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SAN SILVANO DELL’ATHOS – LE LACRIME DI ADAMO

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SAN SILVANO DELL’ATHOS – LE LACRIME DI ADAMO

Adamo, padre dell’umanità, in paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così, dopo esser stato cacciato dal paradiso a causa del suo peccato e aver perso l’amore di Dio, soffriva amaramente e levava profondi gemiti. Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi. La sua anima era tormentata da un unico pensiero: « Ho amareggiato il Dio che amo ». Non l’Eden, non la sua bellezza rimpiangeva, ma la perdita dell’amore di Dio che a ogni istante attrae insaziabilmente l’anima a Dio. Così ogni anima, che ha conosciuto Dio nello Spirito santo e ha poi smarrito la grazia, prova lo stesso dolore di Adamo. L’anima soffre e si tormenta per aver amareggiato il Signore che ama. Adamo gemeva, sperduto su una terra che non gli procurava gioia; aveva nostalgia di Dio e gridava: « L’anima mia ha sete del Signore, in lacrime lo cerco. Come potrei non cercarlo? « Quando ero con Dio, l’anima mia si rallegrava nella pace e l’avversario non poteva farmi alcun male. Ora invece lo spirito malvagio si è impadronito di me e tormenta l’anima mia. Ecco perché l’anima mia si strugge per il Signore fino a morire e non accetta conforto alcuno; il mio spirito anela a Dio e nulla di terreno lo consola; ho desiderio ardente di rivedere Dio (cf. Sal 42,2 ss.), di goderlo fino a saziarmene. « Nemmeno per un attimo posso dimenticarmi di lui, l’anima mia langue per lui, gemo dal grande dolore. Abbi pietà di me, o Dio, pietà della tua creatura caduta ». Così gemeva Adamo, e un fiume di lacrime gli solcava il volto, scorreva sul petto e cadeva a terra. Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi. Bestie e uccelli erano ammutoliti di dolore. E Adamo gemeva: per il suo peccato tutti avevano perduto la pace e l’amore. Grande fu il dolore di Adamo dopo la cacciata dal paradiso, ma più grande ancora quando vide il figlio Abele ucciso da Caino. Per l’immane sofferenza piangeva, pensando: « Allora da me usciranno popoli, si moltiplicheranno sulla terra, ma solo per soffrire tutti, per vivere nell’inimicizia e uccidersi a vicenda ». Come oceano immenso era il suo dolore: solo le anime che hanno conosciuto il Signore e il suo ineffabile amore possono capirlo. Io pure ho perso la grazia, e con Adamo imploro: « Abbi pietà di me, Signore. Donami lo spirito di umiltà e di amore ». Come è grande l’amore del Signore! Chi ti ha conosciuto non si stanca di cercarti, e giorno e notte grida: « Desidero te, Signore, in lacrime ti cerco. Come potrei non cercarti? Sei tu che mi hai permesso di conoscerti nello Spirito santo e ora questa divina conoscenza attira incessantemente la mia anima a te ».

Adamo piangeva: « Il silenzio del deserto, non mi rallegra. La bellezza di boschi e prati, non mi dà riposo. Il canto degli uccelli, non lenisce il mio dolore. Nulla, più nulla mi dà gioia. L’anima mia è affranta da un dolore troppo grande. Ho offeso Dio, il mio amato. E se ancora il Signore mi accogliesse in paradiso, anche là piangerei e soffrirei. Perché ho amareggiato il Dio che amo ».

Adamo, cacciato dal paradiso, sentiva sgorgare dal cuore trafitto fiumi di lacrime. Così piange ogni anima che ha conosciuto Dio e gli dice: « Dove sei, Signore? Dove sei, mia luce? Dove si è nascosta la bellezza del tuo volto? Da troppo tempo l’anima mia non vede la tua luce, afflitta ti cerca. Nell’anima mia non lo vedo. Perché? In me non dimora. Cosa glielo impedisce? In me non c’è l’umiltà di Cristo né l’amore per i nemici ». Sconfinato, indescrivibile amore: questo è Dio.

