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LA MUSICA E IL CANTO LITURGICO
(Papa Benedetto, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto/ Jospeh Ratzinger)
BENEDETTO XVI, Lettera al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra in occasione del 100º anniversario di fondazione dell’Istituto, 13 maggio 2011
…Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè, da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia. In particolare, i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè « la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli » (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali. Sono criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità. Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, « vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio », tenendo sempre ben presente che questi due concetti – che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano – si integrano a vicenda perché « la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso » (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011).
GIOVANNI PAOLO II – CHIROGRAFO SULLA MUSICA SACRA
…3. In varie occasioni anch’io ho richiamato la preziosa funzione e la grande importanza della musica e del canto per una partecipazione più attiva e intensa alle celebrazioni liturgiche, ed ho sottolineato la necessità di “purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra”, per assicurare dignità e bontà di forme alla musica liturgica.
In tale prospettiva, alla luce del magistero di san Pio X e degli altri miei Predecessori e tenendo conto in particolare dei pronunciamenti del Concilio Vaticano II, desidero riproporre alcuni principi fondamentali per questo importante settore della vita della Chiesa, nell’intento di far sì che la musica liturgica risponda sempre più alla sua specifica funzione.
4. Sulla scia degli insegnamenti di san Pio X e del Concilio Vaticano II, occorre innanzitutto sottolineare che la musica destinata ai sacri riti deve avere come punto di riferimento la santità: essa di fatto, “sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica”. Proprio per questo, “non indistintamente tutto ciò che sta fuori dal tempio (profanum) è atto a superarne la soglia”, affermava saggiamente il mio venerato Predecessore Paolo VI, commentando un decreto del Concilio di Trento e precisava che “se non possiede ad un tempo il senso della preghiera, della dignità e della bellezza, la musica – strumentale e vocale – si preclude da sé l’ingresso nella sfera del sacro e del religioso. D’altra parte la stessa categoria di “musica sacra” oggi ha subito un allargamento di significato tale da includere repertori i quali non possono entrare nella celebrazione senza violare lo spirito e le norme della Liturgia stessa.
La riforma operata da san Pio X mirava specificamente a purificare la musica di chiesa dalla contaminazione della musica profana teatrale, che in molti Paesi aveva inquinato il repertorio e la prassi musicale liturgica. Anche ai tempi nostri è da considerare attentamente, come ho messo in evidenza nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, che non tutte le espressioni delle arti figurative e della musica sono capaci “di esprimere adeguatamente il Mistero colto nella pienezza di fede della Chiesa”. Di conseguenza, non tutte le forme musicali possono essere ritenute adatte per le celebrazioni liturgiche.
5. Un altro principio enunciato da san Pio X nel Motu proprio Tra le sollecitudini, principio peraltro intimamente connesso con il precedente, è quello della bontà delle forme. Non vi può essere musica destinata alla celebrazione dei sacri riti che non sia prima “vera arte”, capace di avere quell’efficacia “che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni”
E tuttavia tale qualità da sola non basta. La musica liturgica deve infatti rispondere a suoi specifici requisiti: la piena aderenza ai testi che presenta, la consonanza con il tempo e il momento liturgico a cui è destinata, l’adeguata corrispondenza ai gesti che il rito propone. I vari momenti liturgici esigono, infatti, una propria espressione musicale, atta di volta in volta a far emergere la natura propria di un determinato rito, ora proclamando le meraviglie di Dio, ora manifestando sentimenti di lode, di supplica o anche di mestizia per l’esperienza dell’umano dolore, un’esperienza tuttavia che la fede apre alla prospettiva della speranza cristiana.
6. Canto e musica richiesti dalla riforma liturgica ‑ è bene sottolinearlo ‑ devono rispondere anche a legittime esigenze di adattamento e di inculturazione. E’ chiaro, tuttavia, che ogni innovazione in questa delicata materia deve rispettare peculiari criteri, quali la ricerca di espressioni musicali che rispondano al necessario coinvolgimento dell’intera assemblea nella celebrazione e che evitino, allo stesso tempo, qualsiasi cedimento alla leggerezza e alla superficialità. Sono altresì da evitare, in linea di massima, quelle forme di “inculturazione” di segno elitario, che introducono nella Liturgia composizioni antiche o contemporanee che sono forse di valore artistico, ma che indulgono ad un linguaggio ai più incomprensibile.
