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UNA BREVISSIMA STORIA DELLA MUSICA SACRA – Marco Frisina

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UNA BREVISSIMA STORIA DELLA MUSICA SACRA

Marco Frisina

In ogni secolo e cultura i cristiani hanno voluto cantare la loro fede, esprimendo la bellezza del Vangelo con melodie sublimi, capaci di toccare il cuore del credente e di innalzarlo fino a Dio. L’inizio di tutto questo è nella Bibbia. I cantici, che punteggiano l’intera storia biblica, esprimono lo stupore dinanzi ai grandi avvenimenti della salvezza. Il Canto del mare di Es 15 interpreta liricamente ed epicamente l’episodio fondamentale della storia di Israele: il passaggio del Mar Rosso. Possiamo definirlo uno dei primi esempi di musica sacra perché è l’espressione più pura di come la vita e la fede si fondano insieme per divenire canto, anzi una vera e propria liturgia cantata di un popolo al suo Dio Salvatore. Nel Salterio troviamo raccolti in un solo libro tutte le possibilità espressive di questo canto a Dio “che opera meraviglie”. Ci sono salmi di lode e di supplica, salmi penitenziali e salmi di ringraziamento, lamentazioni e epopee, in una parola c’è tutto l’uomo che canta il suo rapporto con Dio. Nel Nuovo Testamento il Magnificat diviene l’archetipo stupendo di ogni cantico cristiano, l’inno di Maria a Dio Salvatore potente che fa “grandi cose” per i poveri realizzando le sue promesse diviene il canto della Chiesa che al tramonto inneggia al suo Redentore. Ogni musica sacra dipende in qualche modo da questi modelli biblici e nella storia della musica ogni generazione cristiana ha voluto continuare la composizione di questi cantici e di questi salmi, realizzando miriadi di “inni e cantici” al Signore della bellezza. Le melodie della tradizione gregoriana appaiono come una meravigliosa sintesi del primo millennio cristiano. Nella loro semplicità e sublime espressività ci mostrano il connubio perfetto tra melodia e testo sacro; la musica fa emergere la luce contenuta in quelle parole e ispira in chi canta e in chi ascolta una struggente nostalgia del cielo. Dai monasteri al popolo di Dio questo canto produsse effetti meravigliosi creando nell’Occidente cristiano un linguaggio comune, con la sua diffusione diede inizio sia alla musica colta che a quella popolare e segnò l’inizio della vera e propria storia della musica. Col tempo si sentì l’esigenza di unire melodie diverse realizzando così un canto fatto di diversi canti, una “polifonia”. Dal XIII sec. in poi nasce questo nuovo genere musicale in cui l’armonia può essere gustata come unione di voci diverse, come “concordia discors”; il coro a tre voci e poi a quattro, cinque, otto, dodici, addirittura trentasei voci e oltre diviene simbolo di una armonia superiore e inebriante che ricorda le sfere celesti, i cori angelici. Gradualmente però si avvertì il pericolo di smarrire qualcosa; il testo sacro, soffocato tra gli intrecci polifonici, non era più facilmente comprensibile. Il testo doveva ritornare ad essere protagonista: la Scrittura doveva essere cantata e la polifonia doveva porsi al suo servizio. Nacque così quella meravigliosa stagione musicale che fu la polifonia rinascimentale. Tra i tanti grandi autori del cinquecento non possiamo non ricordare Pierluigi da Palestrina, colui che seppe sintetizzare le grandi conquiste contrappuntistiche dei secoli precedenti purificandole in nome di un equilibrio perfetto tra testo, musica ed espressività poetica. Questo periodo se da una parte è il culmine di una civiltà musicale non ne è la fine, anzi può essere definito l’inizio di un nuovo sentire. La Controriforma spinse infatti la Chiesa ad esprimere il Vangelo con maggior forza ed entusiasmo. E fece sorgere molti santi testimoni di una fede intraprendente e “moderna”. L’entusiasmo missionario spinse molti cristiani a guardare al di là dell’Europa vedendo nei nuovi mondi dei nuovi destinatatari del Vangelo. Inoltre si scoprì che la voce umana e gli strumenti potevano essere utilizzati come veicolo delle emozioni più profonde dell’uomo e quindi della fede. La nascita dell’Opera e contemporaneamente dell’Oratorio sacro ci mostrano proprio il sorgere di questa nuova sensibilità musicale. La drammatizzazione dell’esperienza di fede, come accade nei grandi oratori barocchi, diviene un modo per esprimere la propria partecipazione al mistero della salvezza dando spazio al cuore, agli umani sentimenti. Già nel Seicento c’era stato Carissimi a portare l’Oratorio a livelli altissimi di arte ma fu nel secolo successivo che questo genere sacro ebbe la sua massima espressione. La Riforma protestante aveva sostituito i tradizionali canti della tradizione medioevale con nuovi canti più semplici e scarni per favorire la partecipazione dei fedeli: i corali. Queste composizioni divennero il tramite per l’istruzione della gente semplice che potevano imparare, insieme alle semplici melodie, anche brani interi della Scrittura cantandoli nella propria lingua. Da questi corali i musicisti trassero il materiale per le loro grandi composizioni. Bach scrisse centinaia di cantate semplicemente rivestendo quei corali di cori e arie stupende. La commozione e la partecipazione al misero della Redenzione che egli seppe esprimere segnarono la storia della musica per sempre; l’arte sacra ebbe in lui un punto d’arrivo e nello stesso tempo un punto di partenza. Nell’epoca successiva la musica sacra continuò i suoi splendori barocchi con i grandi autori del settecento, basta ricordare in Italia Pergolesi che nella sua breve vita seppe donarci alcuni capolavori come lo Stabat Mater. Alla fine del secolo però una nuova sensibilità si fa largo trascinando con sé anche la musica sacra: Mozart e Haydn aprono le porte ad un nuovo modo più articolato e “sinfonico” di concepire la musica sacra. Beethoven e Schubert raccoglieranno le loro intenzioni portandole a contatto con le tematiche romantiche, la musica sacra è diviene l’occasione per esprimere il conflitto del cuore dell’uomo dinanzi al dolore e a Dio stesso.Verdi riassunse magistralmente questo conflitto nella Messa da Requiem in cui la contemplazione dei “novissimi” diviene la sintesi stessa del dramma umano. Il novecento ha ereditato questa fede conflittuale e soprattutto ha fatto proprio il dubbio e addirittura a volte l’”ateismo” moderno. Ma nello stesso tempo una nuova nostalgia del cielo si è fatto largo tra i compositori del novecento, basta pensare alle composizioni sacre di Stravinsky in cui l’autore si rifà ai modi della musica ortodossa, di Rachmaninov, di Poulenc, di Petrassi, Penderecki e altri fino ad arrivare ai contemporanei come Part. La musica sacra continua così il suo cammino esprimendo la bellezza di Dio ed esplorando il cuore dell’uomo alla ricerca della luce che possa donare a tutti, attraverso la musica, uno spiraglio di Paradiso. 

