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ALESSANDRO MANZONI – INNI SACRI – IL NOME DI MARIA

dal sito:

 

http://www.classicitaliani.it/manzoni/inni.htm#inno2

 

ALESSANDRO MANZONI  - INNI SACRI

 

IL NOME DI MARIA
[9 novembre1812 - 19 Aprile 1813] 

 

Tacita un giorno a non so qual pendice
Salia d’un fabbro nazaren la sposa;
Salia non vista alla magion felice
D’una pregnante annosa;
      E detto: «salve» a lei, che in reverenti
Accoglienze onorò l’inaspettata,
Dio lodando, sclamò: Tutte le genti
Mi chiameran beata.
      Deh! con che scherno udito avria i lontani
Presagi allor l’età superba! Oh tardo
Nostro consiglio! oh degl’intenti umani
Antiveder bugiardo!
      Noi testimoni che alla tua parola
Ubbidiente l’avvenir rispose,
Noi serbati all’amor, nati alla scola
Delle celesti cose,
      Noi, sappiamo, o Maria, ch’Ei solo attenne
L’alta promessa che da Te s’udìa,
Ei che in cor la ti pose: a noi solenne
È il nome tuo, Maria.
      A noi Madre di Dio quel nome sona:
Salve beata! che s’agguagli ad esso
Qual fu mai nome di mortal persona,
O che gli vegna appresso?
      Salve beata! in quale età scortese
Quel sì caro a ridir nome si tacque?
In qual dal padre il figlio non l’apprese?
Quai monti mai, quali acque
      Non l’udiro invocar? La terra antica
Non porta sola i templi tuoi, ma quella
Che il Genovese divinò, nutrica
I tuoi cultori anch’ella.
      In che lande selvagge, oltre quai mari
Di sì barbaro nome fior si coglie,
Che non conosca de’ tuoi miti altari
Le benedette soglie?
      O Vergine, o Signora, o Tuttasanta,
Che bei nomi ti serba ogni loquela!
Più d’un popol superbo esser si vanta
In tua gentil tutela.
      Te, quando sorge, e quando cade il die,
E quando il sole a mezzo corso il parte,
Saluta il bronzo che le turbe pie
Invita ad onorarte.
      Nelle paure della veglia bruna,
Te noma il fanciulletto; a Te, tremante,
Quando ingrossa ruggendo la fortuna,
Ricorre il navigante.
      La femminetta nel tuo sen regale
La sua spregiata lacrima depone,
E a Te beata, della sua immortale
Alma gli affanni espone;
      A Te che i preghi ascolti e le querele,
Non come suole il mondo, né degl’imi
E de’ grandi il dolor col suo crudele
Discernimento estimi.
      Tu pur, beata, un dì provasti il pianto;
Né il dì verrà che d’oblianza il copra:
Anco ogni giorno se ne parla; e tanto
Secol vi corse sopra.
      Anco ogni giorno se ne parla e plora
In mille parti; d’ogni tuo contento
Teco la terra si rallegra ancora,
Come di fresco evento.
      Tanto d’ogni laudato esser la prima
Di Dio la Madre ancor quaggiù dovea
Tanto piacque al Signor di porre in cima
Questa fanciulla ebrea.
      O prole d’Israello, o nell’estremo
Caduta, o da sì lunga ira contrita,
Non è Costei che in onor tanto avemo
Di vostra fede uscita?
      Non è Davidde il ceppo suo? Con Lei
Era il pensier de’ vostri antiqui vati
Quando annunziaro i verginal trofei
Sopra l’inferno alzati.
      Deh! a Lei volgete finalmente i preghi,
Ch’Ella vi salvi, Ella che salva i suoi
E non sia gente né tribù che neghi
Lieta cantar con noi:
      Salve, o degnata del secondo nome
O Rosa, o Stella ai periglianti scampo,
Inclita come il sol, terribil come
Oste schierata in campo
.

Publié dans:Inni, Maria Vergine |on 13 août, 2007 |Pas de commentaires »

in attesa dell’Aunnzione di Maria…

dal sito Vaticano: 

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2005/documents/hf_ben-xvi_hom_20050815_assunzione-maria_it.html 

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE
DELLA BEATA VERGINE MARIA
 

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 

Parrocchia Pontificia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo
Lunedì, 15 agosto 2005
 

  

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari Fratelli e Sorelle, 

innanzi tutto, un cordiale saluto a voi tutti. Per me è una grande gioia celebrare la Messa nel giorno dell’Assunta in questa bella chiesa parrocchiale. Saluti al Cardinale Sodano, al Vescovo di Albano, a tutti i sacerdoti, al Sindaco, a tutti voi. Grazie per la vostra presenza. La festa dell’Assunta è un giorno di gioia. Dio ha vinto. L’amore ha vinto. Ha vinto la vita. Si è mostrato che l’amore è più forte della morte. Che Dio ha la vera forza e la sua forza è bontà e amore. 

Maria è assunta in cielo in corpo e anima: anche per il corpo c’è posto in Dio. Il cielo non è più per noi una sfera molto lontana e sconosciuta. Nel cielo abbiamo una madre. E la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto. Ne ha fatto la nostra Madre, quando ha detto al discepolo e a tutti noi: “Ecco la tua Madre!” Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore. 

Nel Vangelo abbiamo sentito il Magnificat, questa grande poesia venuta dalle labbra, anzi dal cuore di Maria, ispirata dallo Spirito Santo. In questo canto meraviglioso si riflette tutta l’anima, tutta la personalità di Maria. Possiamo dire che questo suo canto è un ritratto, una vera icona di Maria, nella quale possiamo vederla proprio così com’è. Vorrei rilevare solo due punti di questo grande canto. Esso comincia con la parola “Magnificat”: la mia anima “magnifica” il Signore, cioè “proclama grande” il Signore. Maria desidera che Dio sia grande nel mondo, sia grande nella sua vita, sia presente tra tutti noi. Non ha paura che Dio possa essere un “concorrente” nella nostra vita, che possa toglierci qualcosa della nostra libertà, del nostro spazio vitale con la sua grandezza. Ella sa che, se Dio è grande, anche noi siamo grandi. La nostra vita non viene oppressa, ma viene elevata e allargata: proprio allora diventa grande nello splendore di Dio. 

Il fatto che i nostri progenitori pensassero il contrario fu il nucleo del peccato originale. Temevano che, se Dio fosse stato troppo grande, avrebbe tolto qualcosa alla loro vita. Pensavano di dover accantonare Dio per avere spazio per loro stessi.  Questa è stata anche la grande tentazione dell’epoca moderna, degli ultimi tre-quattro secoli. Sempre più si è pensato ed anche si è detto: “Ma questo Dio non ci lascia la nostra libertà, rende stretto lo spazio della nostra vita con tutti i suoi comandamenti. Dio deve dunque scomparire; vogliamo essere autonomi, indipendenti. Senza questo Dio noi stessi saremo dei, facendo quel che vogliamo noi ». Era questo il pensiero anche del figlio prodigo, il quale non capì che, proprio per il fatto di essere nella casa del padre, era  “libero”. Andò via in paesi lontani e consumò la sostanza della sua vita. Alla fine capì che, proprio per essersi allontanato dal padre, invece che libero, era divenuto schiavo; capì che solo ritornando alla casa del padre avrebbe potuto essere libero davvero, in tutta la bellezza della vita. E’ così anche nell’epoca moderna. Prima si pensava e si credeva che, accantonando Dio ed essendo noi autonomi, seguendo solo le nostre idee, la nostra volontà, saremmo divenuti realmente liberi, potendo fare quanto volevamo senza che nessun altro potesse darci alcun ordine. Ma dove scompare Dio, l’uomo non diventa più grande;  perde anzi la dignità divina, perde lo splendore di Dio sul suo volto. Alla fine risulta solo il prodotto di un’evoluzione cieca e, come tale, può essere usato e abusato.  E’ proprio quanto l’esperienza di questa nostra epoca ha confermato. 

