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PAPA BENEDETTO: « LA VOCE DELLA CHIESA DEVE FARSI SENTIRE SENZA POSA E CON DETERMINAZIONE »

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« LA VOCE DELLA CHIESA DEVE FARSI SENTIRE SENZA POSA E CON DETERMINAZIONE »

Discorso del Papa al secondo gruppo di vescovi francesi in visita « ad limina Apostolorum »

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 17 novembre 2012 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza il secondo gruppo di vescovi francesi « ad limina Apostolorum ». Si tratta delle province ecclesiastiche di Lille, Reims, Paris, Besançon e Dijon; delle diocesi di Strasbourg e Metz; dell’Ordinariato militare e dell’Ordinariato dei cattolici delle Chiese orientali residenti in Francia. Presentiamo in traduzione italiana il discorso pronunciato dal Papa.
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Signor Cardinale,
cari fratelli nell’episcopato,
La ringrazio, Eminenza, per le sue parole; conservo un ricordo molto vivo del mio soggiorno a Parigi nel 2008, che ha permesso intensi momenti di fede e un incontro con il mondo della cultura. Nel messaggio che le ho rivolto in occasione del raduno a Lourdes che lei ha organizzato lo scorso marzo, ho ricordato che «il concilio Vaticano II è stato e rimane un autentico segno di Dio per il nostro tempo».
Ciò è particolarmente vero nell’ambito del dialogo tra la Chiesa e il mondo, questo mondo «con il quale vive e agisce» (cfr. Gaudium et spes, n. 40 § 1) e sul quale vuole diffondere la luce che la vita divina irradia (Ibidem, § 2). Come lei sa, più la Chiesa è consapevole del suo essere e della sua missione, più è capace di amare questo mondo, di volgere su di esso uno sguardo fiducioso, ispirato da quello di Gesù, senza cedere alla tentazione dello sconforto o del ripiegamento. E «la Chiesa, compiendo la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile» (Ibidem, n. 58, 4), dice il concilio.
La vostra nazione è ricca di una lunga storia cristiana che non può essere ignorata o sminuita, e che testimonia con eloquenza questa verità, che configura ancora oggi la sua singolare vocazione. Non solo i fedeli delle vostre diocesi, ma i fedeli di tutto il mondo, si aspettano molto, siatene certi, dalla Chiesa che è in Francia. Come pastori, noi siamo naturalmente consapevoli dei nostri limiti; ma, confidando nella forza di Cristo, sappiamo anche che spetta a noi essere «gli araldi della fede» (Lumen gentium, n. 50), che devono, con i sacerdoti e i fedeli, testimoniare il messaggio di Cristo «in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo» (Gaudium et spes, n. 43 § 5).
L’Anno della fede ci permette di accrescere la nostra fiducia nella forza e nella ricchezza intrinseche del messaggio evangelico. In quante occasioni abbiamo constatato che sono le parole della fede, parole semplici e dirette, cariche della linfa della Parola divina, a toccare meglio i cuori e le menti e ad apportare le luci più decisive? Non dobbiamo quindi aver paura di parlare con un vigore tutto apostolico del mistero di Dio e del mistero dell’uomo, e di mostrare instancabilmente le ricchezze della dottrina cristiana. In essa ci sono parole e realtà, convinzioni fondamentali e modi di ragionare che sono i soli a poter portare la speranza di cui il mondo ha sete.