 

Publié dans:musica sacra |on 4 février, 2016 |Pas de commentaires »

MARIA, FONTE PERENNE D’ISPIRAZIONE PER LA MUSICA (PRIMI SECOLI)

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MARIA, FONTE PERENNE D’ISPIRAZIONE PER LA MUSICA (PRIMI SECOLI)

di Angelo M. Gila osm, in Santa Maria « regina martyrum », Anno XIV – n. 1 – 2011, pp. 38-44.

La salmodia e l’innodia sono le prime arcaiche espressioni del canto cristiano antico. La Vergine Maria, in ragione e in dipendenza di Cristo, vi occupa un posto indicativo. Tra i primi cantori di Maria spiccano Efrem ed Ambrogio, due innografi del IV secolo, altamente rappresentativi dell’Oriente e dell’Occidente. Quello degli inizi è il momento più difficile da studiare sotto l’aspetto musicale, ma anche il più suggestivo per le prime testimonianze che lascia trasparire. Se l’età dei Padri della Chiesa non deve essere mitizzata per quanto concerne il canto, è tuttavia significativo prendere atto che dovunque germinò il Vangelo fiorì il canto del Popolo di Dio « coro del Signore »1. Sotto l’aspetto mariano, i testi probabilmente o certamente destinati al canto, che ci sono pervenuti, di ogni area ecclesiale dell’Oriente e dell’Occidente, sono inizialmente limitati ma densi di contenuto e di afflato poetico e lirico2.

Il canto sacro nei primi secoli Il Salterio, paradigma della vita di ogni essere umano – con la sua potenza lirica e profetica – è stato, come per gli ebrei così anche per le prime generazioni cristiane che si sentivano il compimento del Popolo ebraico, motore di sviluppo e nutrimento del canto sacro orante dei primi secoli. Come risulta dai vari inni neotestamentari il Magnificat (Lc 1, 46-55), il Benedictus (Lc 1, 68-79), ecc., accanto alla salmodia sinagogale si affiancò l’innodia (componimento poetico cantato) tipicamente cristiana, quale libera espressione dello Spirito. In questo contesto Paolo invitava gli Efesini ad intrattenersi con salmi, inni, cantici spirituali, cantando ed inneggiando al Signore con tutto il cuore (cf. Ef 5,19; At 1, 16). Poiché gli eretici avevano trasformato gli inni in strumento di propaganda teologica, l’innologia cristiana fu nei secoli II e III molto limitata e guardata con sospetto soprattutto in Occidente3. Tertulliano nel 160 scriveva: « Noi desideriamo che si canti [...] non il genere di salmo degli eretici e degli apostati, e di Valentino il platonico, ma quelli di Davide, che sono molto santi e del tutto ammessi, classici »4. In seguito, come vedremo, superato il pericolo dell’inquinamento eretico, l’innodia acquisterà un suo statuto liturgico in pienezza. Nei confronti della musica che oggi diremmo « musica leggera » o « mondo delle canzonette » c’è un’indicazione saggia da parte di Clemente di Alessandria: « Si scelgano musiche dignitose, allontanando il più possibile le musiche di effetto svenevole»5. Numerose sono le testimonianze sulla pratica, del canto nelle origini cristiane. Ricordiamo oltre a Paolo (Ef. 5,19), i passi della lettera di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano: « In un giorno determinato, prima dell’alba, [i cristiani] sogliono adunarsi e cantare a Cristo come a un Dio »6. Sant’Atanasio nella lettera a Marcellino insegna sapientemente con quale spirito bisogna cantare gli inni e i salmi, affinché questi siano accetti a Dio, di giovamento allo spirito e di edificazione ai fedeli che ascoltano . E’ storica l’impressione profonda, che produsse la massa popolare inneggiante al Signore, sui soldati satelliti di Ario, accorsi in Chiesa per arrestare Atanasio. La viva passione e il profondo sentimento con cui i fedeli accompagnavano il salmo, colpirono talmente i soldati, che questi ne rimasero commossi e non ebbero l’ardire di mettere le mani sul vescovo Atanasio8. S. Sant’Agostino rileverà la bellezza ed importanza del canto nella liturgia cristiana con queste parole « Non si vede cosa possa esistere di meglio, di più utile, di più santo che cantare le lodi sacre »9. Giustamente lo studioso K. H. Bartels ha potuto rilevare che « il canto è senza dubbio parte integrante della liturgia protocristiana »10. Nei confronti dell’uso degli strumenti musicali, sia si tratti di quelli usati nei loro ambienti sociali che di quelli documentati dalla Bibbia per la preghiera dell’AT, i Padri mostrano atteggiamenti diversi e poco entusiasti11. C’è invece un’idea insistente e comune a tutti i Padri: è l’uomo il vero strumento, è la persona l’organo perfetto. Affrontare i] discorso delle « forme musicali » nei primi secoli è cosa ardua poiché nessuna melodia ci è giunta, se non un frammento di un inno cristiano, scoperto ad Ossirinco, recante una notazione musicale risalente al III secolo. E’ questo il primo testo cristiano con indicazioni musicali: la notazione è in forma letterale, secondo la scala diatonica ipolidia12. Sembra che questo fosse il tono musicale preferito dai primi cristiani e che la declamazione (recitazione in tono solenne) e la cantillazione(declamazione propriamente ritmica e intonata) fossero le tecniche dei primi cristiani. Comunque prendiamo atto che l’inno è ed era la forma più popolare e accessibile al canto. La salmodia doveva essere di tipo responsoriale: il cantore declamava il salmo e il popolo, a intervalli regolari, rispondeva con un ritornello13. E’ scontato che sotto l’aspetto tecnicamente melodico, gli inizi del canto cristiano sono avari di notizie concrete e i rilievi sono in gran parte ipotetici ed approssimativi. E’ invece significativo prendere atto che numerose sono le testimonianze sulla pratica del canto nelle origini e sulla conoscenza dei testi cantati quali il Salterio ebraico e gli inni ecclesiali. In altri termini i primi cristiani vivevano il canto come espressione cristiana e nutrivano il canto con la Parola di Dio e la parola della Chiesa. In questo contesto di salmodia e di innodia di alto contenuto biblico ed ecclesiale, troviamo i primi segni della presenza di Maria nel canto cristiano.

Presenza della Vergine nel canto dei Salmi Le prime testimonianze della presenza della Vergine Maria nel canto sacro dei primi secoli, fioriscono all’interno dei Salmi dell’AT amorosamente riletti, sapientemente attualizzati alla luce del mistero di Cristo, pregati coralmente in sintonia con la liturgia ebraica matrice di quella cristiana. Il Salterio, uno dei libri de]l’A.T che più spesso appare citato nel N.T., era considerato tra i più validi testimoni della rivelazione. Questo spiega perché i Padri, « Evangelisti del Salterio » fin dal secolo II, « cristologizzarono » il Salterio poiché Gesù aveva insegnato: « Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi » (Lc 24, 44). Pertanto i salmi furono celebrati quale profezia su Cristo14. In questo contesto in alcuni versetti salmici accanto alla figura di Cristo, si riconobbe profetizzata anche la Vergine Maria sempre legata a Cristo e al suo mistero15. Pertanto in ragione di Cristo, anche Maria entrò nel canto profetico dei salmi quale, per fare qualche esempio dell’ampio patrimonio profetico – mariano, « tabernacolo » dal quale uscì Cristo vero sole di giustizia e luce del mondo (Sal 19,6)16; la nuova « terra vergine » dalla quale fu plasmato Cristo (Sal 67, 6)17; « grembo » nel quale fiorì il frutto Cristo (Sal 22,10-11)18. E’ importante prendere atto dello stabilirsi e diffondersi della «lettura mariologica dei salmi» fin dai primissimi secoli dal momento che il salterio era ritenuto dappertutto libro profetico ed era generalmente usato quale « libro celebrato e cantato » negli incontri cultuali della Chiesa primitiva.