Solo se Dio è grande, anche l’uomo è grande. Con Maria dobbiamo cominciare a capire che è così. Non dobbiamo allontanarci da Dio, ma rendere presente Dio; far sì che Egli sia grande nella nostra vita; così anche noi diventiamo divini;  tutto lo splendore della dignità divina è allora nostro. Applichiamo questo alla nostra vita. E’ importante che Dio sia grande tra di noi, nella vita pubblica e nella vita privata. Nella vita pubblica, è importante che Dio sia presente, ad esempio, mediante la Croce negli edifici pubblici, che Dio sia presente nella nostra vita comune, perché solo se Dio è presente abbiamo un orientamento, una strada comune; altrimenti i contrasti diventano inconciliabili, non essendoci più il riconoscimento della comune dignità. Rendiamo Dio grande nella vita pubblica e nella vita privata. Ciò vuol dire fare spazio ogni giorno a Dio nella nostra vita, cominciando dal mattino con la preghiera, e poi dando tempo a Dio, dando la domenica a Dio. Non perdiamo il nostro tempo libero se lo offriamo a Dio. Se Dio entra nel nostro tempo, tutto il tempo diventa più grande, più ampio, più ricco. 

Una seconda osservazione. Questa poesia di Maria – il Magnificat – è tutta originale; tuttavia è, nello stesso tempo, un “tessuto” fatto totalmente di “fili” dell’Antico Testamento, fatto di parola di Dio. E così vediamo che Maria era, per così dire, “a casa” nella parola di Dio, viveva della parola di Dio, era penetrata dalla parola di Dio. Nella misura in cui parlava con le parole di Dio, pensava con le parole di Dio, i suoi pensieri erano i pensieri di Dio, le sue parole le parole di Dio. Era penetrata dalla luce divina e perciò era così splendida, così buona, così raggiante di amore e di bontà. Maria vive della parola di Dio, è pervasa dalla parola di Dio. E questo essere immersa nella parola di Dio, questo essere totalmente familiare con la parola di Dio le dà poi anche la luce interiore della sapienza. Chi pensa con Dio pensa bene, e chi parla con Dio parla bene. Ha criteri di giudizio validi per tutte le cose del mondo. Diventa sapiente, saggio e, nello stesso tempo, buono; diventa anche forte e coraggioso, con la forza di Dio che resiste al male e promuove il bene nel mondo. 

E, così,  Maria parla con noi, parla a noi, ci invita a conoscere la parola di Dio, ad amare la parola di Dio, a vivere con la parola di Dio, a pensare con la parola di Dio. E possiamo farlo in diversissimi modi: leggendo la Sacra Scrittura, soprattutto partecipando alla Liturgia, nella quale nel corso dell’anno la Santa Chiesa ci apre dinanzi tutto il libro della Sacra Scrittura. Lo apre alla nostra vita e lo rende presente nella nostra vita. Ma penso anche al “Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica”, che recentemente abbiamo pubblicato, nel quale la parola di Dio è applicata alla nostra vita, interpreta la realtà della nostra vita, ci aiuta ad entrare nel grande “tempio” della parola di Dio, ad imparare ad amarla e ad essere, come Maria, penetrati da questa parola. Così la vita diventa luminosa e abbiamo il criterio in base al quale giudicare, riceviamo bontà e forza nello stesso momento. 

Maria è assunta in corpo e anima nella gloria del cielo e con Dio e in Dio è regina del cielo e della terra. E’ forse così lontana da noi? E’ vero il contrario. Proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi. Quando era in terra poteva essere vicina solo ad alcune persone. Essendo in Dio, che è vicino a noi, anzi che è “interiore” a noi tutti, Maria partecipa a questa vicinanza di Dio. Essendo in Dio e con Dio, è vicina ad ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come “madre”, alla quale possiamo rivolgerci in ogni momento. Ella ci ascolta sempre, ci è sempre vicina, ed essendo Madre del Figlio, partecipa del potere del Figlio, della sua bontà. Possiamo sempre affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi. 

Ringraziamo, in questo giorno di festa, il Signore per il dono della Madre e preghiamo Maria, perché ci aiuti a trovare la giusta strada ogni giorno. Amen. 

  

 

Publié dans:Maria Vergine, Papa Benedetto XVI |on 13 août, 2007 |Pas de commentaires »

aspettando l’Assunzione di Maria, Omelia di Papa Benedetto del 18.12.2005

aspettando l’Assunzione di Maria, dal sito Vaticano: 

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2005/documents/hf_ben-xvi_hom_20051218_santa-maria-consolatrice_it.html 

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
SANTA MARIA CONSOLATRICE
 

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 

IV Domenica di Avvento, 18 dicembre 2005   

Cari fratelli e sorelle, 

è per me realmente una grande gioia essere qui con voi questa mattina e celebrare con voi e per voi la Santa Messa. Questa mia visita a Santa Maria Consolatrice, prima parrocchia romana in cui mi reco da quando il Signore ha voluto chiamarmi ad essere Vescovo di Roma, è infatti per me in un senso molto vero e concreto un ritorno a casa. Mi ricordo molto bene di quel 15 ottobre 1977, quando presi possesso di questa mia chiesa titolare. Parroco era Don Ennio Appignanesi, viceparroci erano Don Enrico Pomili e Don Franco Camaldo. Il cerimoniere che mi era stato assegnato era Mons. Piero Marini. Ecco, tutti siamo di nuovo qui insieme! Per me è realmente una grande gioia. 

Da allora in poi il nostro reciproco legame è divenuto progressivamente più forte, più profondo. Un legame nel Signore Gesù Cristo, di cui in questa chiesa ho celebrato tante volte il Sacrificio eucaristico e amministrato i Sacramenti. Un legame di affetto e di amicizia, che ha realmente riscaldato il mio cuore e lo riscalda anche oggi. Un legame che mi ha unito a tutti voi, in particolare al vostro parroco e agli altri sacerdoti della parrocchia. E’ un legame che non si è allentato quando sono diventato Cardinale titolare della Diocesi suburbicaria di Velletri e Segni. Un legame cha ha acquisito una dimensione nuova e più profonda per il fatto di essere ormai Vescovo di Roma e vostro Vescovo. 

Sono poi particolarmente lieto che la mia visita odierna – come Don Enrico ha già detto – si compia nell’anno in cui celebrate il 60° anniversario dell’erezione della vostra parrocchia, il 50° di ordinazione sacerdotale del nostro carissimo parroco Mons. Enrico Pomili, e finalmente i 25 anni di episcopato di Mons. Ennio Appignanesi. Un anno dunque nel quale abbiamo speciali motivi per rendere grazie al Signore. 

Saluto ora con affetto proprio lo stesso Mons. Enrico, e lo ringrazio per le parole tanto gentili che mi ha rivolto. Saluto il Card. Vicario Camillo Ruini, il Card. Ricardo Maria Carles Gordò, titolare di questa chiesa, e quindi mio successore in questo Titolo, il Card. Giovanni Canestri, già vostro amatissimo parroco, il Vicegerente, Vescovo del Settore Est di Roma, Mons. Luigi Moretti; abbiamo già salutato Mons. Ennio Appignanesi, che è stato vostro parroco, e Mons. Massimo Giustetti, che fu vostro vicario parrocchiale. Un saluto affettuoso ai vostri attuali vicari parrocchiali e alle religiose di Santa Maria Consolatrice, presenti a Casalbertone fin dal 1932, preziose collaboratrici della parrocchia e vere portatrici di misericordia e di consolazione in questo quartiere, specialmente per i poveri e per i bambini. Con i medesimi sentimenti saluto ciascuno di voi, tutte le famiglie della parrocchia, coloro che a vario titolo si prodigano nei servizi parrocchiali. 

