Archive pour la catégorie 'Padri della Chiesa e Dottori'

preghiera di San Massimo il Confessore

du site: 

http://www.gregoriopalamas.it/Preghiere.htm

 

  

preghiera di San Massimo il Confessore 

 

Beato mi faceva il giardino 

di gioconde piante, una volta, 

quando del sommo Iddio 

per l’ineffabile provvidenza 

ed il pari amore 

questa luce vedevo, io, 

plasmato dal fango terrestre 

e dotato ancora di spirito; 

fra la terra ed il cielo  

collocato vivevo, ahimè, 

del grande Dio risplendevo 

dell’immagine a somiglianza. 

Ma il pessimo serpente 

con violenta insidia insinuandosi, 

con funesti consigli 

e sinistre parole 

tristemente sussurrandomi, 

ahi, m’ingannò 

e fuori da quel luogo 

di onesta voluttà mi scacciò,  

dai giardini del Padre, 

dei quali, ahi, mi aveva fatto abitatore,  

del tutto esiliandomi. 

Ed ero miseranda vista 

al venerabile coro delle anime :  

e poi che la mia ferita 

non sopportava medico, 

il creatore artefice d’ogni cosa  

con ardente amore guardandomi,            

in veste di estraneo mi si avvicinò,  

piamente l’umana 

avendo preso, dalla inesperta di nozze  

Maria, generazione. 

E così (mi) salvò 

strappandomi dalla crudele  

mano del serpente, 

e strappandomi alla morte  

subì egli la sorte per me,  

del divino comandamento           

stoltamente trasgressore,  

per cui offrì il proprio  

corpo all’amara morte ; 

e insieme percosse di lui  

il capo nelle acque 

delle correnti del Giordano,  

  

dei miei peccati 

l’interna bruttura  

tenebrosa immergendovi: 

ma quello ancora la spudorata   

coda dimenando, 

la mia mente sconvolge  

agitandosi con moti 

che trascinano a l’abisso, 

e tentando di darmi il gambetto  

pei sentieri della mia via. 

Ed impuramente assilla 

la violenza degli indomiti cavalli,  

che trascina ciecamente ; 

bramoso di spingere in vergogne   

empie il mio cuore 

e verso funeste passioni,  

e di abbattere il malfermo  

cavaliere sforzandosi, 

che regge le redini. 

E un grande fuoco accende  

dai dardi igniferi, 

che il maligno arde contro di me ; 

e scagliando l’interno 

fuoco, di cui è impastato, contro di me. 

Ma tu e dammi 

la tua mano, salvatore di popoli, 

che dalla radice estirpa 

gl’inganni dell’amaro Belial ; 

tu che una volta, avendo fermato la corrente, 

subito ritorta 

con inverso cammino, 

mirabile opera compiesti; 

e, inaridito del mare 

l’immenso flutto, 

a piedi facesti passare 

il popolo tuo Israele ; 

e parlasti, e tutte le cose 

a la tua parola ristettero. 

E tu reggi il fiammeggiante carro 

del gigante veloce, 

lucifero immenso ; 

e mutasti, del settemplice 

camino dei tre figli, 

il fuoco in copiosa rugiada. 

E avesti pietà del perduto ; 

e della meretrice sciogliesti il nodo 

di impuri amori, 

la quale versava calde lacrime ; 

e fermasti anche della emorroissa 

col tocco del tuo orlo 

il perpetuo flusso ; 

e dai morti suscitasti 

anche la figlia di Jaeiro 

e la facesti ancora respirante; 

e purificasti i lebbrosi 

e ai ciechi donasti la vista e 

lo spirito scacciasti 

dalla fanciulla Sidonia. 

Un altro sollevò il giaciglio, 

lo scioglimento delle membra avendo ottenuto ; 

e (tu) raddrizzi la storpia, 

e scacci i dèmoni. 

E della suocera di Pietro 

col tatto della mano tu cessasti            

l’ardente febbre ; 

e molte altre cose facesti 

che non hanno numero. 

Quale meraviglia, se della mia 

fiamma spegnerai l’ardore, 

dalla perenne fonte 

la tua rugiada stillando 

sopra la mia brace? 

