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SAN LUCA E MARIA

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SAN LUCA E MARIA

Inserito Mercoledi 22 Giugno 2011,

dal libro di Pier Luigi Guiducci, Camminare con «Lei», Editrice Elle Di Ci, Leumann 1988, pp. 47-51.

L’evangelista Luca (forma contratta di Lucano) non è un ebreo. Fin dal sec. II la tradizione lo indica come siriano, nativo di Antiochia. Medico, si converte al cristianesimo o al tempo della fuga dei cristiani da Gerusalemme per la persecuzione giudea che vede il martirio di Stefano (At 7,54-60), o durante l’apostolato di Barnaba e Paolo ad Antiochia intorno al 43-44 d.C.
Diventa discepolo e collaboratore di Paolo. Negli anni 49-50 e 52-53 è con l’apostolo nel secondo viaggio; e nel terzo (anni 53-58) sta con lui anche a Gerusalemme dove incontra i primi testimoni di Cristo. Rimane poi due anni (58-60) in Palestina, a Cesarea, per aiutare Paolo in prigionia.
Il suo impegno e la fedeltà verso l’apostolo sono testimoniati, tra l’altro, da un passo della seconda lettera di Paolo a Timoteo: «…solo Luca è con me» (2 Tm 4,11).
Tra il 65 e il 70 d C. Luca prepara il testo del Vangelo,1 iniziativa che ha già due precedenti in Marco e in Matteo. Successivamente scrive gli «Atti degli Apostoli»2 terminati o prima della fine della detenzione di Paolo a Roma, o dopo la morte dell’apostolo, avvenuta nell’anno 67 d.C.

Particolarità del prologo evangelico lucano
Osservando, in particolare, l’inizio del Vangelo di Luca un dato colpisce subito lo studioso.
Mentre Marco presenta un prologo da catechista (sintesi cristologica con finalità catechetica), Matteo un prologo da scriba (aperto alla sensibilità giudaica dei suoi destinatari annota i vari rapporti tra Gesù e il popolo giudaico), Giovanni un prologo da teologo (rapporto tra Gesù di Nazaret e il Padre: prima e durante l’Incarnazione), Luca, invece, intende imprimere un taglio da storico.
Che significa questo? Vuol dire che:
- osservando i diversi tentativi di raccolta di fatti e parole di Gesù (Lc 1,1) attraverso scritti aventi una finalità catechetica;
- meditando sulla caratteristica degli avvenimenti inerenti il Figlio di Dio;
- e avendo come primaria fonte documentaria gli stessi testimoni dell’evento redentivo, i quali rivestono il ruolo di ministri della Parola,3
l’azione di Luca tende a collegare in modo esplicito la realtà e gli effetti dell’Incarnazione con la diakonia dei primi evangelizzatori. Il «tempo di Gesù» ha il suo naturale proseguimento nel «tempo della Chiesa», in una visione unitaria della Storia della Salvezza.

La metodologia
Per raggiungere il suo obiettivo, Luca sviluppa un metodo di lavoro articolato secondo alcune fasi:
- ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi (Lc 1,3);
- stesura di un resoconto ordinato;
- collocazione degli eventi nell’ambito di un impegno catechetico al fine di confermare nella fede i nuovi cristiani (Lc 1,4).

L’importanza delle fonti
Evidentemente, davanti a un impegno così serio di preparazione del vangelo, scatta in chi legge il prologo di Luca un vivo interesse a conoscere le fonti utilizzate dallo scrittore.
Gli studiosi ne hanno evidenziate alcune: precedenti vangeli,4 documenti di provenienza palestinese e gerosolimitana in specie, testimoni della «vicenda Gesù» attivi all’interno delle prime Chiese locali.
Unitamente a ciò, determinati dati informativi rappresentano di fatto una indicazione offerta dallo stesso evangelista.
Luca infatti sottolinea che:
- le sue ricerche vengono effettuate fin dall’inizio dei fatti descritti (un’ora storica, cioè, che vede profondamente coinvolta la Vergine Maria);
- la Madre di Gesù conserva (e quindi ricorda anche bene) nel suo cuore una serie di avvenimenti (Lc 2,19.51);
- la Madonna ha collegamenti sia con parenti (cf Lc 1,39-40; 8,19), sia con donne (cf At 1,14), sia con gli apostoli (cf At 1,13), sia con la prima comunità cristiana nel suo insieme (At 1-2).