* * * * 

Vogliamo adesso brevemente meditare il bellissimo Vangelo di questa quarta Domenica d’Avvento, che è per me una delle più belle pagine della Sacra Scrittura. E vorrei – per non essere troppo lungo – riflettere solo su tre parole di questo ricco Vangelo. 

La prima parola che vorrei  meditare con voi è il saluto dell’Angelo a Maria. Nella traduzione italiana l’Angelo dice: “Ti saluto, Maria”. Ma la parola greca sottostante,  “Kaire”, significa di per sé “gioisci”, “rallegrati”. E qui c’è una prima cosa che sorprende: il saluto tra gli ebrei era “Shalom”, “pace”, mentre il saluto nel mondo greco era “Kaire”, “rallegrati”. E’ sorprendente che l’Angelo, entrando nella casa di Maria, saluti con il saluto dei greci: “Kaire”, “rallegrati, gioisci”. E i greci, quando quarant’anni anni dopo hanno letto questo Vangelo, hanno potuto qui vedere un messaggio importante: hanno potuto capire che con l’inizio del Nuovo Testamento, a cui questa pagina di Luca faceva riferimento, si era avuta anche l’apertura al mondo dei popoli, all’universalità del Popolo di Dio, che ormai abbracciava non più soltanto il popolo ebreo, ma anche il mondo nella sua totalità, tutti i popoli. Appare in questo saluto greco dell’Angelo la nuova universalità del Regno del vero Figlio di Davide. 

Ma è opportuno rilevare subito che le parole dell’Angelo sono la ripresa di una promessa profetica del Libro del Profeta Sofonia. Troviamo qui quasi letteralmente quel saluto. Il profeta Sofonia, ispirato da Dio, dice ad Israele: “Rallegrati, figlia di Sion; il Signore è con te e prende in te la Sua dimora ». Sappiamo che Maria conosceva bene le Sacre Scritture. Il suo Magnificat è un tessuto fatto di fili dell’Antico Testamento. Possiamo perciò essere certi che la Santa Vergine capì subito che queste erano parole del Profeta Sofonia indirizzate a Israele, alla « figlia di Sion », considerata come dimora di Dio. E adesso la cosa sorprendente che fa riflettere Maria è che tali parole, indirizzate a tutto Israele, vengono rivolte in special modo a lei, Maria. E così le appare con chiarezza che proprio lei è la « figlia di Sion » di cui ha parlato il profeta, che quindi il Signore ha un’intenzione speciale per lei, che lei è chiamata ad essere la vera dimora di Dio, una dimora non fatta di pietre, ma di carne viva, di un cuore vivo,  che Dio intende in realtà prendere come Suo vero tempio proprio lei, la Vergine. Che indicazione! E possiamo allora capire che Maria cominci a riflettere con particolare intensità su che cosa voglia dire questo saluto. 

Ma fermiamoci adesso soprattutto sulla prima parola:  “gioisci, rallegrati”. Questa è la prima parola che risuona nel Nuovo Testamento come tale,  perché l’annuncio fatto dall’angelo a Zaccaria circa la nascita di Giovanni Battista è parola che risuona ancora sulla soglia tra i due Testamenti. Solo con questo dialogo, che l’angelo Gabriele ha con Maria, comincia realmente il Nuovo Testamento. Possiamo quindi dire che la prima parola del Nuovo Testamento è un invito alla gioia: “gioisci, rallegrati!”. Il Nuovo Testamento è veramente « Vangelo », la “Buona Notizia” che ci porta gioia. Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi,  così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio. 

Soprattutto il mondo greco ha avvertito questa novità, ha avvertito profondamente questa gioia, perché per loro non era chiaro se esistesse un Dio buono o un Dio cattivo o semplicemente nessun Dio. La religione di allora parlava loro di tante divinità: si sentivano perciò circondati da diversissime divinità, l’una in contrasto con l’altra, così da dover temere che, se facevano una cosa in favore di una divinità, l’altra poteva offendersi e vendicarsi. E così vivevano in un mondo di paura, circondati da demoni pericolosi, senza mai sapere come salvarsi da tali forze in contrasto tra di loro. Era un mondo di paura, un mondo oscuro. E  adesso sentivano dire: “Gioisci, questi demoni sono un niente, c’è il vero Dio e questo vero Dio è buono, ci ama, ci conosce, è con noi, con noi fino al punto di essersi fatto carne! » Questa è la grande gioia che il cristianesimo annuncia. Conoscere questo Dio è veramente la « buona notizia », una parola di redenzione. 

Forse noi cattolici, che lo sappiamo da sempre, non siamo più sorpresi, non avvertiamo più con vivezza questa gioia liberatrice. Ma se guardiamo al mondo di oggi, dove Dio è assente, dobbiamo constatare che anch’esso è dominato dalle paure, dalle  incertezze:  è bene essere uomo o no? è bene vivere o no? è realmente un bene esistere? o forse è tutto negativo? E vivono in realtà in un  mondo oscuro, hanno bisogno di anestesie per potere vivere. Così la parola: “gioisci, perché Dio è con te, è con noi », è parola che apre realmente un tempo nuovo. Carissimi, con un atto di fede dobbiamo di nuovo accettare e comprendere nella profondità del cuore questa parola liberatrice: “gioisci!”. 

Questa gioia che uno ha ricevuto non può tenersela solo per sé; la gioia deve essere sempre condivisa. Una gioia la si deve comunicare. Maria è subito andata a comunicare la sua gioia alla cugina Elisabetta. E da quando è stata assunta in Cielo distribuisce gioie in tutto il mondo, è divenuta la grande Consolatrice; la nostra Madre che comunica gioia, fiducia, bontà e ci invita a distribuire anche noi la gioia. Questo è il vero impegno dell’Avvento: portare la gioia agli altri. La gioia è il vero dono di Natale, non i costosi doni che impegnano tempo e soldi. Questa gioia noi possiamo comunicarla in modo semplice: con un sorriso, con un gesto buono, con un piccolo aiuto,  con un perdono. Portiamo questa gioia e la gioia donata ritornerà a noi. Cerchiamo, in particolare, di portare la gioia più profonda, quella di avere conosciuto Dio in Cristo. Preghiamo che nella nostra vita traspaia questa presenza della gioia liberatrice di Dio. 

La seconda parola che vorrei meditare è ancora dell’Angelo: “Non temere, Maria!”, egli dice. In realtà, vi era motivo di temere, perché portare adesso il peso del mondo su di sé, essere la madre del Re universale, essere la madre del Figlio di Dio, quale peso costituiva! Un peso al di sopra delle forze di un essere umano! Ma l’Angelo dice: “Non temere! Sì, tu porti Dio, ma Dio porta te. Non temere!” Questa parola “Non temere” penetrò sicuramente in profondità nel cuore di Maria. Noi possiamo immaginare come in diverse situazioni la Vergine sia ritornata a questa parola, l’abbia di nuovo ascoltata. Nel momento in cui Simeone le dice: “Questo tuo figlio sarà un segno di contraddizione, una spada trafiggerà il tuo cuore”,  in quel momento in cui poteva cedere alla paura, Maria torna alla parola dell’Angelo, ne risente interiormente l’eco: “Non temere, Dio ti porta”. Quando poi, durante la vita pubblica, si scatenano le contraddizioni intorno a Gesù, e molti dicono: “E’ pazzo”, lei ripensa: “Non temere », e va avanti. Infine, nell’incontro sulla via del Calvario  e poi sotto la Croce, quando tutto sembra distrutto, ella sente ancora nel cuore la parola dell’angelo; “Non temere”. E così coraggiosamente sta accanto al Figlio morente e, sorretta dalla fede, va verso la Resurrezione, verso la Pentecoste, verso la fondazione della nuova famiglia della Chiesa. 