Nei dibattiti sociali importanti, la voce della Chiesa deve farsi sentire senza posa e con determinazione. E lo fa nel rispetto della tradizione francese in materia di distinzione tra le sfere di competenza della Chiesa e quelle di competenza dello Stato. In tale contesto, proprio l’armonia che esiste tra la fede e la ragione vi dà una certezza particolare: il messaggio di Cristo e della sua Chiesa non è solo portatore di un’identità religiosa che esigerebbe di essere rispettata come tale; esso contiene anche una saggezza che permette di esaminare con rettitudine le risposte concrete alle questioni pressanti, e talvolta angoscianti, del tempo presente. Continuando a esercitare, come voi fate, la dimensione profetica del vostro ministero episcopale, portate in questi dibattiti una parola indispensabile di verità, che rende liberi e apre i cuori alla speranza. Questa parola, ne sono convinto, è attesa. Essa trova sempre un’accoglienza favorevole quando viene presentata con carità, non come il frutto delle nostre riflessioni, ma prima di tutto come la parola che Dio vuole rivolgere a ogni uomo.
A tale proposito, mi torna in mente l’incontro che ha avuto luogo nel Collège des Bernardins. La Francia può fregiarsi di annoverare tra i suoi figli e le sue figlie numerosi intellettuali di alto livello, alcuni dei quali guardano alla Chiesa con benevolenza e rispetto. Credenti o non credenti, essi sono consapevoli delle immense sfide della nostra epoca, in cui il messaggio cristiano è un punto di riferimento insostituibile. Può essere che altre tradizioni intellettuali o filosofiche si esauriscano, ma la Chiesa trova nella sua missione divina la sicurezza e il coraggio di predicare, in ogni occasione opportuna e non opportuna, la chiamata universale alla Salvezza, la grandezza del disegno divino per l’umanità, la responsabilità dell’uomo, la sua dignità e la sua libertà, — e malgrado la ferita del peccato — la sua capacità di discernere in coscienza ciò che è vero e ciò che è buono, e la sua disponibilità alla grazia divina. Nel Collège des Bernardins ho voluto ricordare che la vita monastica, interamente orientata alla ricerca di Dio, il quaerere Deum, risulta fonte di rinnovamento e di progresso per la cultura. Le comunità religiose, e soprattutto quelle monastiche, del vostro Paese, che conosco bene, possono contare sulla vostra stima e sulla vostra attenta sollecitudine, nel rispetto del carisma proprio di ciascuna. La vita religiosa, al servizio esclusivo dell’opera di Dio, alla quale nulla può essere preferito (cfr. Regola di san Benedetto), è un tesoro nelle vostre diocesi. Essa offre una testimonianza radicale sul modo in cui l’esistenza umana, proprio quando si pone interamente nella sequela di Cristo, realizza appieno la vocazione umana alla vita beata. L’intera società, e non solo la Chiesa, viene profondamente arricchita da tale testimonianza. Offerta nell’umiltà, nella dolcezza e nel silenzio, essa apporta per così dire la prova che nell’uomo c’è di più dell’uomo stesso.
Come ricorda il Concilio, l’azione liturgica della Chiesa fa anche parte del suo contributo all’opera civilizzatrice (cfr. Gaudium et spes, n. 58, 4). La liturgia è in effetti la celebrazione dell’evento centrale della storia umana, il sacrificio redentore di Cristo. Per questo testimonia l’amore con il quale Dio ama l’umanità, testimonia che la vita dell’uomo ha un senso e che egli è per vocazione chiamato a condividere la vita gloriosa della Trinità. L’umanità ha bisogno di questa testimonianza. Ha bisogno di percepire, attraverso le celebrazioni liturgiche, la consapevolezza che la Chiesa ha della signoria di Dio e della dignità dell’uomo. Ha diritto di poter discernere, al di là dei limiti che segneranno sempre i suoi riti e le sue cerimonie, che Cristo «è presente nel sacrificio della Messa, e nella persona del ministro» (cfr. Sacrosanctum concilium, n. 7). Conoscendo le cure di cui cercate di circondare le vostre celebrazioni liturgiche, v’incoraggio a coltivare l’arte di celebrare, ad aiutare i vostri sacerdoti in tal senso, e di lavorare senza posa alla formazione liturgica dei seminaristi e dei fedeli. Il rispetto delle norme stabilite esprime l’amore e la fedeltà alla fede della Chiesa, al tesoro di grazia che essa custodisce e trasmette; la bellezza delle celebrazioni, molto più delle innovazioni e degli accomodamenti soggettivi, fa opera duratura ed efficace di evangelizzazione.
