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SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA

dal sito:

http://debarim.tripod.com/epifania_it.htm

SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA

Is 60, 1-6.

Ef 3, 2-3. 5-6.

Mt 2, 1-12.

L’epifania è la gran festa delluniversalismo della salvezza: Dio ha chiamato tutti i popoli a partecipare della novità messianica del Cristo. I testi biblici odierni rappresentano una riflessione matura riguardo al mistero che celebriamo. Isaia presenta Gerusalemme,città santa e centro religioso del popolo dell

’antica alleanza, piena di luce visitata da gente di tutta la terra che va alla ricerca di Dio (prima lettura). Paolo, con un linguaggio raffinato e preciso, espone il contenuto teologico della festa: « i gentili sono chiamati a partecipare alla stessa eredità…e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo«  (seconda lettura). La narrazione evangelica della visita dei magi, più di essere una favola infantile, rappresenta la teologia della chiesa primitiva che presenta Gesù come il Messia annunciato nelle antiche profezie, rifiutato da Israele e rivelato ai popoli pagani che gli rendono culto (vangelo). Tutta la celebrazione doggi è un canto di luce e di gioia allamore di Dio che ama tutti gli uomini e offre a tutti la salvezza in Gesù, il Messia. La prima lettura (Is 60, 1-6) presenta Gerusalemme, simbolo della presenza di Dio, rivestita di luce. Il testo descrive un’alba, un’aurora luminosa sulla città santa. Dio stesso la illumina: « la gloria del Signore albeggia sopra di te » (v.1). Sebbene « le tenebre ricoprono la terra e la nebbia fitta avvolge le nazioni », su Gerusalemme « risplende il Signore e appare la sua gloria » (v.2). Il Signore porta la luce della sua gloria su di essa, per allontanare dalla stessa Gerusalemme, le tenebre del mondo (v.2). Verso di essa convergono, come un immenso fiume, le genti di tutta la terra. La città santa è come un polo d’attrazione verso il quale si avviano tutti i popoli in pellegrinaggio: « cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere…Tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio » (Is 60, 3-4). Verso Gerusalemme portano i loro tesori come segno d’adorazione e vassallaggio:  » le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli » (Is 60, 5). L’intuizione del profeta è notevole e ha un valore teologico fondamentale nella rivelazione biblica: il Dio dIsraele è il Dio di tutti i popoli. Il Dio che si è rivelato al popolo dellantica alleanza illumina con la sua salvezza tutta la terra. Certamente il testo sottolinea il valore della città, rivelando un certo nazionalismo israelitico: la città, prima umiliata, è adesso oggetto di riconoscenza internazionale. Però ciò che nel poema è più importante è l’orizzonte universale dei scintillii luminosi di Gerusalemme e il pellegrinaggio d’interi popoli verso di essa. Figli dispersi della città, cioè, ebrei della diaspora e, popoli stranieri, si pongono in cammino per contemplare, celebrare e vivere la gioia di quella luce che sembra di non conoscere tramonto. La luce che rifulge dalla città è la vita e la salvezza di Dio; queste non hanno limiti né fine nello spazio e nemmeno nella storia, e raggiungono tutti gli uomini senza distinzione. La seconda lettura (Ef 3, 2-3. 5-6) espone ciò che Paolo chiama « il mistero », e cioè il piano salvifico di Dio manifestato nella predicazione del Vangelo a tutti i popoli. Il Messia atteso non è stato destinato soltanto ad Israele, ma è stato inviato a tutti i popoli della terra. Secondo Paolo questo è il grande « mistero », un piano « che non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti«  (Ef 3, 5). Al centro di questo piano divino si trova Gesù, il Messia. Gli apostoli e profeti della Chiesa proclamano senza sosta questa buona novella a tutti gli uomini: in virtù del Vangelo tutti partecipano alla stessa « eredità« , tutti sono chiamati a formare lo stesso corpo di Cristo che è la Chiesa Universale, e tutti partecipano alla stessa promessa fatta da Dio agli antichi patriarchi.Il Vangelo (Mt 2, 1-12) è una stupenda pagina teologica, con un sapore orientale e piena di ricchissimi simboli. Come prima cosa Matteo vuole offrire una comprensione spirituale e teologica della nascita di Gesù partendo dal luogo dove essa è accaduta: « Betlemme di Giudea » (v.1). Il testo del profeta Michea riferito nel v.6, al centro di tutto il racconto, offre la chiave cristologica: Betlemme è la città nella quale, secondo i profeti, doveva nascere il Messia. Gesù è presentato nella sua dignità messianica, discendente dal re Davide, originario di Betlemme. La narrazione invece, è strutturata sulla base della doppia reazione suscitata dal carattere messianico di Gesù: la ricerca perseverante e coraggiosa dei magi, venuti dall’Oriente, e il sospetto ostile del re Erode e di tutta la città di Gerusalemme (v.3). Il destino del nuovo messia davidico si presenta come un paradosso fin dallinizio, attraverso gli atteggiamenti opposti di tutti e due i gruppi: i magi, seguendo la rivelazione della stella, giungono al luogo della nascita del Messia dopo avere consultato la Scrittura; Erode e i capi di Gerusalemme, al di là della testimonianza della Scrittura, non riescono a riconoscere la realtà messianica di Gesù. L’allarmarsi dei giudei, il raduno di un’assemblea di esperti della Scrittura, l’inquisizione alla quale sono sottomessi i magi, ci fa pensare al processo di giudizio che dovrà patire Gesù prima di essere crocifisso, quando sarà rifiutato e condannato dalle autorità d’Israele (Mt 26, 63), e dalle autorità civili come « re dei giudei » (Mt 27, 37). Matteo ha proiettato nella figura del neonato messia di Betlemme il dramma che soffrirà il Messia stesso, perseguitato alla fine della sua vita. Il testo rappresenta una piccola parabola del movimento paradossale che segnerà la storia di Gesù di Nazaret, rifiutato dai suoi vicini e accettato da quelli lontani (Mt 8, 10-11: « In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande« ; Mt 21, 42-43: « La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata dangolo…Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare« ). Allo stesso tempo riflette l’esperienza della Chiesa di Matteo, aperta alla missione verso i pagani (Mt 28, 19: « Andate e ammaestrate tutte le nazioni facendone discepoli…« ). Il racconto è costruito con elementi ricchi e simbolici della Bibbia e dell’ambiente giudeo-elenistico che accompagnavano le narrazioni della nascita di grandi personaggi: il sorgere d’una stella o luce rivelatrice, la reazione ostile di certi ambienti, la liberazione del personaggio, ecc. I « magi » (magoi, in greco) nel racconto sono personaggi appartenenti a popoli lontani; dedicati allo studio dell’astrologia. Matteo probabilmente pensa al profeta Balaam del Libro dei Numeri, personaggio straniero chiamato dall’Oriente da parte de re Balak per maledire Israele nel deserto; egli però, al posto di una maledizione pronuncia una benedizione sul popolo di Dio, annunciando lo spuntare di una stella: « Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele (Nm 24, 17). Questo simbolo messianico dell’A.T può spiegare l’espressione usata da i magi nel Vangelo di Matteo: « Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo » (Mt 2, 2). Insieme a quest’immagine messianica ci sono due testi dell’A.T che servono di sottofondo al racconto evangelico: il re ideale del futuro che riceve regali da re venuti da paesi lontani (Sal 72, 10. 15) e la città di Gerusalemme, invasa da cammelli, carichi d’oro e incenso, per rendere gloria al Signore (Is 60, 6). I doni che offrono i magi venuti dall’Oriente al bambino, nato nella città messianica di Betlemme, sono propri del « figlio di Davide ». Con quest’omaggio si esprime, d’accordo con le antiche profezie, la riconoscenza messianica dei popoli venuti da lontano. I magi, incarnazione di popoli non giudei e del mondo della cultura e la sapienza che cerca con cuore sincero, provano « un’immensa gioia » (Mt 2, 10). È la gioia messianica diffusa fra i pagani che entrano a formare parte della Chiesa di Cristo. La pagina biblica oggi proclamata è un messaggio d’apertura, di speranza, d’amore appassionato verso i valori presenti in tutte le culture e religioni dell’umanità. È un invito alla testimonianza, allinserimento nel mondo e al compromesso ecumenico. È un poema alluniversalismo e alla fraternità tra i popoli e le culture, non soltanto per motivi filantropici, ma perché Dio ama tutti gli uomini, e si è rivelato a tutti e ha redento tutti nel sangue del suo Figlio. È anche un invito a scoprire « i segni » di Dio nella vita, indispensabili per nutrire la fede e sperimentare la gioia e la luce di chi ha scoperto la verità e la salvezza in Cristo.

