V DOMENICA DI QUARESIMA (A) COMMENTO
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V DOMENICA DI QUARESIMA (A) COMMENTO
Vieni fuori!
Clarisse Sant’Agata
Quando nella quinta domenica ci viene proclamata la resurrezione di Lazaro siamo messi davanti ad un punto cruciale della nostra esistenza “io sono la resurrezione e la vita: credi questo?” E’ il momento in cui riporre, insieme a Marta, tutta la fiducia nel Signore «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte per vivere senza fine in Lui. Dio ha creato l’uomo per la vita e la resurrezione e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini. L’amore di Dio è più forte di ogni morte.
«Signore, ecco, colui che tu ami è malato» Nel testo abbiamo una grande insistenza sul fatto che Gesù è legato a Lazzaro, Maria e Marta da affetto, da una amicizia profonda e potremmo quasi dire che i due toni dominanti della scena sono amicizia-affetto e morte. Ci sembrano due elementi che stridono insieme, ma in questo testo viene alla luce un’amicizia che libera dalla morte. Gesù alla morte di Lazzaro toglie potere richiamandolo in vita e Maria alla morte di Gesù toglierà potere ungendolo di profumo. In fondo anche nella resurrezione di Lazzaro il vero miracolo forse è la potenza dell’amore di Gesù che l’evangelista Giovanni ci tiene poi a sottolineare. L’amore che lega Cristo all’umanità, Dio all’umanità e la morte e resurrezione stessa di Gesù è epifania dell’amore di Dio per l’umanità. Questo è stato tutto il senso della sua vita: il manifestare l’amore che lo lega al Padre e che ha la sua manifestazione concreta nell’amore folle per gli uomini. Gesù comincia a spiegare attraverso la scena della resurrezione di Lazzaro, la sua morte: va alla morte per liberare dalla morte i suoi amici, in forza della sua amicizia, spinto dall’amore per ogni uomo che è caro al suo cuore. Il racconto della resurrezione di Lazzaro potremmo considerarlo una straordinaria pagina di umanizzazione della morte. Gesù libera Lazzaro riportandolo in vita, ma prima ancora lo libera perché gli dimostra che gli vuole bene e Gesù ha la sua vittoria nell’amore che sa provare per l’amico morto. Più avanti Gesù riceverà su di sé quella liberazione dalla morte nel gesto di affetto di Maria, con quel profumo che lo accompagnerà fin sulla croce, l’unica unzione che scenderà con il suo corpo nella morte.
Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto” Il primo incontro di Gesù è con Marta che sembra metterlo davanti ad un fatto evitabile. Marta continua poi il suo discorso appoggiandosi a cio che conosce di Gesù nel suo amore per lui: “tuttavia adesso io so che qualunque cosa tu chiedi ti sarà concessa”. Dopo che Gesù le promette la resurrezione Marta continua la sua professione di fede “io so che ci sarà la resurrezione nell’ultimo giorno”, nelle sue parole si comprende che crede nella resurrezione come principio teologico. Gesù la richiama ad un’altra fede: “io sono la risurrezione e la vita”. Ciò che conta non è se la resurrezione avviene adesso o alla fine dei tempi, ma ciò che è il cuore è credere in Gesù, in chi Lui è: non credere nella resurrezione, ma nel Risorto. Il problema non è mettere una accanto all’altra delle idee più o meno ben fatte, fondate, ma il problema è il passaggio dalla fede in una idea, da una credenza ad un rapporto personale con Lui. Il rapporto con Lui è ciò che è fondamentale e fondante e vince ogni morte.
“Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi” L’evangelista sottolinea tutta l’umanità di Gesù: Gesù è profondamente commosso, è scosso interiormente; scoppiò a piangere. Si insiste sui sentimenti di Gesù, su questo pianto di Gesù, sul fatto che lui faccia suo il pianto dell’uomo. Gesù piange perché l’uomo piange davanti alla morte di chi ama. Gesù piange perché quella condivisione del pianto dell’uomo è l’inizio della resurrezione che sta per operare. Gesù piange perché vuole bene a Lazzaro e coglie la necessità di quella sofferenza come Maria coglierà la necessità dell’unzione mentre gli altri non lo vedono. Gesù piange forse perché intravede anche il prezzo del gesto che sta per fare, sa che questa resurrezione lo porterà verso la sua ora. Gesù piange per rivelarci un altro aspetto del volto di Dio che soffre della nostra sofferenza. La resurrezione non è solo la rianimazione di un cadavere, ma è la partecipazione compassionevole di Dio alla morte e al dolore che vede intorno a se. Il segno da cogliere forse non è tanto la resurrezione di Lazzaro, ma che quell’evento ci parla della compassione di Dio, del suo piangere con l’umanità, dell’affetto di Dio per l’uomo. La nostra sofferenza tocca il cuore di Dio. È questo il cuore di Dio: lontano dal male ma vicino a chi soffre; non fa scomparire il male magicamente, ma con-patisce la sofferenza, la fa propria e la trasforma abitandola.
«Lazzaro, vieni fuori!». La tomba è chiusa da una grande pietra; intorno, solo pianto e desolazione. Gesù pur soffrendo egli stesso, chiede che si creda fermamente. Si mette in cammino verso il sepolcro e prega con fiducia suo Padre: «Padre, ti rendo grazie». Attorno a quel sepolcro avviene così un grande incontro-scontro. Da una parte c’è la grande delusione, la precarietà della nostra vita mortale che, attraversata dall’angoscia per la morte, sperimenta spesso un’oscurità interiore che pare insormontabile, la disfatta del sepolcro. Ma dall’altra parte c’è la speranza che vince la morte e il male e che ha un nome: Gesù ed è la sua parola che toglie le pietre dai nostri sepolcri. Anche a noi, oggi come allora, Gesù dice: “Togliete la pietra!”. Per quanto pesante sia il passato, grande il peccato, forte la vergogna, non sbarriamo mai l’ingresso al Signore. Togliamo davanti a Lui quella pietra che Gli impedisce di entrare nei sepolcri dentro i quali siamo finiti. In questa sua voce che ci chiama ad uscire riconosciamo la parola che ci ha chiamato all’esistenza nella creazione, ma riconosciamo anche la voce del buon pastore che chiama le sue pecore e loro lo ascoltano e lui le porta fuori (Gv10). E’ la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti «l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le bende e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio e riprendiamo il cammino dietro di Lui.
Più avanti, al capitolo 12, l’evangelista Giovanni ci riposta a Betania, nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Gesù vi sosta prima del suo andare definitivo a Gerusalemme. Come se prima di andare incontro alla sua ora Gesù voglia rifugiarsi in questa amicizia, accoglienza che gli è cara. Prima di essere rifiutato, ucciso fuori dalle mura della città, Gesù entra in una casa, gode dell’intimità dell’accoglienza e dell’amore. Ora in questa casa non è Gesù che fa qualche cosa per l’umanità, ma Gesù riceve qualche cosa dall’umanità. Qui ora è Gesù quello che è amato, è quello che ha bisogno e Maria è colei che mette umanità in questa scena. Maria non può sottrarlo alla morte fisica come lui ha fatto con suo fratello, però Maria ve lo sottrae con quel profumo di umanità che mette su di lui. In qualche modo insinua un germe di vita in una storia di morte proprio come Gesù aveva fatto con Lazzaro a Betania.
Visitati e liberati da Gesù, chiediamo la grazia di essere testimoni di vita in questo mondo che ne è assetato, testimoni che suscitano e risuscitano la speranza di Dio nei cuori affaticati e appesantiti dalla tristezza. Il nostro annuncio è la gioia del Signore vivente, che ancora oggi dice, come a Ezechiele: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio» (Ez 37,12).
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