San Gregorio Magno, Papa

oggi San Gregorio Magno Papa, dal sito:
http://www.enrosadira.it/santi/g/gregorio1.htm
Dalle « Omelie su Ezechiele » di san Gregorio Magno, papa
« Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele » (ez 3, 16). E’ da notare che quando il Signore manda uno a predicare, lo chiama col nome di sentinella. La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. Chiunque é posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza. Come mi suonano dure queste parole che dico! Così parlando, ferisco m stesso, poiché né la mia lingua esercita come si conviene la predicazione, né la mia vita segue la lingua, anche quando questa fa quello che può. Ora io non nego di essere colpevole, e vedo la mai lentezza e negligenza. Forse lo steso riconoscimento della mia colpa mi otterrà perdono presso il giudice pietoso. Certo, quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalla parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell’ufficio pastorale, l’animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché é diviso tra molte faccende. Sono costretto a trattare ora le questioni delle chiese, ora dei monasteri, spesso a esaminare la vita e le azioni dei singoli; ora ad interesserarmi di faccende private dei cittadini; ora a gemere sotto le spade irrompenti dei barbari e a temere i lupi che insidiano il gregge affidatomi. Ora debbo darmi pensiero di cose materiali, perché non manchno opportun aiuti a tutti coloro che la regola della disciplina tiene vincolati. A volte debbo sopportare con animo imperturbato certi predoni, altre volte affrontarli, cercando tuttavia di conservare la carità. Quando dunque la mente divisa e dilaniata si porta a considerare una mole così grande e così vasta di questioni, come potrebbe rientrare in se stessa, per dedicarsi tutta alla predicazione e non allontanarsi dal ministero della parola? Siccome poi per necessità di ufficio debbo trattare con uomini del mondo, talvolta non bado a tenere a freno la lingua. Se infatti mi tengo nel costante rigore della vigilanza su me stesso, so che i più deboli mi sfuggono e non riuscirò mai a portarli dove io desidero. Per questo succede che molte volte sto ad ascoltare pazientemente le loro parole inutili. E poiché anch’io sono debole, trascinato un poco in discorsi vani, finisco per parlare volentieri di ciò che avevo cominciato ad ascoltare contro voglia, e di starmene piacevolmente a giacere dove mi rincresceva di cadere. Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza? Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l’elevatezza della vita e l’efficenza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di lui. (Lib. 1, 11, 4-6; CCL 142, 170-172
posto la storia di San Luigi IX, Re di Francia, per noi è memoria facoltativa, per la Francia non lo so se è festa, non lo trovo scritto, comunque i santi sono un dono per tutti anche se in un luogo vengono celebrati come festa ed in un altro come memoria, quello che mi stupisce è che i grandi Padri della Chiesa, molti di essi, sono memoria facoltativa, certo non si può fare la festa per tutti i santi, la liturgia del tempo deve scorrere, comunque dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/29000
San Ludovico (Luigi IX) Re di Francia 25 agosto – Memoria Facoltativa Poissy, 25 aprile 1215 – Tunisi, 25 agosto 1270
Luigi IX, sovrano di Francia, nacque il 25 aprile 1215 in Poissy. Incoronato re di Francia, Luigi si assunse il compito, davanti a Dio e agli uomini, di diffondere il Vangelo. Nell’anno 1244 fu sorpreso da una fortissima febbre. Guarito, volle di persona guidare una crociata per la liberazione della Terra Santa. Sbarcato in Egitto, presso la città di Damietta, attaccò con successo i Saraceni. Ma una terribile pestilenza decimò l’esercito crociato, colpendo lo stesso re. Assalito nuovamente dai Turchi, venne sconfitto e fatto prigioniero. Dopo essere stato rilasciato, proseguì come pellegrino per la Terra Santa, dove compì numerose opere di bene. Tornato in Francia, governò con giustizia e cristiana pietà, fondando la Sorbona e preparando una nuova crociata. Ma a Tunisi una nuova epidemia colpì l’esercito. Luigi IX, sentendosi morire, si fece adagiare con le braccia incrociate sopra un letto coperto di cenere e cilicio, dove spirò. Era il 25 agosto del 1270. (Avvenire) Patronato:Re, Ordine Francescano Secolare Etimologia:Ludovico = variante di Clodoveo Emblema:Corona, Globo E’ presente nel Martirologio Romano.