Grande è oggi la vostra preoccupazione per la trasmissione della fede alle giovani generazioni. Molte famiglie nel vostro Paese continuano a garantirla. Benedico e incoraggio di tutto cuore le iniziative che prendete per sostenere queste famiglie, per circondarle della vostra sollecitudine, per favorire la loro assunzione di responsabilità nell’ambito educativo. La responsabilità dei genitori in questo ambito è un bene prezioso, che la Chiesa difende e promuove sia come una dimensione inalienabile e fondamentale del bene comune di tutta la società, sia come un’esigenza della dignità della persona e della famiglia. Sapete anche che in questo ambito le sfide non mancano: siano esse la difficoltà legata alla trasmissione della fede ricevuta, — familiare, sociale — quella della fede accolta personalmente alla soglia dell’età adulta, o ancora, la difficoltà costituita da una vera rottura nella trasmissione, quando si succedono diverse generazioni ormai allontanatesi dalla fede viva. C’è anche l’enorme sfida di vivere in una società che non sempre condivide gli insegnamenti di Cristo, e che a volte cerca di ridicolizzare o di emarginare la Chiesa, volendo confinarla nella sola sfera privata. Per accogliere queste immense sfide, la Chiesa ha bisogno di testimoni credibili. La testimonianza cristiana radicata in Cristo e vissuta nella coerenza di vita e con autenticità, è multiforme, senza alcun schema preconcetto. Nasce e si rinnova incessantemente sotto l’azione dello Spirito Santo. A sostegno di questa testimonianza, il Catechismo della Chiesa cattolica è uno strumento molto utile, perché mostra la forza e la bellezza della fede. V’incoraggio a farlo ampiamente conoscere, in particolare in questo anno in cui celebriamo il ventesimo anniversario della sua pubblicazione.
Nel posto che vi corrisponde, voi rendete altresì testimonianza attraverso la vostra dedizione, la vostra semplicità di vita, la vostra sollecitudine pastorale, e al di sopra di tutto, attraverso l’unione tra di voi e con il Successore dell’Apostolo Pietro. Consapevoli della forza dell’esempio, saprete così trovare le parole e i gesti per incoraggiare i fedeli a incarnare questa «unità di vita». Essi devono sentire che la loro fede li impegna, che è per loro una liberazione e non un fardello, che la coerenza è fonte di gioia e di fecondità (cfr. Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 17). Ciò vale sia per il loro attaccamento e la loro fedeltà all’insegnamento morale della Chiesa, sia, ad esempio, per il coraggio di manifestare le loro convinzioni cristiane, senza arroganza ma con rispetto, nei diversi ambiti in cui operano. Quelli fra loro che sono impegnati nella vita pubblica hanno una responsabilità particolare in questo ambito. Con i Vescovi, avranno a cuore di prestare attenzione ai progetti di leggi civili che possono attentare alla tutela del matrimonio tra un uomo e una donna, alla salvaguardia della vita umana dal concepimento fino alla morte, e al giusto orientamento della bioetica in fedeltà ai documenti del Magistero. È più che mai necessario che siano in molti i cristiani che intraprendano il cammino del servizio al bene comune, approfondendo in particolare la Dottrina sociale della Chiesa.
Potete contare sulla mia preghiera affinché i vostri sforzi in questo ambito rechino frutti abbondanti. Per concludere, invoco la benedizione del Signore su di voi, sui vostri sacerdoti e i vostri diaconi, sui religiosi e le religiose, sulle altre persone consacrate che operano nelle vostre diocesi, e sui vostri fedeli. Che Dio vi accompagni sempre! Grazie.

