Archive pour la catégorie 'Papa Giovanni Paolo I'

UNA CONVERSAZIONE DI ALBINO LUCIANI VESCOVO

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UNA CONVERSAZIONE DI LUCIANI VESCOVO

«Io non sono un mistico»

«Di contemplazione non me ne intendo. Mi fermo alla semplice orazione, quella umile, quella delle anime semplici. Certa povera gente non ha imparato a meditare, ma dice bene le preghiere, con cuore, le preghiere vocali. Santa Bernadette è diventata santa solo per questo. Diceva bene il rosario, ubbidiva alla sua mamma»

una conversazione di Albino Luciani vescovo

Il Signore ci fa tante raccomandazioni, nel Vangelo, sulla preghiera. L’insistenza. Non basta domandare una volta. Non è come suonare il pianoforte: tocchi il tasto, ne esce il suono. «Signore, dammi questa grazia». Pronti, servito! A tamburo battente. Non è così. Il Signore stesso ha detto che non è così. Voglio che domandiate. Ha raccontato anche la parabola. C’era un giudice iniquo in una città. Non gliene importava niente né di Dio né dei poveri mortali. Una vedova andava ogni giorno da lui: «Rendimi giustizia, rendimi giustizia!». «Via, Via! Non ho tempo, non ho tempo». Ma la vedova tornava. Finalmente un giorno il giudice ha detto tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho nessun riguardo per gli uomini, poiché questa vedova viene sempre ad importunarmi e non mi lascia più in pace, le voglio fare giustizia, così non l’avrò più tra i piedi». Conclusione di Gesù Cristo: questo lo fa un giudice iniquo e per un motivo egoistico, e il Padre vostro, quando voi insisterete nel domandargli che vi faccia giustizia, il Padre vostro dei cieli, che vi ama, non ve lo farà? E abbiamo già sentito dal Concilio: Bisogna pregare sempre: pregare senza interruzione.
Il nostro primo dovere è di insegnare alla gente a pregare, perché quando abbiamo dato loro questo mezzo potente, si arrangiano anche loro ad ottenere le grazie del Signore. Io non posso fare un trattato sulla preghiera, anche perché forse ne sapete più di me. Accennerò solo a qualche cosa. Forse battiamo molto sulla preghiera di petizione: «Signore, ricordati di me; Signore perdonami!». Bellissimo! Però Gesù quando ci ha insegnato il Pater noster, ci ha detto: «Pregate così», e la sua preghiera l’ha divisa in due parti. La prima: «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». È questa la parte che riguarda il nostro rapporto con Dio. Solo dopo si passa alla seconda: «Dacci il nostro pane, ecc.». Quindi anche nelle proprie preghiere si deve seguire questo metodo: fare prima la preghiera di adorazione, di lode, di ringraziamento; e solo dopo quella di domanda. Nelle epistole di san Paolo: «Gratias agamus, Deo gratias, Deo autem gratias…». Queste espressioni, non le ho contate io, ricorrono più di centocinquanta volte. San Paolo rende grazie continuamente. Ma osservate anche le altre preghiere: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te». Dopo viene la domanda: «Prega per noi, peccatori». Prima si fa un bel complimento alla Madonna. Bisogna essere diplomatici: si fa una lode, e poi si chiede. Anche gli oremus antichi, non quelli moderni, hanno tutti all’inizio la lode, il complimento. «Deus qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione docuisti…», fatta una bella lode: «da nobis quaesumus…», viene la domanda. Invece: «Concede nobis, famulis tuis…», questo è un oremus moderno; comincia subito col domandare qualcosa. Non ha capito niente, non ha capito niente, chi lo ha composto. E anche le litanie della Madonna: «Mater purissima», l’elogio, «ora pro nobis», la domanda; tutte così. Questo metodo dobbiamo usarlo nelle nostre preghiere. Preoccuparsi un po’ anche… Non ha bisogno