Dammela, o Salvatore, 

tu, per tutta la vita, 

affinché la tua bontà io celebri, 

e del Padre e dello Spirito tuo. 

(S. Massimo il Confessore « Inni » Inserito il 30 aprile 2007) 

  

 

San Bernardo di Chiaravalle : L’ultimo padre del Medio evo

dal sito:

http://www.medio-evo.org/bernardo.htm

 

  

San Bernardo di Chiaravalle

  

L’ultimo padre del Medio evo  

  


E’ impossibile non unirsi a tutti coloro che hanno scritto e commentato la figura di San Bernardo di Chiaravalle. Questo figlio di nobili borgognoni è l’ultimo dei “padri” del monachesimo benedettino, e con lui la vocazione monastica giunge ad uno dei punti più alti della storia. Nato intorno al 1090 presso Digione, nel castello paterno, figlio di nobili cavalieri, ebbe una educazione tipicamente feudale, ed incarna in sé quello spirito che fu dei monaci e dei cavalieri medievali, fatto di preghiera e combattimento, ascetismo e disciplina, una disciplina spirituale che somiglia molto a quella cavalleresca. Da piccolo entra nella scuola dei Canonici di Châtillon, una delle più importanti della Borgogna, dove studia gli scrittori latini e i padri della Chiesa. Dopo la morte della madre, a cui egli era molto legato, nel 1107, entrò in una crisi che gli fece sentire lontano quel mondo di “donne cavalier armi ed amori” che era proprio della sua famiglia, e forte invece il desiderio di cercare e trovare Dio nella pace e nella quiete del monastero, lontano dal fragore e dalla violenza del mondo. Così a ventidue anni, nel 1112 si reca a Citeaux, nel monastero diretto da Stefano Harding, assieme a trenta compagni. Questo arrivo segnerà una svolta non solo per il monastero, ma nella storia della Chiesa e dell’ Europa occidentale. Anche se differenti nel temperamento, Bernardo fece propria l’idea che aveva ispirato San Roberto di Moleste, Alberico e Stefano. Questi si erano allontanati da Moleste nel 1098 per recarsi in un luogo solitario a 20 chilometri da Digione, in un luogo chiamato Cistercium, per seguire uno stile di vita più semplice e più rigoroso, recuperando lo spirito e la lettera dell’antica regola benedettina, ormai inficiati dalla grande potenza temporale acquisita dai monasteri clunicensi. Il luogo originale, in cui Bernardo condivise i primi anni di una rigorosa vocazione, stava però stretto a Bernardo, che, in cerca di solitudine, ma anche di luoghi aperti e ameni per essere a più stretto contatto con Dio, lasciò Citeaux. Il nuovo luogo sarà ancor più distante dal consesso civile, e si chiamerà Clairvaux , in italiano Chiaravalle. Qui divenne abate e qui rimase fino alla morte, avvenuta nel 1156, nonostante numerosi viaggi, dispute ( celeberrima quella con Abelardo), la predicazione della seconda crociata e l’amministrazione spirituale di un ordine, che alla sua morte contava più di 300 monasteri. 