Publié dans:Papa Bendetto : discorsi vari |on 20 novembre, 2012 |Pas de commentaires »

PAPA BENEDETTO: « LA LONGEVITÀ È UNA BENEDIZIONE DI DIO »

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« LA LONGEVITÀ È UNA BENEDIZIONE DI DIO »

Il Papa visita la Casa-Famiglia della Comunità di Sant’Egidio a Roma, in occasione dell’Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 12 novembre 2012 (ZENIT.org) – Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha visitato la Casa-Famiglia « Viva gli Anziani » della Comunità di Sant’Egidio, al Gianicolo, in occasione dell’Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni.
Al Suo arrivo, il Papa, dopo una breve visita alla struttura residenziale, si è recato nel giardino della Casa-Famiglia dove ha incontrato gli ospiti auto-sufficienti, i volontari e i membri della Comunità di Sant’Egidio. Quindi ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:
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Cari fratelli e care sorelle,
sono davvero lieto di essere con voi in questa casa-famiglia della Comunità di Sant’Egidio dedicata agli anziani. Ringrazio il vostro Presidente, Prof. Marco Impagliazzo, per le calorose parole che mi ha rivolto. Con lui, saluto il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità. Ringrazio della loro presenza il Vescovo ausiliare del Centro storico, Mons. Matteo Zuppi, il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Mons. Vincenzo Paglia, e tutti gli amici della Comunità di Sant’Egidio.
Vengo tra di voi come Vescovo di Roma, ma anche come anziano in visita ai suoi coetanei. Superfluo dire che conosco bene le difficoltà, i problemi e i limiti di questa età, e so che queste difficoltà, per molti, sono aggravate dalla crisi economica. Talvolta, a una certa età, capita di volgersi al passato, rimpiangendo quando si era giovani, si godeva di energie fresche, si facevano progetti per il futuro. Così lo sguardo, a volte, si vela di tristezza, considerando questa fase della vita come il tempo del tramonto.
Questa mattina, rivolgendomi idealmente a tutti gli anziani, pur nella consapevolezza delle difficoltà che la nostra età comporta, vorrei dirvi con profonda convinzione: è bello essere anziani! In ogni età bisogna saper scoprire la presenza e la benedizione del Signore e le ricchezze che essa contiene. Non bisogna mai farsi imprigionare dalla tristezza! Abbiamo ricevuto il dono di una vita lunga. Vivere è bello anche alla nostra età, nonostante qualche « acciacco » e qualche limitazione. Nel nostro volto ci sia sempre la gioia di sentirci amati da Dio, e non la tristezza.
Nella Bibbia, la longevità è considerata una benedizione di Dio; oggi questa benedizione si è diffusa e deve essere vista come un dono da apprezzare e valorizzare. Eppure spesso la società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto, non lo accoglie come tale; anzi, spesso lo respinge, considerando gli anziani come non produttivi, inutili.
Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case. La sapienza di vita di cui siamo portatori è una grande ricchezza. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune. Chi fa spazio agli anziani fa spazio alla vita! Chi accoglie gli anziani accoglie la vita!
La Comunità di Sant’Egidio, fin dal suo inizio, ha sorretto il cammino di tanti anziani, aiutandoli a restare nei loro ambienti di vita, aprendo varie case-famiglia a Roma e nel mondo. Mediante la solidarietà tra giovani e anziani, ha aiutato a far comprendere come la Chiesa sia effettivamente famiglia di tutte le generazioni, in cui ognuno deve sentirsi « a casa » e dove non regna la logica del profitto e dell’avere, ma quella della gratuità e dell’amore.
Quando la vita diventa fragile, negli anni della vecchiaia, non perde mai il suo valore e la sua dignità: ognuno di noi, in qualunque tappa dell’esistenza, è voluto, amato da Dio, ognuno è importante e necessario (cfr Omelia per l’inizio del Ministero petrino, 24 aprile 2005).
L’odierna visita si colloca nell’anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni. E proprio in questo contesto desidero ribadire che gli anziani sono un valore per la società, soprattutto per i giovani. Non ci può essere vera crescita umana ed educazione senza un contatto fecondo con gli anziani, perché la loro stessa esistenza è come un libro aperto nel quale le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il cammino della vita.
Cari amici, alla nostra età facciamo spesso l’esperienza del bisogno dell’aiuto degli altri; e questo avviene anche per il Papa. Nel Vangelo leggiamo che Gesù disse all’apostolo Pietro: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18).
Il Signore si riferiva al modo in cui l’Apostolo avrebbe testimoniato la sua fede fino al martirio, ma questa frase ci fa riflettere sul fatto che il bisogno di aiuto è una condizione dell’anziano. Vorrei invitarvi a vedere anche in questo un dono del Signore, perché è una grazia essere sostenuti e accompagnati, sentire l’affetto degli altri! Questo è importante in ogni fase della vita: nessuno può vivere solo e senza aiuto; l’essere umano è relazionale. E in questa casa vedo, con piacere, che quanti aiutano e quanti sono aiutati formano un’unica famiglia, che ha come linfa vitale l’amore.
Cari fratelli e sorelle anziani, talvolta le giornate sembrano lunghe e vuote, con difficoltà, pochi impegni e incontri; non scoraggiatevi mai: voi siete una ricchezza per la società, anche nella sofferenza e nella malattia. E questa fase della vita è un dono anche per approfondire il rapporto con Dio.
L’esempio del Beato Papa Giovanni Paolo II è stato ed è tuttora illuminante per tutti. Non dimenticate che tra le risorse preziose che avete c’è quella essenziale della preghiera: diventate intercessori presso Dio, pregando con fede e con costanza. Pregate per la Chiesa, anche per me, per i bisogni del mondo, per i poveri, perché nel mondo non ci sia più violenza. La preghiera degli anziani può proteggere il mondo, aiutandolo forse in modo più incisivo che l’affannarsi di tanti.
Vorrei affidare oggi alla vostra preghiera il bene della Chiesa e la pace nel mondo. Il Papa vi ama e conta su tutti voi! Sentitevi amati da Dio e sappiate portare in questa nostra società, spesso così individualista ed efficientista, un raggio dell’amore di Dio. E Dio sarà sempre con voi e con quanti vi sostengono con il loro affetto e con il loro aiuto.
Vi affido tutti alla materna intercessione della Vergine Maria, che accompagna sempre il nostro cammino con il suo amore materno, e volentieri imparto a ciascuno la mia Benedizione.
Grazie a tutti voi!
Al termine del discorso, il Papa ha scoperto e benedetto una targa-ricordo della Visita. Quindi, dopo aver salutato i giovani della Comunità di Sant’Egidio, ha lasciato la Casa-Famiglia per rientrare in Vaticano.