il Signore delle nostre preoccupazioni, ma gli fa certamente piacere che ci occupiamo un po’ di lui. C’è un libro molto bello di padre Faber: Tutto per Gesù; non è “alto”, cose umili; e dice proprio che bisogna preoccuparsi degli interessi di Dio, prima che degli interessi nostri. Dicevo: l’adorazione: «Tu sei lassù, o Dio immenso onnipotente, e io sono qui, piccolo piccolo, Signore», questo senso di adorazione di stupore davanti a Dio. «Ti devo tutto, Signore!». Il ringraziamento. Il sentirsi sempre piccoli, miseri, davanti a Dio. Bisogna aiutarli, i fedeli, ad adorare, a ringraziare il Signore. Nessuno è grande davanti a Dio. Davanti a Dio anche la Madonna s’è sentita guardata, piccola. È importantissimo sentirci guardati da Dio. Sentirci oggetto dell’amore che Dio ci porta. San Bernardo, quand’era piccolissimo, in una notte di Natale, s’è addormentato in chiesa e ha sognato. Gli è parso di vedere Gesù bambino che diceva, additandolo: «Eccolo là, il mio piccolo Bernardo, il mio grande amico». S’è svegliato, ma l’impressione di quella notte non si è più cancellata e ha avuto un’enorme influenza sulla sua vita. Sentiamoci piccoli, perché siamo piccoli. Se non ci sentiamo piccoli è impossibile la fede. Chi alza la cresta, chi si vanta troppo, non ha fiducia in Dio. Tu sei grandissimo, Signore, io, di fronte a te, piccolissimo. Non mi vergogno di dirlo. E farò volentieri quello che mi chiedi. Tanto più che non chiedi per prendere, ma per dare, non chiedi a vantaggio tuo, ma nell’interesse mio! Manzoni dice: «L’uomo, mai è più grande di quando si inginocchia davanti a Dio». Nelle preghiere che si fanno manca sempre di più quello che è il senso dell’adorazione. È invece uno degli attegiamenti fondamentali di tutta la religione cristiana.
Albino Luciani a Lourdes durante la processione eucaristica
Albino Luciani a Lourdes durante la processione eucaristica
Quali preghiere e con quale metodo? Voi siete maestri in Israele; sapete che la preghiera più bella è, per sé, quella passiva, dove ci si abbandona all’azione della grazia. Così è di qualche anima che viene addirittura catturata da Dio, lavorata, dominata, santificata. È la cosiddetta preghiera mistica, di quelli che si danno alla contemplazione. E su questo non posso dirvi niente, perché sinceramente io non sono un mistico. Mi dispiace. L’ho insegnato anche a scuola, ho studiato i vari sistemi, le varie tendenze, i carmelitani di qua, i gesuiti di là… Però santa Teresa, che era una donna molto esperta, dice: «Io ho conosciuto dei santi, dei veri santi, che non erano contemplativi, e ho conosciuto dei contemplativi che avevano grazie di orazione superiore, che però non erano santi». Il che vuol dire che, «salvo meliore iudicio», non sarebbe necessaria la contemplazione alla santità. Sulla contemplazione quindi non posso perciò intrattenervi, perché sinceramente non me ne intendo, anche se ho letto qualche libro. Perciò mi fermo alla semplice orazione, quella umile, quella delle anime semplici. Io mi spiego di solito con un esempio molto semplice e pratico. Sentite: c’è il papà che festeggia l’onomastico: in casa hanno organizzato un po’ di festicciola. Arriva il momento: lui sa già di che si tratta, e dice: «Adesso vediamo cosa mi fanno di bello!». Per primo viene il più piccolo dei suoi bambini: gli hanno insegnato la poesia a memoria. Povero piccolo! È lì di fronte al papà, recita la sua poesia. «Bravo!», dice il papà, «ho tanto piacere, ti sei fatto onore, grazie, caro». A memoria. Va via il piccolino, e si presenta il secondo figliolo, che fa già le medie. Ah, non si è mica degnato di imparare una poesiola a memoria; ha preparato un discorsetto, roba sua, farina del suo sacco. Magari breve, ma si impanca da oratore. «Non avrei mai creduto», il papà, «che tu fossi così bravo a far discorsi, caro». È contento il papà: ma guarda che bei pensieri!