ALLA RICERCA DEL CORPO PERDUTO – UN INVITO ALLA RIFLESSIONE
http://www.atma-o-jibon.org/italiano9/antonelli_corpo_ritrovato1.htm
(sono 10 parti, molto belle per me, è difficile che possa metterle tutte perché ogni giorno intervengono pensieri diversi, i santi, i tempi liturgici, l’esigenza di approfondire la Bibbia, i Padri, ma se vi piace potete andare al link)
ALLA RICERCA DEL CORPO PERDUTO – UN INVITO ALLA RIFLESSIONE
MARIO ANTONELLI – biografia
(Antonelli don Mario, Nato a Monza nel 1960, è stato ordinato prete nel 1985.
Conseguito il baccalaureato presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione del Seminario Arcivescovile di Milano, ha proseguito gli studi presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, conseguendo il Dottorato in Teologia. Insegna teologia fondamentale presso il Seminario di Milano (sede di Seveso) e collabora con gli Uffici di Pastorale Missionaria e di Pastorale dei Migranti della Curia di Milano. Dopo 15 anni di insegnamento nel Seminario di Milano, con esperienze in altri Istituti e Facoltà teologici italiani, dal 2004 al 2010 è stato missionario fidei donum nel nord del Brasile, insegnando cristologia e teologia trinitaria.)
I. DOV’ È IL CORPO?
Tu farai del mio corpo il tuo giardino più caro.
E. Jabès
Corpo bello, corpo splendido,
corpo sformato, corpo curato,
corpo malato, corpo piagato,
corpo sano, corpo stanco, corpo cadente,
corpo toccato, corpo baciato,
corpo avvolto, corpo penetrato,
corpo esibito, corpo violato,
corpo atteso, corpo desiderato,
corpo che geme,
corpo che gode,
corpo che soffre,
corpo che attende,
corpo che si nasconde,
corpo perduto…
Pensieri in libertà… nella libertà della storia,
nella libertà nuova del Vangelo
C’è una ripresa del «corpo» e del suo valore nella cultura attuale? Forse anche nella Chiesa arriva l’onda lunga di questa ripresa, così che si rivaluta l’importanza del corpo nell’impresa di essere credenti? O che sia la Chiesa nella sua fedeltà al Vangelo ad alimentare e a rilanciare il senso del corpo nell’impresa di essere uomini? O forse è solo apparenza; e in realtà ci aggiriamo ancora nelle immense praterie della cultura laica e nelle mille aiuole ecclesiali a elemosinare una parola, una suggestione che ci prometta il ritrovamento del corpo? Già, perché pare proprio che l’abbiamo perduto, che qualcuno ce l’abbia sottratto! Maledizione!
Esattamente, questa è una maledizione; è la maledizione! Ci hanno portato via il corpo…
Chi può essere stato? Chi mai può aver osato tanto? .. .ma è poi tanto convinta questa nostra interrogazione quasi indispettita? Spenderemmo davvero qualcosa di più di un soldo per avere una qualche informazione, sapremmo avventurarci in un’indagine mirata sulle tracce del corpo, troveremmo almeno l’umiltà per mandare avanti qualcuno che lo cerchi per noi? Saremmo davvero così disposti a investire più di un ciclo di catechesi o più di un buon libro per ritrovare il corpo? O forse ci accontenteremmo di procedere nella fatica dell’esistere e nella gioia tribolata dell’esistere cristiano facendo finta di poter fare a meno del corpo? Ma allora, assente il corpo, non sarebbe «fatica mesta» l’esistere e «gioia simulata» l’esistere cosiddetto cristiano?
Ebbene, chi è stato a portarci via il corpo? Aleggia qualche sospetto circa l’autore di questa sottrazione? Ti fermeresti a sussurrare che c’è la mano distratta dei tuoi genitori, la loro parola stentata in materia di corpo e dintorni? Ne potresti fornire indizi fondati? O vuoi dire pure di una cultura diffusa che nelle sue varie agenzie educative produce un’enfasi del corpo, una sua esibizione ossessiva?
È noto come lì il corpo venga ostentato quasi fosse davvero «corpo del reato» che quelle agenzie presumono di aver confiscato a preti e padri; e ora ti urlano, a mo’ di legittimi venditori, loro, ladruncoli incalliti, ti urlano «Te lo restituiamo noi, te lo vendiamo noi quel corpo che preti e genitori ti avevano sequestrato; costa… la tua anima; dacci l’anima ed è tuo!». E te l’hanno portato via! Un’altra volta. Maledizione!
Talvolta ti graffia il sospetto che a sottrartelo siano stati proprio quelli che ti hanno insegnato a credere che i corpi risorgeranno; eh, già! Ecco l’inganno: con il residuo di autorità che gli riconosci, ti dicono, ormai blandamente, questa cosa: che ciò che conta è l’anima e che il corpo è poca cosa. Così tu non ti agiti troppo a cercarlo, il corpo, prima di quella sua ricomparsa spettacolare alla fine dei tempi. Nel frattempo – te l’hanno detto – è questione di «cuore che ama», di «anima bella», di «coscienza pulita» che tra un esame e l’altro impara addirittura ad accomodare in panchina quel corpo che qualche minuto di partita lo vorrebbe pure giocare, diamine! … e prima che si fischi la fine.