Possiamo dire che i quattro padri dell’ordine cistercense fondarono una vera e propria scuola di spiritualità, di cui San Bernardo costituisce il maestro indiscusso ed il punto di riferimento per le future generazioni di monaci. La sua devozione per la vergine Maria e per il Bambin Gesù rimane una caratteristica della sua spiritualità. La tradizione di chiudere la giornata di preghiera con il Salve Regina deriva proprio da una sua idea. Egli prediligeva per la preghiera luoghi aperti ed ameni, valli luminose ed vicine ai corsi d’acqua. Da qui l’abitudine, tutta cistercense, di fondare monasteri nelle valli. Ben tre città in Italia ci ricordano quindi, con il nome Chiaravalle, la loro fondazione per opera dei monaci di San Bernardo. Umiltà, amore verso Dio con un cammino di unione del cuore, duro lavoro nei campi e profonda devozione mariana sono alcuni dei tratti della spiritualità di San Bernardo. Spirito che si riversa anche nelle strutture architettoniche dei monasteri e delle chiese abbaziali, prive o quasi di decorazioni e tutte slanciate verso l’alto. La sua riforma spirituale quindi segna il passaggio nell’arte dal romanico al gotico. Egli, come tutta la spiritualità monastica, vede la vita spirituale come un cammino fatto di gradi di perfezione, per essere sempre più uniti all’amore di Dio. Amore che si riversa poi sul prossimo, in quanto si ha la piena consapevolezza di essere tutti peccatori.  Egli fu anche scrittore molto prolifico: trattati, lettere, prediche, poemi, un “corpus” di scritti che occupa un posto molto rilevante nella storia medievale, e che lo pone come il terzo “padre” medievale, dopo S. Gregorio Magno e S. Benedetto da Norcia. Tra le opere più importanti si possono ricordare « De gradibus humilitatis et superbiae« , « De gratia et libero arbitrio« , « De diligendo Deo ». Egli fu quindi quel faro di luce spirituale che avrebbe illuminato tutta l’Europa occidentale del XII secolo. Fu infatti capace di recuperare in maniera originale  e geniale tutto il pensiero cristiano precedente a lui, pur in una prospettiva monastica e benedettina. Egli, a differenza dei clunicensi, non vede infatti l’uomo semplicemente come un peccatore, ma come una creatura buona, capace cioè di recuperare sempre la dimensione d’amore verso Dio e verso il prossimo. L’uomo, con il peccato ha deformato questa immagine, ma proprio attraverso l’ Incarnazione del Figlio di Dio e la disponibilità di Maria Santissima,  Dio può riformare l’uomo a sua immagine. L’uomo è chiamato a prendere parte a questa opera, con la conversione e l’ascesa dell’anima verso Dio, descritta nel trattato De diligendo Deo. L’Incarnazione quindi occupa un posto centrale nella spiritualità cistercense. Questa esperienza chiama l’uomo alla sequela di Cristo, fatta nell’oscurità della fede, si attua nella carità. 

Ma San Bernardo non fu solo un mistico chiuso in un monastero, lontano dal mondo e tutto teso alla ricerca spirituale di comunione con Dio. Egli, spirito indomito e combattente, vero cavaliere dello Spirito, partecipò attivamente anche alle turbolente vicende della Chiesa e dell’Europa occidentale del suo tempo. Infatti predicò, su ordine di papa Eugenio III,  la seconda Crociata, quella di Luigi VII, Riccardo Cuor di Leone e Federico Barbarossa (1148-1151), aiutò papa Innocenzo II, fuggito a Cluny dopo l’elezione dell’antipapa Anacleto. Al Concilio di Etampes, grazie al suo intervento, il re Luigi VI  riconobbe Innocenzo come il legittimo papa. Intervenne anche al famoso Concilio di Troyes (1128) che segna la fondazione dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio (Templari), un mito ancor oggi intramontabile. Per la prima volta infatti i due ordini, bellatores e oratores , cioè cavalieri e monaci, distinti nella società feudale, vengono fusi in uno solo, con lo scopo di difendere i pellegrini in Terra Santa e i luoghi della vita di Cristo. Fu anche impegnato nella disputa con Abelardo e con i nuovi maestri di filosofia che ai suoi occhi pretendevano di spiegare la fede con la ragione, ed alla fine ne ottenne la condanna al concilio di Sains (1140). Erano due personalità forti, i due, ed esprimevano, ognuno nella sua ottica, due modi di vedere il ruolo della fede e della ragione che sono ancor oggi presenti in terra di Francia. 

     In effetti San Bernardo rivolse parole di esortazione e di rimprovero, di incoraggiamento e di aiuto, di luce  spirituale e di fede a tutte le categorie della società del suo tempo, divenendo un punto di riferimento per la sua epoca. Senza di lui il XII e la civiltà feudale che egli rappresenta forse non sarebbe stata gli stessi. Ma fondamentalmente egli fu prima di tutto un uomo di preghiera in un tempo di guerre, crociate, odi e violenze private. Mi ha colpito molto una frase che introduce il suo “De diligendo Deo”, quando all’inizio dice: 

  

In Dio voglio vivere e in Dio morire: per me preghiere e non domande.” 

 

(Domino vivere et in Domino mori. Orationes a me et non quaestiones) 

 

  

 

Un uomo che quindi prediligeva la preghiera alle dispute filosofiche (dette appunto quaestiones)  e che preferì la quiete del monastero alla nobile arte della cavalleria e della guerra. Una scelta quanto mai attuale. 