Presenza della Vergine nella prima innografia cristiana I primi segni della presenza di Maria nel canto cristiano fioriscono anche all’interno della prima innodia cristiana che si affianca, all’inizio cautamente, alla salmodia ebraica quale « lode divina » e libera espressione dello spirito. L’area geografica è orientale e le testimonianze sono poche ma ricche di contenuto. Tra i documenti di una arcaica innodia, ricordiamo, in quanto contenenti elementi mariani, le Odi di Salomone (dal sec II al IV), l’inno dell’ascensione – glorificazione di All-Moâllakah (sec. IV) e il tropario Sub tuum praesidium ( sec. III-IV ). La XIX Ode di Salomone sottolinea la parte attiva della Vergine Maria nell’evento dell’incarnazione; il parto indolore di Maria in antitesi con la pena del « dolore del parto » di Eva19; il testo doll’inno di All-Moallakah presenta Maria al momento dell’ascensione e sottolinea il potere intercessivo della Madre di Dio21. Nella stupenda preghiera del Sub tuum praesidium si invocano la protezione e la custodia della Madre di Dio21. Possiamo solo immaginare le forme musicali di questi inni con elementi mariani. Facilmente si trattava della cosiddetta « cantillazione »22. Una cosa comunque merita attenzione sotto l’aspetto mariano: l’antica innografia, anche a motivo del potere della musica e della popolarità degli inni, ha contribuito alla diffusione della dottrina mariana23.

I primi cantori di Maria Nel IV secolo sotto l’aspetto liturgico – musicale sia in Oriente che in Occidente registriamo un notevole sviluppo dell’innodia. In Oriente occupa un posto di primo piano il poeta lirico Efrem il Siro. In Occidente è stato Ilario di Poitiers (†367) il primo appassionato Padre della Chiesa a tentare la via della lirica religiosa latina. Seguito da Eusebio di Vercelli e, soprattutto, da Ambrogio di Milano che si può definire il padre dell’innodia occidentale. Efrem Siro (†373), massimo poeta dell’era patristica, nacque in Mesopotamia a Nisibi (l’attuale Nusaybin in Turchia). Svolse una intensa attività pastorale attraverso la poesia e il canto. Compose dei Memra, poemi destinati alla recitazione e dei Madrasha, inni da cantare, spesso parafrasi di citazioni bibliche, introducendo tecniche metriche nuove, quali l’isosillabismo dei versi e le formule abecedarie (acrostici). Si trattava di espedienti che servivano alle assemblee per facilitare la memorizzazione. In maniera suggestiva un biografo ci racconta la pedagogia religiosa del diacono Efrem, maestro di coro: «Quando Sant’Efrem vide la passione degli abitanti di Edessa per il canto, istituì la contropartita dei giochi e delle danze dei giovani. Formò cori di religiose a cui insegnò gli inni divisi in strofe con ritornelli. Mise in questi inni pensieri delicati e istruzioni spirituali sulla Natività, la Passione, la Resurrezione e l’Ascensione, come anche sui confessori, la penitenza e i defunti. Le vergini si riunivano la domenica, nelle grandi feste e nei giorni commemorativi dei martiri; ed egli, come un padre, stava in mezzo a loro e le accompagnava con l’arpa. Le suddivise in cori per canti alternati, ed insegnò loro le diverse arie musicali, in guisa che tutta la città gli si riunì attorno e gli avversari furono coperti di vergogna e dovettero sparire»25. E’ passato alla storia ed è stato giustamente definito « Cetra dello Spirito Santo ». Per un teologo poeta come lui, Maria diventa oggetto di particolare attenzione ed i suoi misteri sono espressi con simboli lirici di indescrivibile bellezza. Definisce Maria: L’occhio illuminato e luminoso del mondo26; l’orecchio nuovo attraverso il quale è germogliata la Vita27; icona della kenosi del Verbo28. Presenta nel canto poetico note teologiche originali come il paragonare la Vergine Maria al monte Sinai29, «colei che ci ha dato il pane di conforto al posto del pane di fatica che diede Eva»30. Canta Cristo risorto apparso a Maria sua madre31. Ilario di Poitiers (†363) merita molta attenzione perché, sull’esempio di Efrem tentò per primo in Occidente di inserire gli inni nella liturgia per familiarizzare i fedeli con la teologia, proteggere la loro ortodossia e associarli più intimamente alle celebrazioni liturgiche. Il suo sforzo non fu un successo. Era troppo uomo di pensiero per trovare la vena popolare e lirica. Nell’Inno a Cristo e nell’Inno al Natale canta la «Vergine puerpera», segno vivente della divinità di Cristo32. Ambrogio di Milano (†397): a questo grande vescovo si deve il merito storico indiscusso della diffusione degli inni nel culto liturgico delle Chiese Occidentali. Oltre che squisito omileta, Ambrogio è stato anche un valente compositore di inni, scritti per educare il popolo alla fede. Agostino ricorda con struggente nostalgia la melodia e le parole degli inni di Ambrogio: «Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore»33. Effettivamente questi inni si presentano in una piacevole forma artistica. La poesia è piena di eleganza, di gravità romana, di fede sentita. La forma scelta da Ambrogio per i suoi inni è quella del dimetro giambico acatalettico: esso è semplice, fluido, musicale. Dall’Oriente egli deve avere tratto l’uso del canto alternato e forse anche il modo melodico. In essi Ambrogio, riferendosi ad At 2,15, parla di «sobria ebrezza». In due inni, entrati nella liturgia, accosta la Madre del Signore in una teologia altamente ispirata35. Ambrogio anche nell’innodia si dimostra abile nel mantenere alto il livello teologico ed insieme riesce ad abbinarlo alla vena poetica. Incisive e solenni le sue affermazioni: «Tutti i tempi ammirino: un tale parto si addice a Dio. . .Dio dimora nel tempio»36.