Che siano stati loro, proprio i «nostri» a portar telo via, a nascondertelo? Proprio loro? Eppure sono sempre loro, ogni volta che ci troviamo insieme a ringraziare Dio, che ripetono le parole del Maestro: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. . .»; e che consegnano le parole di quel grande amante del Maestro che ancora riesce a scuoterci con quel «Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi» (Romani 12, 1 ss). Siamo ben avvertiti della serietà della cosa: non è uno scherzo, anzi. Il corpo del Maestro è cibo per una vita finalmente vera; l’offerta del mio corpo è condizione per rimanere lieti nel cuore della misericordia di Dio. L’evidenza dell’imbarazzo si impone: come faccio a prendere e a mangiare questo corpo nuovo se non lo vedo e non lo tocco; come mai farò a offrire il corpo se me l’hanno portato via o mi convincono della sua inutilità?
Tuttavia, nel rincorrersi di queste supposizioni, ci arriva, dolce e consolante, una parola da regioni remote, da cieli di nuovo luminosi, parola che ti accarezza e ti invita a cercare, ancora: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato…» (Ebrei 10, 5-7). Parola buona del Figlio al Padre che sempre lo ama; ammaestramento sapiente per tutti i fratelli che egli incontra nel mondo, perché tutti godano della sua comunione con il Padre. Memoria affettuosa dell’origine eterna di quel corpo nuovo che è il corpo di Gesù; verità segreta del corpo che pareva scomparso, codice semplice che fa riapparire il tuo corpo perduto e lo fa riapparire con la medesima forma di quel corpo nuovo. Ti vien dato di ascoltare la promessa di Dio che per nulla vuole il tuo presuntuoso sacrificio e la tua offerta un po’ superstiziosa; lui, invece, ti prepara il corpo, sempre, con la stessa cura con cui ha plasmato e custodisce il corpo del Figlio.
E questa sua parola non è ancora spenta. Scortata dal ricordo imperdibile del corpo di Gesù, essa arriva puntuale a smentire la supposizione di sempre: quella secondo cui per chi si impegna nel legame sacro e lieto con Dio non v’è ragione di contare sul corpo; la supposizione che, tanto, la voce del corpo, il suo gemito e il suo grido, saranno senz’altro insignificanti nell’avventura della relazione con Dio. Più che insignificanti: dannosi.
Più di una parabola…
Il cammino che ci viene dischiuso sembra scandito dalle note che accompagnano il racconto bello del mattino di Pasqua: in Maria di Màgdala, come in filigrana, puoi rinvenire il tuo pianto per la perdita del corpo, la tua supposizione circa il responsabile di un tale misfatto, la tua gioia per il dono… del corpo «nuovo». Modo indubbiamente strano di leggere il racconto evangelico; ma vogliamo credere che quella donna, che nella resistenza risoluta degli affetti ha sentito e visto semplicemente la Vita, vogliamo credere che lei volentieri ci presta la parola. Del resto lei fin da quel giorno di Pasqua aveva «prestato» la sua parola di testimone ai discepoli.
Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto n corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?», Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.
(Giovanni 20, 11-18)
Questa è la donna che stava presso la croce; ora sta presso il sepolcro e piange. Questa è la donna che piange: piange forse non tanto l’andarsene del suo Signore, cristallino «amore sino alla fine», opera compiuta del Padre, ma il fatto che gliel’hanno portato via, sottrazione insopportabile, opera cattiva degli uomini.
Non siamo forse lì con lei, lì dove dovrebbe brillare la gioia della Pasqua, lì dove la vita cristiana si dispiega come incontro affettuoso e grato con il Signore? Non siamo invece lì, noi, a piangere un Signore stancamente cantato e commemorato come in un lamento mesto e lagnante? Non siamo forse lì, impacciati nel seguire Maria di Màgdala sino alla fede che, solerte e lieta, annuncia; lì a piangere perché ci hanno portato via il Signore e ci hanno sottratto pure il corpo, il nostro corpo? E non sappiamo dove lo hanno posto, il Signore e il nostro corpo… Però sappiamo bene che quando sparisce il Signore se ne va anche il senso vero del corpo; e quando scompare il senso del tuo corpo anche del Signore devi dire: «L’ho cercato e non l’ho trovato» (Cantico dei Cantici 3,1ss).
Dove l’avete posto? La domanda emerge imperiosa; è segnata dalla convinzione profonda che se ti portano via il corpo, ti portano via pure il Signore, la comunione autentica con lui, proprio con lui; e viceversa! Il pianto di Maria di Màgdala, questo lo sapeva bene. Lo strazio correva nelle sue lacrime di donna amante del Signore e della vita; per lei perduto il Signore, addirittura sottratto, per lei perduto il suo proprio corpo. Lei infatti era stata guarita da Gesù; meglio, era stata liberata da sette demoni (Luca 8, 2). Da quel giorno corpo finalmente libero, il suo, grazie a Gesù; e ora lui se ne va, ora lo portano via.