Epifania (meditazione)

dal sito:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/06-07/2-NataleC-06/Letture/3-Epifania_del_Signore.html

EPIFANIA

MEDITAZIONE
(2007)

L’epifania, col suo fascino misterioso, è il coronamento gioioso di tutto il tempo natalizio. Una grande luce si sprigiona da questa solennità a diradare le dense tenebre che coprono la terra: una luce che proviene da un bambino che è il Figlio dell’eterno Padre, il messia degli israeliti, il Dio dei pagani e, di fronte ad Erode, il re delle genti. Secondo la meravigliosa pedagogia divina, il messaggio di natale viene annunciato attraverso segni adatti a ciascuno: ai pastori attraverso una mangiatoia, ai magi attraverso una stella, ai teologi attraverso la Scrittura, ad Erode stesso attraverso tre saggi venuti dall’oriente. Questi pagani rimangono per noi la figura dell’immensa moltitudine umana, sradicata dal paradiso, e che serba di quel lontano ricordo una segreta fame inappagata. Quanti ebbero il presentimento della nascita di questo re dei giudei, venuto al mondo sotto una buona stella? Non lo sappiamo. Soltanto i magi si misero in cammino e seguirono la stella fino a Betlemme. « I cieli narrano la gloria di Dio » (Sal 18,2). Affidandosi alla sapienza umana, i magi vanno in primo luogo a Gerusalemme, il centro spirituale del popolo ebraico. Perché nel piano di Dio bisogna che la loro scienza arrivi a cedere le redini alla Scrittura rivelata, che indicherà loro dove si trova il bambino. La fede nascente e già messa alla prova può allora intraprendere l’ultima tappa: quella che farà loro riconoscere nel neonato di Betlemme il re di un regno invisibile. Non rimarrà quindi che tornare in patria per un’altra strada: quella di un’altra vita con la stella in fondo al cuore, per sempre. Gli scribi, invece, non si muovono: sentinelle addormentate, lasciano che il deposito della Verità vivente divenga come un frutto secco fra le loro mani. Quanto ad Erode, che sente vacillare il suo trono, non fa che covare progetti omicidi. Ma Dio veglia su tutti coloro che camminano sulle tracce di una stella…

(da « Vienna International Religious Centre »)

I Magi, simbolo di coloro che camminano nella fede e desiderano la visione (Sant’Agostino)

dal sito: 

http://www.augustinus.it/varie/natale/natale_epifania.htm

« Entrati nella casa, (i Magi) videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono ».

(Mt 2, 11)

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 199, 1.1-2)

I Magi, simbolo di coloro che camminano nella fede e desiderano la visione

Non molto tempo fa abbiamo celebrato il giorno in cui il Signore è nato dai Giudei; oggi celebriamo il giorno in cui è stato adorato dai pagani. Poiché la salvezza viene dai Giudei (Gv 4, 22); ma questa salvezza (sarà portata) fino agli estremi confini del mondo (Is 49, 6). In quel giorno lo adorarono i pastori, oggi i magi; a quelli lo annunciarono gli angeli, a questi una stella. Tutti e due l’appresero per intervento celeste, quando videro in terra il re del cielo, perché ci fosse gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). Egli infatti è la nostra pace, colui che ha unito i due in un popolo solo (Ef 2, 14). Già, fin da quando il bambino è nato e annunziato, si presenta come pietra angolare (Cf. Mt 21, 42), tale si manifesta già nello stesso momento della nascita. Già cominciò a congiungere in sé le due pareti poste in diverse direzioni, chiamando i pastori dalla Giudea, i magi dall’Oriente: Per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo e ristabilire la pace; pace tanto a quelli che erano lontani tanto a quelli che erano vicini (Ef 2, 15.17). I pastori accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i magi arrivando oggi da lontano hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo.

Oggi bisogna parlare dei magi che la fede ha condotto a Cristo da terre lontane. Vennero e lo cercarono dicendo: Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo (Mt 2, 2). Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione (Cf. 2 Cor 5, 7). Non erano già nati tante volte in Giudea altri re dei Giudei? Come mai questo viene conosciuto da stranieri attraverso segni celesti e viene cercato in terra, risplende nell’alto del cielo e si nasconde umilmente? I magi vedono la stella in Oriente e capiscono che in Giudea è nato un re. Chi è questo re tanto piccolo e tanto grande, che in terra non parla ancora e in cielo già dà ordini? Proprio per noi – perché volle farsi conoscere da noi tramite le sue sante Scritture – volle che anche i magi credessero in lui attraverso i suoi profeti, pur avendo dato ad essi un segno così chiaro in cielo e pur avendo rivelato ai loro cuori di essere nato in Giudea. Nel cercare la città nella quale era nato colui che desideravano vedere e adorare, fu per essi necessario informarsi presso i capi dei Giudei. E questi, attingendo dalla sacra Scrittura che avevano sulle labbra ma non nel cuore, presentarono, da infedeli a persone divenute credenti, la grazia della fede, menzogneri nel loro cuore, veritieri a loro proprio danno. Quanto sarebbe stato meglio infatti se si fossero uniti a quelli che cercavano il Cristo, dopo aver sentito dire da essi che, veduta la sua stella, erano venuti desiderosi di adorarlo? se li avessero accompagnati essi stessi a Betlemme di Giuda, la città che avevano ad essi indicato seguendo le indicazioni dei Libri divini? se insieme ad essi avessero veduto, avessero compreso, avessero adorato? Invece, mentre hanno indicato ad altri la fonte della vita, essi ora sono morti di sete.

