatura, quali essenzialmente la ragione, la volontà, la coscienza, la dimensione spirituale.

Nello stesso tempo Dio stabiliva un ordinato rapporto tra gli uomini e l’intero creato. Il loro essere immagine e somiglianza di Dio li rendeva atti ad esercitare un dominio sulla terra con saggezza e amore. Tuttavia con il loro peccato, con cui si sono posti in aperto contrasto con Dio, essi hanno distrutto l’armonia preesistente e questo ha portato non solo l’inimicizia, la morte e il fratricidio, ma ha comportato anche una sorta di alienazione ed ostilità della terra nei confronti dell’uomo (cfr. Gen 3, 17-19; 4, 12) ed ha sottomesso a caducità il creato, che da allora attende, esso pure, di essere liberato dalla corruzione (cfr. Rm 8, 20-21)

Ora l’alba di questa liberazione, attesa per l’uomo (cfr. Gen 3, 15) e per il creato si è manifestata in Cristo, nella cui morte e risurrezione a Dio Padre “piacque… riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 19-20), mentre noi “aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt, 3, 13) (cfr Pace con Dio creatore, 3-5).

Da queste premesse teologiche discende, per il cristiano, il dovere di una nuova considerazione della creazione, vista come opera di Dio e, quindi, come eredità comune degli uomini, con il conseguente obbligo di amarla e rispettarla. E questo a cominciare da una visione sacra del valore della persona e della vita umana, con la conseguente solidarietà fra gli uomini e i popoli fondata sulla fede nell’unico Dio.

2. Il creato nell’economia della salvezza

Da quanto detto risulta evidente che l’atto della creazione non è l’opera di un qualche “grande orologiaio” che, una volta fatto il mondo, l’avrebbe abbandonato a sé stesso; ma piuttosto “la creazione è il fondamento di tutti i progetti salvifici di Dio e l’inizio della storia della salvezza” (cfr Catechismo della Chiesa cattolica, 280).

Il creato è come un libro aperto nel quale Dio si manifesta in quella che viene chiamata la “rivelazione naturale”. “Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm, 1, 20). Per tale motivo, “è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana” (Concilio Vaticano I: DS 3026).

“Noi dunque non possiamo sapere ciò che Dio è; ma che egli esiste, noi lo sappiamo – non per le nostre forze ma per la sua misericordia – considerando nelle sue opere la sapienza del Creatore. Di fronte a una nave o a un edificio, non pensiamo noi forse al costruttore o all’architetto…? Così Dio è conosciuto nelle sue creature e, in un certo senso, esce dalla sua invisibilità” (Girolamo, Commento a Isaia, 6, 1-7).

Anche se è stato necessario che Dio si rivelasse storicamente, a cominciare dai Patriarchi, a causa della fragilità della conoscenza naturale dell’uomo, spesso offuscata dall’errore, tuttavia la rivelazione naturale è il primo passo dell’Alleanza, vale a dire la prima e universale testimonianza dell’amore di Dio verso l’uomo. Ecco perché nella preghiera del popolo d’Israele grande spazio hanno i salmi di lode a Dio per le opere della creazione (cfr Salmo 104: “Benedici il Signore, anima mia, / Signore, mio Dio, quanto sei grande! / … Tu stendi il cielo come una tenda, / costruisci sulle acque la tua dimora…”) o la riflessione sulla Sapienza di Dio che era presente al momento della creazione (cfr Proverbi 8, 22-31: “Il Signore mi ha creata all’inizio della sua attività, / prima di ogni sua opera, fin da allora…”).

La rivelazione biblica trova il suo pieno significato nella rivelazione cristiana, in cui la creazione appare come il primo quadro del “mistero di Cristo” nel quale tutto trova compimento. “In principio era il Verbo,  … e il Verbo era Dio. … Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto” (Gv 1, 1-3). E ancora: “Per mezzo di lui [Cristo] sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. … Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono” (Col 1, 16-17).

Verità fondamentale, costantemente insegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione, è che “il mondo è stato creato per la gloria di Dio” (Concilio Vaticano I: DS 3025). Ma, Dio ha creato tutte le cose “non per accrescere la propria gloria, ma per manifestarla e comunicarla” (San Bonaventura, In libros sententiarum, 2, 1, 2, 2, 1), per cui “aperta la mano dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce” (San Tommaso d’Aquino, In libros sententiarum, 2).

Ora, se Dio manifesta la sua gloria, cioè il suo amore, attraverso le creature incoscienti, quanto più sarà glorificato nell’uomo che accetta liberamente la comunione con lui. “Infatti, la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione procurò la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre per mezzo del Verbo dà la vita a coloro che vedono Dio” (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 20, 7;  cfr Catechismo, 293-294).