… Non sarà un capolavoro, ma… Terza, la signorina, la figliola. Questa ha preparato semplicemente un mazzetto di garofani rossi. Non dice niente. Va davanti al papà, neanche una parola: però è commossa, è così rossa che non si sa se sia più rossa lei o i garofani. E il papà le dice: «Si vede che mi vuoi bene, sei così emozionata». Ma neanche una parola. Però i fiori li gradisce, specialmente perché la vede tanto commossa e così piena di affetto. Poi c’è la mamma, c’è la sposa. Non dà niente. Lei guarda suo marito e lui guarda lei: semplicemente uno sguardo. Sanno tante cose. Quello sguardo rievoca tutto un passato, tutta una vita. Il bene, il male, le gioie, i dolori della famiglia. Non c’è altro. Sono i quattro tipi di orazione. Il primo è l’orazione vocale: quando dico il rosario con attenzione, quando dico il Pater noster, l’Ave Maria; allora siamo dei bambini. Il secondo, il discorsetto, è la meditazione. Penso io e faccio il mio discorso col Signore: bei pensieri e anche profondi affetti, intendiamoci. Il terzo, il mazzo di garofani, è l’orazione affettiva. La ragazzina tanto emozionata e tanto affettuosa. Qui non occorrono molti pensieri, basta lasciar parlare il cuore. «Mio Dio, ti amo». Se uno fa anche solo cinque minuti di orazione affettiva, fa meglio che la meditazione. Quarto, la sposa, è l’orazione della semplicità o di semplice sguardo, come si dice. Mi metto davanti al Signore, e non dico niente. In qualche maniera lo guardo. Sembra che valga poco, questa preghiera, invece può essere superiore alle altre. Fate qualche considerazione su ciascuna di queste forme di preghiera. Anche la prima. Si dice: è un bambino, comincia appena. Ma santa Teresa scrive: si può diventar santi con la prima orazione. Certa povera gente non ha imparato a meditare, ma dice bene le preghiere, con cuore, le preghiere vocali. Santa Bernadette è diventata santa solo per questo. Diceva bene il rosario, ubbidiva alla sua mamma. È diventata santa.
Ed ora lasciate che vi raccomandi la devozione alla Madonna, giacché devo fare un cenno al rosario, che in parte è una preghiera vocale. Il rosario è anche la Bibbia dei poveri. Mai tralasciare il rosario, e recitarlo bene. Io sono molto preoccupato dei miei fedeli: ce ne sono ancora di quelli che fanno la preghiera in casa, ma non dicono più il rosario. Quando i figli in famiglia vedono il papà che prega, che prega insieme a tutti, questo ha un effetto sull’educazione, che le nostre prediche non avranno mai, siatene certi. Quindi nella visita pastorale faccio anche questa domanda: «Recitano la preghiera in casa?». Purtroppo pregano poco. Peccato! Allora lo dico in chiesa: «Fate il piacere! Dovete guardare la televisione, capisco. Ma se non potete dire il rosario, tutte le cinque poste, ditene almeno una, dieci Ave Maria, un mistero solo. Vi raccomando tanto, almeno questo. E anche voi insistete sulla devozione alla Madonna. Un giorno mi hanno anche chiesto, sono curiose queste pie anime: «Lei quale Madonna preferisce? Quella del Carmine? Perché, vede, io sono devota della Madonna del Carmine». È gente piuttosto alla buona e io ho risposto: «Se lei mi permette un consiglio, io le suggerirei la Madonna dei piatti, delle scodelle e delle minestre». Guardate che la Madonna si è fatta santa senza visioni, senza estasi, si è fatta santa con queste piccole cose di lavoro quotidiano. Volevo dire: molta devozione alla Madonna. Sì al rosario, la fiducia in lei, ma anche l’imitazione delle sue virtù. Quindi non stancatevi di raccomandare la devozione a Maria.