«Psalmus responsorius»: un inno alla Vergine Maria (prima metà sec. IV). L’anonimo autore di questa composizione poetica in 12 strofe (altre mancano), ritrovata in un papiro latino a Barcellona, chiama la sua composizione Psalmus responsorius. Questo testo è stato pubblicato da Ramón RocaPuig nel 196537. Il genere poetico è quello della responsio: «I cui elementi sono il « cursus », l’armonia dei suoni e la distribuzione dei termini similari, un abbozzo di rima, in varia proporzione, alla formazione dei versi e delle strofe. E’ notevole l’influsso esercitato dal cursus e dall’armonia dei suoni, meno quello dei termini similari. Con ciò non si dice che l’autore proceda rigidamente, ma che, contro una certa unità, combina liberamente versi e strofe, senza altra restrizione all’infuori di quella che gli impongono il suo estro poetico e la padronanza della lingua latina»38. Sotto l’aspetto musicale si può supporre, a giudicare dal titolo « Psalmus responsorius », che la tecnica innologica fosse quella di tipo responsoriale. Il poemetto esalta alcuni eventi che ebbero la Vergine come protagonista: nascita, presentazione al tempio, sposalizio con Giuseppe, annunciazione, nascita di Gesù, fuga in Egitto, miracolo di Cana. Le fonti principali sono il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo di Matteo e il Vangelo di Giovanni. A conclusione di queste Veloci note ricordiamo un celebre testo agostiniano che presenta il canto quale profezia di speranza: «Qui e lassù si cantano le lodi di Dio, ma qui da gente angustiata, lassù da gente viva per l’eternità; qui nella speranza, lassù nel reale possesso; qui in via, lassù in patria. Cantiamolo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere il gaudio del riposo ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta e cammina» (Sermo 256). In questo contesto di speranza i nostri antichi progenitori di fede hanno voluto si facesse anche memoria di colei che sulla terra ha cantato il Magnificat e ora lo canta nella gioia dell’eternità.

Publié dans:Maria Vergine, musica sacra, MUSICA SACRA |on 5 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

MUSICA E CULTO CRISTIANO

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MUSICA E CULTO CRISTIANO

Con l’articolarsi e il successivo sfaldarsi dell’Impero Romano in zone amministrative, centri di attività diplomatica e regioni di supremazia politico-territoriale, le concentrazioni etnico-linguistiche che si vennero a creare ebbero ripercussioni anche sulla vita della Chiesa, favorendone specifici sviluppi liturgici. La liturgia, cioè l’esercizio al culto divino, venne così ad articolarsi secondo distinte famiglie e in primo luogo secondo due sfaccettati raggruppamenti: famiglie orientali (antiochena e bizantina) e famiglie occidentali (liturgia africana; liturgie galliche, ispanica e gallicana; liturgia insulare: celtica, irlandese e bretone; famiglie italiche: milanese e romana). Va tenuto però presente che la distinzione non implicò mai assoluta separazione. Fino al III secolo, infatti, i cristiani cantarono in greco, e ciò spiega altresì la permanenza di alcune forme lessicali greche anche nella liturgia in lingua latina: basti pensare al Ky´rie eleíson adottato permanentemente nell’Ordinarium Missae, cioè fra i testi invariabili dei canti della messa romana. Il latino si impose come lingua ufficiale di Roma solamente verso la metà del III secolo, dopo una sua prima comparsa nelle province africane, ma fin oltre il IV secolo si prolungò una fase di bilinguismo liturgico.

Influenze dalla musica ebraica Come l’Antico Testamento biblico informa circa la musica ebraica, così gli scritti neotestamentari e dell’età apostolica offrono i primi documenti dell’innodia cristiana. Fra i due ceppi, l’ebraico e il cristiano, vi è distinzione e continuità. La musica cristiana certo deve riconoscere in quella ebraica la provenienza di alcuni condizionamenti genetici che non poté evitare. È possibile asserire con certezza che nei primi due secoli dopo Cristo la tradizione ebraica pose le basi strutturali (formule di benedizione, celebrazioni di memorie, uso della Sacra Scrittura e sua proclamazione tramite le complesse norme della cantillazione) della liturgia e del canto cristiano. Lo studio filologico delle fonti orali e letterarie dei Vangeli permette di arretrare l’analisi a strati assai profondi, senza che però sia possibile attingere un’unica fonte da cui si origini la tradizione orale dei primi repertori musicali liturgici. Sulla base di frammenti rinvenuti, sono in ogni caso documentabili coincidenze di alcune melodie di canti ebraici concorrispondenti melodie cristiane, così come, inversamente, pur al cospetto di linee melodiche differenti, l’analisi etnomusicologica ha permesso di verificare un’identità di forme.

Le prime forme della liturgia cristiana: il canto Dei primi due secoli, quando le liturgie erano ancora assai condizionate dalla prassi ebraica, sono pervenuti unicamente alcuni moduli di cantillazione. Va ribadito, però, che le prime manifestazioni del canto liturgico risentirono anche degli influssi greci e orientali. L’intreccio di questi influssi si faceva sentire nell’esecuzione dei canti attuata con una nota costante, intervallata da cadenze melodiche alle interpunzioni. In un processo temporale che investì anche i due secoli successivi (III-IV), il canto s’impreziosì di tutta una gamma di ornamentazioni, in cui regnava sovrano il vocalizzo: anzi, in alcuni canti, specialmente d’origine orientale o africana, il vocalizzo formava tutta la sostanza musicale. Intanto si assistette a una maggiore definizione del ricorso alla musica all’interno delle liturgie cristiane e si costituirono i primi repertori con fisionomie particolari, sia geograficamente, sia culturalmente e musicalmente. A tale scopo presero corpo alcuni generi musicali, quali la salmodia direttanea (costituita dal canto di un salmo non incorniciato o suddiviso da un brano molto breve chiamato antifona), il canto responsoriale (costituito da acclamazioni eseguite da tutto il popolo e da una parte solistica) e l’innodia, che si affermerà definitivamente in Occidente con il vescovo Ambrogio di Milano.

L’innodia cristiana Fra gli elementi caratterizzanti le prime forme del culto cristiano, una collocazione di tutto riguardo viene solitamente assegnata all’innodia. Le sue origini riconducono, sulla scorta delle indicazioni neotestamentarie, alle prime comunità cristiane riunite per render lode a Dio con « salmi, inni e cantici spirituali » (San Paolo). Derivati direttamente o soltanto ispirati dal modello della salmodia ebraica, dal punto di vista formale questi inni non presentano, differentemente, per esempio, dagli inni omerici, né una metrica quantitativa, né una precisa strutturazione strofica. I loro contenuti, espressi in lingua greca, erano o di genere dogmatico, morale o, più direttamente funzionali alla liturgia, motivati dalle intenzioni di glorificazione (dossologia) e di preghiera (eucologia). Di fatto, l’inno entra ovunque nella prassi liturgica dell’Europa latina, tranne che a Roma: qui imperava, infatti, una rigida logica canonica, alla quale difficilmente si sarebbero potuti assoggettare testi dal linguaggio molto sfumato. D’altra parte, proprio questa mentalità marcatamente razionale avrebbe contribuito in seguito alla redazione magistrale del canto gregoriano.