3. La creazione e gli artisti

Possiamo chiederci: che cosa ha a che fare questa riflessione teologica sulla creazione con gli artisti, la loro arte e le loro opere? È lo stesso Santo Padre a guidarci in questo con una lettera appositamente scritta per loro, alla vigilia dell’anno giubilare (Giovanni Paolo II, Lettera del Papa agli artisti, 4 aprile 1999).

Dopo avere citato in epigrafe la frase di Gen 1, 31: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”, il Sommo Pontefice paragona il pathos con cui Dio guardò alla creazione appena uscita dalle sue mani al sentimento con cui “gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme”, hanno guardato all’opera del proprio estro “avvertendo quasi l’eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi”. Il Santo Padre non esita a porre un’ardua analogia fra Dio creatore e l’artista. “La pagina iniziale della Bibbia ci presenta Dio quasi come il modello esemplare di ogni persona che produce un’opera: nell’uomo artefice si rispecchia la sua immagine di Creatore” (Lettera agli artisti, 1).

Sono parole molto forti, ma non per questo devono spaventare o inorgoglire chi le sente rivolte a sé; devono piuttosto costituire il fondamento di una solida spiritualità dell’artista, chiamato anch’egli ad una via di santificazione attraverso i doni particolari a lui concessi.

Innanzitutto bisogna sottolineare che la distinzione fra artefice e Creatore non è solo formale, ma sostanziale. Solo Dio è Creatore, perché solo Lui dona l’esistenza a quanto prima non esisteva; chi invece utilizza qualcosa di già esistente è un artefice. Pertanto quando si afferma che un artista “crea” qualcosa, lo si dice, ovviamente, per analogia.

Ora, che cosa fa sì che l’uomo sia artefice o, se vogliamo, “creatore” di qualcosa? La Genesi, a questo proposito, afferma che Dio creò l’uomo e la donna “a sua immagine” (1, 27) e che, in conseguenza di ciò, affidò loro il compito di dominare la terra (cfr 1, 28).

Se ciò si può dire di tutta l’attività umana, nella “creazione artistica” l’uomo si rivela in modo eccellente “immagine di Dio”. Ma il Santo Padre aggiunge che l’artista “realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda ‘materia’ della propria umanità” e poi anche attraverso la propria arte (Lettera, 1). Dunque, una vocazione spirituale precede e sostiene la vocazione artistica, quella di “essere artefice della propria vita”, facendone, in un certo senso, “un’opera d’arte, un capolavoro” (ivi, 2).

La vocazione spirituale e morale va dunque distinta dalla vocazione artistica, che consiste nell’“agire secondo le esigenze dell’arte, accogliendone gli specifici dettami”, ma le due vocazioni sono anche connesse, perché un’opera sarà necessariamente il riflesso, lo specchio dell’interiorità dell’artista (ivi). Se prendiamo ancora come esempio San Francesco, egli fu anzitutto un uomo “in pace con Dio”; da questa condizione spirituale gli derivò la sua amicizia per gli uomini, il suo amore per le creature del Signore e la sua ispirazione poetica, che trasfuse nella più antica lirica della letteratura italiana.

Tornando poi alla specifica vocazione artistica, il Santo Padre, riferendosi ancora ai primi capitoli della Genesi, osserva come la traduzione greca della Bibbia detta dei Settanta, per indicare che Dio considera tutto ciò che ha creato “cosa buona”, utilizza la parola “kalón”, cioè, propriamente, “bello”. Questo non è certo privo di conseguenze, dal momento che esiste un rapporto essenziale tra bello e buono, che già la filosofia greca aveva rilevato, nel senso che “la bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza” (Ivi, 3).

“ In un senso molto vero si può dire che la bellezza è la vocazione rivolta all’artista dal Creatore col dono del ‘talento artistico’” (ivi). Nel perseguire tale meta l’artista deve essere consapevole che la sua opera contribuisce ad una comprensione più profonda della realtà, perché egli è dotato di una sensibilità superiore a quella degli altri uomini. Nello stesso tempo deve sapere anche che la sua arte non è neutra dal punto di vista della comunicazione di valori morali.

Su quest’ultimo punto insiste particolarmente il Santo Padre. Se l’arte è giustamente espressione dell’estro artistico, che agisce come una forza interiore, a cui l’artista stesso non può sottrarsi, pena il tradimento della sua ispirazione, è anche vero che essa ha chiaramente un suo ruolo sociale ed educativo, che comporta pertanto una responsabilità nei confronti dei fruitori, specie dei giovani (ivi, 4). E non si parla qui tanto di oscenità o di blasfemía, certamente da bandire, ma del nichilismo assoluto che talvolta si coglie in certe opere, plastiche o letterarie o musicali, “disperate” e disperanti.

