Archive pour la catégorie 'liturgia'

Sant’Agostino : Cantiamo al Signore il canto dell’amore

UFFICIO DELLE LETTURE – 8 MARZO 2006

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo  
(Disc. 34, 1-3. 5-6; CCL 41, 424-426)

Cantiamo al Signore il canto dell’amore
«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli» (Sal 149, 1).
Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L’uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto nuovo. Che cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l’uomo nuovo, il canto nuovo, il Testamento nuovo. Perciò l’uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al Testamento nuovo.
Non c’è nessuno che non ami, ma bisogna vedere che cosa ama. Non siamo esortati a non amare, ma a scegliere l’oggetto del nostro amore. Ma che cosa sceglieremo, se prima non veniamo scelti? Poiché non amiamo, se prima non siamo amati. Ascoltate l’apostolo Giovanni: Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4, 10).
Cerca per l’uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato. Colui che noi abbiamo amato, ha dato già se stesso per noi, ha dato ciò per cui potessimo amarlo.
Che cosa abbia dato perché lo amassimo, ascoltatelo più chiaramente dall’apostolo Paolo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5). Da dove? Forse da noi? No. Da chi dunque? «Per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5).
Avendo dunque una sì grande fiducia, amiamo Dio per mezzo di Dio.
Ascoltate più chiaramente lo stesso Giovanni: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16).
Non basta dire: «L’amore è da Dio» (1 Gv 4, 7). Chi di noi oserebbe dire ciò che è stato detto: «Dio è amore»? Lo disse colui che sapeva ciò che aveva.
Dio ci si offre in un modo completo. Ci dice: Amatemi e mi avrete, perché non potete amarmi, se già non mi possedete.
O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo».
Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce.
Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo».
Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da cantare? L’avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell’assemblea dei fedeli».
Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto. 
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.

Publié dans:liturgia, Sant'Agostino, ZENITH |on 8 avril, 2008 |Pas de commentaires »

« Ave, o piena di grazia »

dal sito:

http://levangileauquotidien.org/

Dalla liturgia bizantina
Inno Akatistos alla Madre di Dio (7° secolo)

« Ave, o piena di grazia »

Dal cielo un eminente arcangelo è stato mandato a dire alla Madre di Dio: « Rallegrati! » E vedendo te, Signore, prendere carne al suono della sua voce, esclamò il suo stupore e il suo rapimento:
Ave, per te la gioia risplende,
Ave, per te il dolore s’estingue,
Ave, salvezza di Adamo caduto,
Ave, riscatto del pianto di Eva.
Ave, tu vetta sublime a umano intelletto,
Ave, tu abisso profondo agli occhi degli angeli,
Ave, in te fu elevato il trono del Re,
Ave, tu porti colui che il tutto sostiene.
Ave, o stella che il sole precorri,
Ave, o grembo del Dio che s’incarna,
Ave, per te si rinnova il creato,
Ave, per te il Creatore è Bambino.
Ave, Vergine e Sposa.
La Tutta-pura, conoscendo il suo stato verginale, rispose all’angelo Gabriele con fiducia: « Quale strana meraviglia la tua parola! Sembra incomprensibile alla mia anima; come potrei concepire senza seme, per partorire come dici? » Alleluia, alleluia, alleluia!

Per capire questo mistero ignoto, la Vergine si rivolge al servo di Dio e chiede come, nelle sue caste viscere, un figlio potrebbe essere concepito. Pieno di rispetto, l’angelo l’acclama:
Ave, tu guida al superno consiglio,
Ave, tu prova d’arcano mistero,
Ave, tu il primo prodigio di Cristo,
Ave, compendio di sue verità.
Ave, o scala celeste che scese l’Eterno,
Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo,
Ave, dai cori degli angeli cantato stupore,
Ave, dall’orde dei demoni esecrato flagello.
Ave, la luce ineffabile hai dato,
Ave, tu il « modo » a nessuno hai svelato,
Ave, la scienza dei dottori trascendi,
Ave, al cuor dei credenti risplendi.
Ave, Vergine e Sposa.

