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SANTA MESSA DELLA NOTTE NATALE DEL SIGNORE – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

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SANTA MESSA DELLA NOTTE NATALE DEL SIGNORE – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

CAPPELLA PAPALE

Basilica Vaticana

Sabato, 24 dicembre 2016

«È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Le parole dell’apostolo Paolo rivelano il mistero di questa notte santa: è apparsa la grazia di Dio, il suo regalo gratuito; nel Bambino che ci è donato si fa concreto l’amore di Dio per noi.
È una notte di gloria, quella gloria proclamata dagli angeli a Betlemme e anche da noi in tutto il mondo. È una notte di gioia, perché da oggi e per sempre Dio, l’Eterno, l’Infinito, è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea; è vicino, si è fatto uomo e non si staccherà mai dalla nostra umanità, che ha fatto sua. È una notte di luce: quella luce, profetizzata da Isaia (cfr 9,1), che avrebbe illuminato chi cammina in terra tenebrosa, è apparsa e ha avvolto i pastori di Betlemme (cfr Lc 2,9).
I pastori scoprono semplicemente che «un bambino è nato per noi» (Is 9,5) e comprendono che tutta questa gloria, tutta questa gioia, tutta questa luce si concentrano in un punto solo, in quel segno che l’angelo ha loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre per trovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi. Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.
E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell’imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell’apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita.
Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti. Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi.
Il mistero del Natale, che è luce e gioia, interpella e scuote, perché è nello stesso tempo un mistero di speranza e di tristezza. Porta con sé un sapore di tristezza, in quanto l’amore non è accolto, la vita viene scartata. Così accadde a Giuseppe e Maria, che trovarono le porte chiuse e posero Gesù in una mangiatoia, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7). Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato. Questa mondanità ci ha preso in ostaggio il Natale: bisogna liberarlo!
Ma il Natale ha soprattutto un sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Così c’è un filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori.
L’hanno capito, in quella notte, i pastori, che erano tra gli emarginati di allora. Ma nessuno è emarginato agli occhi di Dio e proprio loro furono gli invitati di Natale. Chi era sicuro di sé, autosufficiente, stava a casa tra le sue cose; i pastori invece «andarono, senza indugio» (cfr Lc 2,16). Anche noi lasciamoci interpellare e convocare stanotte da Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partire da quello in cui ci sentiamo emarginati, a partire dai nostri limiti, a partire dai nostri peccati. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a guardare il presepe, immaginiamo la nascita di Gesù: la luce e la pace, la somma povertà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assaporeremo lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la mia vita. Contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me.

 

Auguri!

natale 2016

Publié dans:NATALE 2016 |on 24 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

25 DICEMBRE 2016 | NATALE DI GESÙ – A | OMELIA – LA STRANA SCELTA DI DIO

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25 DICEMBRE 2016 | NATALE DI GESÙ – A | OMELIA – LA STRANA SCELTA DI DIO

Un bambino. Tutto qui? È questo il segno di Dio?
Guardiamo a questo segno, chiniamoci su questo bambino. Non ci costa difficoltà. Non è difficile. E ci sembra veramente che in questi giorni l’umanità si fermi un momento con il fiato sospeso. Molti di noi forse vorrebbero che non fosse una finzione un qualcosa che dura una notte, pochi giorni… e poi tutto torna come prima.