“Non temere!”, Maria dice questa parola anche a noi. Ho già rilevato che questo nostro mondo è un mondo di paure: paura della miseria e della povertà, paura delle malattie e delle sofferenze, paura della solitudine, paura della morte. Abbiamo, in questo nostro mondo, un sistema di assicurazioni molto sviluppato: è bene che esistano. Sappiamo però che nel momento della sofferenza profonda, nel momento dell’ultima solitudine della morte, nessuna assicurazione potrà proteggerci. L’unica assicurazione valida in quei momenti è quella che ci viene dal Signore che dice anche a noi: “Non temere, io sono sempre con te”. Possiamo cadere, ma alla fine cadiamo nelle mani di Dio e le mani di Dio sono buone mani. 

Terza parola: al termine del colloquio Maria risponde all’Angelo: “Sono la Serva del Signore, sia fatto come hai detto tu”. Maria anticipa così la terza invocazione del Padre Nostro: “Sia fatta la Tua volontà”. Dice “sì” alla volontà grande di Dio, una volontà apparentemente troppo grande per un essere umano; Maria dice “sì” a questa volontà divina, si pone dentro questa volontà, inserisce tutta la sua esistenza con un grande “sì” nella volontà di Dio e così apre la porta del mondo a  Dio. Adamo ed Eva con il loro “no” alla volontà di Dio avevano chiuso questa porta. “Sia fatta la volontà di Dio”: Maria ci invita a dire anche noi questo “sì” che appare a volte così difficile. Siamo tentati di preferire la nostra volontà, ma Ella ci dice: “Abbi coraggio, dì anche tu: ‘Sia fatta la tua volontà’, perché questa volontà è buona. Inizialmente può apparire come un peso quasi insopportabile, un giogo che non è possibile portare; ma in realtà non è un peso la volontà di Dio, la  volontà di Dio ci dona ali per volare in alto, e cosi possiamo osare con Maria anche noi di aprire a Dio la porta della nostra vita, le porte di questo mondo, dicendo “sì” alla Sua volontà, nella consapevolezza che questa volontà è il vero bene e ci guida alla vera felicità. Preghiamo Maria la Consolatrice, la nostra Madre, la Madre della Chiesa, perché ci dia il coraggio di pronunciare questo “sì”, ci dia anche questa gioia di essere con Dio e ci guidi al Suo Figlio, alla vera Vita. Amen 

 

Publié dans:Maria Vergine, Papa Benedetto XVI |on 12 août, 2007 |Pas de commentaires »

in attesa dell’Assunzione: OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI – 8 dicembre 2005

CAPPELLA PAPALE NEL 40° ANNIVERSARIO
DELLA CONCLUSIONE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II 

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 

Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Giovedì, 8 dicembre 2005
 

  

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle,
 

Quarant’anni fa, l’8 dicembre 1965, sulla Piazza antistante questa Basilica di San Pietro, Papa Paolo VI concluse solennemente il Concilio Vaticano II. Era stato inaugurato, secondo la volontà di Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1962, allora festa della Maternità di Maria, ed ebbe la sua conclusione nel giorno dell’Immacolata. Una cornice mariana circonda il Concilio. In realtà, è molto di più di una cornice: è un orientamento dell’intero suo cammino. Ci rimanda, come rimandava allora i Padri del Concilio, all’immagine della Vergine in ascolto, che vive nella Parola di Dio, che serba nel suo cuore le parole che le vengono da Dio e, congiungendole come in un mosaico, impara a comprenderle (cfr Lc 2,19.51); ci rimanda alla grande Credente che, piena di fiducia, si mette nelle mani di Dio, abbandonandosi alla Sua volontà; ci rimanda all’umile Madre che, quando la missione del Figlio lo esige, si fa da parte e, al contempo, alla donna coraggiosa che, mentre i discepoli si danno alla fuga, sta sotto la croce. Paolo VI, nel suo discorso in occasione della promulgazione della Costituzione conciliare sulla Chiesa, aveva qualificato Maria come « tutrix huius Concilii«  – « protettrice di questo Concilio » (cfr Oecumenicum Concilium Vaticanum II, Constitutiones Decreta Declarationes, Città del Vaticano 1966, pag. 983) e, con un’allusione inconfondibile al racconto di Pentecoste tramandato da Luca (At 1,12-14), aveva detto che i Padri si erano riuniti nell’aula del Concilio « cum Maria, Matre Iesu » e, pure nel suo nome, ne sarebbero ora usciti (pag. 985). 

Resta indelebile nella mia memoria il momento in cui, sentendo le sue parole: « Mariam Sanctissimam declaramus Matrem Ecclesiae » – « dichiariamo Maria Santissima Madre della Chiesa », spontaneamente i Padri si alzarono di scatto dalle loro sedie e applaudirono in piedi, rendendo omaggio alla Madre di Dio, a nostra Madre, alla Madre della Chiesa. Di fatto, con questo titolo il Papa riassumeva la dottrina mariana del Concilio e dava la chiave per la sua comprensione. Maria non sta soltanto in un rapporto singolare con Cristo, il Figlio di Dio che, come uomo, ha voluto diventare figlio suo. Essendo totalmente unita a Cristo, ella appartiene anche totalmente a noi. Sì, possiamo dire che Maria ci è vicina come nessun altro essere umano, perché Cristo è uomo per gli uomini e tutto il suo essere è un « esserci per noi ». Cristo, dicono i Padri, come Capo è inseparabile dal suo Corpo che è la Chiesa, formando insieme con essa, per così dire, un unico soggetto vivente. La Madre del Capo è anche la Madre di tutta la Chiesa; lei è, per così dire, totalmente espropriata da se stessa; si è data interamente a Cristo e con Lui viene data in dono a tutti noi. Infatti, più la persona umana si dona, più trova se stessa. 

Il Concilio intendeva dirci questo: Maria è così intrecciata nel grande mistero della Chiesa che lei e la Chiesa sono inseparabili come sono inseparabili lei e Cristo. Maria rispecchia la Chiesa, la anticipa nella sua persona e, in tutte le turbolenze che affliggono la Chiesa sofferente e faticante, ne rimane sempre la stella della salvezza. È lei il suo vero centro di cui ci fidiamo, anche se tanto spesso la sua periferia ci pesa sull’anima. Papa Paolo VI, nel contesto della promulgazione della Costituzione sulla Chiesa, ha messo in luce tutto questo mediante un nuovo titolo radicato profondamente nella Tradizione, proprio nell’intento di illuminare la struttura interiore dell’insegnamento sulla Chiesa sviluppato nel Concilio. Il Vaticano II doveva esprimersi sulle componenti istituzionali della Chiesa: sui Vescovi e sul Pontefice, sui sacerdoti, i laici e i religiosi nella loro comunione e nelle loro relazioni; doveva descrivere la Chiesa in cammino, « che comprende nel suo seno peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione… » (Lumen gentium, 8). Ma questo aspetto « petrino » della Chiesa è incluso in quello « mariano ». In Maria, l’Immacolata, incontriamo l’essenza della Chiesa in modo non deformato. Da lei dobbiamo imparare a diventare noi stessi « anime ecclesiali », così si esprimevano i Padri, per poter anche noi, secondo la parola di san Paolo, presentarci « immacolati » al cospetto del Signore, così come Egli ci ha voluto fin dal principio (Col 1,21; Ef 1,4). 