QUARTO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE (San Leone Magno)

dal sito:

http://www.monasterovirtuale.it/home/la-patristica/s.-leone-magno-omelie-sul-santo-natale.html

S.Leone Magno

QUARTO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE

I – IN CRISTO L’ADEMPIMENTO DELLE PROFEZIE

1. – Dilettissimi, in diversi modi e in molte misure la divina bontà ha sempre provveduto al genere umano e ha generosamente elargito in tutti i secoli precedenti i doni della sua provvidenza. Però in questi ultimi tempi ha superato la larghezza della consueta benignità, quando in Cristo è discesa ai peccatori la misericordia, ai traviati la verità, ai morti la vita. Infatti il Verbo, coeterno e uguale al Padre nell’unità della divinità, assunse la nostra umile natura; e così egli che è Dio, nato da Dio, in quanto uomo prese origine dall’uomo. Il fatto era già stato promesso nella creazione del mondo e anche preannunciato in molte figure e oracoli. Però quelle figure e quei misteri, nascosti nella penombra, avrebbero salvato una piccola porzione dell’umanità, se Cristo non avesse adempiuto le occulte e ripetute promesse! Ora invece, quando l’opera redentiva è stata adempiuta, giova a innumerevoli fedeli, mentre a pochi credenti giovò quando ancora doveva compiersi.
Noi siamo portati alla fede non più con segni e immagini, ma, confermati dal racconto evangelico, adoriamo quel che crediamo adempiuto. In proposito si aggiungono a nostro ammaestramento le testimonianze dei profeti, affinché sia esclusa la possibilità di ritenere dubbio ciò di cui conosciamo la predizione in tante profezie.
Dunque è vero quel che il Signore ha detto ad Abramo: « Tutte le genti della terra saranno benedette nella tua discendenza ». E David con spirito profetico canta la promessa di Dio: « Il Signore giurò a David la promessa da cui non si ritrae: un rampollo della tua stirpe io porrò sul trono ». E il Signore dice per bocca di Isaia: « Ecco la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e gli darà il nome di Emmanuele, che significa: Dio con noi »; e ancora: « Un virgulto sorgerà dal tronco di Jesse e un pollone verrà su dalle sue radici ».
In questo virgulto certamente è stata preannunciata la santa vergine Maria, che, discendente della stirpe di David e di Jesse, è stata fecondata dallo Spirito Santo e ha partorito il fiore novello dell’umana carne nell’esercizio di una reale funzione di madre, benché il parto sia stato verginale.

II – LA NECESSITA’ DELL’INCARNAZIONE

2. – Dunque, i giusti esultino nel Signore, i cuori dei fedeli prorompano nella lode a Dio e i figli degli uomini esaltino i suoi prodigi. Soprattutto da questa opera di Dio la nostra pochezza conosce quanto sia stimata dal suo Creatore.
Egli già ha donato molto all’umanità fin dall’origine, perché ci ha fatti a sua immagine, ma molto più generoso si è mostrato nella nostra restaurazione, quando egli stesso, il Signore, si è adeguato alla condizione di servo. Proviene certamente dalla stessa identica misericordia tutto quanto il Creatore ha elargito alla creatura: però è meno meraviglioso che l’uomo sia elevato a qualità divine del fatto che Dio si abbassi alla condizione umana. Se Dio, onnipotente, non si fosse degnato di tanto, nessun modello di santità, nessuna ricchezza di sapienza ci avrebbe potuto liberare dalla schiavitù del diavolo e dall’abisso della morte eterna. La condanna, che si propaga con il peccato da uno agli altri uomini, sarebbe rimasta; e la natura colpita da mortale ferita, non avrebbe trovato nessun rimedio, perché non avrebbe potuto mutare con le proprie forze la sua condizione.
Ora, il primo uomo prese la sostanza carnale dalla terra, e fu animato da spirito razionale per insufflazione del Creatore, perché vivendo a immagine e somiglianza del suo autore, conservasse la bellezza della bontà e santità di Dio nella irradiante imitazione (del suo essere), come in un nitido specchio.
Se egli avesse con l’osservanza della legge costantemente perfezionato tale splendidissima dignità della propria natura, la stessa anima incontaminata avrebbe condotto la condizione terrestre del corpo alla gloria celeste. Ma perché credette temerariamente e infelicemente a colui che per invidia tendeva inganni, e accondiscese ai suggerimenti di superbia e preferì usurpare con l’occupazione, anziché meritare l’aumento di dignità, tenuto in serbo per lui, non soltanto il primo uomo ma tutta la sua posterità dovette ascoltare: « Tu sei polvere e in polvere
ritornerai ». Dunque « qual è l’Adamo terrestre, tali sono anche i corpi terrestri »: nessuno di essi fu immortale, perché nessuno è diventato celeste.

III – CRISTO, VERO UOMO, SENZA PECCATO

3. – L’onnipotente Figlio di Dio che tutto riempie e tutto contiene, totalmente uguale al Padre, che nell’unica essenza procede da lui e regna con lui coeterno, ha assunto la natura umana. Così il Creatore e il Signore di tutto si è degnato essere uno dei mortali per spezzare le catene del peccato e della morte. A tal fine si scelse una madre, che egli stesso aveva fatto, la quale, conservando intatta l’integrità verginale, non dovesse fare altro che apprestare la sostanza corporea, in maniera che, rimanendo illesa dal contagio del seme umano fecondante, purezza e verità risiedessero nel nuovo uomo.
Dunque in Cristo, generato dal seno della Vergine, la natura nostra, per il fatto che mirabile è stata la sua nascita, non è indifferente. Egli è vero Dio, e anche vero uomo; e in ambedue le nature non accoglie nulla di fittizio. « Il Verbo si è fatto carne » per elevazione della carne, non per difetto della divinità, la quale in tal modo ha diretto la sua potenza e bontà elevando ciò che è nostro con l’assumerlo e non ha perduto ciò che è suo nel comunicarlo. Secondo la profezia di David, in questa natività di Cristo « la fedeltà è fiorita dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo ». In questa nascita si è adempiuto anche il cantico di Isaia: « Si apra la terra e produca la salvezza e faccia spuntare la giustizia ».
Difatti, la terra della umana carne, maledetta già in chi per primo peccò, in questo solo parto della santa Vergine germogliò un rampollo benedetto, estraneo alla corruzione della propria stirpe.
Ognuno si appropria la spirituale origine di Cristo nella rigenerazione; l’acqua del battesimo è per ogni uomo che viene rigenerato quasi un seno verginale, perché lo stesso Spirito Santo, che adombrò la Vergine, riempie la fonte. Il peccato che lì fu tolto dal santo concepimento, qui è cancellato dalla mistica lavanda.