Fermiamoci a pensare.
Pensiamo alle migliaia di secoli trascorsi nei fiumi del tempo, questa storia che abbiamo ereditato: dai primi balletti delle stelle e dei pianeti, ai giardini creati dagli uomini, leguerre, le civiltà, le conquiste, i carri dei vincitori che trascinavano i vinti.
E Abramo, Mosè e tutta quella gente che testardamente continuava a parlare di Dio, di un Dio diverso dalle statue, dal sole, dai mostri creati dalla fantasia umana.
Gli uomini restavano lontani da Dio. Camminavano nelle tenebre, lo rifiutavano. In un certo senso, Dio è inutile. E i fiumi del tempo inghiottivano generazioni di uomini senza Dio.
È stato Lui a muoversi, a farsi conoscere. E nelle tenebre è scoppiata la luce. Quella che noi celebriamo, quella che ci illumina stanotte. Non vuole più che facciamo errori, che lo scambiamo con qualche altro. L’Onnipotente, il Creatore si è messo nelle mani degli uomini. È venuto tra noi. Non è incredibile questa notizia?
Come dice Isaia: « Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia ».
La storia ha avuto una svolta. È cambiato tutto. Eppure è cambiato niente. I fiumi dei secoli, duemila anni, sono trascorsi. E quante tenebre ci sono ancora e come sono profonde!
C’è gente che muore, che si odia, che si combatte. Il colore della pelle o il paese di nascita dividono ancora, il denaro e il potere calpestano, opprimono, succhiano le forze di uomini e donne stanchi, delusi. Vivere assomiglia ancora tanto ad una lotta.
Le persone, a causa della povertà, anche nell’Europa e nel subcontinente indiano, vendono i reni per 90.000 euro. Una figlia ha acconsentito a dare un rene a sua madre in cambio di una pelliccia. Una coppia ha cercato di scambiare il figlio con una macchina di seconda mano da 8.800 euro. II proprietario dell’autosalone e stato tentato di accettare, perché aveva perso la sua famiglia in un incendio. « Il primo impulso fu di accettare lo scambio. Ma pochi secondi dopo ho capito che non sarebbe stato giusto, non tanto per me o per il prezzo, ma perché che cosa avrebbe fatto il bambino quando fosse diventato grande? Come avrebbe potuto farcela nella vita, sapendo che era stato barattato con una macchina? »
Ci sono bambini abbandonati nei bidoni della spazzatura o nelle scatole delle scarpe, ci sono matrimoni a pezzi dopo pochi anni che lasciano le persone piene di odio e di rancore.
C’è un bambino che scrive: « Caro signor sindaco, io ho un nonno molto vecchio e malato e siccome all’ospedale non c’era posto l’hanno messo nell’ospedale psichiatrico. Per farlo sembrare matto lo fanno cantare e lo mandano a letto con un cane di stoffa. Ieri sono andato a trovarlo e mi ha detto di scriverti che lui canta, ma poi piange perché non è matto. Tu che ne pensi? »
Quanti anziani sono abbandonati, in casa loro magari, ma scartati, rifiutati, appena tollerati forse solo a Natale…
Chi ha il coraggio di guardare in faccia un giovane che ha vent’anni e non trova lavoro ed è costretto a bighellonare tutto il giorno o un giovane che frequenta una scuola che non gli insegna nulla, che non gli dà nulla per la vita?
Conosco una bambina di 11 anni, Tre giorni fa un medico ha detto ai suoi genitori che ha una grave forma di leucemia. Questo è probabilmente il suo ultimo Natale. Noi abbiamo strumenti da milioni e milioni per ammazzare la gente, parliamo di scudi stellari, abbiamo portaerei ed portaelicotteri, costruiamo torri nello spazio. Davvero è una fatalità se non riusciamo a salvare una bambina di 11 anni?

Quante tenebre ci sono ancora. Ma Dio è qui. È venuto.
È la strada che ha scelto che forse ci riempie di interrogativi: non è venuto con la bacchetta magica, non è venuto con il pugno di ferro…
È arrivato come un bambino piccolo, indifeso. Era appena nato e già lo volevano ammazzare. È venuto nell’indifferenza, come tutti quelli che non contano. Solo bestie e povera gente. Nient’altro che se stesso.
È un’altra strada quella scelta da Dio: la strada dell’amore, la strada della tenerezza. Perché noi riscoprissimo la forza che può vincere le tenebre, perché è lui che l’ha messo dentro di noi.
Perché ci ricordassimo che la forza dell’uomo non viene dall’esterno, ma dal di dentro di lui.

È grande la tenerezza dell’uomo e della donna: di quanti eroismi, gioie e dolori si nutre..
È grande la tenerezza dei genitori per i figli quando li stringono, li curano, li vegliano, piangono per loro.
È grande la tenerezza dei figli per i genitori (è così bello vedere dei bambini che corrono ad abbracciare il loro papà anche quando arriva con le mani vuote…).
È grande la tenerezza di un amico per un amico.
Gli uomini hanno bisogno di tenerezza come gli alberi d’acqua e di luce. Altrimenti diventano come tronchi rinsecchiti e morti.
Questa notte celebriamo la tenerezza di Dio, che è venuto a cercarci come compagni, che ha voluto fare il suo cammino con noi, partendo dalle tenebre come noi. Fino a quel grido terribile sulla croce: « Dio mio , Dio mio, perché mi hai abbandonato? »
Non un superuomo, ma un essere fragile, piccolo, indifeso come noi.
Per dirci: ripartiamo da questo, ripartiamo dalla tenerezza. Guardiamoci negli occhi e riscopriamo la vita identica che pulsa in noi.
Agli occhi di un certo mondo può sembrare una cosa ridicola, calpestabile, eliminabile, ma noi sappiamo di possedere una forza che può sconvolgere le tenebre.
Gesù è la piccola luce che ci è stata affidata.
Ora tocca a noi.