Ma ora dobbiamo chiederci: Che cosa significa « Maria, l’Immacolata »? Questo titolo ha qualcosa da dirci? La liturgia di oggi ci chiarisce il contenuto di questa parola in due grandi immagini. C’è innanzitutto il racconto meraviglioso dell’annuncio a Maria, la Vergine di Nazaret, della venuta del Messia. Il saluto dell’Angelo è intessuto di fili dell’Antico Testamento, specialmente del profeta Sofonia. Esso fa vedere che Maria, l’umile donna di provincia che proviene da una stirpe sacerdotale e porta in sé il grande patrimonio sacerdotale d’Israele, è « il santo resto » d’Israele a cui i profeti, in tutti i periodi di travagli e di tenebre, hanno fatto riferimento. In lei è presente la vera Sion, quella pura, la vivente dimora di Dio. In lei dimora il Signore, in lei trova il luogo del Suo riposo. Lei è la vivente casa di Dio, il quale non abita in edifici di pietra, ma nel cuore dell’uomo vivo. Lei è il germoglio che, nella buia notte invernale della storia, spunta dal tronco abbattuto di Davide. In lei si compie la parola del Salmo: « La terra ha dato il suo frutto » (67,7). Lei è il virgulto, dal quale deriva l’albero della redenzione e dei redenti. Dio non ha fallito, come poteva apparire già all’inizio della storia con Adamo ed Eva, o durante il periodo dell’esilio babilonese, e come nuovamente appariva al tempo di Maria quando Israele era diventato un popolo senza importanza in una regione occupata, con ben pochi segni riconoscibili della sua santità. Dio non ha fallito. Nell’umiltà della casa di Nazaret vive l’Israele santo, il resto puro. Dio ha salvato e salva il Suo popolo. Dal tronco abbattuto rifulge nuovamente la sua storia, diventando una nuova forza viva che orienta e pervade il mondo. Maria è l’Israele santo; ella dice « sì » al Signore, si mette pienamente a Sua disposizione e diventa così il tempio vivente di Dio. 

La seconda immagine è molto più difficile ed oscura. Questa metafora tratta dal Libro della Genesi parla a noi da una grande distanza storica, e solo a fatica può essere chiarita; soltanto nel corso della storia è stato possibile sviluppare una comprensione più profonda di ciò che lì viene riferito. Viene predetto che durante tutta la storia continuerà la lotta tra l’uomo e il serpente, cioè tra l’uomo e le potenze del male e della morte. Viene però anche preannunciato che « la stirpe » della donna un giorno vincerà e schiaccerà la testa al serpente, alla morte; è preannunciato che la stirpe della donna – e in essa la donna e la madre stessa – vincerà e che così, mediante l’uomo, Dio vincerà. Se insieme con la Chiesa credente ed orante ci mettiamo in ascolto davanti a questo testo, allora possiamo cominciare a capire che cosa sia il peccato originale, il peccato ereditario, e anche che cosa sia la tutela da questo peccato ereditario, che cosa sia la redenzione. 

Qual è il quadro che in questa pagina ci vien posto davanti? L’uomo non si fida di Dio. Egli, tentato dalle parole del serpente, cova il sospetto che Dio, in fin dei conti, gli tolga qualcosa della sua vita, che Dio sia un concorrente che limita la nostra libertà e che noi saremo pienamente esseri umani soltanto quando l’avremo accantonato; insomma, che solo in questo modo possiamo realizzare in pienezza la nostra libertà. L’uomo vive nel sospetto che l’amore di Dio crei una dipendenza e che gli sia necessario sbarazzarsi di questa dipendenza per essere pienamente se stesso. L’uomo non vuole ricevere da Dio la sua esistenza e la pienezza della sua vita. Vuole attingere egli stesso dall’albero della conoscenza il potere di plasmare il mondo, di farsi dio elevandosi al livello di Lui, e di vincere con le proprie forze la morte e le tenebre. Non vuole contare sull’amore che non gli sembra affidabile; egli conta unicamente sulla conoscenza, in quanto essa gli conferisce il potere. Piuttosto che sull’amore punta sul potere col quale vuole prendere in mano in modo autonomo la propria vita. E nel fare questo, egli si fida della menzogna piuttosto che della verità e con ciò sprofonda con la sua vita nel vuoto, nella morte. Amore non è dipendenza, ma dono che ci fa vivere. La libertà di un essere umano è la libertà di un essere limitato ed è quindi limitata essa stessa. Possiamo possederla soltanto come libertà condivisa, nella comunione delle libertà: solo se viviamo nel modo giusto l’uno con l’altro e l’uno per l’altro, la libertà può svilupparsi. Noi viviamo nel modo giusto, se viviamo secondo la verità del nostro essere e cioè secondo la volontà di Dio. Perché la volontà di Dio non è per l’uomo una legge imposta dall’esterno che lo costringe, ma la misura intrinseca della sua natura, una misura che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera. Se noi viviamo contro l’amore e contro la verità – contro Dio –, allora ci distruggiamo a vicenda e distruggiamo il mondo. Allora non troviamo la vita, ma facciamo l’interesse della morte. Tutto questo è raccontato con immagini immortali nella storia della caduta originale e della cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre. 

Cari fratelli e sorelle! Se riflettiamo sinceramente su di noi e sulla nostra storia, dobbiamo dire che con questo racconto è descritta non solo la storia dell’inizio, ma la storia di tutti i tempi, e che tutti portiamo dentro di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle immagini del Libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale. Proprio nella festa dell’Immacolata Concezione emerge in noi il sospetto che una persona che non pecchi affatto sia in fondo noiosa; che manchi qualcosa nella sua vita: la dimensione drammatica dell’essere autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire di no, lo scendere giù nelle tenebre del peccato e del voler fare da sé; che solo allora si possa sfruttare fino in fondo tutta la vastità e la profondità del nostro essere uomini, dell’essere veramente noi stessi; che dobbiamo mettere a prova questa libertà anche contro Dio per diventare in realtà pienamente noi stessi. Con una parola, noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di esso, almeno un po’, noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza dell’essere. Pensiamo che Mefistofele – il tentatore – abbia ragione quando dice di essere la forza « che sempre vuole il male e sempre opera il bene » (J.W. v. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare un po’ col male, riservarsi un po’ di libertà contro Dio, in fondo, sia bene, forse sia addirittura necessario. 

Guardando però il mondo intorno a noi, possiamo vedere che non è così, che cioè il male avvelena sempre, non innalza l’uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo. Questo dobbiamo piuttosto imparare nel giorno dell’Immacolata: l’uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non diventa un burattino di Dio, una noiosa persona consenziente; egli non perde la sua libertà. Solo l’uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene. L’uomo che si volge verso Dio non diventa più piccolo, ma più grande, perché grazie a Dio e insieme con Lui diventa grande, diventa divino, diventa veramente se stesso. L’uomo che si mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa una persona sensibile e perciò benevola ed aperta. 

Più l’uomo è vicino a Dio, più vicino è agli uomini. Lo vediamo in Maria. Il fatto che ella sia totalmente presso Dio è la ragione per cui è anche così vicina agli uomini. Per questo può essere la Madre di ogni consolazione e di ogni aiuto, una Madre alla quale in qualsiasi necessità chiunque può osare rivolgersi nella propria debolezza e nel proprio peccato, perché ella ha comprensione per tutto ed è per tutti la forza aperta della bontà creativa. È in lei che Dio imprime la propria immagine, l’immagine di Colui che segue la pecorella smarrita fin nelle montagne e fin tra gli spini e i pruni dei peccati di questo mondo, lasciandosi ferire dalla corona di spine di questi peccati, per prendere la pecorella sulle sue spalle e portarla a casa. Come Madre che compatisce, Maria è la figura anticipata e il ritratto permanente del Figlio. E così vediamo che anche l’immagine dell’Addolorata, della Madre che condivide la sofferenza e l’amore, è una vera immagine dell’Immacolata. Il suo cuore, mediante l’essere e il sentire insieme con Dio, si è allargato. In lei la bontà di Dio si è avvicinata e si avvicina molto a noi. Così Maria sta davanti a noi come segno di consolazione, di incoraggiamento, di speranza. Ella si rivolge a noi dicendo: « Abbi il coraggio di osare con Dio! Provaci! Non aver paura di Lui! Abbi il coraggio di rischiare con la fede! Abbi il coraggio di rischiare con la bontà! Abbi il coraggio di rischiare con il cuore puro! Compromettiti con Dio, allora vedrai che proprio con ciò la tua vita diventa ampia ed illuminata, non noiosa, ma piena di infinite sorprese, perché la bontà infinita di Dio non si esaurisce mai! ». 