Publié dans:musica (la), musica sacra, MUSICA SACRA |on 5 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

2HOURS TOP SAXOPHONE MELODIES,CHRISTMAS,SNOW IN FOREST-SILENT NIGHT

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Publié dans:musica sacra |on 24 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

LA GUADALUPANA ((tradicional)

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(metto il canto in spagnolo, ma messicano, credo antico, comunque io lo sento cantare da decine di anni nella Basilica dove vado a messa perché ci sono molti frati di origine sud americana, io lo spagnolo lo capisco un poco, ma non l’ho mai studiato, metto il testo in lingua spagnola sotto questo, con un buon traduttore si capisce, per me Google o Reverso)

Publié dans:musica sacra, MUSICA SACRA |on 11 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

LA GUADALUPANA – TESTO

http://lyricskeeper.it/it/various-artists/la-guadalupana.html

LA GUADALUPANA – TESTO

DESDE EL CIELO UNA HERMOSA MAÑANA
DESDE EL CIELO UNA HERMOSA MAÑANA,
LA GUADALUPANA, LA GUADALUPANA, LA GUADALUPANA
BAJÓ AL TEPEYAC (2)

Suplicante juntaba sus manos (2)
Y eran mexicanos (3)
Su porte y su faz

Su llegada llenó de alegría (2)
De luz y armonía (3)
Todo el Anáhuac

Junto al monte pasaba Juan Diego (2)
Y acercóse luego (3)
Al oír cantar

A Juan Diego la Virgen le dijo (2)
Este cerro elijo (3)
Para hacer mi altar

Y en la tilma entre rosas pintada (2)
Su imagen amada (3)
Se dignó dejar

Desde entonces para el mexicano (2)
Ser guadalupano (3)
Es algo esencial

En sus penas se postra de hinojos (2)
Y eleva sus ojos (3)
Hacia el Tepeyaca

Publié dans:musica sacra, MUSICA SACRA |on 11 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

MARY DID YOU KNOW

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Publié dans:musica sacra, MUSICA SACRA |on 2 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

CAPOLAVORI DI CANTO GREGORIANO / « AD TE LEVAVI »

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350645

CAPOLAVORI DI CANTO GREGORIANO / « AD TE LEVAVI »

È l’introito della prima domenica di Avvento. In una nuovissima esecuzione offerta al nostro ascolto dai « Cantori Gregoriani » e dal loro Maestro

di Fulvio Rampi

CAPOLAVORI DI CANTO GREGORIANO /

TRADUZIONE

A te ho innalzato l’anima mia. Dio mio, in te confido, che io non resti confuso e non ridano di me i miei nemici, perché tutti quelli che ti attendono non resteranno confusi. Le tue vie, Signore, fammi conoscere e insegnami i tuoi sentieri. A te ho innalzato… * Tutti quelli che ti attendono non resteranno confusi, Signore. Le tue vie, Signore, fammi conoscere e insegnami i tuoi sentieri. Tutti quelli che ti attendono… (Salmo 24, 1-4)

ASCOLTO

 (QUI DUE CANTI CON ADOBE FLASH, FORSE SI POSSONO METTE MA NON SONO CAPACE)

GUIDA ALL’ASCOLTO “Ad te levavi animam meam”: è questo l’incipit dell’introito gregoriano della prima domenica di Avvento, dunque l’incipit dell’intero Graduale Romanum, il libro liturgico che raccoglie i canti propri della messa. La grande “A” iniziale, prima Lettera dell’alfabeto, è segno di Cristo come “Alpha” da cui ha origine e a cui costantemente converge la lunga meditazione che la Chiesa dispone, attraverso il suo canto gregoriano, lungo l’intero anno liturgico. Lo stesso fa l’Antifonale, in modo altrettanto non casuale, con il responsorio « Aspiciens a longe », il brano che inaugura il tempo di Avvento per il repertorio musicale dell’Ufficio Divino. Si potrebbe dire che il canto gregoriano si preoccupa da subito di rimarcare la valenza cristologica del suo progetto esegetico-musicale. Il primo motivo di interesse è dato dalla scelta dei testi che compongono il « proprium » di questa prima messa dell’anno liturgico. I versetti iniziali del salmo 24, pur con alcune significative varianti, danno corpo non solo all’introito, ma anche al graduale e all’offertorio della stessa messa. È questa la prova, qui del tutto evidente, di un’intenzione primaria che fonda l’antico repertorio gregoriano, ossia la capacità di far risuonare il medesimo testo in momenti liturgici diversi e, più precisamente, la ferma decisione di produrne un esito sonoro risultante da un vero e proprio percorso di « lectio divina ». Come tale si presenta, in effetti, la successione dei tre citati momenti liturgico-musicali. All’apertura della celebrazione, il brano processionale nello stile semi-ornato tipico degli introiti sviluppa appunto l’esegesi del testo con figure neumatiche elementari, ovvero di pochi suoni per sillaba, amplificando i valori su alcune sillabe importanti – ad esempio sull’accento di “à-nimam” nel corso del primo inciso – ma sempre mantenendosi in una condotta di fraseggio complessivamente scorrevole. Il brano si presenta nel suo complesso come una grande invocazione. Tale carattere è riassunto e posto in speciale evidenza all’inizio del secondo inciso testuale, laddove con slancio e con una linea melodica portata all’estremità acuta dell’intero brano viene sottolineata con decisione l’invocazione “Deus meus”, che diviene cifra espressiva a sigillo dell’intera composizione. Ma la « lectio divina » operata dal canto gregoriano su questo testo non si esaurisce nell’introito. Essa prosegue e assurge a dimensione contemplativa soprattutto nel graduale « Universi », dopo la prima lettura. Lo stesso testo dell’introito – nella prospettiva della « lectio divina » – viene ripreso, selezionato e ripensato per risultare più profondamente compreso in ogni sua parte. Ciò che è quasi scivolato via attraverso uno stile semi-ornato, viene cristallizzato da uno stile che risponde ad altre esigenze liturgico-musicali. Nella messa, dopo la prima lettura, quando dunque tutti sono fermi, seduti e presumibilmente attenti, quando non c’è  –  come viceversa capita nell’introito – alcun movimento processionale, quando la liturgia esige una degna risposta alla lettura della Parola di Dio appena proclamata, ecco che viene ripreso il testo dell’introito, ma – si badi bene – non da capo, bensì estraendo solo l’ultima frase dell’antifona: « Universi qui te exspectant non confundentur, Domine ». A questo punto il testo viene in un certo senso “ricreato” e ogni entità verbale assume nuova luce, nuovo peso, nuovo significato. Viene meditata ciascuna parola con più calma, con più tempo, senza fretta, con più consapevolezza. Se nell’introito, ad esempio, il termine « universi » riceve una minima accentuazione ed è parte di un complessivo movimento scorrevole, nel graduale esso viene posto in prima fila e promosso addirittura a incipit del brano. Ma soprattutto ne viene enormemente dilatata, con consumata arte retorica, la portata espressiva. L’incipit del graduale vuole meditare, vuole “perdere tempo” su quella parola che ferma lo sguardo sull’universalità dell’Avvento, annunciato con abbondanza di suono e con generosi allargamenti di valore, carichi di senso. Da ultimo, tornando a dare uno sguardo all’impianto melodico complessivo dell’introito, possiamo agevolmente verificarne – come del resto è indicato nell’edizione vaticana – la  chiara appartenenza all’ottavo modo, il “tetrardus plagale” secondo la terminologia mutuata dall’antico sistema musicale greco. Esso è l’ultimo degli otto modi gregoriani, che riassumono e incorniciano le possibili e rigide strutture musicali dell’intero repertorio monodico liturgico. Tale ultimo modo, nella mente degli anonimi compositori e dei teorici medievali, è simbolo di perfezione, di compimento, di tempo definitivo. L’ottavo modo è sovente esplicita allusione all’ottavo giorno, inizio della nuova creazione. Non a caso i cantici e il triplice alleluia della veglia di Pasqua hanno questo stesso colore modale. All’inizio dell’anno liturgico, il canto gregoriano legge in filigrana l’intero mistero di Cristo e dilata la comprensione del tempo di Avvento alla memoria ben più ampia dell’“Adventus Domini”, itinerario illuminato dall’evento pasquale e che medita tanto il mistero della nascita di Gesù quanto l’attesa della sua venuta finale. La costruzione modale di questo primo introito è segno di tale percorso e ne intravede da subito le infinite risonanze.