L’artista – e sono sempre concetti che stanno a cuore al Santo Padre – deve concepire la propria arte come un “duro lavoro” attraverso il quale compiere, assieme agli altri uomini, l’opera della creazione iniziata da Dio. E in questo l’artista saprà operare secondo l’etica che gli è propria, “senza lasciarsi dominare dalla ricerca di gloria fatua o dalla smania di una facile popolarità, ed ancora meno dal calcolo di un possibile profitto personale” (ivi). Aggiungerei, senza neppure lasciarsi dominare dal trito convenzionalismo anticonvenzionale, o senza cedere al desiderio di essere blandito da taluni critici che pontificano e tutto condizionano in sudditanza indecorosa ed ideologica assolutamente incompatibili con la professione leale ed integra della nostra fede cattolica. (A chi ha coraggio dico che bisogna spaccare certe croste che coartano l’autentica libertà. Ma è l’unione che fa la forza).

Nel libro della Genesi, che abbiamo più volte citato, si racconta che quando “la terra era ancora informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso, lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1,2). Ancora oggi la Chiesa propone due bellissime preghiere allo Spirito Santo, la sequenza “Veni, Sancte Spiritus” e l’inno “Veni, Creator Spiritus”, che ogni artista – come ogni altro cristiano – dovrebbero recitare all’inizio delle proprie attività. Lo stesso Santo Padre ci invita a notare le analogie fra «soffio – spirazione e ispirazione!», aggiungendo che «lo Spirito è il misterioso artista dell’universo» (ivi, 15).

Concludo con un’ampia citazione della Lettera del Santo Padre agli artisti, che un po’ riassume i punti fin qui toccati. Lo stesso Pontefice, in gioventù, amò esprimersi attraverso l’arte poetica e drammaturgica e, quindi, parla agli artisti con il bagaglio della propria esperienza e sensibilità. “Cari artisti, voi ben lo sapete, molti sono gli stimoli, interiori ed esteriori, che possono ispirare il vostro talento. Ogni autentica ispirazione, tuttavia, racchiude in sé qualche fremito di quel ‘soffio’ con cui lo Spirito creatore pervadeva sin dall’inizio l’opera della creazione. Presiedendo alle misteriose leggi che governano l’universo, il divino soffio dello Spirito creatore s’incontra con il genio dell’uomo e ne stimola la capacità creativa. Lo raggiunge una sorta di illuminazione interiore, che unisce insieme l’indicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l’idea e a darle forma nell’opera d’arte. Si parla allora giustamente, se pure analogicamente, di ‘momenti di grazia’, perché l’essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell’Assoluto che lo trascende” (ivi, 15).

Facendo mie queste parole, vi auguro di essere sempre animati da amore, anche quando dipingete o scolpite o cantate o scrivete o recitate…. Un uomo e una donna sono veramente tali quando amano, e quindi anche gli artisti sono tali soltanto quando amano. Vi auguro, nel vostro nobilissimo lavoro, di amare innanzitutto Dio e, di conseguenza, la sua opera, il creato, al vertice del quale Dio stesso ha posto l’uomo. Siate così missionari del bell’amore attraverso l’incanto della bellezza.

Mauro Piacenza
Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

Preghiera alla Beata Vergine di Guadalupe (Giovanni Paolo II)

dal sito:

http://www.floscarmeli.org/modules.php?name=News&file=article&sid=468

Preghiera alla Beata Vergine di Guadalupe

pronunciata il 23 gennaio 1999 da Giovanni Paolo II

nell’omelia della S.Messa per la conclusione del Sinodo dei Vescovi per l’America

9. Desidero affidare e offrire il futuro del Continente a Maria Santissima, Madre di Cristo e della Chiesa. Sono quindi lieto di annunciare che ho stabilito che il giorno 12 dicembre in tutta l’America si celebri la Vergine Maria di Guadalupe con il rango liturgico di festa.

O Madre! Tu conosci le vie che seguirono i primi evangelizzatori del Nuovo Mondo, dalle isole Guanahani e La Española alle foreste dell’Amazzonia e alle vette andine, giungendo fino alla terra del Fuoco nel Sud e ai grandi laghi e alle montagne del Nord. Accompagna la Chiesa che svolge la sua opera nelle nazioni americane affinché sia sempre evangelizzatrice e rinnovi il suo spirito missionario. Incoraggia tutti coloro che dedicano la propria vita alla causa di Gesù e alla diffusione del suo Regno.

O dolce Signora del Tepeyac, Madre di Guadalupe! Ti presentiamo questa moltitudine incalcolabile di fedeli che pregano Dio in America. Tu che sei entrata nel loro cuore, visita e conforta i focolari domestici, le parrocchie e le Diocesi di tutto il Continente. Fa’ sì che le famiglie cristiane educhino in modo esemplare i propri figli nella fede della Chiesa e nell’amore del Vangelo, affinché siano un vivaio di vocazioni apostoliche. Volgi oggi il tuo sguardo verso i giovani e incoraggiali a camminare con Gesù Cristo.