Persone vicine a Maria e possibile colloquio con lei
A questo punto si potrebbe trarre una prima conseguenza. Se Maria è stata presente in alcuni momenti comunitari della vita ecclesiale, non deve essere stato difficile per Luca avvicinare persone che hanno conosciuto la Madre di Dio (gli apostoli, principalmente), o comunque non è da scartare la conoscenza lucana di una trasmissione di quei resoconti che racchiudono il «vangelo dell’infanzia», attuatasi con scritti apologetici gerosolimitani.5
L’approfondimento terminerebbe qui se il Vangelo di Luca non riservasse, invece, altre sorprese. Il testo dell’evangelista, infatti, specie nella parte iniziale, non si limita a descrivere con cura una serie di eventi indicando, contemporaneamente, una chiave di lettura.
Offre qualcosa di più. Dona anche annotazioni su stati d’animo della Vergine,6 su realtà intime.
Nascono di qui alcune considerazioni.
Quando Luca scrive il Vangelo, Zaccaria ed Elisabetta – già in età inoltrata all’epoca dell’annuncio della nascita del Battista – sono morti da tempo.
Dei pastori di Betlemme, testimoni della nascita di Gesù, potevano esser vivi solo i più giovani. Come rintracciarli?
Simeone, che abbraccia il Messia presentato al Tempio, era già allora alla vigilia dell’incontro con il Padre. Anna aveva 84 anni quando profetizza sul piccolo Gesù.
Morti i dottori che avevano colloquiato con «quel» Dodicenne. Tornato alla Patria celeste anche Giuseppe, padre legale del Cristo.
Chi poteva essere, allora, il testimone degli inizi?

Le realtà intime
Non basta. I dati di Luca riferiscono su quanto avviene all’interno della casa di Maria al tempo del fidanzamento e della vita nascosta. Riportano inoltre:
- il segreto del cuore e delle parole di Zaccaria, di Elisabetta, di Simeone;
- I’ansia della Madre durante lo smarrimento di Gesù.
C’è, poi, un fatto rilevante. Chi avrebbe osato affèrmare che, proprio in occasione di quello smarrimento, Maria e Giuseppe non avevano compreso il senso della risposta del Cristo?7

Qualche considerazione
Si può così trarre qualche orientamento dall’insieme dei dati raccolti.
Certamente l’evangelista Luca può aver conosciuto parenti di Gesù e donne vicine a Maria. Da essi (cf però anche Mc 6,1-6) può derivare, ad esempio, I’indicazione delle difficoltà che il Cristo incontra a Nazaret (Lc 4,14-30).
Ma tutto ciò non ostacola la valorizzazione di una contemporanea fonte di notizie: Maria stessa.8 Tale idea si conferma ogni volta che, leggendo lo scritto di Luca, ci si incontra con le impressioni, i pensieri, i moti intimi del cuore della Madre di Dio.9
Colpisce inoltre: l’attenzione tutta femminile nel ricordare le date collegate a gravidanze,10 la delicatezza con la quale ci si avvicina nel testo alla maternità di Elisabetta, l’affettuoso rispetto per Giuseppe,11 le parole di elogio nei confronti di persone incontrate negli anni dell’infanzia di Gesù…
Deriva di qui un fatto importante: la presenza di Maria nella vita della Chiesa vede anche l’influenza profonda della «testimone» sui primi evangelizzatori.
Ed è bello pensare, come qualcuno ha scritto, a una voluta conservazione dello stile ebraico12 nei primi due capitoli del Vangelo di Luca. Proprio allo scopo di non disperdere,13 di non dimenticare il timbro, la tonalità, il fremito, di una specifica voce femminile. Di «quella» voce.