Vogliamo, in questo giorno di festa, ringraziare il Signore per il grande segno della Sua bontà che ci ha donato in Maria, Sua Madre e Madre della Chiesa. Vogliamo pregarlo di porre Maria sul nostro cammino come luce che ci aiuta a diventare anche noi luce e a portare questa luce nelle notti della storia. Amen. 

  

Publié dans:Maria Vergine, Papa Benedetto XVI |on 11 août, 2007 |Pas de commentaires »

VATICANO – Papa Benedetto XVI in Brasile – E’ la Vergine Maria che ci insegna a pregare

un testo su Maria, Papa Benedetto XVI in Brasile, dal sito:

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=12927&lan=ita

VATICANO – Papa Benedetto XVI in Brasile – E’ la Vergine Maria che ci insegna a pregare. È Lei che ci addita il modo di aprire le nostre menti ed i nostri cuori alla potenza dello Spirito Santo, che viene per essere trasmesso al mondo intero” Aparecida (Agenzia Fides) – “Il Papa è venuto ad Aparecida con viva gioia per dirvi innanzitutto: ‘Rimanete alla scuola di Maria’. Ispiratevi ai suoi insegnamenti, cercate di accogliere e di conservare nel cuore le luci che Lei, per mandato divino, vi invia dall’alto”. Nell’omelia, al grande Santuario dell’Aparecida in Brasile, dopo la recita del Santo Rosario il sabato 12 maggio, il Santo Padre ha usato toni intensi e contenuti commoventi per orientare le menti e i cuori dei pastori e dei fedeli verso il mistero dell’Amore di Dio, che si manifesta pienamente in Gesù Cristo nato da Maria per opera dello Spirito Santo. Tutto si muove verso il Signore; la Vergine Maria si trova sul nostro cammino proprio per portarci al Centro della nostra fede che è Gesù ripieno di Spirito Santo. “E’ Lei che ci insegna a pregare. È Lei che ci addita il modo di aprire le nostre menti ed i nostri cuori alla potenza dello Spirito Santo, che viene per essere trasmesso al mondo intero”. Il Papa ha paragonato la recita del Rosario all’Aparecida a quando “gli Apostoli, insieme a Maria, ‘salirono alla stanza superiore’ e lì, ‘uniti dallo stesso sentimento, si dedicavano assiduamente alla preghiera’ (cfr At 1,13-14)”. La forza della preghiera, come ci ricorda costantemente il Santo Padre, è fondamentale per la buona riuscita di qualsiasi opera apostolica. Così si capisce meglio perché il Pastore universale abbia voluto proprio che la Sede per la V Conferenza Episcopale Latinoamericana e dei Carabi fosse in Aparecida, nella “Casa di Maria”, dove appunto c’è tanta preghiera, come in ogni Santuario mariano che riproduce l’atmosfera del primo Cenacolo. Il Santo Padre ha incoraggiato e benedetto le famiglie come anche i Movimenti, le Associazioni e le nuove realtà ecclesiali, chiamandole “espressione viva della perenne giovinezza della Chiesa!” Dopo aver ringraziato per la calorosa accoglienza il popolo brasiliano, il Papa ha fatto giungere il suo grazie ai sacerdoti dell’America Latina e dei Carabi e a quelli di tutto il mondo, per la loro donazione a Dio e l’insostituibile servizio alle anime, ricordando che “la testimonianza di un sacerdozio vissuto bene nobilita la Chiesa, suscita ammirazione nei fedeli, è fonte di benedizioni per la Comunità, è la migliore promozione vocazionale, il più autentico invito perché anche altri giovani rispondano positivamente agli appelli del Signore”. Non è mancato poi il ringraziamento ai diaconi e ai seminaristi, che occupano nel cuore del Papa “un luogo speciale”. Agli “amatissimi Consacrati e Consacrate” ha detto che sono “un’offerta, un regalo, un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore”, ricordando che “la vita religiosa in Brasile è stata sempre significativa ed ha avuto un ruolo importante nell’opera dell’evangelizzazione, sin dagli inizi della colonizzazione”. Segno eloquente è stata, proprio nella giornata dell’11 maggio, la canonizzazione di Sant’Antonio di Sant’Anna Galvão, presbitero e religioso francescano, ricordato dal Santo Padre come “primo Santo nato in Brasile”. Il Papa avrebbe voluto citare anche altri esempi di consacrati e consacrate ammirevoli, ed ha fatto il nome di Santa Paulina, fondatrice delle Piccole Suore dell’Immacolata Concezione. Il Santo Padre ha fatto, quindi, un vibrante appello a tutti: “la Chiesa è la nostra Casa! Questa è la nostra Casa!.. Vale la pena essere fedeli, vale la pena perseverare nella propria fede!” Richiamando all’attenzione di tutti la necessità di una solida formazione, Benedetto XVI ha rilanciato, infine, l’importante strumento del “Catechismo della Chiesa Cattolica” e del suo “Compendio”. Il Santo Padre si è, poi, rivolto Nostra Signora della Concezione Aparecida con una preghiera che vale la pena di riportare integralmente: «Madre nostra, proteggi la famiglia brasiliana e latinoamericana! Custodisci sotto il tuo mantello protettore i figli di questa amata Patria che ci accoglie, Tu che sei l’Avvocata presso il tuo Figlio Gesù, da’ al Popolo Brasiliano pace costante e prosperità completa, Infondi nei nostri fratelli di tutta la geografia latinoamericana un vero ardore missionario, propagatore di fede e di speranza, Fa’ che il tuo grido risuonato a Fatima per la conversione dei peccatori diventi realtà e trasformi la vita della nostra società, e Tu che, dal Santuario di Guadalupe, intercedi per il popolo del Continente della Speranza, benedici le sue terre ed i suoi focolari, Amen”. (LA) (Agenzia Fides 14/5/2007 righe: 52 parole: 694)

Publié dans:Maria Vergine |on 9 août, 2007 |Pas de commentaires »

Nel dogma dell’Assunta si esprime il senso escatologico dell’immortalità dell’uomo e la realizzazione della pienezza del nostro battesimo.

Non desidero fare una sorta di « novena » per l’Assunzione di Maria, ma desidero offrire qualche testo per meditare la festa che ci attende:  

http://www.stpauls.it/madre/0706md/0706md08.htm 

La mariologia di Benedetto XVI – 22  

di BRUNO SIMONETTO

 L’ASSUNZIONE DI MARIA IN CIELO

Nel dogma dell’Assunta si esprime il senso escatologico dell’immortalità dell’uomo e la realizzazione della pienezza del nostro battesimo.
 