La potenza dell’Altissimo stese allora la sua ombra sulla Vergine per portarla a concepire. E il suo seno fecondato divenne un giardino delizioso per coloro che vogliono mietervi la salvezza cantando: « Alleluia, alleluia, alleluia! »

UFFICIO DELLE LETTURE 30 MARZO 2008 – Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo

UFFICIO DELLE LETTURE 30 MARZO 2008 

Seconda Lettura

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 8 nell’ottava di Pasqua 1, 4; Pl 46, 838. 841)

Nuova creatura in Cristo


Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell’apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più Giudeo, né Greco; non c’è più schiavo, né libero; non c’è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. E’ infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riservato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l’ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l’ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all’immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).

commento al vangelo di Giovanni 20, 19-31 – II domenica di Pasqua

dal sito:

http://www.sanpaolo.org/pj-online/RUBRICHE/solo-pan/Domeniche/anno%20A/A-02pasqua.htm 

commento al vangelo di Giovanni 20, 19-31 

Anno A
II Domenica di Pasqua – « in ALBIS« 
 

Vangelo di Giovanni 20, 19-31

 

Il Vangelo di questa seconda domenica di Pasqua (Gv 20,19-31) ci presenta la scena dell’apostolo Tommaso che incontra il Cristo Risorto. Tommaso chiede una « verifica » sperimentale della risurrezione, mentre il Cristo lo invita ad andare oltre i « segni » e ad essere credente. La risposta dell’incredulo Tommaso sarà proprio quella della fede, che sa leggere oltre la realtà concreta dei segni. La nuova beatitudine proclamata da Gesù fa risaltare la centralità della fede. Anche i « segni che Gesù ha compiuto hanno bisogno di questa lettura della fede, che sa discernere attraverso di essi chi è colui che li compie.  

Ma qual è stato il cammino di Tommaso? E che cosa ha da dirci la sua figura, per altro così « marginale » nel vangelo rispetto a quella di altri apostoli. 

 Tommaso, nel vangelo di Giovanni, ha anche un altro nome: « Didimo » (11,16), che in greco significa ‘gemello‘. I gemelli biblici, ad esempio Giacobbe ed Esaù, esprimono di solito un’antitesi, una polarità della condizione umana: natura e cultura, grossolanità ed astuzia, brama immediata e calcolo… Così è anche per Tommaso, combattuto tra la fede e il dubbio, tra l’audacia e la ritrosia. Ma di chi è gemello Tommaso, il cui fratello non è presentato nel vangelo? Tale silenzio sembra suggerire che Tommaso è il nostro « doppio », l’alter ego di noi cristiani che viviamo la tensione tra vedere e credere, tra scetticismo e adorazione.  

Sicuramente Tommaso ha compiuto un lungo cammino, che trova il suo momento « folgorante » proprio nel nostro brano del vangelo di Giovanni. Tommaso, come gli altri apostoli, è stato testimone delle opere che Gesù compie per rendere testimonianza al Padre (Gv 5,36), ma non si sottolinea nulla di particolare di lui: quasi un’immagine della « ordinarietà » del discepolo, di ogni discepolo, che in realtà…. compie un cammino straordinario, quello della fede.  

Qualcuno ho notato le somiglianze dell’episodio di Tommaso con quello della vocazione di Natanaele all’inizio del vangelo (1,43-51): entrambi conoscono il dubbio, ma anche il desiderio profondo che il dubbio sembra tradire, ed entrambi arrivano a una professione di fede (cfr. 1,49 e 20,28). Ma Natanaele ha difficoltà a credere perché Gesù è… troppo « umano », troppo concreto, mentre Tommaso per credere alla risurrezione ha bisogno proprio… dell’umanità di Gesù. Un magnifico modo del vangelo per esprimere come la fede è chiamata a cogliere l’umanità e la divinità di Gesù, senza perdere nessuna delle due.  

  

Il brano precedente al nostro, vede costituiti « testimoni » della risurrezione Pietro e il discepolo che Gesù amava, il quale « vide e credette » (20,8). Un’altra testimone sarà Maria di Magdala, a cui Gesù appare: sarà « l’apostola degli apostoli » (20,11-17). Infine Gesù appare ai discepoli riuniti (20,19-23), ma… quel « primo giorno dopo il sabato », Tommaso è assente. Vediamo qui chiaramente perché Tommaso è il nostro « gemello »: noi cristiani, come lui, non c’eravamo quel giorno in cui Gesù appare ai suoi! La nostra fede, come quella di Tommaso, è basata su una testimonianza, quella degli apostoli. Allora: come credere? La questione ci tocca tutti da vicino: è in gioco la base della vita cristiana.  