NOTE SUL SITO

LA DORMIZIONE DELLA THEOTOKOS – di sua santità Bartolomeo I

http://www.30giorni.it/articoli_id_23181_l1.htm

LA MADRE DI DIO – LA TUTTASANTA

LA DORMIZIONE DELLA THEOTOKOS

Approfondimenti mariologici su vita, morte e risurrezione

di sua santità Bartolomeo I

Ricorrendo i sessant’anni dalla proclamazione del dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria alla gloria del Paradiso in anima e corpo (1° novembre 1950), abbiamo chiesto a Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, un commento.
Lo scritto inviatoci è occasione di gratitudine per la fede che insieme professiamo e di domanda al Signore che doni la piena comunione
Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, durante la liturgia della festa della Dormizione della Santa Madre di Dio, nel monastero di Sumela, nella provincia turca di Trabzon, il 15 agosto 2010 <BR>[© Reuters/Contrasto]
Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, durante la liturgia della festa della Dormizione della Santa Madre di Dio, nel monastero di Sumela, nella provincia turca di Trabzon, il 15 agosto 2010
La Chiesa ortodossa venera intensamente la Madre di Dio – ovvero Theotokos (la Madre di Dio), ovvero Panaghia (la Tuttasanta), come noi preferiamo riferirci a lei – esaltandola non come una pia eccezione ma proprio come un esempio concreto del modo cristiano di affidarsi e rispondere alla vocazione a essere discepoli di Cristo. Maria è straordinaria solo nella sua virtù ordinariamente umana, che noi siamo chiamati a rispettare e imitare come devoti cristiani. La sua morte è commemorata il 15 di agosto, una delle dodici Grandi feste del calendario ortodosso.
E nel comprendere la “sacra alleanza” o mistero di Maria, che «nessuno può avvicinare con mani non esperte», la teologia ortodossa guarda alla Scrittura ma soprattutto alla Tradizione, in particolare alla liturgia e all’iconografia. A questo riguardo, i cristiani ortodossi collegano Maria prima di tutto al suo ruolo nella divina incarnazione come Madre del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, mentre allo stesso tempo la connettono a una lunga serie di esseri umani – e non divini – che implica la continuità della storia sacra conducendo fino alla nascita del Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, duemila anni fa. Isolare Maria da questa stirpe preparatoria o “economica” la separa dalla nostra realtà e la mette al margine rispetto alla nostra salvezza. Anche Maria ha bisogno della salvezza – come tutti gli esseri umani; anche se ella è stata considerata “senza peccati personali”, nondimeno ella resta soggetta alla servitù del peccato originale. Anche se ella è «più onorabile dei Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini», ciò che vale per noi vale anche per Maria. Benché sia stata «benedetta tra tutte le donne», ella incarna l’unica cosa necessaria tra tutti gli esseri umani, ossia la dedizione alla Parola di Dio e l’affidarsi alla Sua volontà.
Così, mentre i cristiani ortodossi stanno in chiesa e guardano in alto verso il Pantokrator («colui che contiene tutto»), ossia Cristo, che sovrasta le loro teste durante il culto, essi si trovano direttamente di fronte la Platytera («colei che è più spaziosa di tutto»), ossia la Madre di Dio, che sta immediatamente davanti a loro, proprio nella vasta abside che unisce l’altare con il cielo. Dal momento che, nel dare la nascita a Dio Verbo e «concependo l’inconcepibile» nel suo grembo, ella fu capace di contenere l’incontenibile e di rendere descrivibile colui che non può essere circoscritto.
