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Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Malato 2011

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http://www.zenit.org/article-25152?l=italian

Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Malato 2011

« Dalle sue piaghe siete stati guariti »

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 10 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale del Malato 2011, che si celebrerà l’11 febbraio sul tema « Dalle sue piaghe siete stati guariti » (1Pt 2,24).

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Cari fratelli e sorelle!

Ogni anno, nella ricorrenza della memoria della Beata Vergine di Lourdes, che si celebra l’11 febbraio, la Chiesa propone la Giornata Mondiale del Malato. Tale circostanza, come ha voluto il venerabile Giovanni Paolo II, diventa occasione propizia per riflettere sul mistero della sofferenza e, soprattutto, per rendere più sensibili le nostre comunità e la società civile verso i fratelli e le sorelle malati. Se ogni uomo è nostro fratello, tanto più il debole, il sofferente e il bisognoso di cura devono essere al centro della nostra attenzione, perché nessuno di loro si senta dimenticato o emarginato; infatti « la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana » (Lett. enc. Spe salvi, 38). Le iniziative che saranno promosse nelle singole Diocesi in occasione di questa Giornata, siano di stimolo a rendere sempre più efficace la cura verso i sofferenti, nella prospettiva anche della celebrazione in modo solenne, che avrà luogo, nel 2013, al Santuario mariano di Altötting, in Germania.

1. Ho ancora nel cuore il momento in cui, nel corso della visita pastorale a Torino, ho potuto sostare in riflessione e preghiera davanti alla Sacra Sindone, davanti a quel volto sofferente, che ci invita a meditare su Colui che ha portato su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati. Quanti fedeli, nel corso della storia, sono passati davanti a quel telo sepolcrale, che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso, che in tutto corrisponde a ciò che i Vangeli ci trasmettono sulla passione e morte di Gesù! Contemplarlo è un invito a riflettere su quanto scrive san Pietro: « dalle sue piaghe siete stati guariti » (1Pt 2,24). Il Figlio di Dio ha sofferto, è morto, ma è risorto, e proprio per questo quelle piaghe diventano il segno della nostra redenzione, del perdono e della riconciliazione con il Padre; diventano, però, anche un banco di prova per la fede dei discepoli e per la nostra fede: ogni volta che il Signore parla della sua passione e morte, essi non comprendono, rifiutano, si oppongono. Per loro, come per noi, la sofferenza rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare. I due discepoli di Emmaus camminano tristi per gli avvenimenti accaduti in quei giorni a Gerusalemme, e solo quando il Risorto percorre la strada con loro, si aprono ad una visione nuova (cfr Lc 24,13-31). Anche l’apostolo Tommaso mostra la fatica di credere alla via della passione redentrice: « Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo » (Gv 20,25). Ma di fronte a Cristo che mostra le sue piaghe, la sua risposta si trasforma in una commovente professione di fede: « Mio Signore e mio Dio! » (Gv 20,28). Ciò che prima era un ostacolo insormontabile, perché segno dell’apparente fallimento di Gesù, diventa, nell’incontro con il Risorto, la prova di un amore vittorioso: « Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede » (Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2007).

2. Cari ammalati e sofferenti, è proprio attraverso le piaghe del Cristo che noi possiamo vedere, con occhi di speranza, tutti i mali che affliggono l’umanità. Risorgendo, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice. Alla prepotenza del Male ha opposto l’onnipotenza del suo Amore. Ci ha indicato, allora, che la via della pace e della gioia è l’Amore: « Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri » (Gv 13,34). Cristo, vincitore della morte, è vivo in mezzo a noi. E mentre con san Tommaso diciamo anche noi: « Mio Signore e mio Dio! », seguiamo il nostro Maestro nella disponibilità a spendere la vita per i nostri fratelli (cfr 1 Gv 3,16), diventando messaggeri di una gioia che non teme il dolore, la gioia della Risurrezione.

San Bernardo afferma: « Dio non può patire, ma può compatire ». Dio, la Verità e l’Amore in persona, ha voluto soffrire per noi e con noi; si è fatto uomo per poter com-patire con l’uomo, in modo reale, in carne e sangue. In ogni sofferenza umana, allora, è entrato Uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; in ogni sofferenza si diffonde la con-solatio, la consolazione dell’amore partecipe di Dio per far sorgere la stella della speranza (cfr Lett. enc. Spe salvi, 39).

A voi, cari fratelli e sorelle, ripeto questo messaggio, perché ne siate testimoni attraverso la vostra sofferenza, la vostra vita e la vostra fede.