IV – GLI ERETICI

4. – Dilettissimi, da questo mistero molto è lontano lo stravagante errore dei manichei, che non hanno alcuna parte alla rigenerazione di Cristo, perché negano che egli sia nato da Maria Vergine con nascita corporea. Essi non ritengono vera la sua natività e neppure ammettono la realtà della sua passione: così, non confessandolo veramente sepolto, negano che egli sia realmente risuscitato. Incamminatisi per la via scoscesa di una dottrina esecrabile, ove non sono che tenebre e precipizi, andando di gorgo in gorgo, scivolano nell’abisso della morte. Non possono trovare luogo saldo a cui aggrapparsi, costoro che, oltre alle malvagità, degne solo dell’approvazione diabolica, nel giorno più solenne della loro religione si rallegrano – l’abbiamo saputo dalla loro ultima confessione – della sporcizia dell’animo e del corpo, incuranti della integrità della fede e del pudore. In questo modo si riconoscono empi nella dottrina e osceni nei riti.
5. – Le altre eresie, dilettissimi, pur tutte meritevoli di condanna nelle loro differenze, hanno però qualche parte di vero.
Ario, asserendo che il Figlio di Dio è inferiore al Padre e creatura, e credendo che lo Spirito Santo sia stato creato dal Figlio insieme alle altre creature, per la sua empietà andò in perdizione. Tuttavia egli che non scorse l’eterna e immutabile divinità se non riducendo la Trinità all’unità, nella natura del Padre non negò Dio.
Macedonio, estraneo pure lui alla luce della verità, non ammise la divinità dello Spirito Santo; però confessò una e identica potenza nel Padre e nel Figlio.
Sabellio, impigliato in un groviglio di errori, giudicò che l’unità di sostanza fosse senza alcuna distinzione nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; perciò quello che doveva attribuire all’uguaglianza di natura, l’attribuì alla unicità di persona. Incapace di comprendere la vera Trinità, credette che sotto triplice nome fosse una e identica la persona.
Fotino, ingannato dalla cecità della mente, confessò che Cristo era vero uomo della nostra stessa natura; però non credette che egli fosse Dio, nato da Dio prima dei secoli.
Apollinare, privo di solida fede, in tal modo credette che il Figlio di Dio avesse assunto la vera natura della carne umana, ma asseriva che in quel corpo non vi era l’anima, perché era sostituita dalla divinità.
Se continuiamo a elencare tutti gli errori che la fede cattolica ha condannati, in ciascuno si trova or questa or quella verità che può essere separata dalle tesi condannate. Invece nella dottrina scellerata dei manichei nulla si trova che possa essere giudicato accettabile.

V – NECESSARIA ADESIONE ALLA FEDE CRISTIANA

6. – Ma voi, dilettissimi, ai quali nessun titolo posso rivolgere con più proprietà se non usando le parole di san Pietro apostolo « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo », edificati sopra Cristo che è pietra incrollabile, innestati nel Signore, nostro Salvatore, attraverso la reale assunzione della nostra carne: perseverate saldi nella fede, che avete professato davanti a molti testimoni, nella quale, rinati mediante l’acqua e lo Spirito Santo, avete ricevuto il crisma della salvezza e il segno della vita eterna.
Se ora alcuno ci predicasse verità diversa da quella che avete appreso, sia scomunicato. Non vogliate anteporre alla luminosa verità favole sacrileghe; e giudicate senza esitazione, diabolico e causa di morte, quanto leggete o ascoltate contrario al simbolo cattolico e apostolico. Non vi traggano in inganno i simulati digiuni, che non giovano a purificare le anime ma a perderle. Coloro che li praticano assumono atteggiamenti di pietà e di castità per circondare con questo ingannevole velo le oscenità delle loro azioni, mentre dall’intimo di un cuore perverso scagliano strali per colpire i semplici, come dice il profeta: « per trafiggere al buio gli uomini retti ».
Grande protezione è la fede integra, la fede vera, in cui nulla può essere aggiunto e nulla tolto: se, infatti, non è una, non è fede. L’Apostolo in proposito dice: « Non c’è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Non esiste che un solo Dio e Padre di tutti, il quale è al di sopra di tutti, opera in tutti ed è in tutti ».
Attaccatevi a questa unità, dilettissimi, con incrollabile animo; e in essa « cercate la santità ». In essa soltanto è possibile obbedire ai comandi del Signore, perché « senza la fede è impossibile piacere a Dio »; senza di essa nulla è casto, nulla è santo, nulla è vivo; « il giusto, infatti, vive di fede ». Chi ha perduto la fede per inganno del diavolo, pur vivente, è già morto, perché, come per la fede si ha la santità, così per la fede vera si acquista la vita eterna. Dice infatti il Signore, nostro Salvatore: « La vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo ». Egli vi faccia progredire e perseverare fino alla meta, il quale vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

Publié dans:NATALE 2010 e Avvento, Papi |on 2 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

Il Natale nella poesia liturgica di Romano il Melode

dal sito:

http://tuespetrus.wordpress.com/2008/12/24/il-natale-nella-poesia-liturgica-di-romano-il-melode/