S. Luigi IX, re di Francia, nacque il 25 aprile 1215 in Poissy, dove ricevette anche il Battesimo. Ebbe per genitori Luigi VIII e la regina Bianca di Castiglia, donna di grande pietà e virtù.
A questo giovane principe la mamma procurò di ispirare fin dalla prima infanzia un singolare amore alla virtù e un grande orrore per il peccato, ripetendogli spesso quelle celebri parole: “Figliolo mio, vorrei piuttosto vederti morto, anzichè macchiato di un sol peccato mortale e in disgrazia di Dio”. Questa massima fece così grande impressione sul cuore di Luigi che se ne ricordò per tutta la sua vita.
Giunto alla maggiore età, venne consacrato e coronato re di Francia e Luigi riguardò poi sempre la sua consacrazione non come una semplice cerimonia, ma come un impegno e un obbligo che egli assumeva davanti a Dio e agli uomini di far regnare Gesù Cristo in tutti i suoi stati.
Gluidato da maestri dotati di pietà e di scienza, Luigi arrivò alla giovinezza così serio e dedito ai suoi doveri, così pio e virtuoso, che pareva immune da ogni passione. Semplice e modesto curava di conciliarsi il rispetto del popolo non tanto con il fasto esteriore, quanto con le opere buone e con un buon governo.
Per riempirsi la mente e il cuore di massime sante e di elevati sentimenti egli leggeva continuamente la Sacra Scrittura e le opere dei Santi Padri e ne consigliava la lettura anche ai suoi cortigiani.
In lui il valore si congiungeva alla pietà, senza nulla perdere del suo splendore.
Nell’anno 1244 fu sorpreso da un’ardentissima febbre per cui tutto il popolo, dolente, offrì a Dio fervide preghiere, ottenendone la guarigione. Guarito, volle di persona guidare una crociata per la liberazione della Terra Santa.
Sbarcato in Egitto, presso la città di Damietta, attaccò i Saraceni e li vinse: ma iniziata la marcia verso l’interno, una terribile pestilenza decimò l’esercito crociato e colpì lo stesso sovrano. Assalito nuovamente dai Turchi, venne facilmente sconfitto e fatto prigioniero.
Venuto a patti con il vincitore, potè liberare gran parte dei suoi soldati, soccorrere i feriti e proseguire come pellegrino per la Terra Santa. Qui mise mano a opere di cristiana e regale pietà che però dovette interrompere per far ritorno in Francia, essendogli in questo frattempo morta la madre. Si occupò del riordinamento del regno, e governò con somma giustizia e cristiana pietà. Abolì il duello giudiziario, fondò la Sorbona, la Santa Cappella, e si preparò a una nuova crociata.
Ma a Tunisi una nuova epidemia colpì l’esercito e lo stesso re, sentendosi morire, domandò gli ultimi Sacramenti. Fattosi poi adagiare sopra un letto coperto di cenere e cilicio, con le braccia incrociate sul petto, spirò pronunziando le parole: “Entrerò nella tua casa, o Signore, ti adorerò nel tuo tempio santo e glorificherò il tuo nome”. Era il 25 agosto del 1270.
Autore: Antonio Galuzzi
Preghiera di San Francesco D’Assisi, dal sito:
http://www.maranatha.it/Franchiara/Franc03Page.htm
Preghiera di Lode e Ringraziamento
Onnipotente, santissimo, altissimo, sommo Dio,
Padre santo e giusto,
Signore Re del cielo e della terra,
ti rendiamo grazie per il fatto stesso che tu esisti,
ed anche perché con un gesto della tua volontà,
per l’unico tuo Figlio e nello Spirito Santo,
hai creato tutte le cose visibili ed invisibili
e noi, fatti a tua immagine e somiglianza,
avevi destinato a vivere felici in un paradiso
dal quale unicamente per colpa nostra
siano stati allontanati.