In questo senso san Pio X indicava – usando il termine universalità – un ulteriore requisito della musica destinata al culto: “… pur concedendosi ad ogni nazione – egli annotava – di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra nazione nell’udirle debba provarne impressione non buona. In altri termini, il sacro ambito della celebrazione liturgica non deve mai diventare laboratorio di sperimentazioni o di pratiche compositive ed esecutive introdotte senza un’attenta verifica.
7. Tra le espressioni musicali che maggiormente rispondono alle qualità richieste dalla nozione di musica sacra, specie di quella liturgica, un posto particolare occupa il canto gregoriano. Il Concilio Vaticano II lo riconosce come “canto proprio della liturgia romana” a cui occorre riservare a parità di condizioni il primo posto nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina.San Pio X rilevava come la Chiesa lo ha “ereditato dagli antichi padri”, lo ha ”custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici” e tuttora lo “propone ai fedeli” come suo, considerandolo “come il supremo modello della musica sacra”. Il canto gregoriano pertanto continua ad essere anche oggi elemento di unità nella liturgia romana.
Come già san Pio X, anche il Concilio Vaticano II riconosce che “gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non vanno esclusi affatto dalla celebrazione dei divini uffici”. Occorre, pertanto, vagliare con attenta cura i nuovi linguaggi musicali, per esperire la possibilità di esprimere anche con essi le inesauribili ricchezze del Mistero riproposto nella Liturgia e favorire così la partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni…
11. Il secolo scorso, con il rinnovamento operato dal Concilio Vaticano II, ha conosciuto uno speciale sviluppo del canto popolare religioso, del quale la Sacrosanctum Concilium dice: “Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, [...] possano risuonare le voci dei fedeli”. Tale canto si presenta particolarmente adatto alla partecipazione dei fedeli non solo alle pratiche devozionali, “secondo le norme e le disposizioni delle rubriche”, ma anche alla stessa Liturgia. Il canto popolare, infatti, costituisce “un vincolo di unità e un’espressione gioiosa della comunità orante, promuove la proclamazione dell’unica fede e dona alle grandi assemblee liturgiche una incomparabile e raccolta solennità”
12. A riguardo delle composizioni musicali liturgiche faccio mia la “legge generale”, che san Pio X formulava in questi termini: “Tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”. Non si tratta evidentemente di copiare il canto gregoriano, ma piuttosto di far sì che le nuove composizioni siano pervase dallo stesso spirito che suscitò e via via modellò quel canto. Solo un artista profondamente compreso del sensus Ecclesiae può tentare di percepire e tradurre in melodia la verità del Mistero che si celebra nella Liturgia. In questa prospettiva, nella Lettera agli Artisti scrivevo: “Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della Liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell’intervento salvifico di Dio”
E’ dunque necessaria una rinnovata e più approfondita considerazione dei principi che devono essere alla base della formazione e della diffusione di un repertorio di qualità. Solo così si potrà consentire all’espressione musicale di servire in maniera appropriata al suo fine ultimo che “è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli
LITURGIA E MUSICA SACRA (CARD. J. RATZINGER)
Oggi sperimentiamo il ritorno profanizzato di questo modello nella musica Rock e Pop, i cui festivals sono un anticulto nella stessa direzione — smania di distruzione, abolizione delle barriere del quotidiano e illusione di redenzione nella liberazione dall’Io, nell’estasi furiosa del rumore e della massa. Si tratta di pratiche redentive simili alla droga nella loro forma di redenzione e fondamentalmente opposte alla concezione di redenzione della fede cristiana. Di conseguenza perciò dilagano oggi sempre di più, in questo ambito, culti e musiche satanistiche il cui potere pericoloso, in quanto volutamente tendente alla distruzione e al disfacimento della persona, non è preso ancora abbastanza sul serio. La disputa che Platone ha condotto tra la musica dionisiaca e quella apollinea non è la nostra, poiché Apollo non è Cristo. Ma la questione che egli ha posto ci tocca molto da vicino. In una forma che la generazione a noi precedente non poteva neppure immaginare la musica è diventata oggi il veicolo determinante di una controreligione e pertanto il palcoscenico della divisione degli spiriti. Cercando la salvezza mediante la liberazione dalla personalità e dalla sua responsabilità, la musica Rock da un lato si inserisce perfettamente nelle idee di libertà anarchiche che oggi in occidente dominano più che non in oriente; ma proprio per questo si oppone radicalmente alla concezione cristiana della redenzione e della libertà, è anzi la sua perfetta contraddizione. Perciò non per motivi estetici, non per ostinazione restaurativa, non per immobilismo storico, bensì per motivi antropologici di fondo, questo tipo di musica deve essere esclusa dalla Chiesa.