PAPA BENEDETTO: L’UNITÀ PER ANNUNCIARE IN MODO SEMPRE PIÙ CREDIBILE LA FEDE

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L’UNITÀ PER ANNUNCIARE IN MODO SEMPRE PIÙ CREDIBILE LA FEDE

Il discorso del Papa ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 27 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il discorso pronunciato questa mattina da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede. L’Udienza si è svolta nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano.
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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Per me è sempre motivo di gioia potermi incontrare con voi in occasione della Sessione Plenaria ed esprimervi il mio apprezzamento per il servizio che svolgete per la Chiesa e specialmente per il Successore di Pietro nel suo ministero di confermare i fratelli nella fede (cfr Lc 22, 32). Ringrazio il Cardinale William Levada per il suo cordiale indirizzo di saluto, nel quale ha ricordato alcuni importanti impegni assolti dal Dicastero in questi ultimi anni. E sono particolarmente riconoscente alla Congregazione che, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, prepara l’Anno della fede, cogliendo in esso un momento propizio per riproporre a tutti il dono della fede nel Cristo risorto, il luminoso insegnamento del Concilio Vaticano II e la preziosa sintesi dottrinale offerta dal Catechismo della Chiesa Cattolica.
Come sappiamo, in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni. Auspico che l’Anno della fede possa contribuire, con la collaborazione cordiale di tutti i componenti del Popolo di Dio, a rendere Dio nuovamente presente in questo mondo e ad aprire agli uomini l’accesso alla fede, all’affidarsi a quel Dio che ci ha amati sino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto.
Il tema dell’unità dei cristiani è strettamente collegato con questo compito. Vorrei quindi soffermarmi su alcuni aspetti dottrinali riguardanti il cammino ecumenico della Chiesa, che è stato oggetto di un’approfondita riflessione in questa Plenaria, in coincidenza con la conclusione dell’annuale Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Infatti, lo slancio dell’opera ecumenica deve partire da quell’«ecumenismo spirituale», da quell’«anima di tutto il movimento ecumenico» (Unitatis redintegratio, 8), che si trova nello spirito della preghiera perché «tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).
La coerenza dell’impegno ecumenico con l’insegnamento del Concilio Vaticano II e con l’intera Tradizione è stata uno degli ambiti cui la Congregazione, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha sempre prestato attenzione. Oggi possiamo constatare non pochi frutti buoni arrecati dai dialoghi ecumenici, ma dobbiamo anche riconoscere che il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo, del tutto alieno alla mente del Concilio Vaticano II, esige la nostra vigilanza. Questo indifferentismo è causato dalla opinione sempre più diffusa che la verità non sarebbe accessibile all’uomo; sarebbe quindi necessario limitarsi a trovare regole per una prassi in grado di migliorare il mondo. E così la fede sarebbe sostituita da un moralismo, senza fondamento profondo. Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella Parola di Dio. Senza la fede tutto il movimento ecumenico sarebbe ridotto ad una forma di «contratto sociale» cui aderire per un interesse comune, una «prasseologia» per creare un mondo migliore. La logica del Concilio Vaticano II è completamente diversa: la ricerca sincera della piena unità di tutti i cristiani è un dinamismo animato dalla Parola di Dio, dalla Verità divina che ci parla in questa Parola.