Il Natale nella poesia liturgica di Romano il Melode

24 dicembre 2008

di redazionedi Manuel Nin

Le tradizioni liturgiche orientali, molto spesso con forme letterarie belle e nello stesso tempo contrastanti, ci propongono la contemplazione del mistero della nostra fede. Romano il Melode, teologo e poeta bizantino del vi secolo, nel suo primo kontàkion (poema a uso liturgico) come ritornello ripete le parole “nuovo bambino, il Dio prima dei secoli” che riassumono il mistero celebrato:  il Dio eterno, esistente prima dei secoli, diventa nuovo nel bambino neonato. La tradizione bizantina, celebrando la “nascita secondo la carne del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo” accosta, sia nell’iconografia che nell’eucologia, la celebrazione del Natale a quella della Pasqua. L’icona del Natale nel bambino fasciato messo in un sepolcro vuole prefigurare già il sepolcro dove il Signore, di nuovo fasciato, verrà messo il Venerdì Santo per risuscitarne glorioso all’alba di Pasqua. I testi della liturgia con immagini molto profonde e vivaci ci propongono così tutto il mistero della nostra salvezza.
Nelle settimane precedenti il Natale, senza un vero e proprio periodo corrispondente all’Avvento delle tradizioni latine, la liturgia bizantina in bellissimi tropari ci ha fatto pregustare tutto il mistero dell’Incarnazione:  l’attesa fiduciosa e la povertà della grotta, prefigurazione della miseria dell’umanità che accoglie il Verbo di Dio; e ancora, tutta la serie di figure e personaggi che si affacciano nella vita liturgica di questi giorni:  i profeti Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Daniele e i Tre Fanciulli; Betlemme, quasi personificata e collegata con l’Eden; Isaia che si rallegra, Maria, la Madre di Dio presentata come “agnella”, cioè colei che porta in seno Cristo, l’Agnello di Dio; infine, nelle due domeniche che precedono il Natale, i Progenitori di Dio da Adamo fino a Giuseppe, cioè la lunga serie di figure che hanno atteso il Cristo e che ci ricordano il fatto che anche noi siamo parte di una storia e di una umanità che l’accolgono nella veglia fiduciosa, ma anche nel buio, nel dubbio e nel peccato.
Nel secondo dei kontàkia Romano il Melode narra la visita di Adamo ed Eva alla grotta del neonato. Il canto di Maria all’orecchio del bambino sveglia Eva dal sonno eterno ed essa persuade Adamo di recarsi nella grotta per capire cosa sia quel canto. Nel dialogo tra Eva e Adamo svegliati ormai dal loro sonno la donna gli annuncia la buona notizia:  “Ascoltami, sono la tua sposa:  io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. Considera i prodigi, guarda l’ignara di nozze che guarisce la nostra piaga con il frutto del suo parto. Il serpente una volta mi sorprese e si rallegrò, ma al vedere ora la mia discendenza fuggirà strisciando”. La nascita verginale di Cristo diventa guarigione, salvezza per il genere umano ferito dal peccato.
E le risponde Adamo:  “Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Scorgo un nuovo, diverso paradiso:  la Vergine che porta in grembo l’albero di vita, lo stesso albero sacro che custodivano i cherubini per impedirci di toccarlo. Ebbene, guardando crescere questo intoccabile albero, ho avvertito, o mia sposa, il soffio vivificante che fa di me, polvere e fango immoti, un essere animato. Adesso, rinvigorito dal suo profumo, voglio andare dove cresce il frutto della nostra vita, dalla Piena di grazia”. Il risveglio di Adamo è una prefigurazione, in quanto viene collocato nella primavera, cioè nel contesto pasquale in cui sarà definitivamente riportato in paradiso. E questo è anche cambiato, rinnovato:  “Scorgo un nuovo, diverso paradiso”, che altro non è se non il grembo della Vergine che porta il nuovo albero della vita.
“Sono sopraffatto dall’amore che sento per l’uomo” risponde il Creatore. “Io, o ancella e madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l’abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia. Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l’amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare”. All’udire queste parole Maria grida:  “O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!”. Ma egli risponde:  “Non piangere Madre, su ciò che non sai:  se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro, a favore dei quali mi implori, periranno, o Piena di grazia”.
Un Dio il quale “non chiede altro che di poter salvare”. Questa è la realtà, l’unica realtà che celebriamo in questi giorni nella nostra fede cristiana:  l’amore di Dio per gli uomini manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. E viviamo questa realtà in tutta la nostra vita come cristiani. Come cristiani nel condividere – e forse anche nel mettere in contrasto la nostra fede – con un mondo segnato fortemente dall’individualismo, dall’oblio dell’altro, dall’ignoranza degli altri; una fede che dovrà predicare un Dio che è dono gratuito, che perdona, che ama, e perché ama si sacrifica per gli altri e non chiede altro che poter salvare. Lui “nuovo bambino, il Dio prima dei secoli”.

(L’Osservatore Romano – 25 dicembre 2008)

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Natale, una lezione di coraggio

dal sito:

http://www.zenit.org/article-24996?l=italian

Natale, una lezione di coraggio

di padre Renato Zilio*

ROMA, lunedì, 20 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Nessuno avrebbe mai immaginato di vedere Dio nascere, un giorno, in una grotta di animali. Ecco, così, il centro del mondo: un luogo di incontro di pastori, di angeli, di curiosi e di re. “Le style c’est l’homme!” dicono i francesi, e lo stile di Dio è da sempre la sorpresa. Neppure Maria l’aveva previsto. Trovatasi nella situazione di ogni migrante, era sperduta e fuori casa. Camminando per giorni, aveva finalmente posto tra gli animali di Betlemme e tra uomini che vivono il giorno e la notte in loro compagnia: erano pastori. Esseri ai margini dell’umanità.
È qui, tuttavia, ai margini, dove Dio sempre si nasconde. Dove misteriosamente si fa presente. Era nato quella notte un agnello, forse il più bello mai visto fino allora. Lo chiameranno “l’Agnello di Dio”, un nome che ne segna il destino: la misericordia e il martirio. Un agnello, in fondo, è fatto per essere offerto in sacrificio. Fuori le mura, ai margini della città.
E Maria ci ricorda la miserabile accoglienza che riserviamo a tantissimi migranti, che spesso vivono in maniera ben poco umana. Sembra quasi il loro destino dai tempi di Betlemme. Così, Matilde racconta ancora con emozione la sua esperienza in Svizzera negli anni ‘60. Appena sposata, si presentava con il suo bel vestito bianco a bussare alle porte per avere una casa. Non voleva restare nella miseria di una baracca di legno piena di lavoratori italiani. Ricorda ancora le lacrime, la rabbia e quel gesto inutile e patetico.
Chi viene da fuori è destinato a rimanere alla periferia del mondo. E questa sembra essere una normale legge degli uomini. Ma Dio preferisce rivelarsi proprio qui: alla periferia delle cose, del potere, delle relazioni.
Così, ogni donna italiana ha vissuto in emigrazione la vita di Maria. In un cammino che non finirà mai, queste donne hanno perso a volte il marito e a volte anche i figli. I figli dei migranti, d’altronde, si perdono sempre: diventano così diversi da chi li genera da chiedersi se sono frutto della stessa carne. Chi nasce all’estero pare quasi destinato a diventare straniero a se stesso e ai suoi. Poi, senti Elsa, ormai anziana, pronunciare le parole più commoventi che si possano ascoltare: “Ho perduto tutti, ormai, però ci siamo tanto amati.” Resta solo questo, scritto nell’anima. Ed è ciò che Dio stesso indica, nella tristezza di una grotta, come il segreto di una vita riuscita.
Le nostre donne in emigrazione hanno lottato in casa e fuori, ma sempre ai confini del mondo. Hanno combattuto per salvare il tesoro di una famiglia, la sua unità, perché “i miracoli sono compiuti dagli uomini uniti”. Hanno lottato per crescere i figli, anche se questi imparavano sempre più a prendere il volo, ad allontanarsi dal nido. E hanno saputo sopportare con pazienza e preghiera le loro sbandate. “The greatest power is often simple patience,” dicono gli inglesi con la saggezza del mare.
Un cuore di madre trapiantato all’estero rivela la qualità più vera di una donna: il coraggio. E queste donne sono un esempio grande di forza d’animo e di resistenza. A Betlemme, in fondo, Maria ne indica il senso. Il coraggio proviene da una fiducia e una speranza senza confini, luminose come una stella. Così, in terra di emigrazione, è ancora Natale.
————-

*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l’Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista « Presenza italiana ». Dopo l’esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d’Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.