3. Guardando all’appuntamento di Madrid, nel prossimo agosto 2011, per la Giornata Mondiale della Gioventù, vorrei rivolgere anche un particolare pensiero ai giovani, specialmente a coloro che vivono l’esperienza della malattia. Spesso la Passione, la Croce di Gesù fanno paura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, è esattamente il contrario! La Croce è il « sì » di Dio all’uomo, l’espressione più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Dal cuore trafitto di Gesù è sgorgata questa vita divina. Solo Lui è capace di liberare il mondo dal male e di far crescere il suo Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011, 3). Cari giovani, imparate a « vedere » e a « incontrare » Gesù nell’Eucaristia, dove è presente in modo reale per noi, fino a farsi cibo per il cammino, ma sappiatelo riconoscere e servire anche nei poveri, nei malati, nei fratelli sofferenti e in difficoltà, che hanno bisogno del vostro aiuto (cfr ibid., 4). A tutti voi giovani, malati e sani, ripeto l’invito a creare ponti di amore e solidarietà, perché nessuno si senta solo, ma vicino a Dio e parte della grande famiglia dei suoi figli (cfr Udienza generale, 15 novembre 2006).

4. Contemplando le piaghe di Gesù il nostro sguardo si rivolge al suo Cuore sacratissimo, in cui si manifesta in sommo grado l’amore di Dio. Il Sacro Cuore è Cristo crocifisso, con il costato aperto dalla lancia dal quale scaturiscono sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), « simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingano con gioia alla fonte perenne della salvezza » (Messale Romano, Prefazio della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù). Specialmente voi, cari malati, sentite la vicinanza di questo Cuore carico di amore e attingete con fede e con gioia a tale fonte, pregando: « Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, fortificami. Oh buon Gesù, esaudiscimi. Nelle tue piaghe, nascondimi » (Preghiera di S. Ignazio di Loyola).

5. Al termine di questo mio Messaggio per la prossima Giornata Mondiale del Malato, desidero esprimere il mio affetto a tutti e a ciascuno, sentendomi partecipe delle sofferenze e delle speranze che vivete quotidianamente in unione a Cristo crocifisso e risorto, perché vi doni la pace e la guarigione del cuore. Insieme a Lui vegli accanto a voi la Vergine Maria, che invochiamo con fiducia Salute degli infermi e Consolatrice dei sofferenti. Ai piedi della Croce si realizza per lei la profezia di Simeone: il suo cuore di Madre è trafitto (cfr Lc 2,35). Dall’abisso del suo dolore, partecipazione a quello del Figlio, Maria è resa capace di accogliere la nuova missione: diventare la Madre di Cristo nelle sue membra. Nell’ora della Croce, Gesù le presenta ciascuno dei suoi discepoli dicendole: « Ecco tuo figlio » (cfr Gv 19,26-27). La compassione materna verso il Figlio, diventa compassione materna verso ciascuno di noi nelle nostre quotidiane sofferenze (cfr Omelia a Lourdes, 15 settembre 2008).

Cari fratelli e sorelle, in questa Giornata Mondiale del malato, invito anche le Autorità affinché investano sempre più energie in strutture sanitarie che siano di aiuto e di sostegno ai sofferenti, soprattutto i più poveri e bisognosi, e, rivolgendo il mio pensiero a tutte le Diocesi, invio un affettuoso saluto ai Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate, ai seminaristi, agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloro che si dedicano con amore a curare e alleviare le piaghe di ogni fratello o sorella ammalati, negli ospedali o Case di Cura, nelle famiglie: nei volti dei malati sappiate vedere sempre il Volto dei volti: quello di Cristo.

A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 Novembre 2010, Festa di Cristo Re dell’Universo.

BENEDICTUS PP XVI

BENEDETTO XVI: SOLO LA « CARITÀ NELLA VERITÀ » PUÒ LIBERARE L’UOMO

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BENEDETTO XVI: SOLO LA « CARITÀ NELLA VERITÀ » PUÒ LIBERARE L’UOMO

In occasione dell’Assemblea del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 4 novembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il Messaggio che Benedetto XVI ha inviato in apertura dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che si svolgerà a Roma, dal 4 al 5 novembre, e avrà come tema la recezione della Enciclica Caritas in veritate nei diversi Continenti.