Il problema cruciale, che segna in modo trasversale i dialoghi ecumenici, è perciò la questione della struttura della rivelazione – la relazione tra Sacra Scrittura, la Tradizione viva nella Santa Chiesa e il Ministero dei successori degli Apostoli come testimone della vera fede. E qui è implicita la problematica dell’ecclesiologia che fa parte di questo problema: come arriva la verità di Dio a noi. Fondamentale, tra l’altro, è qui il discernimento tra la Tradizione con maiuscola, e le tradizioni. Non vorrei entrare in dettagli, solo un’osservazione. Un importante passo di tale discernimento è stato compiuto nella preparazione e nell’applicazione dei provvedimenti per gruppi di fedeli provenienti dall’Anglicanesimo, che desiderano entrare nella piena comunione della Chiesa, nell’unità della comune ed essenziale Tradizione divina, conservando le proprie tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali, che sono conformi alla fede cattolica (cfr Cost. Anglicanorum coetibus, art. III). Esiste, infatti, una ricchezza spirituale nelle diverse Confessioni cristiane, che è espressione dell’unica fede e dono da condividere e da trovare insieme nella Tradizione della Chiesa.
Oggi, poi, una delle questioni fondamentali è costituita dalla problematica dei metodi adottati nei vari dialoghi ecumenici. Anche essi devono riflettere la priorità della fede. Conoscere la verità è il diritto dell’interlocutore in ogni vero dialogo. È la stessa esigenza della carità verso il fratello. In questo senso, occorre affrontare con coraggio anche le questioni controverse, sempre nello spirito di fraternità e di rispetto reciproco. È importante inoltre offrire un’interpretazione corretta di quell’«ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica», rilevato nel Decreto Unitatis redintegratio (n. 11), che non significa in alcun modo ridurre il deposito della fede, ma farne emergere la struttura interna, l’organicità di questa unica struttura. Hanno anche grande rilevanza i documenti di studio prodotti dai vari dialoghi ecumenici. Tali testi non possono essere ignorati, perché costituiscono un frutto importante, pur provvisorio, della riflessione comune maturata negli anni. Nondimeno, essi vanno riconosciuti nel loro giusto significato come contributi offerti alla competente Autorità della Chiesa, che sola è chiamata a giudicarli in modo definitivo. Ascrivere a tali testi un peso vincolante o quasi conclusivo delle spinose questioni dei dialoghi, senza la dovuta valutazione da parte dell’Autorità ecclesiale, in ultima analisi, non aiuterebbe il cammino verso una piena unità nella fede.
Un’ultima questione che vorrei finalmente menzionare è la problematica morale, che costituisce una nuova sfida per il cammino ecumenico. Nei dialoghi non possiamo ignorare le grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace. Sarà importante parlare su questi temi con una sola voce, attingendo al fondamento nella Scrittura e nella viva tradizione della Chiesa. Questa tradizione ci aiuta a decifrare il linguaggio del Creatore nella sua creazione. Difendendo i valori fondamentali della grande tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato.
A conclusione di queste riflessioni, auspico una stretta e fraterna collaborazione della Congregazione con il competente Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, al fine di promuovere efficacemente il ristabilimento della piena unità fra tutti i cristiani. La divisione fra i cristiani, infatti, «non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Decr. Unitatis redintegratio, 1). L’unità è quindi non solo il frutto della fede, ma anche un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore. Gesù ha pregato: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).
Nel rinnovare la mia gratitudine per il vostro servizio, vi assicuro la mia costante vicinanza spirituale e imparto di cuore a voi tutti la Benedizione Apostolica. Grazie.
[© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana]