Concludiamo la riflessione sull’ultimo dogma mariano, l’Assunzione di Maria al Cielo in anima e corpo, a partire dalla presentazione teologica che ne fa Joseph Ratzinger, attualmente papa Benedetto XVI, ne La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1979.  A quanto detto in precedenza sul contenuto dogmatico dell’Assunta, che per Ratzinger è espressione del supremo culto della Chiesa a Maria, vista nella pienezza escatologica della sua unione con Dio, aggiungiamo ora le altre argomentazioni teologiche del Papa. Il significato escatologico dell’immortalità dell’uomo 

«Maria [assunta in cielo] sta al posto della Chiesa stessa, della sua definitiva condizione di salvezza» (p. 74). Ratzinger approfondisce questo concetto sviluppando anzitutto un altro tema che, per lui, riveste un ruolo importante anche nel testo della proclamazione dogmatica dell’Assunzione della Vergine in cielo. Eccone l’argomentazione: «Come la vita dell’uomo è piantata, immersa in un mondo nel quale la morte è la condizione della vita, così la nascita è sempre ambivalente: essa è, al tempo stesso, un morire e un divenire. La sentenza di Gn 3, 16 (« Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli… ») descrive appunto questo destino dell’uomo; l’ambivalenza della figura di Eva esprime quest’ambivalenza del divenire biologico: la nascita è una parte della morte; essa avviene sotto il segno della morte e rimanda alla morte che, in certo qual senso, essa anticipa, prepara ed anche presuppone». Sicché «generare alla vita significa sempre, al tempo stesso, aprirsi al morire. 
Nostra Signora dell’Assunzione con san Miniato e san Giuliano (Andrea Del Castagno, 1450). 
«Ma se Maria è veramente genitrice di Dio, se ella genera colui che è per eccellenza la morte della morte e la vita, allora questo essere Madre di Dio è veramente « nuova nascita » (nova nativitas): un nuovo modo del generare, incastrato nell’antico, così come Maria è nuova alleanza nell’antica alleanza e come membro dell’antica. Questa nascita non è un morire, ma solamente un divenire, un prorompere della vita che toglie il morire e lo lascia definitivamente alle sue spalle. Perciò il titolo di « genitrice di Dio » da una parte rimanda all’indietro, alla Vergine: questa vita non è stata concepita nel morire e divenire quotidiani, ma è puro inizio; e dall’altra esso rimanda in avanti, all’Assunta: da questa nascita non viene alcuna morte, deriva solamente vita. Questa nuova « generazione » non ha come sua condizione il recedere nell’antica, ma essa produce la definitività del tutto. «Qui si rivela però anche il legame con l’affermazione dell’Immacolata; esso potrebbe forse essere così descritto: là dove vi è totalità della grazia c’è totalità della salvezza. Dove la grazia non si trova nella precarietà di « giusto e peccatore al tempo stesso », ma essa è puro sì, lì non c’è spazio per la morte, lo sgherro del peccato. «Ora, però, questo comporta un domandarsi: che cosa significa assunzione in corpo e anima nella gloria celeste? Che cosa significa propriamente « immortalità »? E che cosa significa « morte »? L’uomo non è mai immortale per se stesso, ma solamente nell’altro e coll’altro, provvisoriamente, sperimentalmente, frammentariamente nel bambino; in definitiva egli è veramente nella gloria soltanto nel totalmente-Altro ed a partire da lui: da Dio. Noi siamo mortali a causa dell’adeguata autarchia del « voler stare in se stessi », di quell’autarchia che si rivela illusione. In quanto fallimento dell’autarchia, in quanto possibilità di dare consistenza a se stessi, la morte non è solamente un fenomeno somatico, ma un fenomeno umano di radicale profondità. Là dove tuttavia manca il tentativo, per noi originario, dell’autarchia, là dove esiste la pura autoespropriazione di colui che non si fonda su se stesso (= grazia!), qui non c’è « morte » (benché vi sia la fine somatica), ma qui tutto l’uomo entra nella salvezza, poiché egli, come totalità, senza riduzione alcuna, sta eternamente nella memoria di Dio che è creatrice di vita, in quella memoria che, prendendolo come tale, lo custodisce nella sua stessa gloria» (pp. 74-76; in nota Ratzinger rimanda alla sua presentazione più dettagliata della problematica di immortalità e risurrezione in Kleine katholische Dogmatik del 1977, scritta a quattro mani con Johann Auer). Nell’Assunta si è realizzata tutta l’essenza del battesimo 

«Con questo», prosegue nel suo ragionamento Ratzinger, applicando il discorso alla Vergine Assunta in Cielo, «ritorniamo a quanto si era accennato poc’anzi. Abbiamo detto che chi può essere glorificato, esaltato col nome di Dio, vive. Avevamo aggiunto: per Maria e solamente per lei (per quanto noi sappiamo) ciò vale in modo definitivo, incondizionato, poiché ella sta per la Chiesa stessa, per quel suo definitivo essere salvata che non è più solamente promessa da venire, ma è già realtà. «A questo proposito, mi sembra avere una certa importanza Col 3,3: « Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio ». Ciò significa: esiste come una sorta di « ascensione » del battezzato, della quale parla in termini del tutto espliciti Ef 2,6: « Con lui Dio ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù ». Stando a questo testo, il battesimo è partecipazione non soltanto alla risurrezione, ma anche all’ascensione di Cristo. Il battezzato, in altre parole, in quanto battezzato e nella misura in cui egli è tale, è già adesso inserito nell’ascensione e vive là, nel Signore glorificato, la sua vita nascosta (la sua vera vita!)» (pp. 76-77). 
Visitazione (Franz Anton Maulbertsch, 1777). Come si può ben capire, per Ratzinger (che sempre più scopriamo essere davvero il san Tommaso d’Aquino dei nostri tempi!) la formula dogmatica dell’ »Assunzione » di Maria in corpo e anima perde, sulla base dei testi biblici citati, ogni carattere speculativo e arbitrario: essa, infatti, è solamente la forma suprema della canonizzazione riferita a colei che ha generato il Signore («prima con il cuore poi nel corpo», dice sant’Agostino), della quale la fede, cioè il contenuto interiore del Battesimo, può essere affermata illimitatamente (in conformità a Luca 1, 45: « Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore »); Maria è colei nella quale «si è quindi realizzata tutta l’essenza del battesimo, in lei è stata inghiottita nella vittoria di Cristo, in lei ciò che ancora si oppone al battesimo (alla fede) è stato totalmente superato con la morte della vita terrena» (p. 77). 
Queste ultime affermazioni (che per Maria hanno la piena evidenza personale nel collegamento a Luca 1, 45 ed Ef 2,6) si riferiscono «nuovamente e strettissimamente», continua Ratzinger, «a quei contesti tipologici che abbiamo continuamente tenuto presente: l’interamente battezzata, in quanto realtà personale della vera chiesa, è contemporaneamente la certezza di salvezza della chiesa, certezza non solamente promessa ma esistente in lei in carne e ossa, e certezza di salvezza di quella chiesa che in lei è già stata salvata: il nuovo Israele non è più respinto. È già entrato nel cielo. Esistono su questo punto preziosi testi patristici, che di fatto non fanno che sviluppare ciò che già si trova nella Bibbia» (pp. 77-78). Il culto a Maria è come la « danza » del Magnificat  Infine, un’ultima osservazione che il cardinale Ratzinger propone per completare la sua originale riflessione sul dogma dell’Assunzione di Maria, che qui siamo andati illustrando. «Raccontando la visita di Maria ad Elisabetta», scrive, «Luca riferisce che il bimbo Giovanni, al risuonare del saluto di Maria, « ha esultato di gioia nel grembo » (Lc 1, 46). Per esprimere la gioia, egli usa lo stesso termine skirtôn (« saltellare ») che ha impiegato anche per denotare la gioia di coloro che sono toccati dalle beatitudini (Lc 6, 23 [« rallegratevi in quel giorno ed esultate, skirtésate« ]). «In una delle antiche traduzioni greche dell’Antico Testamento, questo termine ricorre anche là dove si descrive la danza di Davide dinanzi all’arca santa che è finalmente ritornata in patria (2Sam 6, 16)». Ora – citando l’interpretazione di René Laurentin, che stabilisce un parallelismo tra Lc 1, 39-44 e 2Sam 6, 2-11 – si può dire che la scena (della Visitazione di Maria ad Elisabetta) «è costruita in maniera parallela con il ritorno in patria dell’arca, così che il saltellare del bambino proseguirebbe la gioia estatica di Davide dinanzi al segno che garantisce la vicinanza di Dio. Ma, comunque sia, si esprime qui qualcosa che per noi, nel nostro secolo critico, è andato quasi completamente perduto e che, tuttavia, appartiene all’interiorità della fede: per lui [Giovanni] è la gioia per la Parola che si è fatta uomo, è quel saltellare dinanzi all’arca dell’alleanza nella contentezza dimentica di sé che coglie colui che ha conosciuto la vicinanza salvatrice di Dio. «Solamente chi capisce ciò», afferma a questo punto, con forte espressione, il futuro Benedetto XVI, quasi a voler raccogliere il senso di tutto quanto è andato spiegando ne La figlia di Sion, «può comprendere anche il culto di Maria: al di là di tutti i problemi, esso è l’essere trascinati dalla gioia perché il vero Israele esiste indistruttibile; è l’oscillare beato nella gioia del Magnificat e, perciò, nella lode di colui verso il quale è debitrice la figlia di Sion e di colui che lei porta come la vera, non deperibile, indistruttibile arca dell’alleanza» (pp. 79-79).  E su queste note « in crescendo » terminiamo le nostre riflessioni sui quattro dogmi mariani, rivisitati alla luce dell’insegnamento mariologico del teologo Ratzinger divenuto poi papa Benedetto XVI. 