Non mettete questa luce « sotto il moggio », non soffocatela con la scorza dura dell’affermazione personale. Non ci sono mezzi esterni: è tutto dentro di noi. Basta farlo uscire, basta volerlo donare.
Ciascuno di noi può diventare il messaggero della luce di Dio. E della sua tenerezza.

David Maria Turoldo, in una sua composizione per il Natale, ha scritto:

Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni in silenzio;
noi non sappiamo più cosa dirci,
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo;
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni, Figlio della pace;
noi ignoriamo cosa sia la pace,
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni a consolarci;
noi siamo sempre più tristi,
e dunque vieni sempre, Signore!

Noi siamo tutti lontani, smarriti,
ne sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.

Vieni, Signore, vieni sempre, Signore!.

Don Bruno FERRERO sdb

BENEDETTO XVI – SI È FATTO UOMO.

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2013/documents/hf_ben-xvi_aud_20130109.html

BENEDETTO XVI – SI È FATTO UOMO.

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 9 gennaio 2013

Cari fratelli e sorelle,

in questo tempo natalizio ci soffermiamo ancora una volta sul grande mistero di Dio che è sceso dal suo Cielo per entrare nella nostra carne. In Gesù, Dio si è incarnato, è diventato uomo come noi, e così ci ha aperto la strada verso il suo Cielo, verso la comunione piena con Lui.
In questi giorni, nelle nostre chiese è risuonato più volte il termine “Incarnazione” di Dio, per esprimere la realtà che celebriamo nel Santo Natale: il Figlio di Dio si è fatto uomo, come recitiamo nel Credo. Ma che cosa significa questa parola centrale per la fede cristiana? Incarnazione deriva dal latino “incarnatio”. Sant’Ignazio di Antiochia – fine del primo secolo – e, soprattutto, sant’Ireneo hanno usato questo termine riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni, in particolare sull’espressione: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Qui la parola “carne”, secondo l’uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l’uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di “Abbà, Padre” ed essere veramente figli di Dio. Sant’Ireneo afferma: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Adversus haereses, 3,19,1: PG 7,939; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 460).
“Il Verbo si fece carne” è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. Ed effettivamente in questo periodo natalizio, in cui tale espressione ritorna spesso nella liturgia, a volte si è più attenti agli aspetti esteriori, ai “colori” della festa, che al cuore della grande novità cristiana che celebriamo: qualcosa di assolutamente impensabile, che solo Dio poteva operare e in cui possiamo entrare solamente con la fede. Il Logos, che è presso Dio, il Logos che è Dio, il Creatore del mondo, (cfr Gv 1,1), per il quale furono create tutte le cose (cfr 1,3), che ha accompagnato e accompagna gli uomini nella storia con la sua luce (cfr 1,4-5; 1,9), diventa uno tra gli altri, prende dimora in mezzo a noi, diventa uno di noi (cfr 1,14). Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Il Figlio di Dio … ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Cost. Gaudium et spes, 22). E’ importante allora recuperare lo stupore di fronte a questo mistero, lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento: Dio, il vero Dio, Creatore di tutto, ha percorso come uomo le nostre strade, entrando nel tempo dell’uomo, per comunicarci la sua stessa vita (cfr 1 Gv 1,1-4). E lo ha fatto non con lo splendore di un sovrano, che assoggetta con il suo potere il mondo, ma con l’umiltà di un bambino.
Vorrei sottolineare un secondo elemento. Nel Santo Natale di solito si scambia qualche dono con le persone più vicine. Talvolta può essere un gesto fatto per convenzione, ma generalmente esprime affetto, è un segno di amore e di stima. Nella preghiera sulle offerte della Messa dell’aurora della Solennità di Natale la Chiesa prega così: «Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria». Il pensiero della donazione, quindi, è al centro della liturgia e richiama alla nostra coscienza l’originario dono del Natale: in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini, ha dato se stesso per noi; Dio ha fatto del suo Figlio unico un dono per noi, ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità. Questo è il grande dono. Anche nel nostro donare non è importante che un regalo sia costoso o meno; chi non riesce a donare un po’ di se stesso, dona sempre troppo poco; anzi, a volte si cerca proprio di sostituire il cuore e l’impegno di donazione di sé con il denaro, con cose materiali. Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha fatto così: non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità dell’amore.