Significativamente, il discepolo che Gesù amava aveva trovato le bende, segno della « assenza » di Gesù. Il risultato: « vide e credette » (20,8). Tommaso, in questo più vicino al buon senso, chiede una « presenza »: vuole toccare, esplorare qualcosa di palpabile, con una esigenza di precisione « anatomica » (cfr. 20,25), a cui peraltro Gesù non si sottrae. Gesù lo invita a toccare, ma, sorprendentemente, l’evangelista non ci dice se Tommaso lo abbia fatto o meno. Riporta invece subito dopo, volutamente, la sua professione di fede, (20,28). Più che il toccare, a Gesù interessa che Tommaso abbia visto: « Perché mi hai visto hai creduto! » (20,29). In altre parole: la fede dipende dal vedere, non dal toccare il corpo del Risorto, come conferma la beatitudine che segue la confessione di fede di Tommaso (« beati quello che pur non avendo visto crederanno! »). E si intuisce che la fede nasce dall’incontro personale con Gesù Risorto, come è stato anche per Natanaele (1,45-51). È proprio il confronto tra questo spazio d’amore lasciato « aperto » da Gesù, che rispetta la libertà di ognuno, e il nostro dubbio che ci porta alla confessione di fede: « Signore mio e Dio mio! ». E che questa fede sia diventata ormai una fede personale è sottolineato da quel ‘mio’ che suggerisce una sfumatura di tenerezza. 

Da notare che Gesù è tornato « apposta » per Tommaso: « condiscende » a venire incontro al desiderio dell’apostolo ancora incredulo. Questo avrà colpito Tommaso: possiamo immaginare che vi abbia colto un segno dell’amore personale di Gesù per lui, proprio per lui che stentava a credere. È questa presenza di Cristo a dare « corpo » anche alla nostra fede. È l’incontro con il Risorto che diventa illuminante, per Tommaso e per noi. Una bella espressione di san Gregorio coglie il punto centrale del nostro brano, che è la fede, capace di penetrare la realtà profonda: « Ciò che Tommaso ha creduto non era quello che ha visto. Infatti la divinità non può essere vista dall’uomo mortale. Dunque egli ha visto l’uomo e ha riconosciuto Dio« .  

L’evangelista conclude poi che i segni riportati nel suo vangelo sono stati scritti proprio affinché anche noi possiamo credere che Gesù è il Cristo e così avere la vita nel suo nome (20,31). Dopo aver superato evidentemente i nostri dubbi e la nostra incredulità.

 

Publié dans:biblica, liturgia |on 29 mars, 2008 |Pas de commentaires »

« Quando già era l’alba, Gesù si presentò sulla riva »

dal sito:

http://levangileauquotidien.org/

Liturgia latina
Inno dei vespri dell’Ottava di Pasqua: Ad coenam agni providi

« Quando già era l’alba, Gesù si presentò sulla riva »

Invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello (Ap 19,9)
E rivestiti di un vestito di luce,
Abbiamo appena attraversato le acque del Mar Rosso (Es 14)
Cantiamo Cristo, egli ci apre la strada.

Il suo corpo vestito di gloria
Si è immolato sull’altare della croce,
Ha sparso il suo sangue per la vita del mondo
Quando lo beviamo, viviamo nel suo amore.

Protetti alla sera di quella Pasqua
Dai colpi dell’Angelo sterminatore (Es 12,13)
Ci ha strappati tutti dalla schiavitù
Allora le acque si aprirono sotto i nostri passi.

Oggi, la nostra Pasqua è Cristo (1 Cor 5,7)
È l’agnello immolato per i nosti peccati
Ci ha dato la sua carne in cibo
Il pane purissimo, l’azzimo sincero.

Egli è la vittima veramente degna
Per mezzo della quale l’inferno è stato annientato,
Libera la terra intera ridotta in schiavitù
E le ridona i beni della vita.

Gesù Cristo sorge dal sepolcro
E torna vincitore dagli inferi,
Incatena i tiranni, scaccia le tenebre
E ci apre le porte del cielo.

Gloria a te, o Cristo, nostro Salvatore
Tu che trionfi oggi tra i morti
Gloria al Padre e allo Spirito che ci illumina
Voi che regnate per i secoli eterni. Amen, Alleluia !

Præconii paschalis (veglia del Sabato Santo)

IN ITALIANO 

Præconii paschalis  (Italiano) 

 

 

Esulti il coro egli angeli, esulti l’assemblea celeste: 
un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. 

Gioisca la terra inondata da così grande splendore; 
la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. 

Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, 
e questo tempio tutto risuoni 
per le acclamazioni del popolo in festa. 

[(E voi, fratelli carissimi, 
qui radunati nella solare chiarezza di questa nuova luce, 
invocate con me la misericordia di Dio onnipotente. 
Egli che mi ha chiamato, senza alcun merito, 
nel numero dei suoi ministri, irradi il suo mirabile fulgore, 
perché sia piena e perfetta la lode di questo cero.)]

[Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.]

In alto i nostri cuori.
Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta 
esprimere con il canto l’esultanza dello spirito, 
e inneggiare al Dio invisibile, Padre onnipotente, 
e al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. 

Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo, 
e con il sangue sparso per la nostra salvezza 
ha cancellato la condanna della colpa antica. 

Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, 
che con il suo sangue consacra le case dei fedeli. 

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, 
dalla schiavitù dell’Egitto, 
e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. 

Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato 
con lo splendore della colonna di fuoco. 

Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo 
dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, 
li consacra all’amore del Padre 
e li unisce nella comunione dei santi. 

Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, 
risorge vincitore dal sepolcro. 

(Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti.) 

O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: 
per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio! 

Davvero era necessario il peccato di Adamo, 
che è stato distrutto con la morte del Cristo. 
Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore! 

(O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere 
il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. 

Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno, 
e sarà fonte di luce per la mia delizia.) 

Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, 
lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, 
la gioia agli afflitti. 

(Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti,  
promuove la concordia e la pace.)  


O notte veramente gloriosa, 
che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!

In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode, 
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri, 
nella solenne liturgia del cero,  
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.  


(Riconosciamo nella colonna dell’Esodo  
gli antichi presagi di questo lume pasquale 
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio. 
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore, 
ma si accresce nel consumarsi della cera 
che l’ape madre ha prodotto 
per alimentare questa preziosa lampada.) 

Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero, 
offerto in onore del tuo nome 
per illuminare l’oscurità di questa notte, 
risplenda di luce che mai si spegne. 

Salga a te come profumo soave, 
si confonda con le stelle del cielo. 
Lo trovi acceso la stella del mattino, 
questa stella che non conosce tramonto: 
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti 
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena 
e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
 

IN LATINO 

  

Præconii paschalis 

  

forma lunga 

  

Exsúltet iam angélica turba cælórum: 

exsúltent divína mystéria: 

et pro tanti Regis victória tuba ínsonet salutáris. 

  

Gáudeat et tellus tantis irradiáta fulgóribus: 

et, ætérni Regis splendóre illustráta, 

totíus orbis se séntiat amisísse calíginem. 

  

Lætétur et mater Ecclésia, 

tanti lúminis adornáta fulgóribus: 

et magnis populórum vócibus hæc aula resúltet. 

  

(Quaprópter astántes vos, fratres caríssimi, 

ad tam miram huius sancti lúminis claritátem, 

una mecum, quæso, 

Dei omnipoténtis misericórdiam invocáte. 

  

Ut, qui me non meis méritis intra 

Levitárum númerum dignátus est aggregáre, 

lúminis sui claritátem infúndens, 

cérei huius laudem implére perfíciat). 

  

(V/. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.) 

  

V/. Sursum corda. 

R/. Habémus ad Dóminum. 

  

V/. Grátias agámus Dómino Deo nostro. 

R/. Dignum et iustum est. 

  

Vere dignum et iustum est, 

invisíbilem Deum Patrem omnipoténtem 

Filiúmque eius Unigénitum, 

Dóminum nostrum Iesum Christum, 

toto cordis ac mentis afféctu et vocis ministério personáre. 

  

Qui pro nobis ætérno Patri Adæ débitum solvit, 

et véteris piáculi cautiónem pio cruóre detérsit. 

Hæc sunt enim festa paschália, 

in quibus verus ille Agnus occíditur, 

cuius sánguine postes fidélium consecrántur. 

  

Hæc nox est, in qua primum patres nostros, 

fílios Isræl edúctos de Ægypto, 

Mare Rubrum sicco vestígio transíre fecísti. 

  

Hæc ígitur nox est, 

quæ peccatórum ténebras colúmnæ illuminatióne purgávit. 

  

Hæc nox est, quæ hódie per univérsum mundum 

in Christo credéntes, a vítiis sæculi 

et calígine peccatórum segregátos, reddit grátiæ, 

sóciat sanctitáti. 

  

Hæc nox est, in qua, destrúctis vínculis mortis, 

Christus ab ínferis victor ascéndit. 

  

Nihil enim nobis nasci prófuit, nisi rédimi profuísset. 

  

O mira circa nos tuæ pietátis dignátio! 

  

O inæstimábilis diléctio caritátis: 

ut servum redímeres, Fílium tradidísti! 