Potremmo concretizzare ulteriormente la nostra questione, se continuassimo ad analizzare la base antropologica di vari tipi di musica.
Abbiamo della musica d’agitazione che anima l’uomo in vista di vari fini collettivi. Esiste della musica sensuale, che introduce l’uomo nella sfera erotica oppure tende in altra maniera essenzialmente a sensazioni di piacere sensibili. Esiste della semplice musica leggera che non vuole dire nulla, bensì rompere soltanto il peso del silenzio. Esiste della musica razionalistica in cui i suoni servono soltanto a delle costruzioni razionali, ma non avviene una penetrazione reale dello spirito e dei sensi. Parecchi canti inconsistenti su testi catechetici, parecchi canti moderni costruiti in commissioni, sarebbero probabilmente da classificare in questo settore.
La musica invece adeguata alla liturgia di Colui che si è incarnato ed è stato elevato sulla croce, vive in forza di un’altra sintesi molto più grande e ampia di spirito, intuizione e suono. Si può dire che la musica occidentale dal canto gregoriano attraverso la musica delle cattedrali e la grande polifonia, la musica del rinascimento e del barocco fino a Bruckner e oltre proviene dalla ricchezza intrinseca di questa sintesi e l’ha sviluppata in un grande numero di possibilità. Questa grandezza esiste soltanto qui, perché poteva nascere soltanto dal fondamento antropologico che collegava elementi spirituali e profani in un’ultima unità umana. Essa si dissolve nella misura in cui svanisce tale antropologia. La grandezza di questa musica rappresenta per me la verifica più immediata e più evidente dell’immagine cristiana dell’uomo e ella concezione cristiana della redenzione, che la storia ci offre. Colui he da essa è realmente colpito, sa in qualche modo, dal suo intimo, che la fede è vera, pur dovendo fare ancora molti passi per completare questa intuizione a livello razionale e volitivo.
Ciò significa che la musica liturgica della Chiesa deve soggiacere a quell’integrazione dell’essere umano, che ci si presenta nella realtà di fede dell’incarnazione. Questa redenzione richiede più fatica che non quella dell’ebrezza. Ma questa fatica è lo sforzo della verità stessa. Da un lato deve integrare i sensi nell’intimo dello spirito, deve corrispondere all’impulso del Sursum corda. Non vuole, tuttavia, la pura spiritualizzazione, bensì l’integrazione di sensi e spirito, di modo che ambedue insieme diventino la persona. Lo spirito non si avvilisce ricevendo in sé i sensi, bensì soltanto questa unione gli apporta tutta la ricchezza del creato. E i sensi non vengono privati della loro realtà, se vi penetra lo spirito, bensì soltanto in questo modo possono partecipare alla sua dimensione di infinito. Ogni piacere sensuale è strettamente limitato e, in ultima analisi, non suscettibile di accrescimento, perché l’atto dei sensi non può oltrepassare una determinata misura. Colui che da esso si aspetta la redenzione, viene deluso, «frustrato” — come si direbbe oggi —. Ma essendo integrati nello spirito, i sensi acquistano una nuova profondità e penetrano nell’infinito dell’avventura spirituale. Là solo essi si realizzano totalmente. Ciò però presuppone che anche lo spirito non rimanga chiuso. La musica della fede cerca nel Sursurn corda l’integrazione dell’uomo, ma non trova questa integrazione in se stessa, bensì soltanto nell’autosuperamento, nell’intimo della Parola incarnata. La musica sacrale, ancorata in questa struttura di movimento, diventa purificazione dell’uomo, la sua ascensione. Non dobbiamo però dimenticare che questa musica non è l’opera di un momento, bensì partecipazione a una storia e suppone la comunione dal singolo individuo con le intuizioni fondamentali di questa storia. Così si esprime proprio in essa anche l’ingresso nella storia della fede, l’essere tutti membra del corpo di Cristo. Dietro di sé lascia gioia, una modalità più alta di estasi, che non cancella la persona, bensì la unisce e nello stesso tempo la libera. Ci fa presentire ciò che è la libertà, che non distrugge, bensì raccoglie e purifica.