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Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et Orbi Natale 2001: « Christus est pax nostra »,

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/messages/urbi/documents/hf_jp-ii_mes_20011225_urbi_it.html

MESSAGGIO URBI ET ORBI

(Giovanni Paolo II)

NATALE 2001

1.     « Christus est pax nostra »,
« Cristo è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo » (Ef 2,14).

All’alba del nuovo millennio
iniziato con tante speranze,
ma ora minacciato da nubi tenebrose
di violenza e di guerra,
la parola dell’apostolo Paolo,
che ascoltiamo in questo Natale,
è un raggio di luce possente,
un grido di fiducia e di ottimismo.

Il Bimbo divino nato a Betlemme
reca in dono nelle sue piccole mani
il segreto della pace per l’umanità.
Egli è il Principe della pace!
Ecco il lieto annuncio, risonato quella notte a Betlemme,
e che voglio ripetere al mondo
in questo giorno benedetto

« Vi annuncio una grande gioia,
che sarà di tutto il popolo:
oggi vi è nato nella città di Davide
un salvatore, che è il Cristo Signore » (Lc 2,10-11).
Quest’oggi la Chiesa fa eco agli angeli,
e rilancia il loro straordinario messaggio,
che sorprese per primi i pastori
sulle alture di Betlemme.
2.     « Christus est pax nostra! »
Cristo, « il bambino avvolto in fasce,
che giace in una mangiatoia » (Lc 2,12),
proprio Lui è la nostra pace.
Un inerme Neonato nell’umiltà di una grotta
restituisce dignità a ogni vita che nasce,
dona speranza a chi giace nel dubbio e nello sconforto.
Egli è venuto per guarire i feriti della vita
e per ridare senso persino alla morte.
In quel Bambino, mite e indifeso,
che vagisce in una grotta fredda e nuda,
Dio ha distrutto il peccato,
e ha posto il germoglio di un’umanità nuova,
chiamata a portare a compimento
l’originario progetto della creazione
e a trascenderlo con la grazia della redenzione.
3.     « Christus est pax nostra! »
Uomini e donne del terzo millennio,
voi che avete fame di giustizia e di pace,
accogliete il messaggio di Natale,
che si diffonde oggi nel mondo!
Gesù è nato per rinsaldare i legami
tra gli uomini e i popoli,
per renderli tutti, in se stesso, fratelli.
E’ venuto per abbattere « il muro di separazione
che era frammezzo, cioè l’inimicizia » (Ef 2,14),
e per fare dell’umanità un’unica famiglia.
Sì, con certezza possiamo ripetere:
Oggi col Verbo incarnato è nata la pace!
Pace da implorare,
perché Dio solo ne è autore e garante.
Pace da costruire
in un mondo dove popoli e nazioni,
provati da tante e diverse difficoltà,
sperano in un’umanità
non solo globalizzata da interessi economici,
ma dallo sforzo costante
di una più giusta e solidale convivenza.
4.     Accorriamo come i pastori a Betlemme,
sostiamo adoranti nella grotta,
fissando lo sguardo sul neonato Redentore.
In Lui possiamo riconoscere i tratti
di ogni piccolo essere umano che viene alla luce,
a qualunque razza e nazione appartenga:
è il piccolo palestinese e il piccolo israeliano;
è il bimbo statunitense ed è quello afghano;
è il figlio dell’hutu e il figlio del tutsi…
è il bimbo qualunque, che per Cristo è qualcuno.
Oggi il mio pensiero va a tutti i bambini del mondo:
tanti, troppi sono i bambini
che nascono condannati a patire senza colpa
le conseguenze di disumani conflitti.
Salviamo i bambini,
per salvare la speranza dell’umanità!
Ce lo chiede oggi con forza
quel Bimbo nato a Betlemme,
il Dio che si è fatto uomo,
per restituirci il diritto a sperare.
5.     Imploriamo dal Cristo il dono della pace
per quanti sono provati da antichi e nuovi conflitti.
Ogni giorno porto nel cuore
i drammatici problemi della Terra Santa;
ogni giorno penso con apprensione
a quanti muoiono di freddo e di fame;
ogni giorno mi giunge accorato
il grido di chi, in tante parti del mondo,
invoca una più equa distribuzione delle risorse
e un’occupazione dignitosamente retribuita per tutti.
Che nessuno cessi di sperare
nella potenza dell’amore di Dio!
Cristo sia luce e sostegno
di chi crede ed opera, talora controcorrente,
per l’incontro, il dialogo, la cooperazione
tra le culture e le religioni.
Cristo guidi nella pace i passi
di chi instancabilmente si adopera
per il progresso della scienza e della tecnica.
Non si usino mai questi grandi doni di Dio
contro il rispetto e la promozione della dignità umana.
Mai si ponga il nome santo di Dio
a suggello dell’odio!
Mai se ne faccia ragione di intolleranza e di violenza!
Il volto dolce del Bambino di Betlemme
ricordi a tutti che abbiamo un unico Padre.
6.     « Christus est pax nostra! »
Fratelli e Sorelle che mi ascoltate,
aprite il cuore a questo messaggio di pace,
apritelo a Cristo, Figlio della Vergine Maria,
a Colui che si è fatto « nostra pace »!
Apritelo a Colui che nulla ci toglie
se non il peccato,
e ci dona in cambio pienezza
di umanità e di gioia.
E Tu, adorato Bambino di Betlemme,
reca la pace in ogni famiglia e città,
in ogni nazione e continente.
Vieni, Dio fatto uomo!
Vieni ad essere il cuore del mondo rinnovato dall’amore!
Vieni dove maggiormente in pericolo
sono le sorti dell’umanità!
Vieni, e non tardare!
Tu sei « la nostra pace » (Ef 2,14)!