E ti rendiamo grazie, perché,
come per il Figlio tuo ci creasti,
così a causa del vero e santo amore
con il quale ci hai amati,
hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo
dalla gloriosa sempre vergine beatissima santa Maria
e hai voluto che per mezzo della croce,
del sangue e della morte di lui
noi fossimo liberati dalla schiavitù del peccato.
E ti rendiamo grazie, perché
lo stesso tuo Figlio ritornerà nella gloria
della sua maestà,
per mandare nel fuoco eterno
gli empi che non fecero penitenza
e non vollero conoscere il tuo amore
e per dire a quelli che ti conobbero,
adorarono, servirono
e si pentirono dei loro peccati. Venite Benedetti del Padre mio:
entrate in possesso del regno
che è stato preparato per voi,
fin dalla creazione del mondo! (Mt. 25, 34).
E poiché noi, miseri e peccatori,
non siamo nemmeno degni di nominarti
ti preghiamo e ti supplichiamo,
perché il Signore nostro Gesù Cristo,
il Figlio che tu ami
e che a te basta sempre e in tutto,
per il quale hai concesso a noi cose così grandi,
insieme con lo Spirito Santo Paraclito,
ti renda grazie per ogni cosa
in modo degno e a te gradito.
E umilmente preghiamo in nome del tuo amore
la beatissima Maria sempre vergine,
i beati Michele, Gabriele, Raffaele
e tutti gli angeli,
i beati Giovanni Battista e Giovanni evangelista,
Pietro e Paolo,
i beati patriarchi, profeti, innocenti,
apostoli, evangelisti, discepoli,
martiri, confessori, vergini,
i beati Elia ed Enoc,
e tutti i santi che furono, che sono e che saranno,
perché, come essi possono fare,
rendano grazie a te,
per tutto il bene che ci hai fatto,
o sommo Dio, eterno e vivo,
con il Figlio tuo diletto,
Signore nostro Gesù Cristo
e con lo Spirito Paraclito
nei secoli dei secoli.
Amen
dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/21400
San Bartolomeo Apostolo, Festa
Primo secolo dell’èra cristiana
Apostolo martire nato nel I secolo a Cana, Galilea; morì verso la metà del I secolo probabilmente in Siria. La passione dell’apostolo Bartolomeo contiene molte incertezze: la storia della vita, delle opere e del martirio del santo è inframmezzata da numerosi eventi leggendari.Il vero nome dell’apostolo è Natanaele. Il nome Bartolomeo deriva probabilmente dall’aramaico «bar», figlio e «talmai», agricoltore. Bartolomeo giunse a Cristo tramite l’apostolo Filippo. Dopo la resurrezione di Cristo, Bartolomeo fu predicatore itinerante (in Armenia, India e Mesopotamia). Divenne famoso per la sua facoltà di guarire i malati e gli ossessi. Bartolomeo fu condannato alla morte Persiana: fu scorticato vivo e poi crocefisso dai pagani. La calotta cranica del martire Bartolomeo si trova dal 1238 nel duomo di San Bartolomeo, a Francoforte. Una delle usanze più note legate alla festa di San Bartolomeo é il pellegrinaggio di Alm: la domenica prima o dopo San Bartolomeo, gli abitanti della località austriaca di Alm si recano in pellegrinaggio a St. Bartholoma, sul Konigssee, nel Berchtesgaden. I primi pellegrinaggi risalgono al XV secolo e sono legati allo scioglimento di un voto perché cessasse un’epidemia di peste. (Avvenire)
Patronato:Diocesi Campobasso-Boiano
Etimologia:Bartolomeo = figlio del valoroso, dall’aramaico
Emblema:Coltello
E’ presente nel Martirologio Romano.
Non è di quelli che accorrono appena chiamati, anche se poi sarà capace di donarsi totalmente a una causa; ha le sue idee, le sue diffidenze e i suoi pregiudizi. I vangeli sinottici lo chiamano Bartolomeo, e in quello di Giovanni è indicato come Natanaele. Due nomi comunemente intesi il primo come patronimico (BarTalmai, figlio di Talmai, del valoroso) e il secondo come nome personale, col significato di “dono di Dio”.