LA STRAORDINARIA SOMIGLIANZA DI PAPA FRANCESCO CON GIOVANNI PAOLO I

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LA STRAORDINARIA SOMIGLIANZA DI PAPA FRANCESCO CON GIOVANNI PAOLO I

LA LORO SEMPLICITÀ E RICHIAMO ALLA POVERTÀ HANNO SUBITO DESTATO L’ATTENZIONE DELLA GENTE

ROMA, 18 MARZO 2013 (ÀNCORA ONLINE) NICOLA ROSETTI

Papa Francesco sta suscitando grandi emozioni nei cuori di tanti uomini nel mondo. Tutti, dai potenti come Obama alle semplici persone intervistate per strada, elogiano la semplicità del nuovo Papa. Come Benedetto XVI è stato amato per la sua cultura e per la vastità del suo pensiero, ora Papa Francesco viene amato per la sua profonda umiltà. Succede ad ogni Pontefice quello che accadde al primo Papa: quando Pietro venne chiamato da Gesù, egli era un pescatore di pesci, il Signore lo fece diventare pescatore di uomini. Si può dire che Gesù portò al massimo quello che Pietro già era. E così è sempre avvenuto per ogni successore di Pietro: Dio ha esaltato le qualità umane di ogni uomo che ha chiamato a capo della sua Chiesa.
Se dunque ci sembra ingiusto fare confronti per contrasto fra un pontefice e l’altro, perché ognuno di essi ha storie, doti e qualità umane particolari, possiamo invece tentare di fare un confronto per analogia. Noi abbiamo visto parecchie somiglianze fra Papa Francesco e Giovanni Paolo I.
Innanzitutto possiamo partire dalla scelta del nome: Papa Francesco, allo stesso modo di Giovanni Paolo I, ha scelto un nome mai usato dai predecessori, sebbene Papa Luciani abbia fuso in un solo nome quello dei suoi due immediati predecessori: Giovanni XXIII e Paolo VI.
Appena è stata annunciata la sua elezione dal cardinale protodiacono, Papa Francesco si è rivolto al mondo dicendo: “Voi sapete che il dovere del Conclave era quello di dare un vescovo a Roma, sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui!”. Allo stesso modo, come di chi è travolto da qualcosa di inaspettatamente più grande di lui, Giovanni Paolo I durante il suo primo angelus il 27 agosto 1978 disse: “Io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto!”
Sempre durante lo stesso Angelus, Papa Luciani parlò di ciò che era avvenuto nella Cappella Sistina in questi termini: “Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere. Appena è cominciato il pericolo per me, i due colleghi che mi erano vicini mi hanno sussurrato parole di coraggio”. Con linguaggio molto simile Papa Francesco ha detto ai giornalisti: “Durante il conclave avevo seduto al mio fianco il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, un grande amico… Quando le cose sono diventate un po’ pericolose per me, mi confortava”.
Il Cardinale Timoty Dolan, arcivescovo di New York, in una conferenza stampa avvenuta il 14 marzo ha raccontato che il Papa Francesco, durante la cena avvenuta la sera precedente insieme a tutti i cardinali, ha esclamato: “Che Dio vi perdoni per quello che avete fatto”. Giovanni Paolo I si era rivolto ai membri del collegio cardinalizio nello stesso identico modo.
Anche il tema della povertà è sicuramente comune a questi due Pontefici. Papa Francesco rivolgendosi ai giornalisti riuniti nell’udienza a loro dedicata nell’aula Paolo VI ha detto di voler “una chiesa povera per i poveri”. Anche Papa Luciani espresse parole indimenticabili sull’attenzione verso gli ultimi nell’ultima udienza che egli tenne nello stesso luogo il 27 settembre 1978. Dopo aver ricordato quanti ancora oggi muoiono di fame a causa della nostra indifferenza aggiunse: “Non solo le nazioni, ma anche noi privati, specialmente noi di Chiesa dobbiamo chiederci: abbiamo veramente compiuto il precetto dell’amore di Gesù che ha detto ama il prossimo tuo come te stesso?”
Che dire poi del sorriso, degli aneddoti raccontati, del continuo interagire con la folla dei fedeli? Sui volti di questi due pontefici si può vedere in modo manifesto cosa vuol dire “servire Dominum in laetitia!”
Perché la semplicità e il richiamo alla povertà di Papa Francesco e di Giovanni Paolo I hanno subito destato l’attenzione da parte di una miriade di uomini che vivono in un mondo che al contrario è complesso e spesso fagocitato dalla legge del profitto? Forse perché come diceva il grande scrittore inglese Chesterton la società si lascia convertire dai santi che maggiormente la contraddicono.
L’unico confronto per contrasto che possiamo fare è quello sulla provenienza geografica. Giovanni Paolo I è stato l’ultimo italiano a salire sulla cattedra di Pietro, Papa Francesco è invece il primo extra europeo. L’ultimo papa non europeo fu infatti il siriano Gregorio III. Forse si tratta solo di una coincidenza, ma questo papa venne eletto l’11 febbraio 731, parecchi secoli dopo, ma nella stessa data, Benedetto XVI dava al mondo l’annuncio delle sue dimissioni che avrebbero portato sul soglio di Pietro il primo papa non europeo dopo 1272 anni!