O Signora e Madre d’America! Conferma la fede dei nostri fratelli e sorelle laici, affinché in tutti i campi della vita sociale, professionale, culturale e politica agiscano conformemente alla verità e alla legge nuova che Gesù ha portato all’umanità. Guarda propizia all’angustia di quanti soffrono per la fame, la solitudine, l’emarginazione o l’ignoranza. Facci riconoscere in essi i tuoi figli prediletti e infondici l’impeto della carità per aiutarli nei loro bisogni.

Vergine Santa di Guadalupe, Regina della Pace! Salva le nazioni e i popoli del Continente. Fa’ sì che tutti, governanti e cittadini, imparino a vivere nell’autentica libertà agendo secondo le esigenze della giustizia e il rispetto dei diritti umani, affinché la pace si consolidi definitivamente.

A te, Signora di Guadalupe, Madre di Gesù e Madre nostra, tutto l’affetto, l’onore, la gloria e la lode costante dei tuoi figli e delle tue figlie d’America!

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Giovanni Paolo II: Salmo 84: La nostra salvezza è vicinaLodi del martedì della 3a settimana (Sal 84, 2-3.9.13-14) (2002)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2002/documents/hf_jp-ii_aud_20020925_fr.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 25 settembre 2002

Salmo 84: La nostra salvezza è vicinaLodi del martedì della 3a settimana (Sal 84, 2-3.9.13-14)

1. Il Salmo 84 che abbiamo ora proclamato è un canto gioioso e pieno di speranza nel futuro della salvezza. Esso riflette il momento esaltante del ritorno di Israele dall’esilio babilonese nella terra dei padri. La vita nazionale ricomincia in quell’amato focolare, che era stato spento e distrutto nella conquista di Gerusalemme da parte delle armate del re Nabucodonosor nel 586 a.C.

Infatti, nell’originale ebraico del Salmo si sente risuonare ripetutamente il verbo shûb, che indica il ritorno dei deportati, ma significa anche un «ritorno» spirituale, cioè la «conversione». La rinascita, quindi, non riguarda solo la nazione, ma anche la comunità dei fedeli, che avevano sentito l’esilio come una punizione per i peccati commessi e che vedevano ora il rimpatrio e la nuova libertà come una benedizione divina, per l’avvenuta conversione.

2. Il Salmo può essere seguito nel suo svolgimento secondo due tappe fondamentali. La prima scandita dal tema del «ritorno» con tutte le valenze a cui accennavamo.

Si celebra innanzitutto il ritorno fisico di Israele: «Signore…, hai ricondotto i deportati di Giacobbe» (v. 2); «rialzaci, Dio nostra salvezza… Non tornerai tu forse a darci vita?» (vv. 5.7). È questo un prezioso dono di Dio, il quale si preoccupa di liberare i suoi figli dall’oppressione e s’impegna per la loro prosperità. Egli, infatti, «ama tutte le cose esistenti…, risparmia tutte le cose, perché tutte sono di lui, il Signore amante della vita» (cfr Sap 11,24.26).

Ma, accanto a questo «ritorno», che concretamente unifica i dispersi, c’è un altro «ritorno» più interiore e spirituale. Ad esso il Salmista lascia ampio spazio, attribuendogli un particolare rilievo, che vale non solo per l’antico Israele ma per i fedeli di tutti i tempi.

3. In questo «ritorno» agisce efficacemente il Signore, rivelando il suo amore nel perdonare l’iniquità del suo popolo, nel cancellare tutti i suoi peccati, nel deporre tutto il suo sdegno e mettere fine alla sua ira (cfr Sal 84,3-4).

Proprio la liberazione dal male, il perdono delle colpe, la purificazione dei peccati creano il nuovo popolo di Dio. Ciò è espresso attraverso un’invocazione che è entrata anche nella liturgia cristiana: «Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (v. 8).

Ma a questo «ritorno» di Dio che perdona deve corrispondere il «ritorno», cioè la conversione, dell’uomo che si pente. Infatti il Salmo dichiara che la pace e la salvezza vengono offerte a «chi ritorna a lui con tutto il cuore» (v. 9). Chi si mette decisamente sulla via della santità riceve i doni della gioia, della libertà e della pace.

È noto che spesso i termini biblici concernenti il peccato evocano uno sbagliare strada, un fallire la meta, un deviare dal retto percorso. La conversione è appunto un «ritorno» sulla via lineare che conduce alla casa del Padre, il quale ci attende per abbracciarci, perdonarci e renderci felici (cfr Lc 15,11-32).

4. Giungiamo, così, alla seconda parte del Salmo (cfr Sal 84,10-14), tanto cara alla tradizione cristiana. Vi si descrive un mondo nuovo, in cui l’amore di Dio e la sua fedeltà, come se fossero persone, si abbracciano; similmente anche la giustizia e la pace si baciano incontrandosi. La verità germoglia come in una rinnovata primavera e la giustizia, che per la Bibbia è anche salvezza e santità, si affaccia dal cielo per iniziare il suo cammino in mezzo all’umanità.