Adamo andava errando sulla terra: nel cuore lacrime amare, la mente continuamente in Dio. E quando il corpo esausto non aveva più lacrime da piangere, era lo spirito ad ardere per Dio, non potendo dimenticare il paradiso e la sua bellezza. Ma l’anima di Adamo amava Dio più di ogni altra cosa e, forte di questo amore, a lui incessantemente anelava. Adamo, di te io scrivo; ma tu vedi che troppo debole è la mia mente per capire l’ardore del tuo desiderio di Dio e il peso della tua penitenza. Adamo, tu vedi quanto io, tuo figlio, soffro sulla terra. In me non c’è più fuoco ormai, la fiamma del mio amore si sta spegnendo. Adamo, canta per noi il cantico del Signore: l’anima mia esulti di gioia nel Signore (cf. Lc 1,47), si levi a cantarlo e glorificarlo, come nei cieli lo lodano i cherubini, i serafini e tutte le potenze celesti. Adamo, nostro padre, canta per noi il cantico del Signore: tutta la terra lo senta, tutti i tuoi figli levino i loro cuori a Dio, gioiscano al dolce suono dell’inno del cielo, dimentichino le sofferenze della terra. Adamo, nostro padre, narra il Signore a noi, tuoi figli! L’anima tua conosceva Dio, conosceva la dolcezza e la gioia del paradiso. E ora tu dimori nei cieli e contempli la gloria del Signore. Narraci come il Signore nostro è glorificato per la sua passione, come vengono cantati i cantici in cielo, come sono dolci gli inni proclamati nello Spirito santo. Narraci la gloria di Dio, quanto è misericordioso, quanto ama la sua creatura. Narraci della santa Madre di Dio, quanto è esaltata nei cieli, quali inni la proclamano beata. Narraci come gioiscono i santi lassù, come risplendono di grazia, come amano il Signore, con quale santa umiltà stanno davanti al suo trono. Adamo, consola e rallegra le nostre anime affrante. Narraci: cosa vedi nei cieli? Non rispondi? Perché questo silenzio? Eppure, la terra intera è avvolta di sofferenza. Tanto ti assorbe l’amore divino da non poterti ricordare di noi? Oppure vedi la Madre di Dio nella gloria e non puoi distogliere gli occhi da quella celeste visione e per questo lasci i tuoi figli nella desolazione, orfani di una parola di affetto? È per questo che non ci consoli e non ci permetti di scordare le amarezze della nostra vita terrena? Adamo, nostro padre, non rispondi? Il dolore dei tuoi figli sulla terra tu lo vedi. Perché dunque questo silenzio? Perché?

Adamo risponde: « Figli miei, amati, non turbate la mia pace. Non posso distogliermi dalla visione di Dio. L’anima mia, ferita dall’amore del Signore, si delizia della sua bontà. Chi vive nella luce del volto del Signore non può ricordarsi delle cose terrene ». Adamo, nostro padre, hai forse abbandonato noi, tuoi figli ormai orfani? Ci hai lasciati immersi nell’abisso dei mali della terra? Narraci: come piacere a Dio? Ascolta i tuoi figli dispersi sulla terra: il loro spirito si disperde nei pensieri del loro cuore (cf. Lc 1,5 1) e non può accogliere la divinità. Molti si sono allontanati da Dio, vivono nelle tenebre e camminano verso gli abissi dell’inferno. « Non turbate la mia estasi. Contemplo la Madre di Dio nella gloria e non posso distrarre la mente da questa visione per parlare con voi. Contemplo anche i santi profeti e apostoli e sono pervaso di stupore perché li vedo in tutto simili al Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. « Cammino nell’Eden e ovunque contemplo la gloria del Signore: egli vive in me e mi ha reso simile a lui. A tal punto il Signore glorifica l’uomo! ». Adamo, parla con noi! Siamo tuoi figli e qui sulla terra soffriamo. Narraci come ereditare il paradiso, affinché noi pure, come te, possiamo contemplare la gloria del Signore. Le anime nostre soffrono per la lontananza dal Signore, mentre tu nei cieli ti rallegri ed esulti nella gloria divina. Ti supplichiamo: consolaci! « Figli miei, perché gridate a me? « Il Signore vi ama e vi ha dato i comandamenti della salvezza. Osservateli, soprattutto amatevi gli uni gli altri (cf. Gv 13,34): così troverete riposo in Dio. In ogni istante pentitevi dei vostri peccati: così sarete ritenuti degni di andarvene incontro a Cristo. Il Signore ha detto: ‘Amo quelli che mi amano’ (cf. Gv 14,21) e ‘glorificherò quelli che mi glorificano’ (1Sam 2,30) ». Adamo, prega per noi, tuoi figli! L’anima nostra è oppressa da molti mali. Adamo, nostro padre, nei cieli tu contempli il Signore che è seduto nella gloria alla destra del Padre; vedi i cherubini, i serafini e i santi tutti; ascolti canti celesti e l’anima tua è rapita da tanta dolcezza. Ma noi, quaggiù, esclusi dalla grazia, siamo costantemente afflitti e abbiamo sete di Dio. Si estingue in noi il fuoco dell’amore del Signore, siamo oppressi dal peso delle nostre colpe. Una tua parola ci sia di conforto; canta a noi un canto che ascolti nei cieli: lo senta la terra intera e gli uomini tutti dimentichino le loro miserie. Adamo, la tristezza ci opprime! « Figli miei, non turbate la mia pace. Passato è il tempo delle mie sofferenze. Nella dolcezza dello Spirito santo e nelle delizie del paradiso, come ricordarmi della terra? « Questo solo vi dirò: Il Signore vi ama: vivete nell’amore! ‘Obbedite ai vostri superiori’ (Eb 13,17), umiliate i vostri cuori. « Lo Spirito di Dio allora porrà la sua tenda in voi (cf . Gv 1,14). Viene nella quiete e all’anima dona pace; muto (cf. Sal 19,4), testimonia la sua salvezza. « Cantate a Dio con amore e umiltà di spirito: di questo si rallegra il Signore ».