Per approfondimenti o informazioni:www.nicolarosetti.it
(Intervista tratta da Àncora Online, il settimanale della Diocesi di San Benedetto del Tronto)

BRANI dai discorsi e dagli scritti di PAPA LUCIANI: «Io rischio di dire uno sproposito…

dal sito:

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BRANI dai discorsi e dagli scritti di PAPA LUCIANI
«Io rischio di dire uno sproposito…

…ma lo dico. Il Signore ama tanto l’umiltà che a volte permette dei peccati gravi. Perché? Perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili». (Udienza generale, 6 settembre 1978).

Brani dai discorsi e dagli scritti di Albino Luciani

      Io sono la pura e povera polvere
      «Non so che cosa abbia pensato il Signore, che cosa abbia pensato il Papa, che cosa abbia pensato la divina Provvidenza di me. Sto pensando in questi giorni che con me il Signore attua il suo vecchio sistema: prende i piccoli dal fango della strada e li mette in alto, prende la gente dai campi, dalle reti del mare, del lago e ne fa degli apostoli. È il suo vecchio sistema. Certe cose il Signore non le vuole scrivere né sul bronzo, né sul marmo, ma addirittura nella polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata, non dispersa dal vento, sia bene chiaro che tutto è opera e tutto è merito del solo Signore. Io sono il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore».
      (Omelia del 6 gennaio 1959, a Canale d’Agordo)      
     
      Il catechismo
      «Messo da parte il catechismo non saprete che mezzi adoperare per fare buoni piccoli e grandi. Tirerete in campo la “dignità umana”? I piccoli non capiscono che cosa sia, i grandi se ne infischiano. Metterete avanti “l’imperativo categorico”? Peggio che peggio… Si dice che anche la filosofia e la scienza sono capaci di far buoni e nobili gli uomini. Ma non c’è neppure confronto col catechismo, che insegna in breve la sapienza di tutte le biblioteche, risolve i problemi di tutte le filosofie e soddisfa alle ricerche più penose e difficili dello spirito umano».
      (Catechetica in briciole, 1949)      
     
      Da formule che sembravano aride, una fiammante santità
      «Stiamo uniti nell’insegnare le stesse cose: non opinioni più o meno rispettabili, ma ciò che il Magistero della Chiesa propone… Il criterio del catechizzare è dunque il depositum custodi di san Paolo, non l’altro, talora usato: “Che cosa piace? che cosa è oggi alla moda? che cosa mi farà apparire aggiornato e brillante?”… Con il Papa, esorto a non nutrire troppi pregiudizi contro l’uso sapiente e moderato sia delle formule che della memorizzazione. D’accordo, sapere a memoria non è sapere… Tuttavia una formula capita e ricordata a memoria è come un attaccapanni al quale, nonostante il passare degli anni, restano appese le cognizioni religiose più importanti. Certe formule di chimica e di algebra, alcuni articoli fondamentali del codice, perché esigono precisione, sono appresi a memoria al liceo e all’università. Ora, c’è codice più impegnativo delle verità religiose e dei precetti morali? Sono aride, si dice, le formule. Anche il cerino sembra arido ma, strofinato, si fa fiamma. Qui nel Veneto, noi abbiamo il caso di santa Bertilla Boscardin, che conobbe quasi soltanto il catechismo a formule. Gliel’aveva dato il parroco, quand’era fanciulla; se l’è portato in convento; lo leggeva e rileggeva continuamente; lo trovarono nella tasca della sua veste dopo la morte. Era quasi consunto, ma la santa da quelle formule, che sembravano aride, aveva saputo far scaturire una fiammante santità».
      (Omelia ai catechisti, Venezia, 29 ottobre 1977)      
     