Non sarà, per caso, che, scomparso Gesù, il suo corpo di donna finalmente slegato dai vincoli cattivi e liberato da un’occupazione devastante, non sarà, per caso, che questo suo corpo di donna debba ritornare alla detestabile condizione di prima, occupato e saccheggiato? Da qui zampilla come un fiotto il suo dolore… e un presagio oscuro, scarnificante: lei sente nella pancia e nel cuore che, se perde il corpo del Signore, le viene sottratto di nuovo il suo proprio corpo.
Lo teme, anzi, ne è angosciata: e tu? «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto»: la tua pena per il dissolversi del Signore e per la scomparsa del tuo corpo, del suo senso autentico, non è anche segnata dal sospetto che il corpo, il tuo corpo, debba scomparire proprio in nome delle esigenze di una vita con il Signore?
Già. Questa donna sospetta che quello che lei crede il custode del giardino abbia trafugato il corpo del suo Signore. Noi, proprio lì, nel giardino della Pasqua, dove ci viene restituito il nostro corpo trasformato secondo la novità di Gesù, noi avanziamo l’ipotesi – diabolica, sì, diabolica… e lo vedremo – che precisamente il Signore ci abbia portato via il corpo, il nostro corpo; immaginiamo che a quanti osano l’ingresso nella comunione con Dio venga requisito il corpo, quasi fosse una cauzione: ti verrà restituito là, alla fine, se ti comporti correttamente qui nel frattempo. Ti viene requisito, poiché tanto non serve; …e ti viene confiscato proprio da Dio, poiché – e quanto è antica questa persuasione! – «sappiamo bene» che nella relazione con l’immateriale, l’invisibile, l’impassibile, l’«interiore», insomma con Dio, il corpo non serve, anzi, è dannoso con tutta quella sua materialità, la sua visibilità, le sue passioni, la sua «esteriorità».
Questo insegnamento circola diffusamente nel mondo, da sempre. Illusorio espellerlo definitivamente dal campo del vivere; triste riconoscere che noi cristiani ce ne siamo lasciati sedurre; soprattutto inquieta che questo insegnamento corra troppo indisturbato sui nostri campi ecclesiali. L’espulsione definitiva, finché si campa, no, non ce la si fa: d’accordo. Ma che almeno fiacchino le ammonizioni! Almeno.
E che dire di quella determinazione di Maria di Màgdala che è disposta ad andare a prendere il suo Signore? «… e io andrò a prenderlo»: alla sua risolutezza corrisponde la nostra presunzione di andare a riprendere il corpo, il nostro corpo, quasi fosse un oggetto semplicemente disponibile alla coscienza, alle nostre buone intenzioni.
Siamo alle prese qui con il solito dispotismo che la coscienza esercita sul corpo: ed ecco il buon proposito di riprendere il corpo smarrito, di liberare il corpo legato, di emancipare il corpo censurato, di ammansire il corpo ribelle, di ricomporre il corpo disordinato… Quanti insuccessi dovrebbero ormai averci disincantato! Quanti propositi che gonfiavano di sacro orgoglio e di serioso puntiglio tante confessioni si sono frantumati sotto quel dispotismo velleitario di una «buona coscienza» !
Questa donna si sente corretta dal Signore: «Non mi trattenere; ora non puoi tenermi così come mi tenevi prima». L’eco di questa correzione ti raggiunge mentre piangi il corpo perduto, il tuo corpo perduto, mentre coltivi propositi buoni di ripresa del corpo: «non lo trattenere…», non costringerlo, il corpo, in una definizione e non considerarlo come un oggetto, non sottrarlo alla Vita che vi si manifesta, non togliergli il respiro identificandolo con ciò e soltanto con ciò che tu hai visto, hai sentito, hai toccato. Lascia che lungo la pazienza dei giorni affiori la gloria del corpo, il suo essere provvidente, il suo valore e la sua ospitalità nei confronti della tua verità e della verità di Dio. Che possa rivelarsi, il corpo, come maestro buono, grembo materno della tua coscienza? Che da lì, proprio da lì, dalla materialità del tuo corpo ti possa venire il tuo nome, finalmente pronunciato correttamente? …voce che porta l’accento di Dio, inconfondibile come per Maria di Màgdala?
Ma, in fondo (e qui il brano di Maria di Màgdala torna a essere letto come racconto), l’esperienza secondo lo Spirito è esperienza del corpo glorioso di Gesù… Quel corpo benedetto viene a prendere te, corpo animato, anima incarnata; e stupita, tu, piccola Maria di Màgdala, piangendo ora non più la mestizia di una sottrazione, ma la gioia di un dono, tu godrai del tuo corpo, finalmente tuo, restituito nella sua forma bella. E andrai, così, come Maria di Màgdala, piedi che corrono, occhi che confidano il segreto, bocca che canta l’incontro, corpo della comunione, corpo offerto… Benedizione per Maria di Màgdala e per te; benedizione per quanti l’hanno incontrata e per quanti incontreranno te!