 

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 12 février, 2008 |Pas de commentaires »

Accogliamo la luce viva ed eterna

dal mio libro della Liturgia delle ore, seconda lettura dell?ufficio delle Letture di oggi: 

 

Seconda Lettura

Dai «Discorsi» di san Sofronio, vescovo
(Disc. 3, sull’«Hypapante» 6, 7; PG 87, 3, 3291-3293)

Accogliamo la luce viva ed eterna


Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi e tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.
La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.
La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1, 9) è venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene. 

 

Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici« di san Bernardo, abate

dal mio libro della Liturgia delle ore: 

 

Seconda Lettura
Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici« di san Bernardo, abate
(Disc. 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151)

Dove ha abbondato il delitto, ha abbandonato ancor più la grazia 


Dove trovano sicurezza e riposo i deboli se non nelle ferite del Salvatore? Io vi abito tanto più sicuro, quanto più egli è potente nel salvarmi. Il mondo freme, il corpo preme, il diavolo mi tende insidie, ma io non cado perché sono fondato su salda roccia. Ho commesso una grave peccato; la coscienza si turberà, ma non ne sarà scossa perché mi ricorderò delle ferite del Signore. Infatti «è stato trafitto per i nostri delitti» (Is 53, 5). Che cosa vi è di tanto mortale che non possa essere disciolto dalla morte di Cristo? Se adunque mi verrà alla memoria un rimedio tanto potente ed efficace, non posso più essere turbato da nessuna malattia per quanto maligna.
E perciò è evidente che ha sbagliato colui che disse: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono» (Gn 4, 13). Il fatto è che non era membro di Cristo, né gli importava nulla dei meriti di Cristo. Così non se li attribuiva come propri e non diceva suo quello che era realmente suo come doveva fare, essendo il membro tutta cosa del capo.
Io invece, quanto mi manca, me lo approprio con fiducia dal cuore del Signore, perché è pieno di misericordia, né mancano le vie attraverso le quali emana le grazie.
Hanno trapassato le sue mani e i suoi piedi, e squarciato il petto con la lancia; e attraverso queste ferite io posso «succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia» (Dt 32, 13), cioè gustare e sperimentare quanto è buono il Signore (cfr. Sal 33, 9).
Egli nutriva pensieri di pace ed io non lo sapevo. «Infatti chi conobbe il pensiero del Signore? O chi fu il suo consigliere?» (cfr. Rm 11, 34). Ora il chiodo che è penetrato, è diventato per me una chiave che apre, onde io possa gustare la dolcezza del Signore. Cosa vedo attraverso la ferita? il chiodo ha una sua voce, la ferita grida che Dio è davvero presente in Cristo e riconcilia a sé il mondo. La spada ha trapassato la sua anima e il suo cuore si è fatto vicino (cfr. Sal 114, 18; 54, 22), per cui sa ormai essere compassionevole di fronte alle mie debolezze.
Attraverso le ferite del corpo si manifesta l’arcana carità del suo cuore, si fa palese il grande mistero dell’amore, si mostrano le viscere di misericordia del nostro Dio, per cui ci visiterà un sole che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78).
E perché le viscere non dovrebbero rivelarsi attraverso le ferite? Infatti in qual altro modo se non attraverso le tue ferite sarebbe brillato più chiaramente che tu, o Signore, sei soave e mite e di infinita misericordia? Nessuno infatti dimostra maggior amore che quando dà la sua vita per chi è condannato a morte.
Mio merito perciò è la misericordia di Dio. Non sono certamente povero di meriti finché lui sarà ricco di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, io pure abbonderò nei meriti.
Ma che dire se la coscienza mi rimorde per i molti peccati? «Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5, 20). E se la misericordia di Dio è eterna, io pure canterò per l’eternità le misericordie del Signore (cfr. Sal 88, 2). E che ne è della mia giustizia? O Signore, mi rammenterò soltanto della tua giustizia (cfr. Sal 10, 16). Infatti essa è anche mia, perché tu sei diventato per me giustizia da parte di Dio. 