Da Giovanni conosciamo la storia della sua adesione a Gesù, che non è immediata come altre. Di Gesù gli parla con entusiasmo Filippo, suo compaesano di Betsaida: « Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth ». Basta questo nome – Nazareth – a rovinare tutto. La risposta di Bartolomeo arriva inzuppata in un radicale pessimismo: « Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono? ». L’uomo della Betsaida imprenditoriale, col suo “mare di Galilea” e le aziende della pesca, davvero non spera nulla da quel paese di montanari rissosi.
Ma Filippo replica ai suoi pregiudizi col breve invito a conoscere prima di sentenziare: « Vieni e vedi ». Ed ecco che si vedono: Gesù e NatanaeleBartolomeo, che si sente dire: « Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità ». Spiazzato da questa fiducia, lui sa soltanto chiedere a Gesù come fa a conoscerlo. E la risposta (« Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico ») produce una sua inattesa e debordante manifestazione di fede: « Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele! ». Quest’uomo diffidente è in realtà pronto all’adesione più entusiastica, tanto che Gesù comincia un po’ a orientarlo: « Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico credi? Vedrai cose maggiori di questa ».
Troviamo poi Bartolomeo scelto da Gesù con altri undici discepoli per farne i suoi inviati, gli Apostoli. Poi gli Atti lo elencano a Gerusalemme con gli altri, « assidui e concordi nella preghiera ». E anche per Bartolomeo (come per Andrea, Tommaso, Matteo, Simone lo Zelota, Giuda Taddeo, Filippo e Mattia) dopo questa citazione cala il silenzio dei testi canonici.
Ne parlano le leggende, storicamente inattendibili. Alcune lo dicono missionario in India e in Armenia, dove avrebbe convertito anche il re, subendo però un martirio tremendo: scuoiato vivo e decapitato. Queste leggende erano anche un modo di spiegare l’espandersi del cristianesimo in luoghi remoti, per opera di sconosciuti. A tante Chiese, poi, proclamarsi fondate da apostoli dava un’indubbia autorità. La leggenda di san Bartolomeo è ricordata anche nel Giudizio Universale della Sistina: il santo mostra la pelle di cui lo hanno “svestito” gli aguzzini, e nei lineamenti del viso, deformati dalla sofferenza, Michelangelo ha voluto darci il proprio autoritratto.
http://santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=24050&pic=24050AB.JPG&dispsize=Original&start=0
dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/24050
San Bernardo – Digione, Francia 1090 – Chiaravalle-Clairvaux, 20 agosto 1153
A ventidue anni si fa monaco, tirando con sé una trentina di parenti. Il monastero è quello fondato da Roberto di Molesmes a Cîteaux (Cistercium in latino, da cui cistercensi). A 25 anni lo mandano a fondarne un altro a Clairvaux, campagna disabitata, che diventa la Clara Vallis sua e dei monaci. È riservato, quasi timido. Ma c’è il carattere. Papa e Chiesa sono le sue stelle fisse, ma tanti ecclesiastici gli vanno di traverso. È severo anche coi monaci di Cluny, secondo lui troppo levigati, con chiese troppo adorne, « mentre il povero ha fame ».
Ai suoi cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro. Scaglia sull’Europa incolta i suoi miti dissodatori, apostoli con la zappa, che mettono all’ordine la terra e l’acqua, e con esse gli animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea. E lui, il capo, è chiamato spesso a missioni di vertice, come quando percorre tutta l’Europa per farvi riconoscere il papa Innocenzo II (Gregorio Papareschi) insidiato dall’antipapa Pietro de’ Pierleoni (Anacleto II). E lo scisma finisce, con l’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà. Questo asceta, però, non sempre riesce ad apprezzare chi esplora altri percorsi di fede. Bernardo attacca duramente la dottrina trinitaria di Gilberto Porretano, vescovo di Poitiers. E fa condannare l’insegnamento di Pietro Abelardo (docente di teologia e logica a Parigi) che preannuncia Tommaso d’Aquino e Bonaventura.