Vorrei offrire una terza riflessione: il fatto dell’Incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino. L’agire di Dio, infatti, non si limita alle parole, anzi potremmo dire che Egli non si accontenta di parlare, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana. Il Figlio di Dio si è fatto veramente uomo, è nato dalla Vergine Maria, in un tempo e in un luogo determinati, a Betlemme durante il regno dell’imperatore Augusto, sotto il governatore Quirino (cfr Lc 2,1-2); è cresciuto in una famiglia, ha avuto degli amici, ha formato un gruppo di discepoli, ha istruito gli Apostoli per continuare la sua missione, ha terminato il corso della sua vita terrena sulla croce. Questo modo di agire di Dio è un forte stimolo ad interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico. Dio non si è fermato alle parole, ma ci ha indicato come vivere, condividendo la nostra stessa esperienza, fuorché nel peccato. Il Catechismo di san Pio X, che alcuni di noi hanno studiato da ragazzi, con la sua essenzialità, alla domanda: «Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?», dà questa risposta: «Per vivere secondo Dio dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti con l’aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l’orazione». La fede ha un aspetto fondamentale che interessa non solo la mente e il cuore, ma tutta la nostra vita.
Un ultimo elemento propongo alla vostra riflessione. San Giovanni afferma che il Verbo, il Logos era fin dal principio presso Dio, e che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui (cfr Gv 1,1-3). L’Evangelista allude chiaramente al racconto della creazione che si trova nei primi capitoli del Libro della Genesi, e lo rilegge alla luce di Cristo. Questo è un criterio fondamentale nella lettura cristiana della Bibbia: l’Antico e il Nuovo Testamento vanno sempre letti insieme e a partire dal Nuovo si dischiude il senso più profondo anche dell’Antico. Quello stesso Verbo, che esiste da sempre presso Dio, che è Dio Egli stesso e per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato creato (cfr Col 1,16-17), si è fatto uomo: il Dio eterno e infinito si è immerso nella finitezza umana, nella sua creatura, per ricondurre l’uomo e l’intera creazione a Lui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima» (n. 349). I Padri della Chiesa hanno accostato Gesù ad Adamo, tanto da definirlo «secondo Adamo» o l’Adamo definitivo, l’immagine perfetta di Dio. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio avviene una nuova creazione, che dona la risposta completa alla domanda «Chi è l’uomo?». Solo in Gesù si manifesta compiutamente il progetto di Dio sull’essere umano: Egli è l’uomo definitivo secondo Dio. Il Concilio Vaticano II lo ribadisce con forza: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli svela la sua altissima vocazione» (Cost. Gaudium et spes, 22; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 359). In quel bambino, il Figlio di Dio contemplato nel Natale, possiamo riconoscere il vero volto, non solo di Dio, ma il vero volto dell’essere umano; e solo aprendoci all’azione della sua grazia e cercando ogni giorno di seguirlo, noi realizziamo il progetto di Dio su di noi, su ciascuno di noi.
Cari amici, in questo periodo meditiamo la grande e meravigliosa ricchezza del Mistero dell’Incarnazione, per lasciare che il Signore ci illumini e ci trasformi sempre più a immagine del suo Figlio fatto uomo per noi.

Publié dans:NATALE 2016, Papa Benedetto XVI |on 21 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

PAOLO VI – IIL NATALE: UNA FONDAMENTALE LEZIONE DI UMILTÀ 1976

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1976/documents/hf_p-vi_aud_19761229.html