Messaggio natalizio 2010 del Patriarca Bartolomeo

dal sito:

http://www.zammerumaskil.com/rassegna-stampa-cattolica/dal-mondo/messaggio-natalizio-2010-del-patriarca-bartolomeo.html

Messaggio natalizio 2010 del Patriarca Bartolomeo

Martedì 21 Dicembre 2010

 Pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, il messaggio per il Natale 2010 del Patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo.

Grazia, pace e misericordia dal Salvatore Cristo nato a Betlemme.
Amati fratelli concelebranti e figli benedetti nel Signore, nella cupa atmosfera che pervade il mondo, a causa di vari problemi legati alla crisi finanziaria, sociale, morale e in particolare spirituale e che ha creato sempre più frustrazione, amarezza, confusione, ansietà, delusione e paura fra molte persone a proposito del futuro, la voce della Chiesa risuona dolce:  « Venite, o fedeli, eleviamo la nostra mente alle cose divine e contempliamo la celeste condiscendenza che è apparsa dall’alto, a Betlemme » (Inno dell’Ora sesta, del giorno di Natale).
Secondo il credo incrollabile dei cristiani, Dio non osserva semplicemente e con indifferenza dall’alto il cammino dell’umanità, che Egli ha creato personalmente a sua immagine e somiglianza. Per questo l’incarnazione del suo Verbo e Figlio unigenito è stata fin dall’inizio la sua « buona volontà », la sua intenzione originale. La sua « volontà pre-eterna » è stata proprio quella di assumere nella sua persona, in un atto d’amore estremo, la natura umana che ha creato per renderla « partecipe della natura divina » (2 Pietro, 1, 4). Infatti, Dio ha voluto questo prima della « caduta » di Adamo e di Eva, anche prima della loro stessa creazione! Dopo la « caduta » di Adamo e di Eva, la « volontà pre-eterna » dell’Incarnazione ha abbracciato la croce, la sacra passione, la morte datrice di vita, la discesa negli inferi, e la resurrezione dopo tre giorni. In tal modo, il peccato che è penetrato nella natura umana infettando ogni cosa e la morte che è entrata furtivamente nella vita sono stati scacciati del tutto e in via definitiva, mentre l’umanità ha potuto godere della pienezza dell’eredità paterna ed eterna.
Tuttavia, la condiscendenza divina del Natale non si limita alle cose relative all’eternità, ma include anche elementi legati al nostro viaggio terreno. Cristo è venuto nel mondo per diffondere la buona novella del Regno dei Cieli e per iniziarci al suo Regno. Ancora, egli è anche venuto per aiutare e per guarire la debolezza umana. Ha nutrito miracolosamente e ripetutamente coloro i quali hanno ascoltato la sua parola; ha curato i lebbrosi, sostenuto gli infermi, concesso la vista ai ciechi, l’udito ai sordi e la parola ai muti, ha liberato gli indemoniati dagli spiriti impuri, ha fatto risorgere dai morti, ha difeso i diritti degli oppressi e degli abbandonati, ha condannato la ricchezza illegale, l’insensibilità verso i poveri, l’ipocrisia e la hýbris nei rapporti umani. Ha offerto se stesso come esempio di sacrificio volontario di svuotamento di sé per la salvezza degli altri!
Forse quest’anno si dovrebbe evidenziare in particolare questa dimensione del messaggio dell’incarnazione divina. Molti nostri amici e colleghi stanno attraversando le prove terribili della crisi attuale. Ci sono innumerevoli disoccupati, nuovi poveri, senza tetto, giovani con sogni « infranti ». Ciononostante, Betlemme si traduce con « Casa del Pane ». Quindi, come fedeli cristiani, dobbiamo a tutti i nostri fratelli e a tutte le nostre sorelle non solo il « pane essenziale », ovvero Cristo in fasce in una umile mangiatoia a Betlemme, ma anche il pane quotidiano concreto per la sopravvivenza e tutto ciò che « attiene a ciò che è necessario per il corpo » (Giacomo, 2, 16). Ora è tempo di applicare il messaggio evangelico in modo pratico con un senso decoroso di responsabilità! Ora è tempo di mettere in pratica in modo chiaro e preciso le parole dell’apostolo:  « con le mie opere ti mostrerò la mia fede » (Giacomo, 2, 18). Ora è  opportuno  per noi « elevare la mente alle cose divine », all’altezza della virtù regale dell’amore che ci avvicina a Dio.
Questo proclamiamo a tutti i figli del Patriarcato ecumenico da questa sede sacra e mistica, la Chiesa dei Poveri di Cristo, e invochiamo su tutti voi la condiscendenza divina e la misericordia infinita nonché la pace e la grazia del Verbo e del Figlio unigenito di Dio, che si è incarnato per la nostra salvezza per mezzo dello Spirito Santo e della Vergine Maria. A lui appartengono la gloria, la forza, l’onore e l’adorazione con il Padre e lo Spirito, nei secoli dei secoli. Amen.

(L’Osservatore Romano – 22 dicembre 2010)

Publié dans:NATALE 2010 e Avvento, Ortodossia |on 23 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Catechesi di Benedetto XVI sul mistero del Natale

dal sito:

http://www.zenit.org/article-25027?l=italian

Catechesi di Benedetto XVI sul mistero del Natale

All’Udienza generale del mercoledì

ROMA, mercoledì, 22 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI durante l’Udienza generale svoltasi nell’Aula Paolo VI. 