Publié dans:Papa Bendetto : discorsi vari |on 30 janvier, 2012 |Pas de commentaires »

PAPA BENEDETTO: « RICONOSCERE NELLA NATURA UN LIBRO STUPENDO, CHE CI PARLA DI DIO »

 dal sito:

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« RICONOSCERE NELLA NATURA UN LIBRO STUPENDO, CHE CI PARLA DI DIO »

Discorso del Papa ai partecipanti all’incontro promosso dalla Fondazione « Sorella Natura »

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 28 novembre 2011 (ZENIT.org).- Riprendiamo di seguito il testo del discorso rivolto questa mattina da Benedetto XVI agli studenti delle scuole italiane partecipanti al progetto “Ambientiamoci a scuola”, promosso dalla Fondazione “Sorella Natura” di Assisi, in occasione della “Giornata per la Custodia del Creato”.

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Signor Cardinale,
illustri Autorità,
cari ragazzi e giovani!

E’ con grande gioia che do a tutti voi il mio benvenuto a questo incontro dedicato all’impegno per « sorella natura », per usare il nome della Fondazione che lo ha promosso. Saluto cordialmente il Cardinale Rodríguez Maradiaga e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro e per il dono della preziosa riproduzione del Codice 338, che contiene le fonti francescane più antiche. Saluto il Presidente, Signor Roberto Leoni, come pure le Autorità e Personalità e i numerosi insegnanti e genitori. Ma soprattutto saluto voi, cari ragazzi e ragazze, cari giovani! E’ proprio per voi che ho voluto questo incontro, e vorrei dirvi che apprezzo molto la vostra scelta di essere « custodi del creato », e che in questo avete il mio appoggio pieno.