Adamo, nostro padre, che fare? Cantare, cantiamo. Ma in noi né amore né umiltà.

« Pentitevi davanti al Signore, e pregate. Concederà ogni cosa agli uomini che tanto ama (cf. Gv 3,16). Anch’io mi sono pentito e ho sofferto per aver amareggiato il Signore, perché per i miei peccati la pace e la gioia erano state tolte dalla faccia della terra. Un fiume di lacrime solcava il mio volto, mi scorreva sul petto e cadeva a terra; il deserto intero riecheggiava dei miei singhiozzi. Non potete penetrare l’abisso della mia afflizione, né il mio pianto a causa di Dio e del paradiso. In paradiso ero felice: lo Spirito di Dio mi colmava di gioia, mi preservava libero da sofferenze.

« Ma, cacciato dal paradiso, fiere e uccelli, che prima mi amavano, presero a temermi e a fuggire lontano; pensieri malvagi mi laceravano il cuore; freddo e fame mi tormentavano; il sole mi bruciava, il vento mi sferzava, la pioggia mi inzuppava: ero sfinito dalle malattie e da tutte le disgrazie della terra. Ma tutto sopportavo, sperando in Dio contro ogni speranza (cf. Rm 4,18).

« Figli miei, sopportate anche voi le fatiche della penitenza; amate le afflizioni; sottomettete il corpo con l’ascesi e la sobrietà; umiliatevi e amate i nemici (cf. Mt 5,44): lo Spirito santo dimorerà in voi. Allora conoscerete e troverete il regno di Dio. « Ma non turbate la mia pace. Per l’amore di Dio non posso ricordarmi della terra. Ho dimenticato tutte le cose terrene, persino lo stesso paradiso da me perduto, perché contemplo la gloria eterna del Signore e la gloria dei santi che risplendono della stessa luce del volto di Dio ». Adamo, canta per noi, cantaci il canto celeste: la terra intera lo ascolti e goda della pace di Dio. Sono inni soavi, cantati nello Spirito santo e noi desideriamo ascoltarli. Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava: « Paradiso mio, paradiso mio, paradiso meraviglioso! ». Ma il Signore nel suo amore gli fece dono, sulla croce (cf. Lc 23,43), di un paradiso migliore di quello perduto, un paradiso celeste dove rifulge la luce increata della santa Trinità.

Come contraccambiare l’amore del Signore per noi (cf. Sal 116,12)?

Publié dans:meditazioni, MONACHESIMO, Ortodossia |on 21 janvier, 2016 |Pas de commentaires »