il maestro rampi ed il suo coro (questa parte non la metto, potreste andare sul sito, anche perché mancano i due pezzi in musica)

 

LA MUSICA E IL CANTO LITURGICO – (Papa Benedetto, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto/ Jospeh Ratzinger)

http://www.carismaticiborghesiana.it/it/magistero/75-approfondimenti/487-la-musica-e-il-canto-liturgico.html

 LA MUSICA E IL CANTO LITURGICO

 (Papa Benedetto,  Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto/ Jospeh Ratzinger)

BENEDETTO XVI, Lettera al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra in occasione del 100º anniversario di fondazione dell’Istituto, 13 maggio 2011

…Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè, da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia. In particolare, i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè « la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli » (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali. Sono criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità. Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, « vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio », tenendo sempre ben presente che questi due concetti – che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano – si integrano a vicenda perché « la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso » (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011).

GIOVANNI PAOLO II – CHIROGRAFO SULLA MUSICA SACRA
…3. In varie occasioni anch’io ho richiamato la preziosa funzione e la grande importanza della musica e del canto per una partecipazione più attiva e intensa alle celebrazioni liturgiche, ed ho sottolineato la necessità di “purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra”, per assicurare dignità e bontà di forme alla musica liturgica.
In tale prospettiva, alla luce del magistero di san Pio X e degli altri miei Predecessori e tenendo conto in particolare dei pronunciamenti del Concilio Vaticano II, desidero riproporre alcuni principi fondamentali per questo importante settore della vita della Chiesa, nell’intento di far sì che la musica liturgica risponda sempre più alla sua specifica funzione.
4. Sulla scia degli insegnamenti di san Pio X e del Concilio Vaticano II, occorre innanzitutto sottolineare che la musica destinata ai sacri riti deve avere come punto di riferimento la santità: essa di fatto, “sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica”. Proprio per questo, “non indistintamente tutto ciò che sta fuori dal tempio (profanum) è atto a superarne la soglia”, affermava saggiamente il mio venerato Predecessore Paolo VI, commentando un decreto del Concilio di Trento e precisava che “se non possiede ad un tempo il senso della preghiera, della dignità e della bellezza, la musica – strumentale e vocale – si preclude da sé l’ingresso nella sfera del sacro e del religioso. D’altra parte la stessa categoria di “musica sacra” oggi ha subito un allargamento di significato tale da includere repertori i quali non possono entrare nella celebrazione senza violare lo spirito e le norme della Liturgia stessa.
La riforma operata da san Pio X mirava specificamente a purificare la musica di chiesa dalla contaminazione della musica profana teatrale, che in molti Paesi aveva inquinato il repertorio e la prassi musicale liturgica. Anche ai tempi nostri è da considerare attentamente, come ho messo in evidenza nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, che non tutte le espressioni delle arti figurative e della musica sono capaci “di esprimere adeguatamente il Mistero colto nella pienezza di fede della Chiesa”. Di conseguenza, non tutte le forme musicali possono essere ritenute adatte per le celebrazioni liturgiche.
5. Un altro principio enunciato da san Pio X nel Motu proprio Tra le sollecitudini, principio peraltro intimamente connesso con il precedente, è quello della bontà delle forme. Non vi può essere musica destinata alla celebrazione dei sacri riti che non sia prima “vera arte”, capace di avere quell’efficacia “che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni”
E tuttavia tale qualità da sola non basta. La musica liturgica deve infatti rispondere a suoi specifici requisiti: la piena aderenza ai testi che presenta, la consonanza con il tempo e il momento liturgico a cui è destinata, l’adeguata corrispondenza ai gesti che il rito propone. I vari momenti liturgici esigono, infatti, una propria espressione musicale, atta di volta in volta a far emergere la natura propria di un determinato rito, ora proclamando le meraviglie di Dio, ora manifestando sentimenti di lode, di supplica o anche di mestizia per l’esperienza dell’umano dolore, un’esperienza tuttavia che la fede apre alla prospettiva della speranza cristiana.
6. Canto e musica richiesti dalla riforma liturgica ‑ è bene sottolinearlo ‑ devono rispondere anche a legittime esigenze di adattamento e di inculturazione. E’ chiaro, tuttavia, che ogni innovazione in questa delicata materia deve rispettare peculiari criteri, quali la ricerca di espressioni musicali che rispondano al necessario coinvolgimento dell’intera assemblea nella celebrazione e che evitino, allo stesso tempo, qualsiasi cedimento alla leggerezza e alla superficialità. Sono altresì da evitare, in linea di massima, quelle forme di “inculturazione” di segno elitario, che introducono nella Liturgia composizioni antiche o contemporanee che sono forse di valore artistico, ma che indulgono ad un linguaggio ai più incomprensibile.
In questo senso san Pio X indicava – usando il termine universalità – un ulteriore requisito della musica destinata al culto: “… pur concedendosi ad ogni nazione – egli annotava – di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra nazione nell’udirle debba provarne impressione non buona. In altri termini, il sacro ambito della celebrazione liturgica non deve mai diventare laboratorio di sperimentazioni o di pratiche compositive ed esecutive introdotte senza un’attenta verifica.
7. Tra le espressioni musicali che maggiormente rispondono alle qualità richieste dalla nozione di musica sacra, specie di quella liturgica, un posto particolare occupa il canto gregoriano. Il Concilio Vaticano II lo riconosce come “canto proprio della liturgia romana” a cui occorre riservare a parità di condizioni il primo posto nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina.San Pio X rilevava come la Chiesa lo ha “ereditato dagli antichi padri”, lo ha ”custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici” e tuttora lo “propone ai fedeli” come suo, considerandolo “come il supremo modello della musica sacra”. Il canto gregoriano pertanto continua ad essere anche oggi elemento di unità nella liturgia romana.
Come già san Pio X, anche il Concilio Vaticano II riconosce che “gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non vanno esclusi affatto dalla celebrazione dei divini uffici”. Occorre, pertanto, vagliare con attenta cura i nuovi linguaggi musicali, per esperire la possibilità di esprimere anche con essi le inesauribili ricchezze del Mistero riproposto nella Liturgia e favorire così la partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni…
11. Il secolo scorso, con il rinnovamento operato dal Concilio Vaticano II, ha conosciuto uno speciale sviluppo del canto popolare religioso, del quale la Sacrosanctum Concilium dice: “Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, [...] possano risuonare le voci dei fedeli”. Tale canto si presenta particolarmente adatto alla partecipazione dei fedeli non solo alle pratiche devozionali, “secondo le norme e le disposizioni delle rubriche”, ma anche alla stessa Liturgia. Il canto popolare, infatti, costituisce “un vincolo di unità e un’espressione gioiosa della comunità orante, promuove la proclamazione dell’unica fede e dona alle grandi assemblee liturgiche una incomparabile e raccolta solennità”
12. A riguardo delle composizioni musicali liturgiche faccio mia la “legge generale”, che san Pio X formulava in questi termini: “Tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”. Non si tratta evidentemente di copiare il canto gregoriano, ma piuttosto di far sì che le nuove composizioni siano pervase dallo stesso spirito che suscitò e via via modellò quel canto. Solo un artista profondamente compreso del sensus Ecclesiae può tentare di percepire e tradurre in melodia la verità del Mistero che si celebra nella Liturgia. In questa prospettiva, nella Lettera agli Artisti scrivevo: “Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della Liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell’intervento salvifico di Dio”
E’ dunque necessaria una rinnovata e più approfondita considerazione dei principi che devono essere alla base della formazione e della diffusione di un repertorio di qualità. Solo così si potrà consentire all’espressione musicale di servire in maniera appropriata al suo fine ultimo che “è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli

 LITURGIA E MUSICA SACRA (CARD. J. RATZINGER)
Oggi sperimentiamo il ritorno profanizzato di questo modello nella musica Rock e Pop, i cui festivals sono un anticulto nella stessa dire­zione — smania di distruzione, abolizione delle barriere del quotidiano e illusione di redenzione nella liberazione dall’Io, nell’estasi furiosa del rumore e della massa. Si tratta di pratiche redentive simili alla droga nella loro forma di redenzione e fondamentalmente opposte alla conce­zione di redenzione della fede cristiana. Di conseguenza perciò dilagano oggi sempre di più, in questo ambito, culti e musiche satanistiche il cui potere pericoloso, in quanto volutamente tendente alla distruzione e al disfacimento della persona, non è preso ancora abbastanza sul serio. La disputa che Platone ha condotto tra la musica dionisiaca e quella apolli­nea non è la nostra, poiché Apollo non è Cristo. Ma la questione che egli ha posto ci tocca molto da vicino. In una forma che la generazione a noi precedente non poteva neppure immaginare la musica è diventata oggi il veicolo determinante di una controreligione e pertanto il palco­scenico della divisione degli spiriti. Cercando la salvezza mediante la li­berazione dalla personalità e dalla sua responsabilità, la musica Rock da un lato si inserisce perfettamente nelle idee di libertà anarchiche che oggi in occidente dominano più che non in oriente; ma proprio per que­sto si oppone radicalmente alla concezione cristiana della redenzione e della libertà, è anzi la sua perfetta contraddizione. Perciò non per mo­tivi estetici, non per ostinazione restaurativa, non per immobilismo sto­rico, bensì per motivi antropologici di fondo, questo tipo di musica de­ve essere esclusa dalla Chiesa.
Potremmo concretizzare ulteriormente la nostra questione, se con­tinuassimo ad analizzare la base antropologica di vari tipi di musica.
Abbiamo della musica d’agitazione che anima l’uomo in vista di vari fi­ni collettivi. Esiste della musica sensuale, che introduce l’uomo nella sfera erotica oppure tende in altra maniera essenzialmente a sensazioni di piacere sensibili. Esiste della semplice musica leggera che non vuole dire nulla, bensì rompere soltanto il peso del silenzio. Esiste della mu­sica razionalistica in cui i suoni servono soltanto a delle costruzioni ra­zionali, ma non avviene una penetrazione reale dello spirito e dei sensi. Parecchi canti inconsistenti su testi catechetici, parecchi canti moderni costruiti in commissioni, sarebbero probabilmente da classificare in questo settore.
La musica invece adeguata alla liturgia di Colui che si è incarnato ed è stato elevato sulla croce, vive in forza di un’altra sintesi molto più grande e ampia di spirito, intuizione e suono. Si può dire che la musica occidentale dal canto gregoriano attraverso la musica delle cattedrali e la grande polifonia, la musica del rinascimento e del barocco fino a Bruckner e oltre proviene dalla ricchezza intrinseca di questa sintesi e l’ha sviluppata in un grande numero di possibilità. Questa grandezza esiste soltanto qui, perché poteva nascere soltanto dal fondamento antropologico che collegava elementi spirituali e profani in un’ultima unità umana. Essa si dissolve nella misura in cui svanisce tale antropologia. La grandezza di questa musica rappresenta per me la verifica più immediata e più evidente dell’immagine cristiana dell’uomo e ella concezione cristiana della redenzione, che la storia ci offre. Colui he da essa è realmente colpito, sa in qualche modo, dal suo intimo, che la fede è vera, pur dovendo fare ancora molti passi per completare questa intuizione a livello razionale e volitivo.
Ciò significa che la musica liturgica della Chiesa deve soggiacere a quell’integrazione dell’essere umano, che ci si presenta nella realtà di fede dell’incarnazione. Questa redenzione richiede più fatica che non quel­la dell’ebrezza. Ma questa fatica è lo sforzo della verità stessa. Da un lato deve integrare i sensi nell’intimo dello spirito, deve corrispondere all’impulso del Sursum corda. Non vuole, tuttavia, la pura spiritualizza­zione, bensì l’integrazione di sensi e spirito, di modo che ambedue insie­me diventino la persona. Lo spirito non si avvilisce ricevendo in sé i sen­si, bensì soltanto questa unione gli apporta tutta la ricchezza del crea­to. E i sensi non vengono privati della loro realtà, se vi penetra lo spi­rito, bensì soltanto in questo modo possono partecipare alla sua di­mensione di infinito. Ogni piacere sensuale è strettamente limitato e, in ultima analisi, non suscettibile di accrescimento, perché l’atto dei sensi non può oltrepassare una determinata misura. Colui che da esso si aspetta la redenzione, viene deluso, «frustrato” — come si direbbe oggi —. Ma essendo integrati nello spirito, i sensi acquistano una nuova profondità e penetrano nell’infinito dell’avventura spirituale. Là solo es­si si realizzano totalmente. Ciò però presuppone che anche lo spirito non rimanga chiuso. La musica della fede cerca nel Sursurn corda l’in­tegrazione dell’uomo, ma non trova questa integrazione in se stessa, bensì soltanto nell’autosuperamento, nell’intimo della Parola incarnata. La musica sacrale, ancorata in questa struttura di movimento, diventa purificazione dell’uomo, la sua ascensione. Non dobbiamo però dimen­ticare che questa musica non è l’opera di un momento, bensì partecipa­zione a una storia e suppone la comunione dal singolo individuo con le intuizioni fondamentali di questa storia. Così si esprime proprio in es­sa anche l’ingresso nella storia della fede, l’essere tutti membra del cor­po di Cristo. Dietro di sé lascia gioia, una modalità più alta di estasi, che non cancella la persona, bensì la unisce e nello stesso tempo la libera. Ci fa presentire ciò che è la libertà, che non distrugge, bensì rac­coglie e purifica.