Tutte le virtù, prima espulse dalla terra a causa del peccato, ora rientrano nella storia e, incrociandosi, disegnano la mappa di un mondo di pace. Misericordia, verità, giustizia e pace diventano quasi i quattro punti cardinali di questa geografia dello spirito. Anche Isaia canta: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo» (Is 45,8).

5. Le parole del Salmista, già nel secondo secolo con sant’Ireneo di Lione, sono state lette come annunzio della «generazione di Cristo dalla Vergine» (Adversus haereses, III, 5, 1). La venuta di Cristo è, infatti, la sorgente della misericordia, lo sbocciare della verità, la fioritura della giustizia, lo splendore della pace.

Per questo il Salmo, soprattutto nella sua parte finale, è riletto in chiave natalizia dalla tradizione cristiana. Ecco come lo interpreta sant’Agostino in un suo discorso per il Natale. Lasciamo a lui di concludere la nostra riflessione. « »La verità è sorta dalla terra »: Cristo, il quale ha detto: « Io sono la verità » (Gv 14,6) è nato da una Vergine. « E la giustizia si è affacciata dal cielo »: chi crede in colui che è nato non si giustifica da se stesso, ma viene giustificato da Dio. « La verità è sorta dalla terra »: perché « il Verbo si è fatto carne » (Gv 1,14). « E la giustizia si è affacciata dal cielo »: perché « ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto discendono dall’alto » (Gc 1,17). « La verità è sorta dalla terra », cioè ha preso un corpo da Maria. « E la giustizia si è affacciata dal cielo »: perché « l’uomo non può ricevere cosa alcuna, se non gli viene data dal cielo » (Gv 3,27)» (Discorsi, IV/l, Roma 1984, p. 11).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II, salmi |on 12 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II : Salmo 149 (catechesi 23 maggio 2001)

dal sito:

http://www.ansdt.it/Testi/Liturgia/Papa/index.html

Giovanni  Paolo  II 

Salmo 149

festa degli amici di Dio

(Lodi  Domenica  1ª settimana) 

quinta Catechesi di SS. Giovanni Paolo II  su  i Salmi e i Cantici delle Lodi

(mercoledì  23  maggio 2001)

1. “Esultino i fedeli nella gloria, sorgano lieti dai loro giacigli”. Questo appello del Salmo 149, che è stato appena proclamato, rimanda ad un’alba che sta per schiudersi e vede i fedeli pronti a intonare la loro lode mattutina. Tale lode è definita, con un’espressione significativa, “un canto nuovo” (v. 1), cioè un inno solenne e perfetto, adatto ai giorni finali, in cui il Signore radunerà i giusti in un mondo rinnovato. Tutto il Salmo è percorso da un’atmosfera festosa, inaugurata già dall’alleluia iniziale e ritmata poi in canto, lode, gioia, danza, suono dei timpani e delle cetre. La preghiera che questo Salmo ispira è l’azione di grazie di un cuore colmo di religiosa esultanza.

2. I protagonisti del Salmo sono chiamati, nell’originale ebraico dell’inno, con due termini caratteristici della spiritualità dell’Antico Testamento. Per tre volte essi sono definiti innanzitutto come hasidim (vv. 1.5.9), cioè “i pii, i fedeli”, coloro che rispondono con fedeltà e amore (hesed) all’amore paterno del Signore.

La seconda parte del Salmo desta meraviglia, perché è piena di espressioni belliche. Ci sembra strano che, in uno stesso versetto, il Salmo metta insieme “le lodi di Dio nella bocca” e “la spada a due tagli nelle loro mani” (v. 6). Riflettendo, possiamo capire il perché: il Salmo fu composto per dei “fedeli” che si trovavano impegnati in una lotta di liberazione; combattevano per liberare il loro popolo oppresso e rendergli la possibilità di servire Dio. Durante l’epoca dei Maccabei, nel II secolo a.C., i combattenti per la libertà e per la fede, sottoposti a dura repressione da parte del potere ellenistico, si chiamavano proprio hasidim, “i fedeli” alla Parola di Dio e alle tradizioni dei padri.

3. Nella prospettiva attuale della nostra preghiera questa simbologia bellica diventa un’immagine dell’impegno di noi credenti che, dopo aver cantato a Dio la lode mattutina, ci avviamo per le strade del mondo, in mezzo al male e all’ingiustizia. Purtroppo le forze che si oppongono al Regno di Dio sono imponenti: il Salmista parla di “popoli, genti, capi e nobili”. Eppure egli è fiducioso perché sa di aver accanto il Signore che è il vero Re della storia (v. 2). La sua vittoria sul male è, quindi, certa e sarà il trionfo dell’amore. A questa lotta partecipano tutti gli hasidim, tutti i fedeli e i giusti che con la forza dello Spirito conducono a compimento l’opera mirabile che porta il nome di Regno di Dio.