UNA VITA SOLITARIA – SEPARAZIONE DAL MONDO

 http://www.certosini.info/una_vita_solitaria.htm 
  
UNA VITA SOLITARIA – SEPARAZIONE DAL MONDO 
 
I primi monaci certosini «seguivano il lume dell’oriente, ossia di quegli antichi monaci che, ardenti d’amore per il ricordo del Sangue del Signore versato di recente, popolarono i deserti per professarvi la vita solitaria e la povertà di spirito. Bisogna quindi che i certosini, calcando le loro orme, dimorino come loro in un eremo sufficientemente remoto dalle abitazioni degli uomini; ma soprattutto bisogna che si rendano essi stessi estranei anche alle preoccupazioni mondane».
Secondo la tradizione dei Padri del deserto la ricerca dell’unione con Dio, nel modo più diretto possibile, richiede normalmente la separazione dal mondo. La pace esteriore della solitudine protegge la pace interiore del cuore. Così il monastero è costruito lontano da abitazioni, e ciascun monaco vive solo in cella all’interno della cinta muraria, astenendosi da ogni ministero, escluso quello della preghiera. Questo costituisce per il certosino un’esigenza che gli Statuti esprimono con forza: «Essendo il nostro Ordine totalmente dedito alla contemplazione, è necessario che conserviamo in modo assolutamente fedele la nostra separazione dal mondo. Ci asteniamo perciò da qualsiasi ministero pastorale, pur nell’urgente necessità di apostolato attivo, per adempiere nel Corpo mistico di Cristo la nostra funzione specifica».
Guigo, il monaco a cui lo Spirito ha affidato la missione di redigere la prima regola dei certosini, da parte sua ha celebrato al seguito di tutti i Padri le ricchezze spirituali offerte al solitario: «Sapete infatti che nell’Antico e soprattutto nel Nuovo Testamento quasi tutti i più grandi e profondi segreti furono rivelati ai servi di Dio non nel tumulto delle folle, ma quando erano soli. Gli stessi servi di Dio, tutte le volte che li accendeva il desiderio di meditare più profondamente qualche verità o di pregare con maggiore libertà o di liberarsi dalle cose terrene con l’estasi dello spirito, quasi sempre evitavano gli ostacoli della moltitudine e ricercavano i vantaggi della solitudine (…) considerate voi stessi quanto profitto spirituale nella solitudine trassero i santi e venerabili padri Paolo, Antonio, Ilarione, Benedetto e innumerevoli altri, e avrete la prova che nulla, più della solitudine, può favorire la soavità della salmodia, l’applicazione alla lettura, il fervore della preghiera, le penetranti meditazioni, l’estasi della contemplazione e il dono delle lacrime». 
 
Esodo nel deserto 
 
«Lasciare il mondo per dedicarsi nella solitudine ad una preghiera più intensa, non è altro che un particolare modo di esprimere il mistero pasquale di Cristo, che è una morte per una resurrezione».
La Sacra Scrittura presenta l’Esodo attraverso il deserto come l’evento principale della storia d’Israele. Sotto la guida di Mosè gli ebrei uscirono dall’Egitto; e dopo aver attraversato il Mar Rosso, vissero quaranta anni nel deserto. Non mancarono le prove, ma giunti nel cuore del deserto, al Sinai, Dio si manifestò in modo straordinario e concluse con loro un’alleanza.
I Padri della Chiesa e tutti i monaci hanno visto nell’Esodo una prefigurazione dell’itinerario mistico dell’uomo alla ricerca di Dio.
Guigo nel suo elogio della vita solitaria ha ricordato al certosino l’esempio dei grandi contemplativi della Bibbia, che nella solitudine hanno vissuto il mistero dell’incontro con Dio: Giacobbe, che lottò solo con l’Angelo e ricevette la grazia di un nome migliore; Elia, che visse per lungo tempo nel burrone di un torrente e marciò quaranta giorni e quaranta notti fino all’Oreb dove Dio si manifestò a lui in una brezza leggera; Eliseo, che amava ritirarsi in preghiera nella camera al piano superiore preparata dalla sunammita; e soprattutto Giovanni Battista, che è considerato come il patrono degli eremiti.
Lo stesso Gesù ha cercato la solitudine: subito dopo il suo battesimo nel Giordano fu condotto nel deserto dallo Spirito Santo; ed in molti episodi dei vangeli lascia la folla e si ritira solo sulla montagna per pregare; un giorno invita i suoi apostoli ad andare in disparte in un luogo solitario; infine solo sulla croce, abbandonato da tutti, si offre al Padre per la salvezza del mondo.
Il monaco, seguendo Cristo nel deserto, partecipa al mistero che riconduce nel seno del Padre il Figlio crocifisso e resuscitato dai morti. Nella solitudine egli compie un vero Esodo spirituale, in cui dalla morte sgorga una nuova vita. 
 
Solitudine della cella
 
La clausura nel cui interno si pone il monastero è per il certosino il segno visibile della sua separazione dal mondo. Al di fuori dello spaziamento settimanale il monaco non è autorizzato a uscire dalla casa, salvo in rari casi e per una reale necessità. Lo stesso priore della Gran Certosa, pur essendo superiore generale dell’Ordine, non oltrepassa mai i limiti del suo deserto.
Tuttavia è soprattutto nel segreto della loro cella che i padri vivono la loro vocazione di solitari; mentre i fratelli la vivono in parte nella cella e in parte nelle obbedienze dove essi lavorano. Ciascuno ha così la sua propria solitudine nel seno di un monastero, che è esso stesso solitario.
Gli Statuti ricordano a tutti che la cella è un luogo privilegiato di unione con Dio: «Il nostro impegno e la nostra vocazione consistono principalmente nel dedicarci al silenzio e alla solitudine della cella. Questa è infatti la terra santa e il luogo dove il Signore e il suo servo conversano spesso insieme, come un amico col suo amico. In essa frequentemente l’anima fedele viene unita al Verbo di Dio, la sposa è congiunta allo Sposo, le cose celesti si associano alle terrene, le divine alle umane». Anche le obbedienze di lavoro sono separate le une dalle altre come le celle, e sono organizzate affinché si salvaguardi il più possibile la solitudine. In tal modo la solitudine è adeguata alla situazione di ognuno.
I Padri del deserto hanno celebrato a gara i benefici della fedeltà alla cella, dove il solitario, secondo un’immagine usata da loro e ripresa dagli Statuti Certosini, si trova come un pesce nell’acqua. Guglielmo di Saint-Thierry scrisse ai certosini di Mont-Dieu: «la cella non deve esser mai una reclusione forzata ma una dimora di pace; la porta chiusa non nascondiglio ma ritiro. Colui con il quale Dio è, infatti, non è mai meno solo di quando è solo. Allora infatti gode liberamente della propria gioia; allora egli stesso è suo per godere di sé e di sé in Dio». 
 