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Al Venerato Fratello
il Cardinale PETER KODWO APPIAH TURKSON
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
1. In occasione dell’Assemblea Plenaria, desidero anzitutto ringraziare il Dicastero per il suo molteplice impegno nell’aiutare tutta la Chiesa, particolarmente questa Sede Apostolica, in una rinnovata evangelizzazione del sociale, agli inizi del terzo millennio. Non solo le singole persone, ma i popoli e la grande famiglia umana attendono – a fronte di ingiustizie e forti diseguaglianze – parole di speranza, pienezza di vita, l’indicazione di Colui che può salvare l’umanità dai suoi mali radicali.
2. Come ricordavo nella mia Enciclica Caritas in veritate – seguendo le orme del Servo di Dio Paolo VI – l’annuncio di Gesù Cristo è « il primo e principale fattore di sviluppo » (n. 8). Grazie ad esso, infatti, si può camminare sulla strada della crescita umana integrale con l’ardore della carità e la sapienza della verità in un mondo in cui, sovente, la menzogna insidia l’uomo, la società, la condivisione. E’ vivendo la « carità nella verità » che possiamo offrire uno sguardo più profondo per comprendere le grandi questioni sociali e indicare alcune prospettive essenziali per la loro soluzione in senso pienamente umano. Solo con la carità, sostenuta dalla speranza e illuminata dalla luce della fede e della ragione, è possibile conseguire obiettivi di liberazione integrale dell’uomo e di giustizia universale. La vita delle comunità e dei singoli credenti, alimentata dall’assidua meditazione della Parola di Dio, dalla regolare partecipazione ai Sacramenti e dalla comunione con la Sapienza che viene dall’alto, cresce nella sua capacità di profezia e di rinnovamento delle culture e delle istituzioni pubbliche. Gli ethos dei popoli possono così godere di un fondamento veramente solido, che rafforza il consenso sociale e sostanzia le regole procedurali. L’impegno di costruzione della città poggia su coscienze guidate dall’amore a Dio e, per questo, naturalmente orientate verso l’obiettivo di una vita buona, strutturata sul primato della trascendenza. « Caritas in veritate in re sociali »: così mi è parso opportuno descrivere la dottrina sociale della Chiesa (cfr. ibid., n. 5), secondo il suo radicamento più autentico – Gesù Cristo, la vita trinitaria che Egli ci dona – e secondo tutta la sua forza capace di trasfigurare la realtà. Abbiamo bisogno di questo insegnamento sociale, per aiutare le nostre civiltà e la nostra stessa ragione umana a cogliere tutta la complessità del reale e la grandezza della dignità di ogni persona. Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa aiuta, proprio in questo senso, a intravedere la ricchezza della sapienza che viene dall’esperienza di comunione con lo Spirito di Dio e di Cristo e dall’accoglienza sincera del Vangelo.
3. Nell’Enciclica Caritas in veritate ho accennato a problemi fondamentali che toccano il destino dei popoli e delle istituzioni mondiali, nonché della famiglia umana. L’ormai prossimo anniversario dell’Enciclica Mater et magistra del Beato Giovanni XXIII ci sollecita a considerare con costante attenzione gli squilibri sociali, settoriali, nazionali, quelli tra risorse e popolazioni povere, tra tecnica ed etica. Nell’attuale contesto di globalizzazione, tali squilibri non sono affatto scomparsi. Sono mutati i soggetti, le dimensioni delle problematiche, ma il coordinamento tra gli Stati – spesso inadeguato, perché orientato alla ricerca di un equilibrio di potere, piuttosto che alla solidarietà – lascia spazio a rinnovate disuguaglianze, al pericolo del predominio di gruppi economici e finanziari che dettano – ed intendono continuare a farlo – l’agenda della politica, a danno del bene comune universale.
4. Rispetto ad una questione sociale sempre più interconnessa nei suoi svariati ambiti, appare di particolare urgenza l’impegno nella formazione del laicato cattolico alla dottrina sociale della Chiesa. Infatti è proprio dei fedeli laici il dovere immediato di lavorare per un ordine sociale giusto. Essi, quali cittadini liberi e responsabili, debbono impegnarsi per promuovere una retta configurazione della vita sociale, nel rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene. La dottrina sociale della Chiesa rappresenta così il riferimento essenziale per la progettualità e la azione sociale dei fedeli laici, nonché per una loro spiritualità vissuta, che si nutra e s’inquadri nella comunione ecclesiale: comunione di amore e di verità, comunione nella missione.
5. I christifideles laici, però, proprio perché traggono energie ed ispirazione dalla comunione con Gesù Cristo, vivendo integrati con le altre componenti ecclesiali, debbono trovare al loro fianco sacerdoti e Vescovi capaci di offrire un’instancabile opera di purificazione delle coscienze, insieme con un indispensabile sostegno e aiuto spirituale alla coerente testimonianza laicale nel sociale. Perciò, è di fondamentale importanza una comprensione profonda della dottrina sociale della Chiesa, in armonia con tutto il suo patrimonio teologico e fortemente radicata nell’affermazione della dignità trascendente dell’uomo, nella difesa della vita umana sin dal suo concepimento fino alla morte naturale e della libertà religiosa. Così compresa, la dottrina sociale deve essere inserita anche nella preparazione pastorale e culturale di coloro che, nella comunità ecclesiale, sono chiamati al sacerdozio. E’ necessario preparare fedeli laici capaci di dedicarsi al bene comune, specie negli ambiti più complessi come il mondo della politica, ma è urgente anche avere Pastori che, con il loro ministero e carisma, sappiano contribuire all’animazione e all’irradiazione, nella società e nelle istituzioni, di una vita buona secondo il Vangelo, nel rispetto della libertà responsabile dei fedeli e del loro proprio ruolo di Pastori, che in questi ambiti hanno una responsabilità mediata. La già citata Mater et magistra proponeva, circa 50 anni fa, una vera e propria mobilitazione, secondo carità e verità, da parte di tutte le associazioni, i movimenti, le organizzazioni cattoliche e d’ispirazione cristiana, affinché tutti i fedeli, con impegno, libertà e responsabilità, studiassero, diffondessero e attuassero la dottrina sociale della Chiesa.