Nel 1145 sale al pontificato il suo discepolo Bernardo dei Paganelli (Eugenio III), e lui gli manda un trattato buono per ogni papa, ma adattato per lui, con l’invito a non illudersi su chi ha intorno: « Puoi mostrarmene uno che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare ». Eugenio III lo chiama poi a predicare la crociata (la seconda) in difesa del regno cristiano di Gerusalemme. Ma l’impresa fallirà davanti a Damasco.
Bernardo arriva in una città e le strade si riempiono di gente. Ma, tornato in monastero, rieccolo obbediente alla regola come tutti: preghiera, digiuno, e tanto lavoro. Abbiamo di lui 331 sermoni, più 534 lettere, più i trattati famosi: su grazia e libero arbitrio, sul battesimo, sui doveri dei vescovi… E gli scritti, affettuosi su Maria madre di Gesù, che egli chiama mediatrice di grazie (ma non riconosce la dottrina dell’Immacolata Concezione).
Momenti amari negli ultimi anni: difficoltà nell’Ordine, la diffusione di eresie e la sofferenza fisica. Muore per tumore allo stomaco. È seppellito nella chiesa del monastero, ma con la Rivoluzione francese i resti andranno dispersi; tranne la testa, ora nella cattedrale di Troyes.
Alessandro III lo proclama santo nel 1174. Pio VIII, nel 1830, gli dà il titolo di Dottore della Chiesa.
Autore: Domenico Agasso
per la memoria di Massimiliano Maria Kolbe, dal sito Vaticano:
VIAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
IN POLONIA
DISCORSO DEL SANTO PADRE
VISITA AL CAMPO DI AUSCHWITZ
Auschwitz-Birkenau, 28 maggio 2006
Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa.
Ventisette anni fa, il 7 giugno 1979, era qui Papa Giovanni Paolo II; egli disse allora: « Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui… Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro della morte e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire qui come Papa ». Papa Giovanni Paolo II stava qui come figlio di quel popolo che, accanto al popolo ebraico, dovette soffrire di più in questo luogo e, in genere, nel corso della guerra: « Sono sei milioni di Polacchi, che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione”, ricordò allora il Papa. Qui egli elevò poi il solenne monito al rispetto dei diritti dell’uomo e delle nazioni, che prima di lui avevano elevato davanti al mondo i suoi Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, e aggiunse: “Pronuncia queste parole […] il figlio della nazione che nella sua storia remota e più recente ha subito dagli altri un molteplice travaglio. E non lo dice per accusare, ma per ricordare. Parla a nome di tutte le nazioni, i cui diritti vengono violati e dimenticati…”.
Papa Giovanni Paolo II era qui come figlio del popolo polacco. Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui. Il 7 giugno 1979 ero qui come Arcivescovo di Monaco-Frisinga tra i tanti Vescovi che accompagnavano il Papa, che lo ascoltavano e pregavano con lui. Nel 1980 sono poi tornato ancora una volta in questo luogo di orrore con una delegazione di Vescovi tedeschi, sconvolto a causa del male e grato per il fatto che sopra queste tenebre era sorta la stella della riconciliazione. È ancora questo lo scopo per cui mi trovo oggi qui: per implorare la grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto, e infine la grazia della riconciliazione per tutti coloro che, in quest’ora della nostra storia, soffrono in modo nuovo sotto il potere dell’odio e sotto la violenza fomentata dall’odio.
Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Déstati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!” (Sal 44,20.23-27). Questo grido d’angoscia che l’Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d’aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.
Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l’uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione. No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l’umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l’uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell’egoismo, della paura degli uomini, dell’indifferenza e dell’opportunismo. Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l’abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall’altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui. Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti. Il Dio, nel quale noi crediamo, è un Dio della ragione – di una ragione, però, che certamente non è una neutrale matematica dell’universo, ma che è una cosa sola con l’amore, col bene. Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché questa ragione, la ragione dell’amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell’irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio.