Il silenzio 
 
Silenzio e solitudine vanno di pari passo, poiché il primo protegge la solitudine interiore e favorisce il raccoglimento: «Solamente colui che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore».
I certosini sono dei fratelli che vivono fianco a fianco nel silenzio, rispettando reciprocamente il loro colloquio interiore con Dio. Grande è la virtù del silenzio. «Benché nei primi tempi tacere possa essere una fatica, gradualmente, se saremo stati fedeli, dallo stesso nostro silenzio nascerà in noi l’attrattiva verso un silenzio ancora maggiore». L’incontro dell’anima con Dio avviene al di là di ogni discorso, in un semplice scambio di sguardi: linguaggio dell’amore che non è altro che il linguaggio dell’eternità.
«Noi riconosceremo la qualità della parola divina, quando consacreremo il tempo in cui non abbiamo da parlare ad un silenzio privo di preoccupazioni e accompagnato da un’ardente ricordo di Dio». Vi è infatti un silenzio interiore che è ben più difficile della semplice assenza di parole. Esso consiste nel distaccarsi da pensieri erranti che penetrano nel cuore attraverso l’immaginazione. I Padri del deserto a questo riguardo mettevano i loro discepoli in guardia, e cercavano al di sopra di tutto la purezza di cuore, ossia l’amore di Dio preferito ad ogni altra cosa. Come scrisse uno di essi, Cassiano: «In vista dunque della purezza di cuore tutto deve essere compiuto e inteso da noi. Per essa deve essere cercata la solitudine…. Pertanto le virtù che vi si accompagnano, e cioè i digiuni, le veglie, la solitudine, la meditazione delle Scritture, ci conviene esercitarle in vista dello scopo principale, vale a dire della purezza di cuore, che è la carità».

Publié dans:MONACHESIMO, MONACHESIMO - LA VITA |on 20 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

IL MONACHESIMO ORTODOSSO – BREVE STORIA

http://www.ortodoxia.it/Il_monachesimo_ortodosso.htm

IL MONACHESIMO ORTODOSSO – BREVE STORIA

La fine del periodo di persecuzione e martirio dei cristiani coincide con la presenza di un “fenomeno nuovo” collocato nel tempo, verso la fine del III e l’inizio del IV secolo d.c. e, geograficamente, in Egitto.
Uomini e donne, desiderando un rapporto più diretto e personale con Dio, cominciano ad abbandonare la vita mondana delle città. Rifugiandosi nel deserto, cercano di ottenere la purificazione dai peccati della carne, ma anche da quelli dello spirito.
Non si può affermare che la pratica di abbandonare i beni mondani sia un’attività introdotta dal cristianesimo, al contrario si riscontra come un fenomeno consueto nelle antiche comunità. Questo fenomeno assume, però, un significato nuovo ed importante durante il periodo che comprende, come detto, il III e IV secolo d.c..
Una delle più note personalità del periodo iniziale del monachesimo è sicuramente sant’Antonio il Grande[i], la cui vita è narrata da sant’Atanasio d’Alessandria nel 356 d.c..
Leggendo il testo della vita del santo, ci si accorge che sant’Atanasio presenta sant’ Antonio come l’esempio da seguire per ogni eremita, monaco e cristiano. Molti infatti sono i cristiani che hanno imitato l’esempio del santo andando a vivere una vita di isolamento e di purificazione.
All’inizio sant’Antonio viveva nel deserto in totale solitudine poi, gradualmente, cominciò ad accogliere
dei seguaci che accorrevano attratti dalla sua fama. Insieme a loro cominciò a costruire le prime “skite” sulle rive del fiume Nilo.
Sant’Antonio insegnava una vita monastica basata sulla misura, senza arrivare all’umiliazione della carne. Il suo insegnamento veniva imitato dalle centinaia di persone che in quegli anni riempivano il deserto cercando di giungere ad un completamento spirituale. Il seguente aneddoto, menzionato nella storia ecclesiastica di Socrate, ci aiuta a capire meglio cosa ispirava il santo nella sua visione del Divino. “Un giorno chiesero a sant’Antonio quale fosse il suo pensiero sulla creazione ed il santo rispose che il suo manuale era la natura: tutte le volte che voleva approfondire la parola del Signore, gli bastava osservarla con attenzione.”
I cristiani che abbandonavano i beni mondani, indirizzandosi nel deserto e cercandovi rifugio, vi trovavano eremiti illuminati che li sostenevano nella loro battaglia contro le tentazioni. Spesso, in mezzo ai loro alloggi, costruivano una chiesetta ed un forno per soddisfare i bisogni spirituali e della carne della loro vita nel deserto.
Questo modello anacoreta, che incontriamo tempo dopo la fondazione del monachesimo al Monte Athos, continuò a fiorire parallelamente con altre forme di monachesimo, come il cenobitico e l’idioritmico.