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno: Il battesimo di Gesù

UFFICIO DELLE LETTURE DI QUESTA MATTINA

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20; PG 36, 350-351. 354. 358-359)

Il battesimo di Gesù

Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria.
Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell’acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne santifica nello Spirito e nell’acqua.
Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste. 
«Sono io che devo ricevere da te il battesimo» (Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole, la voce alla Parola, l’amico allo Sposo, colui che è il più grande tra i nati di donna a colui che è il primogenito di ogni creatura, colui che nel ventre della madre sussultò di gioia a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, ricevette la sua adorazione, colui che precorreva e che avrebbe ancora precorso, a colui che era già apparso e sarebbe nuovamente apparso a suo tempo.
«Io devo ricevere il battesimo da te» e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.
Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante.
E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza.
Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio.
Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa.
Purificatevi totalmente e progredite in questa purezza. Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell’uomo. Per l’uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione.
Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen. 

San Girolamo : La sapienza del Creatore di rispecchia nel creato

dal sito: 

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20021122_girolamo_it.html

San Girolamo, Commento a Isaia, 6,1-7 

La sapienza del Creatore di rispecchia nel creato

« Quello che Dio ha creato è in sé compiuto, per la sua sapienza e la sua intelligenza. È falsa l’opinione di alcuni filosofi, che tutto sia cominciato per caso, senza provvidenza alcuna: tutto ciò che è casuale non manifesta né ordine, né piano. Ciò invece che si richiama necessariamente all’arte costruttrice rivelantesi in tutte le cose, dà chiara testimonianza, se ben lo si considera, della sapienza di quell’artefice che agiva non solo quando produceva il mondo, ma anche quando nel suo intimo ne preparava il piano. Per questo da tutto il creato risplende a noi la sapienza di Dio. Nulla di ciò che è stato creato, è stato fatto senza motivo e senza fine utile; il fine utile, poi, ha in se stesso la sua bellezza, e la bellezza viene esaltata dal fine utile. L’unica materia degli elementi assume diverse forme, per illustrare in mille modi la preveggenza divina. 

Anche il salmista aveva davanti agli occhi questa verità quando iniziando la lode a Dio, diceva: Magnifiche sono le tue opere, e io le conosco molto (Sal 138,14), e il profeta con lui concorda dicendo: Io ho considerato le tue opere e mi sono spaventato (Ab 3,2: LXX). Anche la frase della Scrittura: Ecco: tutto era molto buono (Gen 1,31) ci spinge ad ammettere che il creato non deve la sua origine al caso, perché tutto è stato fatto secondo il sapiente piano di Dio; per questo si rivelano ovunque magnificenza, bellezza e stupenda armonia, nonostante la diversità di tutte le creature. Un santo profeta dice: I cieli narrano la gloria di Dio (Sal 18,2): non certo che i cieli muovano bocca, lingua e trachea per parlare, ma con la loro armonia e con il loro eterno servizio annunciano la volontà del Creatore. Riflettendo, infatti, dalla grandezza e dalla bellezza delle cose create noi possiamo riconoscerne l’autore: il Dio invisibile si manifesta, fin dalla creazione del mondo, nelle cose create. 

Noi dunque non possiamo sapere ciò che Dio è; ma che egli esiste, noi lo sappiamo – non per le nostre forze ma per la sua misericordia – considerando nelle sue opere la sapienza del creatore. Di fronte a una nave o a un edificio, non pensiamo noi forse al costruttore o all’architetto, dato che dalle opere noi deduciamo la corrispondente perizia costruttrice? Davanti a tutte le cose realizzabili solo ad opera della ragione, noi ci appelliamo a una mente, anche se non la vediamo. Così Dio è conosciuto nel suo creato e, in un certo senso, esce dalla sua invisibilità. Né i cieli, infatti, né i serafini o tutte le altre creature possono coprire Dio o renderlo invisibile. Egli è in tutte le cose e in tutti i luoghi; è al di sopra di tutte le cose e compenetra tutto il mondo visibile e invisibile; egli regge e contiene tutto; egli non passa da luogo in luogo, ma comprende tutto nello stesso modo con la sua mente. In questa vi è la spiegazione perché la massa della terra, rassodata dalla sua volontà, si scuota di nuovo al suo cenno, tanto da riempire d’angoscia i cuori mortali, bisognosi di correzione. In essa vi è la spiegazione perché il mare si dilati quando le acque rompono i loro vincoli, e poi i flutti si infrangano nella risacca e si fermino, quando giungono ai confini da lui stabiliti. E anche perché l’anno si divida in quattro stagioni, perché nel susseguirsi di questi periodi, in seguito ai mutamenti climatici, i semi crescano, i germogli si nutrano giungendo a maturità sotto il raggio del sole. Dio illumina con la sua luce anche le creature intelligenti e invisibili, perché esse restino sempre nel suo amore e non inclinino mai verso i beni terreni. »