4. Sant’Agostino, partendo dai riferimenti del Salmo al ‘coro’ e ai ‘timpani e cetre’, commenta: “Che cosa rappresenta un coro? […] Il coro è un complesso di cantori che cantano insieme. Se cantiamo in coro dobbiamo cantare d’accordo. Quando si canta in coro, anche una sola voce stonata ferisce l’uditore e mette confusione nel coro stesso” (Enarr. in Ps. 149: CCL 40,7,1-4).

E riferendosi poi agli strumenti utilizzati dal Salmista, si chiede: “Perché il Salmista prende in mano il timpano e il salterio?” Risponde: “Perché non soltanto la voce lodi il Signore, ma anche le opere. Quando si prendono il timpano e il salterio, le mani si accordano alla voce. Così per te. Quando canti l’alleluia, devi porgere il pane all’affamato, vestire il nudo, ospitare il pellegrino. Se fai questo, non è solo la voce che canta, ma alla voce si armonizzano le mani, in quanto con le parole concordano le opere” (ibid., 8,1-4).

5. C’è un secondo vocabolo con cui sono definiti gli oranti di questo Salmo: essi sono gli ‘anawim, cioè “i poveri, gli umili” (v. 4). Questa espressione è molto frequente nel Salterio e indica non solo gli oppressi, i miseri, i perseguitati per la giustizia, ma anche coloro che, essendo fedeli agli impegni morali dell’Alleanza con Dio, vengono emarginati da quanti scelgono la violenza, la ricchezza e la prepotenza. In questa luce si comprende che quella dei “poveri” non è soltanto una categoria sociale ma una scelta spirituale. Questo è il senso della celebre prima Beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3). Già il profeta Sofonia si rivolgeva così agli ‘anawim: “Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore” (Sof 2,3).

6. Ebbene, il “giorno dell’ira del Signore” è proprio quello descritto nella seconda parte del Salmo quando i “poveri” si schierano dalla parte di Dio per lottare contro il male. Essi, da soli, non hanno la forza sufficiente, né i mezzi, né le strategie necessarie per opporsi all’irrompere del male. Eppure la frase del Salmista non ammette esitazioni: “Il Signore ama il suo popolo, incorona gli umili (‘anawim) di vittoria” (v.4). Si configura idealmente quanto l’apostolo Paolo dichiara ai Corinzi: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,28).

Con questa fiducia “i figli di Sion” (v. 2), hasidim e ‘anawim, cioè i fedeli e i poveri, si avviano a vivere la loro testimonianza nel mondo e nella storia. Il canto di Maria nel Vangelo di Luca – il Magnificat – è l’eco dei migliori sentimenti dei “figli di Sion”: lode gioiosa a Dio Salvatore, azione di grazie per le grandi cose operate in lei dal Potente, lotta contro le forze malvagie, solidarietà con i poveri, fedeltà al Dio dell’Alleanza (cfr Lc 1,46-55). 

(da L’Osservatore Romano  di giovedì  24 Maggio 2001)

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Giovanni Paolo II: La gloria della Trinità nella creazione (2000)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/2000/documents/hf_jp-ii_aud_20000126_it.html

GIOVANNI PAOLO II 

UDIENZA GENERALE 

Mercoledì, 26 gennaio 2000  

La gloria della Trinità nella creazione

1. “Quanto sono amabili tutte le sue opere! E appena una scintilla se ne può osservare… Egli non ha fatto nulla di incompleto… Chi si sazierà di contemplare la sua gloria? Potremmo dire molte cose e mai finiremmo. Dovremmo concludere: Egli è tutto! Come potremmo avere la forza di lodarlo? Egli è il Grande, è al di sopra di tutte le sue opere…”(Sir 42,22.24-25; 43,27-28). Con queste parole piene di stupore un sapiente biblico, il Siracide, si poneva di fronte allo splendore della creazione, tessendo la lode di Dio. È un piccolo tratto del filo di contemplazione e di meditazione che percorre tutte le Sacre Scritture, a partire dalle prime righe della Genesi quando nel silenzio del nulla sbocciano le creature, convocate dalla Parola efficace del Creatore.

“Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” (Gen 1,3). Già in questa parte del primo racconto della creazione si vede in azione la Parola di Dio, di cui Giovanni dirà: “In principio era il Verbo… il Verbo era Dio… Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1,1.3). Paolo ribadirà nell’inno della Lettera ai Colossesi che “per mezzo di lui (Cristo) sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui hanno consistenza” (Col 1,16-17). Ma nell’istante iniziale della creazione appare adombrato anche lo Spirito: “Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1,2). La gloria della Trinità – possiamo dire con la tradizione cristiana – risplende nella creazione.

2. È possibile, infatti, alla luce della Rivelazione vedere come l’atto creativo sia appropriato innanzitutto al “Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1,17). Egli risplende su tutto l’orizzonte, come canta il Salmista: “O Signore, Dio nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli s’innalza la tua magnificenza!” (Sal 8,2). Dio “sorregge il mondo, perché non vacilli” (Sal 96,10) e di fronte al nulla, raffigurato simbolicamente dalle acque caotiche che alzano la loro voce, il Creatore si erge dando consistenza e sicurezza: “Alzano i fiumi, Signore, alzano i fiumi la loro voce, alzano i fiumi il loro fragore. Ma più potente delle voci di grandi acque, più potente dei flutti del mare, potente nell’alto è il Signore” (Sal 93,3-4).