Quasi contemporaneo di sant’Antonio il grande è anche il monaco Pacomio[ii], presenza e personalità ugualmente importante per la crescita del monachesimo ortodosso.
Il monaco Pacomio, inizialmente pagano e soldato di Roma, dopo aver abbracciato la fede cristiana, seguì la strada di tanti andando nel deserto. Pacomio non ci mise molto a capire le difficoltà che presentava la vita monastica nel deserto e per fronteggiarle organizzò un diverso modello anacoreta istituendo il “cenobio”: i monaci che seguivano il modello cenobitico non vivevano in totale solitudine nel deserto, ma in alloggi costruiti sulle rive del fiume Nilo.
Le comunità fiorite sotto la guida di Pacomio erano moltissime e in esse i monaci vivevano in comune, dentro costruzioni circondate da mura all’interno delle quali si trovavano le celle dei monaci, una chiesa, il refettorio e i laboratori. La regola fondamentale del modello cenobitico era l’ubbidienza al padre spirituale, il quale guidava i monaci sia nella loro vita spirituale che in quella quotidiana e comunitaria.
La letteratura di quel periodo descrive le vite dei padri del deserto, diventando lettura amata sia dai monaci di tradizione orientale, che da quelli di tradizione occidentale. Un posto di rilievo è da riservare ai testi “I detti dei padri del deserto”, “Storia dei monaci”, come anche “La storia di Palladio”.
Dal deserto egiziano, il monachesimo si diffuse velocemente in diversi territori dell’oriente, come in Cappadocia, ma anche in Siria e Palestina, dove lo ritroviamo già dal IV secolo d.c..
Padre Placide Deseille, circa la diffusione del monachesimo in Cappadocia, scrive: “Il modello delle comunità monastiche in Cappadocia era abbastanza diverso dal modello seguito dai monasteri che si ispiravano a san Pacomio, comunque era evidente che la concezione della vita monastica era sostanzialmente uguale. Quello che le caratterizza è il desiderio di realizzare una comunità cristiana perfetta, imitando la vita dei primi cristiani sotto la guida degli Apostoli, dove sarà possibile purificarsi dalle conseguenze del peccato, e dove l’umanità liberata, come corpo di Cristo, sarà l’icona del Dio unico.”

Importantissima fu la figura di san Basilio il grande ed il suo contributo allo sviluppo del monachesimo orientale.
San Basilio detta regole per una vita monastica cenobitica tra la gente e non solo nel deserto. Le sue regole riguardano problemi della vita cenobitica, senza però regolare rigidamente e con precisione, la vita quotidiana dei monaci.
In queste piccole comunità ogni monaco o monaca era in grado di mettere in pratica l’insegnamento cristiano dell’amore verso il prossimo. Secondo san Basilio i monaci e le monache non dovevano rifiutare completamente il mondo, ma, al contrario, dovevano aiutarlo offrendo un aiuto economico, spirituale e culturale.
Le regole di san Basilio, da una parte rispecchiavano la sua personale visione e dall’altra lo sforzo della chiesa di assorbire il “rivoluzionario” mondo monastico inquadrandolo sotto la gerarchia ecclesiastica.

La fondazione del primo monastero nella città di Costantinopoli risale alla fine del IV secolo: si tratta del monastero Dhalmàtu costruito nel 382 d.c., fuori le mura della città, dall’asceta Isacco, originario della Siria.
Il nome del monastero deriva dal successore di Isacco, Dhalmatio che, prima di diventare monaco, era sotto il servizio dell’imperatore come ufficiale dell’esercito.