Il luogo in cui ci troviamo è un luogo della memoria, è il luogo della Shoa. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Come Giovanni Paolo II ho percorso il cammino lungo le lapidi che, nelle varie lingue, ricordano le vittime di questo luogo: sono lapidi in bielorusso, ceco, tedesco, francese, greco, ebraico, croato, italiano, yiddish, ungherese, neerlandese, norvegese, polacco, russo, rom, rumeno, slovacco, serbo, ucraino, giudeo-ispanico, inglese. Tutte queste lapidi commemorative parlano di dolore umano, ci lasciano intuire il cinismo di quel potere che trattava gli uomini come materiale non riconoscendoli come persone, nelle quali rifulge l’immagine di Dio. Alcune lapidi invitano ad una commemorazione particolare. C’è quella in lingua ebraica. I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall’elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: « Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello » si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all’uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo – a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte. C’è poi la lapide in lingua polacca: In una prima fase e innanzitutto si voleva eliminare l’élite culturale e cancellare così il popolo come soggetto storico autonomo per abbassarlo, nella misura in cui continuava ad esistere, a un popolo di schiavi. Un’altra lapide, che invita particolarmente a riflettere, è quella scritta nella lingua dei Sinti e dei Rom. Anche qui si voleva far scomparire un intero popolo che vive migrando in mezzo agli altri popoli. Esso veniva annoverato tra gli elementi inutili della storia universale, in una ideologia nella quale doveva contare ormai solo l’utile misurabile; tutto il resto, secondo i loro concetti, veniva classificato come lebensunwertes Leben – una vita indegna di essere vissuta. Poi c’è la lapide in russo che evoca l’immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati russi nello scontro con il regime del terrore nazionalsocialista; al contempo, però, ci fa riflettere sul tragico duplice significato della loro missione: hanno liberato i popoli da una dittatura, ma sottomettendo anche gli stessi popoli ad una nuova dittatura, quella di Stalin e dell’ideologia comunista. Anche tutte le altre lapidi nelle molte lingue dell’Europa ci parlano della sofferenza di uomini dell’intero continente; toccherebbero profondamente il nostro cuore, se non facessimo soltanto memoria delle vittime in modo globale, ma se invece vedessimo i volti delle singole persone che sono finite qui nel buio del terrore. Ho sentito come intimo dovere fermarmi in modo particolare anche davanti alla lapide in lingua tedesca. Da lì emerge davanti a noi il volto di Edith Stein, Theresia Benedicta a Cruce: ebrea e tedesca scomparsa, insieme con la sorella, nell’orrore della notte del campo di concentramento tedesco-nazista; come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia. Con profondo rispetto e gratitudine ci inchiniamo davanti a tutti coloro che, come i tre giovani di fronte alla minaccia della fornace babilonese, hanno saputo rispondere: « Solo il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto » (cfr Dan 3,17s.).
Sì, dietro queste lapidi si cela il destino di innumerevoli esseri umani. Essi scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l’odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l’opera dell’odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male. Vogliono portarci a quei sentimenti che si esprimono nelle parole che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all’orrore che la circonda: « Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare ».
Grazie a Dio, con la purificazione della memoria, alla quale ci spinge questo luogo di orrore, crescono intorno ad esso molteplici iniziative che vogliono porre un limite al male e dar forza al bene. Poco fa ho potuto benedire il Centro per il Dialogo e la Preghiera. Nelle immediate vicinanze si svolge la vita nascosta delle suore carmelitane, che si sanno particolarmente unite al mistero della croce di Cristo e ricordano a noi la fede dei cristiani, che afferma che Dio stesso e sceso nell’inferno della sofferenza e soffre insieme con noi. A Oświęcim esiste il Centro di san Massimiliano e il Centro Internazionale di Formazione su Auschwitz e l’Olocausto. C’è poi la Casa Internazionale per gli Incontri della Gioventù. Presso una delle vecchie Case di Preghiera esiste il Centro Ebraico. Infine si sta costituendo l’Accademia per i Diritti dell’Uomo. Così possiamo sperare che dal luogo dell’orrore spunti e cresca una riflessione costruttiva e che il ricordare aiuti a resistere al male e a far trionfare l’amore.