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 5 janvier, 2008 |Pas de commentaires »

Saremo saziati dalla visione del Verbo

dall’Ufficio delle letture di questa mattina 5.1.2008, seconda lettura: 

Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 194, 3-4; Pl 38, 1016-1017)

Saremo saziati dalla visione del Verbo 

Chi potrà mai conoscere tutti i tesori di sapienza e di scienza che Cristo racchiude in sé, nascosti nella povertà della sua carne? «Per noi, da ricco che era, egli si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (cfr. 2 Cor 8, 9). Assumendo la mortalità dell’uomo e subendo nella sua persona la morte, egli si mostrò a noi nella povertà della condizione umana: non perdette però le sue ricchezze quasi gli fossero state tolte, ma ne promise la rivelazione nel futuro. Quale immensa ricchezza serba a chi lo teme e dona pienamente a quelli che sperano in lui!
Le nostre conoscenze sono ora imperfette e incomplete, finché non venga il perfetto e il completo. Ma proprio per renderci capaci di questo egli, che è uguale al Padre nella forma di Dio e simile a noi nella forma di servo, ci trasforma a somiglianza di Dio. Divenuto figlio dell’uomo, lui unico figlio di Dio, rende figli di Dio molti figli degli uomini. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio.
Infatti «noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2). Ma che cosa sono quei tesori di sapienza e di scienza, che cosa quelle ricchezze divine, se non la grande realtà capace di colmarci pienamente? Che cosa è quell’abbondanza di dolcezza se non ciò che è capace di saziarci?
Dunque: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14, 8). E in un salmo una voce, che ci interpreta o parla per noi, dice rivolgendosi a lui: «Sarò saziato all’apparire della tua gloria» (cfr. Sal 16, 15). Egli e il Padre sono una cosa sola e chi vede lui vede anche il Padre. «Il Signore degli eserciti è il re della gloria» (Sal 23, 10). Facendoci volgere a lui, ci mostrerà il suo volto e saremo salvi; allora saremo saziati e ci basterà.
Ma fino a quando questo non avvenga e non ci sia mostrato quello che ci appagherà, fino a quando non berremo a quella fonte di vita che ci farà sazi, mentre noi camminiamo nella fede, pellegrini lontani da lui, e abbiamo fame e sete di giustizia e aneliamo con indicibile desiderio alla bellezza di Cristo che si svelerà nella forma di Dio, celebriamo con devozione il Natale di Cristo nato nella forma di servo.
Se non possiamo ancora contemplarlo perché è stato generato dal Padre prima dell’aurora, festeggiamolo perché nella notte è nato dalla Vergine. Se non lo comprendiamo ancora, perché il suo nome rimane davanti al sole (cfr. Sal 71, 17), riconosciamo il suo tabernacolo posto nel sole. Se ancora non vediamo l’Unigenito che rimane nel Padre, ricordiamo «lo sposo che esce dalla stanza nuziale» (cfr. Sal 18, 6). Se ancora non siamo preparati al banchetto del nostro Padre, riconosciamo il presepe del nostro Signore Gesù Cristo. 