UNA BREVISSIMA STORIA DELLA MUSICA SACRA

http://www.santacecilia.org/articoli-musica-e-liturgia/89-breve-storia-della-musica-sacra.html

UNA BREVISSIMA STORIA DELLA MUSICA SACRA

In ogni secolo e cultura i cristiani hanno voluto cantare la loro fede, esprimendo la bellezza del Vangelo con melodie sublimi, capaci di toccare il cuore del credente e di innalzarlo fino a Dio. L’inizio di tutto questo è nella Bibbia. I cantici, che punteggiano l’intera storia biblica, esprimono lo stupore dinanzi ai grandi avvenimenti della salvezza. Il Canto del mare di Es 15 interpreta liricamente ed epicamente l’episodio fondamentale della storia di Israele: il passaggio del Mar Rosso. Possiamo definirlo uno dei primi esempi di musica sacra perché è l’espressione più pura di come la vita e la fede si fondano insieme per divenire canto, anzi una vera e propria liturgia cantata di un popolo al suo Dio Salvatore.
Nel Salterio troviamo raccolti in un solo libro tutte le possibilità espressive di questo canto a Dio “che opera meraviglie”. Ci sono salmi di lode e di supplica, salmi penitenziali e salmi di ringraziamento, lamentazioni e epopee, in una parola c’è tutto l’uomo che canta il suo rapporto con Dio. Nel Nuovo Testamento il Magnificat diviene l’archetipo stupendo di ogni cantico cristiano, l’inno di Maria a Dio Salvatore potente che fa “grandi cose” per i poveri realizzando le sue promesse diviene il canto della Chiesa che al tramonto inneggia al suo Redentore. Ogni musica sacra dipende in qualche modo da questi modelli biblici e nella storia della musica ogni generazione cristiana ha voluto continuare la composizione di questi cantici e di questi salmi, realizzando miriadi di “inni e cantici” al Signore della bellezza. Le melodie della tradizione gregoriana appaiono come una meravigliosa sintesi del primo millennio cristiano. Nella loro semplicità e sublime espressività ci mostrano il connubio perfetto tra melodia e testo sacro; la musica fa emergere la luce contenuta in quelle parole e ispira in chi canta e in chi ascolta una struggente nostalgia del cielo. Dai monasteri al popolo di Dio questo canto produsse effetti meravigliosi creando nell’Occidente cristiano un linguaggio comune, con la sua diffusione diede inizio sia alla musica colta che a quella popolare e segnò l’inizio della vera e propria storia della musica. 1 Col tempo si sentì l’esigenza di unire melodie diverse realizzando così un canto fatto di diversi canti, una “polifonia”.

Dal XIII sec. in poi nasce questo nuovo genere musicale in cui l’armonia può essere gustata come unione di voci diverse, come “concordia discors”; il coro a tre voci e poi a quattro, cinque, otto, dodici, addirittura trentasei voci e oltre diviene simbolo di una armonia superiore e inebriante che ricorda le sfere celesti, i cori angelici. Gradualmente però si avvertì il pericolo di smarrire qualcosa; il testo sacro, soffocato tra gli intrecci polifonici, non era più facilmente comprensibile. Il testo doveva ritornare ad essere protagonista: la Scrittura doveva essere cantata e la polifonia doveva porsi al suo servizio. Nacque così quella meravigliosa stagione musicale che fu la polifonia rinascimentale.
Tra i tanti grandi autori del cinquecento non possiamo non ricordare Pierluigi da Palestrina, colui che seppe sintetizzare le grandi conquiste contrappuntistiche dei secoli precedenti purificandole in nome di un equilibrio perfetto tra testo, musica ed espressività poetica. Questo periodo se da una parte è il culmine di una civiltà musicale non ne è la fine, anzi può essere definito l’inizio di un nuovo sentire. La Controriforma spinse infatti la Chiesa ad esprimere il Vangelo con maggior forza ed entusiasmo. E fece sorgere molti santi testimoni di una fede intraprendente e “moderna”.
L’entusiasmo missionario spinse molti cristiani a guardare al di là dell’Europa vedendo nei nuovi mondi dei nuovi destinatatari del Vangelo. Inoltre si scoprì che la voce umana e gli strumenti potevano essere utilizzati come veicolo delle emozioni più profonde dell’uomo e quindi della fede. La nascita dell’Opera e contemporaneamente dell’Oratorio sacro ci mostrano proprio il sorgere di questa nuova sensibilità musicale. La drammatizzazione dell’esperienza di fede, come accade nei grandi oratori barocchi, diviene un modo per esprimere la propria partecipazione al mistero della salvezza dando spazio al cuore, agli umani sentimenti. Già nel Seicento c’era stato Carissimi a portare l’Oratorio a livelli altissimi di arte ma fu nel secolo successivo che questo genere sacro ebbe la sua massima espressione. La Riforma protestante aveva sostituito i tradizionali canti della tradizione medioevale con nuovi canti più semplici e scarni per 2 favorire la partecipazione dei fedeli: i corali. Queste composizioni divennero il tramite per l’istruzione della gente semplice che potevano imparare, insieme alle semplici melodie, anche brani interi della Scrittura cantandoli nella propria lingua. Da questi corali i musicisti trassero il materiale per le loro grandi composizioni. Bach scrisse centinaia di cantate semplicemente rivestendo quei corali di cori e arie stupende. La commozione e la partecipazione al misero della Redenzione che egli seppe esprimere segnarono la storia della musica per sempre; l’arte sacra ebbe in lui un punto d’arrivo e nello stesso tempo un punto di partenza. Nell’epoca successiva la musica sacra continuò i suoi splendori barocchi con i grandi autori del settecento, basta ricordare in Italia Pergolesi che nella sua breve vita seppe donarci alcuni capolavori come lo Stabat Mater.
Alla fine del secolo però una nuova sensibilità si fa largo trascinando con sé anche la musica sacra: Mozart e Haydn aprono le porte ad un nuovo modo più articolato e “sinfonico” di concepire la musica sacra. Beethoven e Schubert raccoglieranno le loro intenzioni portandole a contatto con le tematiche romantiche, la musica sacra è diviene l’occasione per esprimere il conflitto del cuore dell’uomo dinanzi al dolore e a Dio stesso.Verdi riassunse magistralmente questo conflitto nella Messa da Requiem in cui la contemplazione dei “novissimi” diviene la sintesi stessa del dramma umano. Il novecento ha ereditato questa fede conflittuale e soprattutto ha fatto proprio il dubbio e addirittura a volte l’”ateismo” moderno. Ma nello stesso tempo una nuova nostalgia del cielo si è fatto largo tra i compositori del novecento, basta pensare alle composizioni sacre di Stravinsky in cui l’autore si rifà ai modi della musica ortodossa, di Rachmaninov, di Poulenc, di Petrassi, Penderecki e altri fino ad arrivare ai contemporanei come Part. La musica sacra continua così il suo cammino esprimendo la bellezza di Dio ed esplorando il cuore dell’uomo alla ricerca della luce che possa donare a tutti, attraverso la musica, uno spiraglio di Paradiso.

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