Publié dans:Maria Vergine |on 8 août, 2007 |Pas de commentaires »

Maria

Maria dans Maria Vergine 621

http://www.rocciadibelpasso.it/marianelcorano.htm

Publié dans:Maria Vergine |on 1 août, 2007 |Pas de commentaires »

16.7.07 – Beata Vergine del Monte Carmelo

16.7.07 - Beata Vergine del Monte Carmelo dans Maria Vergine

http://santiebeati.it/immagini/?mode=album&album=28300&dispsize=Original

Publié dans:Maria Vergine |on 16 juillet, 2007 |Pas de commentaires »

Beata Vergine del Carmelo

 SCUSATE NON SO PERCHÉ MI VIENE A DUE COLORI,  DAL SITO:

http://www.maranatha.it/Ore/solenfeste/0716letPage.htm

Beata Vergine del Carmelo 

Ufficio delle letture 

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa 
(Discorsi del 10-5-1967 e 22-6-1967; AAS 59 [1967], pp.514-515. 779)
 
Te beata, che hai creduto

La beata Vergine Maria fu certamente illuminata interiormente da un carisma di luce straordinaria, quale la sua innocenza e la sua missione le dovevano assicurare. Traspare dal Vangelo la limpidezza conoscitiva e l’intuizione profetica delle cose divine che inondavano la privilegiata sua anima.
E tuttavia
la Madonna ebbe la fede, la quale sup
pone non l’evidenza diretta della conoscenza, ma l’accettazione della verità per motivo della parola rivelatrice di Dio. «Anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede», dice il Concilio Vaticano II È il Vangelo che indica il meritorio cammino, quando ricorda lo stupendo elogio di Elisabetta, elogio rivelatore della psicologia e della virtù

di Maria: «Te beata, che hai creduto!».
E potremmo trovare la conferma di questa primaria virtù della Madonna nelle pagine in cui il Vangelo registra ciò che Ella era, ciò ch’Ella disse, ciò ch’Ella fece, così da sentirci obbligati a sedere alla scuola del suo esempio, e a trovare negli atteggiamenti, che definiscono l’incomparabile figura di Maria davanti al mistero di Cristo, che in Lei si realizza, le forme tipiche per gli spiriti che vogliono essere religiosi, secondo il piano divino della nostra
salvezza.
Sono forme di ascoltazione, di esplorazione, di accettazione, di sacrificio; e più ancora di meditazione, di attesa e di interrogazione, di possesso interiore, di sicurezza calma e sovrana nel giudizio e nell’azione, di pienezza infine di preghiera e di comunione, proprie, sì, di quell’anima unica piena di grazia e avvolta dallo Spirito Santo

, ma forme altresì di fede e, perché a noi vicine, da noi non solo ammirabili, ma imitabili.
La vostra via è quella stretta, austera e ardua d’una vita ascetica, così impegnata alla specifica ricerca della sublime arte dell’orazione e dell’intensità della conversazione spirituale, da qualificarvi davvero cercatori dell’unica pienezza, dell’unica pace, dell’unico amore nell’unione dell’anima a Dio.
La Madonna santissima vi conforti nella vostra vocazione carmelitana; Ella vi conservi il gusto delle cose spirituali; Ella vi ottenga i carismi delle sante e ardue ascensioni verso la conoscenza del mondo divino e verso le ineffabili esperienze delle sue notti oscure e delle sue luminose giornate; Ella vi dia l’anelito alla santità e alla testimonianza escatologica del regno dei cieli; Ella vi renda esemplari e fraterni nella Chiesa di Dio; Ella infine vi introduca un giorno a quel possesso di Cristo e della sua gloria a cui tutta la vostra vita vuoi essere fin d’ora consacrata.

Responsorio  Lc 2, 19; cfr. Gc 1. 21; Lc 11, 28
R. Accogliete con docilità la parola che può salvare le vostre anime. * Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano.
V. Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore.
R. Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano.

Oppure: Dal libro Questioni di mistica del venerabile Michele di sant’Agostino
(Lib. I, tratt. I, cap. 18; Antuerpiae, 1671, pp. 31-32)

Maria ci conduce a Cristo
Non posso passare sotto silenzio – anzi mi sforzo d’inculcare a tutti – la cordiale devozione, l’amore filiale, l’affetto colmo di tenerezza verso
la Madre,
degna d’amore, Maria: quei sentimenti sono un mezzo singolare ed efficace per educare a condurre una vita pia in Cristo. Poiché Maria è salutata Madre di grazia e di misericordia e poiché l’una e l’altra sono necessarie a condurre una vita di pietà, con
quale diritto pretendiamo rifugiarci nella grazia e conseguire misericordia senza cercare l’una e l’altra presso
la Madre della grazia e della misericordia?
Dirò dunque con l’Apostolo: «Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al mo
mento opportuno».
Ma per poterci accostare a questo trono di grazia con fiducia, è necessario conquistare l’amore di Maria verso di noi.
Per questo tutti coloro che si gloriano di professarsi suoi figli, servitori o fratelli, devono sforzarsi di adeguare la loro vita alle esigenze della professione che hanno scelto, solleciti nell’emulare in qualche modo la loro santa Patrona, una Madre tanto degna d’amore e una Sorella tanto colma di benevolenza, imitandone gli atteggiamenti di perfezione, ereditandone l’indole meravigliosa. Perciò, tu che l’ami come Madre, imitane l’umiltà, la castità, la povertà, la docilità; imitala nell’amore di Dio e del prossimo; in tutte le virtù.
Allo scopo di tributarle l’amore che le si deve e le conviene, dopo che avrai offerto giorno per giorno te stesso e ogni cosa alla Santissima Trinità in Cristo e per i suoi meriti, prendi anche l’abitudine di offrire in modo particolare tutto ciò che sei e hai a questa Madre amantissima: tutto ciò che fai nel nome del Signore, fallo ugualmente nel nome di

Maria.
A lei affida tutto te stesso. A lei accostati come ad una maestra espertissima, consultala come vergine prudentissima. Comportati, in una sola parola, come un bravo figlio; costaterai per esperienza che essa è madre del bell’amore e della santa speranza. Da lei scorrerà a te ogni grazia di vita, di via e di verità. In lei splenderà per te ogni speranza di vita virtuosa. Essa non cesserà mai d’impetrare le grazie necessarie alla tua perseveranza; essa sarà per te una fonte di acqua viva.
Nell’ora della tua morte, non sdegnerà di dire che ti è sorella, anzi madre. Allora sarà il momento più bello per te e la tua anima si sentirà viva più che mai, in grazia di lei. Così conducendo nell’ossequio e nel culto di lei una vita devota, meriterai di spirare tranquillo e fiducioso e pio, nell’abbraccio di lei. Tra quelle braccia materne sarai guidato al porto della tua salvezza. Chi ama Maria certamente si salverà.

Publié dans:Maria Vergine |on 16 juillet, 2007 |Pas de commentaires »

La « Guadalupegna » e Juan Diego

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Publié dans:immagini sacre, Maria Vergine |on 18 mai, 2007 |Pas de commentaires »
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