3. Nella Sacra Scrittura la creazione è spesso legata anche alla Parola divina che irrompe e agisce: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera… Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste… Manda sulla terra la sua parola, il suo messaggio corre veloce” (Sal 33,6.9; 147,15). Nella letteratura sapienziale anticotestamentaria è la Sapienza divina personificata a dar origine al cosmo attuando il progetto della mente di Dio (cfr Pr 8,22-31). Si è già detto che Giovanni e Paolo nella Parola e nella Sapienza di Dio vedranno l’annunzio dell’azione di Cristo “in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui” (1 Cor 8,6), perché è “per mezzo di lui che (Dio) ha fatto anche il mondo” (Eb 1,2).

4. Altre volte, infine, la Scrittura sottolinea il ruolo dello Spirito di Dio nell’atto creativo: “Mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104,30). Lo stesso Spirito è simbolicamente raffigurato nel soffio della bocca di Dio. Esso dà vita e coscienza all’uomo (cfr Gen 2,7) e lo riporta alla vita nella risurrezione, come annuncia il profeta Ezechiele in una pagina suggestiva, dove lo Spirito è all’opera nel far rivivere ossa ormai inaridite (cfr 37,1-14). Lo stesso soffio domina le acque del mare nell’esodo di Israele dall’Egitto (cfr Es 15,8.10). Ancora lo Spirito rigenera la creatura umana, come dirà Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito” (Gv 3,5-6).

5. Ebbene, di fronte alla gloria della Trinità nella creazione l’uomo deve contemplare, cantare, ritrovare lo stupore. Nella società contemporanea si diventa aridi “non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia” (G.K. Chesterton). Per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa, come ci suggerisce il “Salmo del sole”: “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono. Eppure per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola” (Sal 19,2-5).

La natura diventa, quindi, un evangelo che ci parla di Dio: “dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore” (Sap 13,5). Paolo ci insegna che “dalla creazione del mondo in poi, le invisibili perfezioni (di Dio) possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1,20). Ma questa capacità di contemplazione e conoscenza, questa scoperta di una presenza trascendente nel creato, ci deve condurre anche a riscoprire la nostra fraternità con la terra, a cui siamo legati a partire dalla nostra stessa creazione (cfr Gen 2,7). Proprio questo traguardo l’Antico Testamento auspicava per il Giubileo ebraico, allorché la terra riposava e l’uomo coglieva quello che spontaneamente la campagna gli offriva (cfr Lv 25,11-12). Se la natura non è violentata e umiliata, ritorna ad essere sorella dell’uomo.

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Giovanni Paolo II: Il volto di Dio Padre, anelito dell’uomo (1999)

dal sito:

http://digilander.libero.it/carromano/gp2b.html

La catechesi di Giovanni Paolo II

IL VOLTO DI DIO PADRE. ANELITO DELL’UOMO

L’udienza generale, 13 gennaio 1999
(L’Osservatore Romano, 14/01/99, pp 4/5)

« La Chiesa guarda con rispetto ai tentativi che le varie religioni compiono per cogliere d volto di Dio, distinguendo nelle loro credenze ciò che è accettabile da quanto è incompatibile con la rivelazione cristiana ». Lo ha detto Giovanni Paolo II durante 1′udienza generale svoltasi mercoledì 13 gennaio nell’Aula Paolo VI. Questo il testo della catechesi svolta dal Santo Padre:

1. « Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te », (Conf. 1,1). Questa celebre affermazione, che apre le Confessioni di sant’Agostino, esprime efficacemente il bisogno insopprimibile che spinge 1′uomo a cercare il volto di Dio. É un’esperienza attestata dalle diverse tradizioni religiose. « Dai tempi antichi fino ad oggi – ha detto il Concilio – presso i vari popoli si nota quasi una percezione di quella forza arcana che è presente al corso delle cose c agli avvenimenti della vita umana, e anzi talvolta si avverte un riconoscimento della divinità suprema o anche del Padre » (Nostra aetate, 2).

In realtà, tante preghiere della letteratura religiosa universale esprimono la convinzione che l’Essere supremo possa essere percepito e invocato come un padre, al quale si arriva attraverso 1′esperienza delle premure affettuose ricevute dal padre terreno. Proprio questa relazione ha suscitato in alcune correnti dell’ateismo contemporaneo il sospetto che 1′idea stessa di Dio sia la proiezione dell’immagine paterna. 11 sospetto, in realtà, è infondato.