Prima di tutto dobbiamo ricordare che la vostra Fondazione e questo stesso incontro hanno una profonda ispirazione francescana. Anche la data odierna è stata scelta per fare memoria della proclamazione di san Francesco d’Assisi quale Patrono dell’ecologia da parte del mio amato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II, nel 1979. Tutti voi sapete che san Francesco è anche Patrono d’Italia. Forse però non sapete che a dichiararlo tale fu il Papa Pio XII, nel 1939, quando lo definì « il più italiano dei santi, il più santo degli italiani ». Se dunque il santo Patrono d’Italia è anche Patrono dell’ecologia, mi pare giusto che le giovani e i giovani italiani abbiano una speciale sensibilità per « sorella natura », e si diano da fare concretamente per la sua difesa.
Quando si studia la letteratura italiana, uno dei primi testi che si trovano nelle antologie è proprio il « Cantico di Frate Sole », o « delle creature », di san Francesco d’Assisi: « Altissimo, onnipotente, bon Signore… ». Questo cantico mette in luce il giusto posto da dare al Creatore, a Colui che ha chiamato all’esistenza tutta la grande sinfonia delle creature. « …tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione… Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature ». Questi versi fanno parte giustamente della vostra tradizione culturale e scolastica. Ma sono anzitutto una preghiera, che educa il cuore nel dialogo con Dio, lo educa a vedere in ogni creatura l’impronta del grande Artista celeste, come leggiamo anche nel bellissimo Salmo 19: « I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento… Senza linguaggi, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio » (v. 1.4-5). Frate Francesco, fedele alla Sacra Scrittura, ci invita a riconoscere nella natura un libro stupendo, che ci parla di Dio, della sua bellezza e della sua bontà. Pensate che il Poverello di Assisi chiedeva sempre al frate del convento incaricato dell’orto, di non coltivare tutto il terreno per gli ortaggi, ma di lasciare una parte per i fiori, anzi di curare una bella aiuola di fiori, perché le persone passando elevassero il pensiero a Dio, creatore di tanta bellezza (cfr Vita seconda di Tommaso da Celano, CXXIV, 165).
Cari amici, la Chiesa, considerando con apprezzamento le più importanti ricerche e scoperte scientifiche, non ha mai smesso di ricordare che rispettando l’impronta del Creatore in tutto il creato, si comprende meglio la nostra vera e profonda identità umana. Se vissuto bene, questo rispetto può aiutare un giovane e una giovane anche a scoprire talenti e attitudini personali, e quindi a prepararsi ad una certa professione, che cercherà sempre di svolgere nel rispetto dell’ambiente. Se infatti, nel suo lavoro, l’uomo dimentica di essere collaboratore di Dio, può fare violenza al creato e provocare danni che hanno sempre conseguenze negative anche sull’uomo, come vediamo, purtroppo, in varie occasioni. Oggi più che mai ci appare chiaro che il rispetto per l’ambiente non può dimenticare il riconoscimento del valore della persona umana e della sua inviolabilità, in ogni fase della vita e in ogni condizione. Il rispetto per l’essere umano e il rispetto per la natura sono un tutt’uno, ma entrambi possono crescere ed avere la loro giusta misura se rispettiamo nella creatura umana e nella natura il Creatore e la sua creazione. Su questo, cari ragazzi, sono convinto di trovare in voi degli alleati, dei veri « custodi della vita e del creato ».
E ora vorrei cogliere questa occasione per rivolgere una parola specifica anche agli insegnanti e alle Autorità qui presenti. Vorrei sottolineare la grande importanza che ha l’educazione anche in questo campo dell’ecologia. Ho accolto volentieri la proposta di questo incontro proprio perché esso coinvolge tanti giovanissimi studenti, perché ha una chiara prospettiva educativa. E’ infatti ormai evidente che non c’è un futuro buono per l’umanità sulla terra se non ci educhiamo tutti ad uno stile di vita più responsabile nei confronti del creato. E sottolineo l’importanza della parola « creato », perché il grande e meraviglioso albero della vita non è frutto di un’evoluzione cieca e irrazionale, ma questa evoluzione riflette la volontà creatrice del Creatore e la sua bellezza e bontà. Questo stile di responsabilità si impara prima di tutto in famiglia e nella scuola. Incoraggio, pertanto, i genitori, i dirigenti scolastici e gli insegnanti a portare avanti con impegno una costante attenzione educativa e didattica con questa finalità. Inoltre, è indispensabile che questo lavoro delle famiglie e delle scuole sia sostenuto dalle istituzioni preposte, che oggi sono qui ben rappresentate.
Cari amici, affidiamo questi pensieri e queste aspirazioni alla Vergine Maria, Madre dell’intera umanità. Mentre abbiamo appena iniziato il Tempo di Avvento, Ella ci accompagni e ci guidi a riconoscere in Cristo il centro del cosmo, la luce che illumina ogni uomo e ogni creatura. E san Francesco ci insegni a cantare, con tutta la creazione, un inno di lode e di ringraziamento al Padre celeste, datore di ogni dono. Vi ringrazio di cuore per essere venuti numerosi e accompagno volentieri il vostro studio, il vostro lavoro e il vostro impegno con la mia Benedizione. Ho parlato di cantare, cantiamo insieme il Padre Nostro, la grande preghiera insegnata da Gesù a noi tutti.

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