Noi impariamo dalla Scrittura che quando Nostro Signore era appeso alla croce, vide sua madre e il suo discepolo Giovanni e si volse alla Vergine Maria dicendo: «Donna, ecco tuo figlio», e a Giovanni dicendo: «Ecco tua madre!» (Gv 19, 25-27). Da quel momento, l’apostolo ed evangelista dell’Amore si prese cura della Theotokos nella sua propria casa. In aggiunta al riferimento negli Atti degli apostoli (At 2, 14), che conferma che la Vergine Maria era con gli apostoli del Signore nella festa della Pentecoste, la Tradizione della Chiesa tiene fermo che la Theotokos rimase nella casa di Giovanni a Gerusalemme, dove ella continuò il suo ministero in parole e opere.
La tradizione iconografica e liturgica della Chiesa professa anche che al momento della sua morte, i discepoli si trovavano sparsi nel mondo ad annunciare il Vangelo, ma ritornarono a Gerusalemme per rendere omaggio alla Theotokos. A eccezione di Tommaso, tutti gli altri – compreso l’apostolo Paolo – si ritrovarono al suo capezzale. Al momento della sua morte, Gesù Cristo discese per portare la sua anima in cielo. Dopo la sua morte, il corpo della Theotokos fu portato in processione per essere deposto in una tomba vicino al Giardino del Getsemani; quando l’apostolo Tommaso arrivò tre giorni dopo e volle vedere il suo corpo, la tomba era vuota. L’assunzione corporea della Theotokos fu confermata dal messaggio dell’angelo e dall’apparizione di lei agli apostoli, tutte cose che riflettono gli avvenimenti relativi alla morte, sepoltura e risurrezione di Cristo.
<I>Dormizione della Vergine</I>, mosaico della chiesa di Cristo Salvatore in Chora, 1320 circa, Museo di Kariye Camii, Istanbul, Turchia
Dormizione della Vergine, mosaico della chiesa di Cristo Salvatore in Chora, 1320 circa, Museo di Kariye Camii, Istanbul, Turchia
L’icona e la liturgia della festa della morte e sepoltura di Maria tratteggiano chiaramente un servizio funebre, sottolineando allo stesso tempo gli insegnamenti fondamentali riguardo alla risurrezione del corpo di Maria. A questo riguardo, la morte di Maria funge come una festa che afferma la nostra fede e speranza nella vita eterna. Ancora: i cristiani ortodossi si riferiscono a questo evento festivo come alla “Dormizione” (Koimisis, o “l’addormentarsi”) della Theotokos, piuttosto che alla sua “Assunzione” (o “traslazione” fisica) in cielo. Perché sottolineare che Maria è umana, che morì e fu sepolta come gli altri esseri umani, ci dà l’assicurazione che – anche se «né tomba né morte potrebbero contenere la Theotokos, nostra incrollabile speranza e sempre vigilante protezione» (dal kontakion del giorno) – Maria è in realtà molto più vicina a noi di quanto pensiamo; non ci ha abbandonato. Come rimarca l’apolytikion per la Festa: «Nella nascita, tu hai preservato la tua verginità; nella morte, tu non hai abbandonato il mondo, o Theotokos. Come madre della vita, tu sei partita verso la sorgente della vita, liberando le nostre anime dalla morte per mezzo delle tue intercessioni».
Per i cristiani ortodossi, Maria non è solo colei che fu “prescelta”. Ella simboleggia soprattutto la scelta che ciascuno di noi è chiamato a compiere in risposta alla divina iniziativa per l’incarnazione (ossia per la nascita di Cristo nei nostri cuori) e per la trasformazione (ossia per la conversione dei nostri cuori dal male al bene). Come san Simeone il nuovo teologo disse nel decimo secolo, noi siamo tutti invitati a diventare Christotokoi (generatori di Cristo) e Theotokoi (generatori di Dio).
Attraverso la sua intercessione, possiamo noi tutti diventare come Maria la Theotokos.

(Si ringrazia padre John Chryssavgis per la collaborazione)

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