Durante il periodo successivo si osserva il fenomeno di una moltiplicazione dei monasteri in tutto il territorio; nella sola città di Costantinopoli, dentro e fuori le mura, nel 536 si contano almeno settanta monasteri. In particolare, in diverse zone montagnose, si sviluppano diversi centri monastici, come sul monte Sinai e sul monte Afxendiu. Il centro monastico del monte Latros invece risale al VII secolo. Le “lavres” in Palestina e Siria, inoltre, continuano a prosperare fino alle incursioni arabe intorno al VII secolo d.c., quando le condizioni degli
isolati anacoreti del deserto diventano difficili e pericolose.
Un altro importantissimo centro per lo sviluppo del monachesimo era la Terra Santa, dove erano affluiti centinaia di anacoreti cristiani. Come fondatori delle istituzioni monastiche della zona vengono presentati i santi Ilario, Caritone ed Eftimio. Il lavoro di sant’Eftimio viene continuato da san Saba[iii] (439-532), che ha legato il suo nome al piu’ importante monastero fra quelli sviluppatisi in Terra Santa.

Il VI e VII secolo hanno conosciuto una delle piu’ importanti figure del monachesimo ortodosso, san Giovanni Climaco[iv], vissuto sul monte Sinai, famosissimo per la sua opera “climax (scala) delle virtu’”. Il suo lavoro, tradotto in lingua araba, latina e slava, si rivolge principalmente ai monaci, ma i laici non sono esonerati dalla lotta per il perfezionamento spirituale.
Contemporaneo di san Giovanni Climaco era Giovanni Moschos[v], scrittore dell’opera “Il giardino spirituale”. Quest’opera, insieme con la ’climax’, ha esercitato un’importantissima influenza, consacrandosi come letture fondamentali per coloro che abbandonavano le cose terrene alla ricerca di Dio.

Il monastero di Studì, a Costantinopoli, ha esercitato un ruolo importantissimo sia nel conflitto con gli iconoclasti sia nella rifioritura del monachesimo ed è legato al nome di san Theodoro, igumeno del monastero, il quale si è contrapposto al potere imperiale nel conflitto sulle icone, ma su temi di moralità (come le nozze di Costantino IV).
San Theodoro parlando ai monaci durante l’ora di catechesi, evidenziava spesso l’importanza della disciplina e del lavoro manuale e spirituale all’interno della comunità monastica.
Negli scritti di San Theodoro viene sottolineata, anche, l’importanza del matrimonio e del ruolo delle donne nella vita della chiesa. Inoltre dai suoi scritti si deduce che considerava la vita del monaco come un martirio quotidiano.
Dopo il periodo buio degli iconoclasti, l’843 d.c., con la vittoria dell’ortodossia, è caratterizzato da una ripresa vitalità e da una fase di risveglio.

Nel IX secolo durante il patriarcato di san Fozio, due monaci, Cirillo e Metodio, assumono l’importantissimo onere di cristianizzare il popolo Slavo. Nello stesso periodo, nel Peloponneso, in Grecia, i fratelli Simeone e Theodoro fondano il monastero della Grande Grotta.
L’azione di vari monaci continua anche nel X secolo, con il lavoro di Nicon in Peloponneso, di Luca Stirioti in Beozia e soprattutto di Atanasio l’Atonita, con la fondazione al Monte Athos del monastero della Grande Lavra.

Intorno alla fine del VIII secolo e all’inizio del IX, i monaci cominciano a risiedere gradualmente nella penisola del Monte Athos. La vittoria dell’ortodossia coincide con i primi passi che porteranno la penisola del Monte Athos a diventare il principale centro monastico, all’ inizio, dei Balcani e successivamente del cristianesimo orientale.
Verso la fine del X secolo si ha già la fondazione dei monasteri di Xiropotamu, Grande Lavra, Iviron, Chilandari, Esfigmenu, Panteleimon, Vatopedi e Zografu, mentre nell’XI e XII secolo vengono fondati i monasteri di Dochiariu, Kastamonitu e Kutlumusiu.
La fondazione di ogni monastero presupponeva l’esistenza di almeno tre monaci e la redazione di un “tipicò” nel quale veniva disposto come gestire la proprietà del monastero, le funzioni liturgiche, il lavoro e in definitiva la vita quotidiana della comunità monastica. Il “tipicò” era convalidato, come consuetudine, dal vescovo o dal Patriarca e in alcuni casi dall’imperatore. Nel caso del Monte Athos il “tipicò” dei vari monasteri veniva convalidato dall’imperatore, a partire dal primo che fu convalidato dall’imperatore Giovanni Tzimiski.