6. Il mio augurio, pertanto, è che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace continui nella sua opera di aiuto alla comunità ecclesiale e a tutte le sue componenti. Il Dicastero continui dunque quest’opera non solo nell’elaborazione di sempre nuovi aggiornamenti della dottrina sociale della Chiesa, ma anche nella loro sperimentazione, con quel metodo di discernimento che ho indicato nella Caritas in veritate, secondo la quale, vivendo nella comunione di Gesù Cristo e tra noi, siamo « trovati » sia dalla Verità della salvezza, sia dalla verità di un mondo che non è creato da noi, ma è stato dato a tutti come casa da condividere nella fraternità. Al fine di globalizzare la dottrina sociale della Chiesa sembra opportuno che crescano Centri e Istituti per lo studio, la diffusione e l’attuazione di essa in tutto il mondo.
7. Dopo la promulgazione del Compendio e dell’Enciclica Caritas in veritate, è naturale che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sia dedito all’approfondimento degli elementi di novità e, in collaborazione con altri soggetti, alla ricerca delle vie più adatte alla veicolazione dei contenuti della dottrina sociale, non solo nei tradizionali itinerari formativi ed educativi cristiani di ogni ordine e grado, ma anche nei grandi centri di formazione del pensiero mondiale – quali i grandi organi della stampa laica, le università e i numerosi centri di riflessione economica e sociale – che negli ultimi tempi si sono sviluppati in ogni angolo del mondo.
8. La Vergine Maria, onorata dal popolo cristiano come Speculum iustitiae e Regina pacis, ci protegga e ci ottenga con la sua celeste intercessione la forza, la speranza e la gioia necessarie perché continuiamo a dedicarci con generosità alla realizzazione di una nuova evangelizzazione del sociale.
Nel esprimere ancora una volta il mio ringraziamento per l’opera che svolge il Dicastero in tutte le sue componenti, auspico un fruttuoso lavoro e ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 3 novembre 2010
BENEDICTUS PP. XVI

Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2010

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21259?l=italian

Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2010

“La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo”

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 4 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2010, sul tema: « La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo » (Rm 3, 21-22).

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Cari fratelli e sorelle,

ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Quest’anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall’affermazione paolina: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22).

Giustizia: “dare cuique suum”

Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine “giustizia”, che nel linguaggio comune implica “dare a ciascuno il suo – dare cuique suum”, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant’Agostino: se “la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo… non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo al vero Dio” (De civitate Dei, XIX, 21).

Da dove viene l’ingiustizia?

L’evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è impuro: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro… Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc 7,14-15.20-21). Al di là della questione immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei farisei una tentazione permanente dell’uomo: quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare – ammonisce Gesù – è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore?

Giustizia e Sedaqah

Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere il debole” (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfr Es 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è “sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia?

Cristo, giustizia di Dio

L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio… per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,21-25).

Quale è dunque la giustizia di Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza – indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.

Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare.

Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore.

Cari fratelli e sorelle, la Quaresima culmina nel Triduo Pasquale, nel quale anche quest’anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia. Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l’Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 30 ottobre 2009
 

BENEDICTUS PP. XVI

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