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 5 janvier, 2008 |Pas de commentaires »

L’AVVENTO CON SANT’AGOSTINO, 3° settimana – martedì, Dai « Discorsi » di Sant’Agostino Vescovo

dal sito: 

http://www.sant-agostino.it/varie/avvento/avvento.htm

L’AVVENTO CON SANT’AGOSTINO 

3° settimana – martedì 

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 380, 1-2) 

Le due nascite del Signore 

Conosciamo due nascite del Signore: una divina e una umana, mirabili entrambe; nella prima non v’è madre, nell’altra non v’è padre; la nascita eterna fu volta a creare la nascita nel tempo, la nascita nel tempo a donare la nascita eterna. Di lui infatti scrive Giovanni l’Evangelista: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; e ancora: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto (Gv 1, 1.3). Uguale al Padre nella sua grandezza in quanto Dio, creatore del tempo in quanto fuori dal tempo, giudice del tempo in quanto prima del tempo, egli si fece così piccolo da nascere da una donna; ma conservò la sua grandezza, non separandosi dal Padre. A lui resero ossequio e testimonianza tutti i Profeti, quelli venuti prima della sua nascita ad annunciarla, come lampade che precedono il giorno, e quelli venuti dopo la sua nascita, che aderirono a lui con la fede. Si doveva preannunciare che sarebbe venuto, che avrebbe fatto miracoli, e i miracoli dovevano rivelarlo Dio a chi ben intende; ma a chi lo guardava doveva anche mostrarsi uomo nel suo aspetto di uomo: piccolo per i piccoli, umile per i superbi. Con il suo farsi piccolo insegnò all’uomo a riconoscersi piccolo e a non credersi grande per essersi gonfiato, senza essere realmente cresciuto. La superbia non è grandezza, ma boria. Egli volle guarire il genere umano dalla vanagloria, facendosi lui stesso medico e medicina; non diede una medicina, ma si fece lui medicina. Per questo apparve uomo tra gli uomini, mostrandosi uomo a chi lo vedeva, riservandosi Dio per chi aveva fede. La vita dell’uomo Gesù fece guarire i malati, ma solo uomini forti sono in grado di contemplare la sua divinità. Poiché allora gli uomini non erano in grado di vedere Dio nell’uomo, non potevano vedere in lui che l’uomo. Ma in un uomo non si deve riporre la speranza. E allora? Un uomo lo si può guardare, non lo si deve seguire. Gli uomini dovevano seguire Dio che non potevano vedere, non l’uomo che potevano vedere. Ecco dunque che Dio si è fatto uomo per rivelarsi all’uomo in modo che lo potesse vedere e seguire. E se Dio si è fatto uomo per te, uomo, ti devi credere davvero cosa grande; ma ti devi abbassare per poter salire, perché anche Dio si è fatto uomo abbassandosi. Attàccati alla medicina che ti cura, imita chi si è fatto tuo maestro, riconosci il tuo Signore, abbraccia in lui il fratello, riconosci il tuo Dio.  

Dalle « Esposizioni sui Salmi » di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 120, 3): Vigili ed operosi in attesa della venuta di Cristo

dal sito: 

http://www.sant-agostino.it/varie/avvento/avvento_settimana_1.htm

Dalle « Esposizioni sui Salmi » di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 120, 3) 