      Marco sembra aver visto
      «San Marco, come sintassi, vocabolario, costruzione e tornitura di periodo, è un povero scrittore. Ma è vivace, è pittoresco: per questo piace. Solo Marco riporta tali e quali, in aramaico, certe frasi pronunciate da Gesù. Questa per esempio: “Talitha qoum”, “Figliolina, alzati su!”. Quest’altra: “Eloi, lama sabacthani?”, “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Tutto ciò aiuta a vedere e sentire l’ambiente palestinese. Più che insegnare, Marco descrive: sembra aver visto».
      (Omelia per la festa di san Marco, Venezia, 25 aprile 1974)      
     
      L’evidenza dei fatti
      «Dice san Paolo: “Fu seppellito… risuscitò il terzo giorno… apparve a Cefa, quindi ai Dodici, poi apparve in una volta sola a più di cinquecento fratelli, dei quali i più rimangono sino ad oggi… Inoltre apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; ultimo fra tutti apparve anche a me” (1 Cor 15, 4-9). Quattro volte qui Paolo adopera il verbo apparve, insistendo sulla percezione visiva; ora, l’occhio non vede qualcosa di interno, ma di esterno a noi, una realtà distinta da noi, che ci si impone dal di fuori. Ciò allontana la tesi di un’allucinazione, di cui, del resto, gli apostoli furono i primi ad aver paura. Essi pensarono infatti dapprima di vedere uno spirito, non il vero Gesù, tanto che questi li dovette rassicurare: “Perché siete sconvolti? Guardate le mie mani e i miei piedi, ché sono proprio io. Toccatemi e guardate, poiché uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io!” (Lc 24, 38). Essi non credevano ancora e Gesù disse loro: “‘Avete qui qualcosa da mangiare?’. Gli misero davanti un pezzo di pesce arrostito. E davanti ai loro occhi lo prese e lo mangiò” (Lc 24, 41-43). L’incredulità iniziale, dunque, non fu del solo Tommaso, ma di tutti gli apostoli, gente sana, robusta, realista, allergica a ogni fenomeno di allucinazione, che s’è arresa solo davanti all’evidenza dei fatti.
      Con un materiale umano siffatto era anche improbabilissimo il passare dall’idea di un Cristo meritevole di rivivere spiritualmente nei cuori all’idea di una risurrezione corporale a forza di riflessione e di entusiasmo. Tra l’altro, al posto dell’entusiasmo, dopo la morte di Cristo, c’era negli apostoli solo sconforto e delusione. Mancò poi il tempo: non è in quindici giorni che un forte gruppo di persone, non abituate a speculare, cambia in blocco mentalità senza il sostegno di solide prove!».
      (Omelia per la veglia pasquale, Venezia, 21 aprile 1973)      
     
      Di vecchia gnosi si tratta
      «“Teologia nuova?”. Ben venga! A volte, però, ci si illude: non di nuova teologia si tratta, ma di vecchia gnosi. Riemerge, infatti, spesso, la mentalità presuntuosa degli antichi gnostici: “Noi diamo spiegazioni a livello di altissima scienza; noi ce le mangiamo le povere, viete e superate spiegazioni del Magistero!”. Ritorna anche il metodo della gnosi: prendere cioè i temi ed i termini della fede cattolica, ma solo parzialmente, arrogandosi il diritto di setacciarli e selezionarli, di intenderli a modo proprio, di mescolarli a ideologie estranee e di fondare l’adesione alla fede non più sull’autorità divina, ma su motivi umani; per esempio, su questa o quella opzione filosofica, sul combaciare di un dato tema con determinate scelte politiche abbracciate in antecedenza».
      (Omelia su Cristo liberatore, Venezia, 7 marzo 1973)      
     