Nel suo discorso, il Papa si è soffermato sul mistero del Natale ormai prossimo.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Con quest’ultima Udienza prima delle Festività Natalizie, ci avviciniamo, trepidanti e pieni di stupore, al « luogo » dove per noi e per la nostra salvezza tutto ha avuto inizio, dove tutto ha trovato un compimento, là dove si sono incontrate e incrociate le attese del mondo e del cuore umano con la presenza di Dio. Possiamo già ora pregustare la gioia per quella piccola luce che si intravede, che dalla grotta di Betlemme comincia ad irradiarsi sul mondo. Nel cammino dell’Avvento, che la liturgia ci ha invitato a vivere, siamo stati accompagnati ad accogliere con disponibilità e riconoscenza il grande Avvenimento della venuta del Salvatore e a contemplare pieni di meraviglia il suo ingresso nel mondo.
L’attesa gioiosa, caratteristica dei giorni che precedono il Santo Natale, è certamente l’atteggiamento fondamentale del cristiano che desidera vivere con frutto il rinnovato incontro con Colui che viene ad abitare in mezzo a noi: Cristo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Ritroviamo questa disposizione del cuore, e la facciamo nostra, in coloro che per primi accolsero la venuta del Messia: Zaccaria ed Elisabetta, i pastori, il popolo semplice, e specialmente Maria e Giuseppe, i quali in prima persona hanno provato la trepidazione, ma soprattutto la gioia per il mistero di questa nascita. Tutto l’Antico Testamento costituisce un’unica grande promessa, che doveva compiersi con la venuta di un salvatore potente. Ce ne dà testimonianza in particolare il libro del profeta Isaia, il quale ci parla del travaglio della storia e dell’intera creazione per una redenzione destinata a ridonare nuove energie e nuovo orientamento al mondo intero. Così, accanto all’attesa dei personaggi delle Sacre Scritture, trova spazio e significato, attraverso i secoli, anche la nostra attesa, quella che in questi giorni stiamo sperimentando e quella che ci mantiene desti per l’intero cammino della nostra vita. Tutta l’esistenza umana, infatti, è animata da questo profondo sentimento, dal desiderio che quanto di più vero, di più bello e di più grande abbiamo intravisto e intuito con la mente ed il cuore, possa venirci incontro e davanti ai nostri occhi diventi concreto e ci risollevi.
« Ecco viene il Signore onnipotente: sarà chiamato Emmanuele, Dio-con-noi » (Antifona d’ingresso, S. Messa del 21 dicembre). Frequentemente, in questi giorni, ripetiamo queste parole. Nel tempo della liturgia, che riattualizza il Mistero, è ormai alle porte Colui che viene a salvarci dal peccato e dalla morte, Colui che, dopo la disobbedienza di Adamo ed Eva, ci riabbraccia e spalanca per noi l’accesso alla vita vera. Lo spiega sant’Ireneo, nel suo trattato « Contro le eresie », quando afferma: « Il Figlio stesso di Dio scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8,3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l’uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio, e gli diede in dono lo stesso Padre » (III, 20, 2-3).
Ci appaiono alcune idee preferite di sant’Ireneo, che Dio con il Bambino Gesù ci richiama alla somiglianza con se stesso. Vediamo com’è Dio. E così ci ricorda che noi dovremmo essere simili a Dio. E dobbiamo imitarlo. Dio si è donato, Dio si è donato nelle nostre mani. Dobbiamo imitare Dio. E infine l’idea che così possiamo vedere Dio. Un’idea centrale di sant’Ireneo: l’uomo non vede Dio, non può vederlo, e così è nel buio sulla verità, su se stesso. Ma l’uomo che non può vedere Dio, può vedere Gesù. E così vede Dio, così comincia a vedere la verità, così comincia a vivere.
Il Salvatore, dunque, viene per ridurre all’impotenza l’opera del male e tutto ciò che ancora può tenerci lontani da Dio, per restituirci all’antico splendore e alla primitiva paternità. Con la sua venuta tra noi, Dio ci indica e ci assegna anche un compito: proprio quello di essere somiglianti a Lui e di tendere alla vera vita, di arrivare alla visione di Dio nel volto di Cristo. Ancora sant’Ireneo afferma: « Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a percepire Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo, Dio ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele » (ibidem). Anche qui c’è un’idea centrale molto bella di sant’Ireneo: dobbiamo abituarci a percepire Dio. Dio è normalmente lontano dalla nostra vita, dalle nostre idee, dal nostro agire. È venuto vicino a noi e dobbiamo abituarci a essere con Dio. E audacemente Ireneo osa dire che anche Dio deve abituarsi a essere con noi e in noi. E che Dio forse dovrebbe accompagnarci a Natale, abituarci a Dio, come Dio si deve abituare a noi, alla nostra povertà e fragilità. La venuta del Signore, perciò, non può avere altro scopo che quello di insegnarci a vedere e ad amare gli avvenimenti, il mondo e tutto ciò che ci circonda, con gli occhi stessi di Dio. Il Verbo fatto bambino ci aiuta a comprendere il modo di agire di Dio, affinché siamo capaci di lasciarci sempre più trasformare dalla sua bontà e dalla sua infinita misericordia.
Nella notte del mondo, lasciamoci ancora sorprendere e illuminare da questo atto di Dio, che è totalmente inaspettato: Dio si fa Bambino. Lasciamoci sorprendere, illuminare dalla Stella che ha inondato di gioia l’universo. Gesù Bambino, giungendo a noi, non ci trovi impreparati, impegnati soltanto a rendere più bella la realtà esteriore. La cura che poniamo per rendere più splendenti le nostre strade e le nostre case ci spinga ancora di più a predisporre il nostro animo ad incontrare Colui che verrà a visitarci, che è la vera bellezza e la vera luce. Purifichiamo quindi la nostra coscienza e la nostra vita da ciò che è contrario a questa venuta: pensieri, parole, atteggiamenti e azioni, spronandoci a compiere il bene e a contribuire a realizzare in questo nostro mondo la pace e la giustizia per ogni uomo e a camminare così incontro al Signore.
Segno caratteristico del tempo natalizio è il presepe. Anche in Piazza San Pietro, secondo la consuetudine, è quasi pronto e idealmente si affaccia su Roma e sul mondo intero, rappresentando la bellezza del Mistero del Dio che si è fatto uomo e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Il presepe è espressione della nostra attesa, che Dio si avvicina a noi, che Gesù si avvicina a noi, ma è anche espressione del rendimento di grazie a Colui che ha deciso di condividere la nostra condizione umana, nella povertà e nella semplicità. Mi rallegro perché rimane viva e, anzi, si riscopre la tradizione di preparare il presepe nelle case, nei posti di lavoro, nei luoghi di ritrovo. Questa genuina testimonianza di fede cristiana possa offrire anche oggi per tutti gli uomini di buona volontà una suggestiva icona dell’amore infinito del Padre verso noi tutti. I cuori dei bambini e degli adulti possano ancora sorprendersi di fronte ad essa.
Cari fratelli e sorelle, la Vergine Maria e san Giuseppe ci aiutino a vivere il Mistero del Natale con rinnovata gratitudine al Signore. In mezzo all’attività frenetica dei nostri giorni, questo tempo ci doni un po’ di calma e di gioia e ci faccia toccare con mano la bontà del nostro Dio, che si fa Bambino per salvarci e dare nuovo coraggio e nuova luce al nostro cammino. E’ questo il mio augurio per un santo e felice Natale: lo rivolgo con affetto a voi qui presenti, ai vostri familiari, in particolare ai malati e ai sofferenti, come pure alle vostre comunità e a quanti vi sono cari.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, ricordando, in modo speciale, gli Zampognari di Bojano e la delegazione del Comune di Bolsena.

Desidero, poi, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. A pochi giorni dalla solennità del Natale, possa l’amore, che Dio manifesta all’umanità nella nascita di Cristo, accrescere in voi, cari giovani, il desiderio di servire generosamente i fratelli. Sia per voi, cari malati, fonte di conforto e di serenità, perché il Signore viene a visitarci, recando consolazione e speranza. Ispiri voi, cari sposi novelli, a consolidare la vostra promessa di amore e di reciproca fedeltà.

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