Vigili ed operosi in attesa della venuta di Cristo 

Siete certamente persuasi che l’ora del Signore viene come un ladro di notte. Se il padrone di casa sapesse l’ora in cui il ladro viene, in verità vi dico, non permetterebbe certo che la parete della sua casa venisse sfondata (Mt 24, 43). Voi osservate: Ma se la sua ora viene come il ladro, chi potrà sapere quando verrà? Se non sai a che ora viene, sta’ sempre desto affinché, non sapendo l’ora in cui viene, ti trovi sempre pronto alla sua venuta. Anzi, il non conoscere l’ora della sua venuta mira forse proprio a questo: a farti stare sempre pronto. Se quel padrone di casa fu sorpreso dal giungere improvviso dell’ora, fu perché si trattava – almeno così è presentato – di un padrone superbo. Non voler essere un padrone e l’ora non ti prenderà alla sprovvista. Ma cosa dovrò essere?, chiederai. Una persona come quella descritta nel salmo: Io sono povero e dolente (Sal 68, 30). Se sarai povero e dolente, non sarai un padrone che l’ora, venendo repentina, sorprenderà e repentinamente abbatterà. Padroni di questo tipo sono tutti coloro che, facendo assegnamento su se stessi e le proprie cupidigie, diventano gonfi d’orgoglio, anche se poi finiscono con lo squagliarsi nelle delizie di questo mondo. Essi si innalzano a danno degli umili e maltrattano i santi, che hanno compreso essere stretta la via per la quale si va alla vita (Mt 7, 14). Gente siffatta verrà colta di sorpresa da quell’ora, somigliando nella loro vita a quei tali che vivevano all’epoca di Noè. Ne avete udita or ora la descrizione fatta dal Vangelo. Dice: La venuta del Figlio dell’uomo sarà come ai giorni di Noè. Mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, piantavano vigne, costruivano case, fino a che Noè non entrò nell’arca e venne il diluvio che li disperse tutti (Mt 24, 37-39; Lc 17, 26-27). Che dire? Andranno davvero tutti in rovina coloro che fanno queste cose? Coloro che si maritano o prendono moglie? Coloro che piantano vigne o costruiscono case? No, ma vi andranno coloro che tali cose sopravvalutano, che le preferiscono a Dio e per esse sono disposti a offendere disinvoltamente Dio. Diametralmente opposti sono coloro che di tutte queste cose o non si servono per nulla o se ne servono come persone non asservite ad esse. Fanno assegnamento più sull’Autore dei doni ricevuti che non sulle cose ricevute in dono; e, quanto alle cose in se stesse, vi vedono un tratto della sua misericordia che viene a consolarli. Per cui non si appagano dei doni per non precipitare lontano dal Donatore. Persone di questo genere non saranno prese alla sprovvista dal giungere di quell’ora, che sarà come il giungere di un ladro. A loro diceva l’Apostolo: Voi non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno vi abbia a sorprendere come un ladro, poiché siete tutti figli della luce e figli del giorno (1 Ts 5, 4-5). 

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 3 décembre, 2007 |Pas de commentaires »

Basilio il Grande, Esamerone, 2,7 – Grandiosità e bellezza della luce

dal sito:

http://www.novena.it/padri/37.htm

Basilio il Grande, Esamerone, 2,7 

Grandiosità e bellezza della luce

« E Dio disse: «Sia la luce» (Gen 1,3)! La prima parola di Dio creò la luce, dissipò le tenebre, allontanò la tristezza, illuminò il cosmo, rivestì ogni cosa di un aspetto gradevole e giocondo. Apparve, infatti anche il cielo, prima nascosto nelle tenebre; apparve la sua bellezza, tanto grande come anche adesso gli occhi possono testimoniare. L’aria stessa brillava, o meglio tratteneva in sé tutta la luce, inviandone grandiose inondazioni per tutta la sua estensione. Attraverso l’aria, infatti, la luce giunse, in alto, sino all’etere e al cielo; in latitudine, illuminò tutte le regioni del mondo: da quella boreale a quella australe, dall’oriente all’occidente; tutto nel breve spazio di un momento. L’atmosfera, infatti, è così sottile e trasparente che la luce, per attraversarla non ha bisogno di alcun intervallo di tempo. Come il nostro sguardo percepisce immediatamente gli oggetti sui quali si posa, con altrettanta rapidità, in un tempo che nessuno potrebbe immaginarsi più breve, l’atmosfera accoglie dappertutto i raggi della luce. Dopo l’apparizione della luce, anche il cielo divenne più giocondo e le acque più limpide, non soltanto accogliendo la luce, ma anche riflettendola in ogni punto con innumerevoli scintillii. La parola divina donò ad ogni cosa un aspetto bellissimo e piacevolissimo. Come coloro che, immergendosi, versano dell’olio in fondo all’acqua, per rischiarare quel punto; allo stesso modo il Creatore, non appena ebbe parlato, subito recò al mondo la grazia della luce. «Sia la luce». E il comando era subito attuato, così fu creato qualcosa di cui la mente umana non può immaginare nulla di più giocondo e di più bello. Quando poi parliamo della voce o della parola o del comando di Dio, non intendiamo affermare che la parola divina costituisca un suono emesso attraverso le corde vocali né una quantità d’aria regolata dalla lingua; riteniamo, invece, che, in modo più comprensibile per coloro che vengono istruiti, essa rappresenti l’impulso della volontà divina, significato sotto la forma del comando. E Dio vide che la luce era bella (Gen 1,4). Quali lodi potremmo noi mai pronunciare, che siano degne della luce, dal momento che il Creatore stesso l’ha riconosciuta bella fin dal principio? »

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 5 septembre, 2007 |Pas de commentaires »
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