É vero tuttavia che, partendo dalla sua esperienza, 1′uomo è tentato talvolta di immaginare la divinità con tratti antropomorfici che rispecchiano troppo il mondo umano. La ricerca di Dio procede cosi « a tentoni », come Paolo disse nel discorso agli Ateniesi (cfr At 17, 27). Occorre dunque tener presente questo chiaroscuro del1′esperienza religiose, nella consapevolezza che solo la rivelazione piena, in cui Dio stesso si manifesta, può dissipare le ombre e gli equivoci e far risplendere la luce.

2. Sull’esempio di Paolo, che proprio nel discorso agli Ateniesi cita un verso del poeta Arato sul1′origine divina dell’uomo (cfr At 17, 28) la Chiesa guarda con’ rispetto ai tentativi che le varie religioni compiono per cogliere il volto di Dio, distinguendo nelle loro credenze ciò che è accettabile da quanto è incompatibile con la rivelazione cristiana.

In questa linea si deve considerare un’intuizione religiosa positiva la percezione di Dio come Padre universale del mondo e degli uomini. Non può essere invece accolta 1′idea di una divinità dominata dall’arbitrio e dal capriccio. Presso gli antichi greci, ad esempio, il Bene, quale essere sommo e divino, era chiamato anche padre, ma il dio Zeus manifestava la sua paternità tanto nella benevolenza quanto nell’ira e nella malvagità. Nell’Odissea si legge: « Padre Zeus, nessuno è più funesto di te tra gli dei: degli uomini non hai pietà, dopo. averli generati e affidati alla sventura e a gravosi dolori », (XX, 201-203).

Tuttavia 1′esigenza di un Dio superiore all’arbitrio capriccioso è presente anche tra i greci antichi, come testimonia, ad esempio, 1′ »Inno a Zeus » del poeta Cleante. L’idea di un padre divino, pronto al dono generoso della vita c provvido nel fornire i beni necessari all’esistenza, ma anche severo e punitore, e non sempre per una ragione evidente, si collega nelle società antiche all’istituzione del patriarcato e ne trasferisce la concezione più abituale sul piano religiose.

3. In Israele il riconoscimento delta paternità di Dio è progressivo e continuamente insidiato dalla tentazione idolatrica che i profeti denunciano con forza: « Dicono a un pezzo di legno: Tu sei mio padre, e a una pietra: Tu mi hai generato » (Ger 2, 27). In realtà per 1′esperienza religiosa biblica la percezione di Dio come Padre è legata, più che alla sua azione creatrice, al suo intervento storico-salvifico, attraverso il quale stabilisce con Israele uno speciale rapporto di alleanza. Spesso Dio lamenta che il suo amore paterno non ha trovato adeguata corrispondenza: « II Signore dice: Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me », (Is 1, 2).

La paternità di Dio appare a Israele più salda di quella umana: « Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto » (Sal 27, 10). I1 salmista che ha fatto questa. dolorosa esperienza di abbandono, e ha trovato in Dio un padre più sollecito di quello terreno, ci indica la via da lui percorsa per giungere a questa meta: « Di te ha detto il mio cuore: Cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco » (Sal 27, 8). Ricercare il volto di Dio è un cammino necessario, che si deve percorrere con sincerità di cuore e impegno costante. Solo il cuore del giusto può gioire nel cercare il volto del Signore (cfr Sal 105, 3s.) e su di lui può quindi risplendere il volto paterno di Dio (cfr Sal 119, 135; cfr anche 31, 17; 67, 2; 80, 4.8.20). Osservando la legge divina si gode anche pienamente della protezione del Dio dell’alleanza. La benedizione di cui Dio gratifica il suo popolo, tramite la mediazione sacerdotale di Aronne, insiste proprio su questo svelarsi luminoso del volto di Dio: « II Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. II Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6. 25s.).

4. Da quando Gesù è venuto nel mondo, la ricerca del volto di Dio Padre ha assunto una dimensione ancora più significativa. Nel suo insegnamento Gesù, fondandosi sulla propria esperienza di Figlio, ha confermato la concezione di Dio come padre, già delineata nell’Antico Testamento; anzi 1′ha evidenziata costantemente, vissuta in modo intimo e ineffabile, e proposta come programma di vita per chi vuole ottenere la salvezza.

Soprattutto Gesù si pone in modo assolutamente unico in relazione con la paternità divina, manifestandosi come « figlio » e offrendosi come 1′unica strada per giungere al Padre. A Filippo che gli chiede « mostraci il Padre e ci basta », (Gv 14, 8), egli risponde che conoscere lui significa conoscere il Padre, perché il Padre opera attraverso lui (cfr Gv 14, 8-11). Per chi vuole dunque incontrare il Padre è necessario credere nel Figlio: mediante Lui Dio non si limita ad assicurarci una provvida assistenza paterna, ma comunica la sua stessa vita rendendoci « figli nel Figlio ». É quanto sottolinea con commossa gratitudine 1′apostolo Giovanni: « Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente » (1 Gv 3, 1).

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