L’umanità ha attraversato a Auschwitz-Birkenau una « valle oscura ». Perciò vorrei, proprio in questo luogo, concludere con una preghiera di fiducia – con un Salmo d’Israele che, insieme, è una preghiera della cristianità: « Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza … Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni » (Sal 23, 1-4. 6).
Assisi vanta di aver dato i natali ad un altro personaggio che insieme a San Francesco ha significato molto nella storia e nella vita della Città. Chiara nasce da una nobile famiglia nel 1194, da Favarone di Offreduccio di Bernardino e da Ortolana.
La bambina fu chiamata Chiara e battezzata in quella stessa Chiesa.
Si può senza dubbio affermare che una parte predominante della educazione di questa fanciulla è dovuta proprio alla Cattedrale di San Rufino, la sua Chiesa, dove poco distante sorgeva la casa paterna. L’ambiente familiare di Chiara era pervaso da una grande spiritualità.
La madre educò con ogni cura le sue figlie e fu tra quelle dame che ebbero la grande fortuna di raggiungere la Terra Santa al seguito dei crociati. L’esperienza della completa rinuncia e delle predicazioni di San Francesco, la fama delle doti che aveva Chiara per i suoi concittadini, fecero sì che queste due grandi personalità s’intendessero perfettamente sul modo di fuggire dal mondo comune e donarsi completamente alla vita contemplativa.
La notte dopo la Domenica delle Palme (18 marzo 1212) accompagnata da Pacifica di Guelfuccio (prima suora dell’ordine), la giovane si recò di nascosto alla Porziuncola, dove era attesa da Francesco e dai suoi frati. Qui il Santo la vestì del saio francescano, le tagliò i capelli consacrandola alla penitenza e la condusse presso le suore benedettine di S. Paolo a Bastia Umbra, dove il padre inutilmente tentò di persuaderla a far ritorno a casa.
Consigliata da Francesco si rifugiò allora nella Chiesina di San Damiano che divenne la Casa Madre di tutte le sue consorelle chiamate dapprima « Povere Dame recluse di San Damiano » e, dopo la morte della Santa, Clarisse. Qui visse per quarantadue anni, quasi sempre malata, iniziando alla vita religiosa molte sue amiche e parenti compresa la madre Ortolana e le sorelle Agnese e Beatrice.
Nel 1215 Francesco la nominò badessa e formò una prima regola dell’Ordine che doveva espandersi per tutta Europa. La grande personalità di Chiara non passò inosservata agli alti prelati, tanto che il Cardinale Ugolino (legato pontificio) formulò la prima regola per i successivi monasteri e più tardi le venne concesso il privilegio della povertà con il quale Chiara rinunciava ad ogni tipo di possedimento.
Nel 1243 durante un’incursione di milizie saracene nel Monastero di San Damiano, Chiara scacciò con un atto di coraggio la soldatesca. La fermezza di carattere, la dolcezza del suo animo, il modo di governare la sua comunità con la massima carità e avvedutezza, le procurarono la stima dei Papi che vollero persino recarsi a visitarla.
La morte di San Francesco e le notizie che vari monasteri accettavano possessi e rendite amareggiarono e allarmarono la Santa che sempre più malata volle salvare fino all’ultimo la povertà per il suo convento componendo una Regola (simile a quella dei Frati Minori) approvata poi dal Cardinale Rainaldo (futuro papa Alessandro IV) nel 1252 e alla vigilia della sua morte da Innocenzo IV, recatosi a S. Damiano per portarle la benedizione e consegnarle la bolla papale che confermava la su a regola; il giorno dopo (11 agosto 1253) Chiara muore, officiata dal Papa che volle cantare per lei non l’ufficio dei morti, ma quello festivo delle vergini. Il suo corpo venne sepolto a San Giorgio in attesa di innalzare la chiesa che porta il suo nome.
Nonostante l’intenzione di Innocenzo IV fosse quella di canonizzarla subito dopo la morte, si giunse alla bolla di canonizzazione nell’autunno del 1255, dopo averne seguito tutte le formalità, per mezzo di Alessandro IV.