PAOLO VI – IIL NATALE: UNA FONDAMENTALE LEZIONE DI UMILTÀ 1976

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 29 dicembre 1976

Il Natale è passato. Ma il Natale rimane. Rimane come fatto storico intorno al quale si organizza e si sviluppa successivamente il cristianesimo, che, tutt’altro che superato ed estenuato, arriva fino a noi. Rimane come concezione della storia, che vede secoli passati, come un momento del tempo iniziato col Natale di Cristo, e vede secoli futuri come logico svolgimento di quell’umile e sommo avvenimento che fu la venuta del Verbo di Dio sulla terra e nel tempo, e che guida i destini dell’umanità fino alla fine dei secoli. Ma rimane come filosofia della vita, come scuola che ci insegna il disegno della nostra esistenza nel tempo, come modello esemplare di ciò che dobbiamo essere e di ciò che dobbiamo fare: dobbiamo essere cristiani e dobbiamo comportarci come tali. Quest’ultimo aspetto del Natale, quello filosofico-morale, è ora per noi tema di questa breve riflessione, nella quale potrebbero confluire i contributi enciclopedici dell’ascetica cristiana sul Natale.
Limitiamoci ad una domanda riassuntiva: qual è l’insegnamento fondamentale e sommario che la nascita di Cristo raccomanda all’umanità, a ciascuno di noi? Noi ci atterremo ancora alla parola di S. Agostino; ma mille maestri ci possono ripetere nel repertorio della letteratura sacra la medesima lezione. Del resto il quadro del presepio parla da sé: se questo è il modo scelto dal Verbo di Dio per farsi uomo, che cosa c’insegna il Signore se non l’umiltà? «Cum esset altus humilis venit» (S. AUGUSTINI Enarr. in Ps. 31, 18: PL 36, 270). E S. Paolo non ha lui racchiuso in una memorabile sintesi il disegno dell’Incarnazione: «Abbiate – egli scrive ai Filippesi – in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso (annientò se stesso) assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Phil. 2, 5-8). E sarà questo pensiero che alimenterà alla radice la cristologia di Sant’Agostino; egli narra nelle «Confessioni» d’aver compreso la missione di Cristo quando capì che l’umiltà era stata scelta da Cristo come via della sua mediazione per condurre l’uomo dalla sua decaduta umanità all’altezza della divinità (Cfr. S. AUGUSTINI Confessiones, VII, c. 28, 24: PL 32, 745). Il florilegio delle citazioni non avrebbe più termine a volerlo raccogliere dalle opere del santo Dottore. (Cfr. E. PORTALIÉ Dict. Théol. Cath., II, 2372)
L’umiltà, di cui si tratta, non è la virtù specifica che S. Tommaso cataloga nella sfera della temperanza, pur riconoscendole un posto principale in una classifica più ampia, quella d’un ordinamento generale della vita morale (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIæ, 161, 5); ma è quella relativa alla verità fondamentale del rapporto religioso, alla realtà essenziale delle cose, che mette al primo e sommo livello l’esistenza di Dio, personale, onnipotente, onnipresente, al momento in cui Egli viene a confronto con l’uomo: è l’umiltà della Madonna nel «Magnificat», che dà alla creatura il senso di se stessa nella totale dipendenza da Dio, nella sproporzione incolmabile fra l’infinita grandezza di lui e la misura, sempre infima, di chi tutto deve a Dio, nell’avvertenza d’una assoluta necessità della sua provvidenza, che per noi peccatori vuol essere misericordia.Scaturisce da questo punto centrale del Natale, l’umiltà di Cristo-Dio e Uomo, la logica del Vangelo, nel quale sentiamo risuonare le parole del Signore: «imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Matth. 11, 29), e ne ascolteremo l’insegnamento ripercuotersi sui seguaci del Vangelo: «beati i poveri di spirito (cioè gli umili), perché di essi è il regno dei cieli» (Ibid. 5, 3).
Qui occorrono due fugaci, ma importanti osservazioni. La prima ci ricorda che questa fondamentale lezione di umiltà non annulla né la grandezza di Cristo, né curva nel nulla la nostra pochezza. L’umiltà è una attitudine morale che non distrugge i valori ai quali essa si applica; essa è una via per riconoscerli e per ricuperarli (Cfr. Phil. 2, 9 ss.; Eph. 3, 2; Matth. 23, 12). La seconda presenta un confronto fra la mentalità cristiana, tutta imbevuta di umiltà, e la mentalità profana che non apprezza l’umiltà, e la giudica come offesa alla dignità dell’uomo, come criterio debilitante al volontarismo creativo dell’uomo, e come, al più (come già gli Stoici), una saggezza rassegnata alla mediocrità umana. Non staremo a discutere la debolezza di queste posizioni; potremmo piuttosto ricordarne i pericoli (come quelli del superuomo, della sopraffazione di potenza, della cecità dell’infatuazione orgogliosa, del disorientamento pedagogico quando non sia più diretto dalla verità del Vangelo). Ma ci limiteremo a ricordare il premio che accompagna una sapiente umiltà: la grazia, come ci ammoniscono gli Apostoli Pietro (1 Petr. 5, 5) e Giacomo (Iac. 4, 6).

Publié dans:NATALE 2016, Papa Paolo VI |on 18 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

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