Il monachesimo della chiesa ortodossa si è collegato, verso la fine del X secolo e l’inizio dell’ XI sec., con la mistica teologia, avendo come impo-rtantissimo rappresentante san Simeone il nuovo Teologo, igumeno del monastero di san Mamanto a Costantinopoli.
Nei suoi scritti san Simeone è riuscito ad esprimere il desiderio ardente dell’animo dell’uomo per Dio. Dalle sue parole traspare che l’ubbidienza del monaco al suo padre spirituale, come mezzo di presa di coscienza dell’umiltà, costituisce una virtu’ superiore all’amore e alla partecipazione ai santi misteri. Attraverso l’ubbidienza il monaco troverà infatti la strada della diretta comunicazione con il Divino, che si esprime con l’apparizione della luce increata.
Verso la metà dell’XI secolo vengono costituiti diversi centri monastici, come Nuova Monì nell’isola di Kios o il monastero di san Giovanni nell’isola di Patmos nel 1088. Nel XIV secolo si nota la fondazione del centro monastico di Meteora e di diversi importanti monasteri in Epiro.
Nel XIV secolo il monachesimo conosce il movimento dell’“esicasmo”, il quale influenza in modo determinante il percorso del movimento della mistica teologica. Con l’apparizione dell’esicasmo e la sua diffusione, prima nei Balcani e successivamente fra i popoli slavi, si nota un rifiorire della vita ascetica, spirituale e monastica in tutto l’oriente cristiano.
E’ doveroso ricordare che l’esicasmo si richiama al metodo di preghiera che, attraverso il silenzio interiore, porta ad unirsi con Dio.
La preghiera “Signore Gesu’ Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore” che ogni monaco ripete incessantemente dentro di sé, lo aiuta a trovare la quiete dei sensi e ad entrare in comunicazione con il Divino.
L’esicasmo è collegato in modo indissolubile al nome di Gregorio Palamas che per primo ha descritto i punti cardine del movimento esicasta. Considerando l’esicasmo da un punto di vista spirituale, si desume che è l’evoluzione naturale dei primi anacoreti e padri del deserto.

A partire dal XV sec. si nota un diverso modello di organizzazione monastica chiamato idioritmico il quale è stato adottato, durante il periodo dei Paleologi da alcuni monasteri sul Monte Athos.
La forma di questo modello, come dice anche il nome, permetteva l’autogestione di ogni monaco, autorizzandolo a possedere un patrimonio personale e a soddisfare i suoi bisogni attraverso il lavoro personale.
Con il crollo dell’impero Bizantino nel 1453, sotto la spinta degli Ottomani, le comunità monastiche in oriente e nei Balcani entrano in un duro periodo di crisi che dura fino alla fine del XV secolo, durante il quale il monachesimo trova la forza, dal suo interno, di reagire: i monaci cominciano un lavoro di resistenza spirituale ai maomettani e alla loro opera di scristianizzazione e contemporaneamente fanno rivivere i centri monastici di Monte Athos e di Meteora e di tutti i monasteri sopravvissuti dopo il crollo di Bisanzio. I monasteri continuano a prosperare spiritualmente, per tutto il periodo dell’occupazione ottomana, aiutando in modo concreto la conservazione della fede e della cultura dei popoli oppressi dall’occupazione.
Verso la fine del XVIII secolo, dal centro spirituale della Sacra montagna, parte il movimento dei Kolivadhes, che porta alla rinascita della Filocalia e alla riscoperta dei testi patristici in tutta la chiesa ortodossa.

[i] Sant’ Antonio il grande è nato nel 251 e si è addormentato nel 356, in Egitto. La sua memoria viene festeggiata dalla chiesa il 17 Gennaio.
[ii] San Pacomio è nato intorno al 290 e si è addormentato nel 346. La sua memoria viene festeggiata dalla chiesa ortodossa il 15 Maggio. I suoi scritti riguardanti la vita cenobitica hanno costituito la base per l’evoluzione del monachesimo cenobitico.
[iii] La vita di San Saba, come quella di san Eftimio, sono state scritte da Kirilo Skithopoliti, il quale ci dà importanti notizie sui due padri e sull’organizzazione monastica. San Saba ha esercitato sicuramente un’influenza importantissima sulla eredità liturgica e innografica della chiesa. Nello stesso monastero, alcuni secoli dopo, troveremo i piu’ importanti innografi della chiesa: san Giovanni Damasceno e san Kosmas di Maiuma.
[iv] San Giovanni Climaco (579-650) era abate del monastero del Sinai. Il suo lavoro,”la scala”, finisce citando la prima lettera di san Paolo ai Corinzi (13:13), secondo cui tre sono le piu’ importanti virtu’: la fede, la speranza e l’amore, ma sicuramente l’amore è la piu’ grande.
[v] Giovanni Moschos nasce in Cilicia fra il 540 e il 550 e si addormenta, quasi sicuramente a  Costantinopoli, nel 634 d.c.

Publié dans:MONACHESIMO, Ortodossia |on 12 mai, 2015 |Pas de commentaires »

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