      Quietismo e pelagianesimo
      «…non ho nessun desiderio di fare l’eresiologo; a volte, tuttavia, è forte in me la tentazione di segnalare tracce di quietismo e di semiquietismo, di pelagianesimo e di semipelagianesimo in scritti e discorsi, che o descrivono il lavoro pastorale come tutto dipendesse dagli uomini o dalle tecniche sociologiche, o parlano di noi poveri uomini come non avessimo più nulla a che vedere con il peccato».
      (Invito al clero per gli esercizi spirituali, Venezia, 5 agosto 1974)      
     
      L’amore alla Tradizione
      «Lo studio e la lettura devota (che non è studio) della Bibbia non occorre raccomandarli oggi: per fortuna, l’uno e l’altra sono entrati nei cuori dopo il Concilio. Vi raccomando invece l’amore alla Tradizione: non siate di coloro che, abbagliati e accecati, più che illuminati, da qualche lampo, pensano che ora soltanto è nato il sole e vogliono tutto rovesciare e cambiare».
      (Inizio d’anno del seminario, Venezia, 20 settembre 1977)      
     
      Solo Dio può toccare il cuore
      «Uno dei più brillanti vescovi è stato san Paolo apostolo, il quale diceva della propria predicazione fatta a Corinto: “Io ho gettato il seme, ma nulla sarebbe successo se Dio non l’avesse sviluppato e fatto sbocciare”. Non è questione di correre; è questione soltanto di misericordia e di delicatezza di Dio. Io vescovo e i miei sacerdoti possiamo istruire, illuminare, convincere anche, ma non di più; solo Dio può toccare il cuore e convertirvi».
      (Prima omelia in Cattedrale, Vittorio Veneto, 11 gennaio 1959)      
     
      Il peccato commesso diventa quasi un gioiello
      «A Pasqua, Dio aspetta. Un disperso che ritorna gli procura più consolazione che novantanove rimasti fedeli; data la sua infinita misericordia, mentre un peccato ancora da commettere va evitato a costo di qualunque sacrificio, il peccato già commesso diventa nelle nostre mani quasi un gioiello, che gli possiamo regalare, per procurarGli la consolazione di perdonare. Proviamo! Si fa i signori. Quando si regalano i gioielli».
      (Lettera ai fedeli di Vittorio Veneto, 7 febbraio 1959)      
     
      Il conclave
      «Uno scritto di san Bernardo venne utilizzato una volta in un modo ben curioso. Avvenne durante un conclave per l’elezione del papa e i cardinali erano molto indecisi sulla scelta. Uno di essi domandò la parola e fece la seguente riflessione: “Cari colleghi, il criterio da usare in questo momento venne esposto già con chiarezza e limpidezza da san Bernardo nella lettera tale e tale. Vi si legge: ‘Se qualcuno è sapiente, ci dia buone lezioni; se ha pietà, preghi per noi; se è prudente, questi ci governi’. Inchiniamoci dunque davanti a quelli che tra noi sono sapienti e hanno pietà, ma eleggiamo colui che è dotato di prudenza”».
      (Elogio della prudenza. Discorso all’Università Federale di Santa Maria, in Brasile, novembre 1975).      
     
      Roma e i poveri
      «Alcune delle sue parole [del sindaco di Roma] m’hanno fatto venire in mente una delle preghiere che, fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: “I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono… opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai”. A sua volta, il parroco mi interrogava alla scuola di catechismo: “I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti?”. Ed io rispondevo col catechismo di Pio X: “… perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio”. Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato non solo con l’affluenza dei fedeli alle chiese, non solo con la vita privata vissuta morigeratamente, ma anche con l’amore ai poveri. Questi – diceva il diacono romano Lorenzo – sono i veri tesori della Chiesa; vanno, pertanto, aiutati da chi può, ad avere e ad essere di più senza venire umiliati ed offesi con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili e non investito – quando possibile – in imprese di comune vantaggio».
      (Basilica di San Giovanni in Laterano, 23 settembre 1978)

Publié dans:Papa Giovanni Paolo I |on 11 avril, 2010 |Pas de commentaires »

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