  

O certe necessárium Adæ peccátum, 

quod Christi morte delétum est! O felix culpa, 

quæ talem ac tantum méruit habére Redemptórem! 

O vere beáta nox, quæ sola méruit scire tempus et horam, 

in qua Christus ab ínferis resurréxit! Hæc nox est, de qua scriptum est:  

Et nox sicut dies illuminábitur: et nox illuminátio mea in delíciis meis. 

  

Huius ígitur sanctificátio noctis fugat scélera, 

culpas lavat: et reddit innocéntiam lapsis et mæstis lætítiam. 

Fugat ódia, concórdiam parat et curvat impéria. 

  

In huius ígitur noctis grátia, súscipe, 

sancte Pater, laudis huius sacrifícium vespertínum, 

quod tibi in hac cérei oblatióne sollémni, 

per ministrórum manus de opéribus apum, 

sacrosáncta reddit Ecclésia. 

  

Sed iam colúmnæ huius præcónia nóvimus, 

quam in honórem Dei rútilans ignis accéndit. 

Qui, licet sit divísus in partes, 

mutuáti tamen lúminis detriménta non novit. 

  

Alitur enim liquántibus ceris, 

quas in substántiam pretiósæ huius lámpadis apis mater edúxit. 

O vere beáta nox, in qua terrénis cæléstia, humánis divína iungúntur! 

Orámus ergo te, Dómine, 

ut céreus iste in honórem tui nóminis consecrátus, 

ad noctis huius calíginem destruéndam, 

indefíciens persevéret. 

  

Et in odórem suavitátis accéptus, 

supérnis lumináribus misceátur. 

Flammas eius lúcifer matutínus invéniat: 

Ille, inquam, lúcifer, qui nescit occásum: 

Christus Fílius tuus, qui, regréssus ab ínferis, 

humáno géneri serénus illúxit, 

et vivit et regnat in sæcula sæculórum. 

R. Amen. 

 

 

Publié dans:liturgia |on 20 mars, 2008 |Pas de commentaires »

Gianfranco Ravasi – meditazioni per la via crucis al colosseo: Gesù nell’orto degli ulivi

dal sito: 

http://www.vatican.va/news_services/liturgy/2007/via_crucis/it/station_01.html

PRIMA STAZIONE
Gesù nell’orto degli ulivi
 

V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum. 

Dal Vangelo secondo Luca. 22, 39-46 

Gesù se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione». 

MEDITAZIONE 

Quando scende su Gerusalemme il velo dell’oscurità, gli ulivi del Getsemani ancor oggi sembrano  ricondurci, con lo stormire delle loro foglie, a quella notte di sofferenza e di preghiera vissuta da Gesù . Egli si staglia solitario, al centro della scena, inginocchiato sulle zolle di quell’orto. Come ogni persona quando è in faccia alla morte, anche Cristo è attanagliato dall’angoscia: anzi, la parola originaria che l’evangelista Luca usa è «agonia», cioè lotta. La preghiera di Gesù è, allora, drammatica, è tesa come in un combattimento, e il sudore striato di sangue che cola sul suo volto è segno di un tormento aspro e duro. 

Il grido è lanciato verso l’alto, verso quel Padre che sembra misterioso e muto: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice», il calice del dolore e della morte. Anche uno dei grandi padri di Israele, Giacobbe, in una notte cupa, alle sponde di un affluente del Giordano, aveva incontrato Dio come una persona misteriosa che «aveva lottato con lui fino allo spuntare dell’aurora».(2) Pregare nel tempo della prova è un’esperienza che sconvolge il corpo e l’anima e anche Gesù, nelle tenebre di quella sera, «offre preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che può liberarlo dalla morte».(3) 

* * * 

Nel Cristo del Getsemani, in lotta con l’angoscia, ritroviamo noi stessi quando attraversiamo la notte del dolore lacerante, della solitudine degli amici, del silenzio di Dio. E’ per questo che Gesù — come è stato detto—«sarà in agonia sino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento perché egli cerca compagnia e conforto»,(4) come ogni sofferente della terra. In lui noi scopriamo anche il nostro volto, quando è rigato dalle lacrime ed è segnato dalla desolazione. 

Ma la lotta di Gesù non approda alla tentazione della resa disperata, bensì alla professione di fiducia nel Padre e nel suo misterioso disegno. Sono le parole del «Padre nostro» che egli ripropone in quell’ora amara: «Pregate per non entrare in tentazione… Non sia fatta la mia, ma la tua volontà!». Ed ecco, allora, apparire l’angelo della consolazione, del sostegno e del conforto che aiuta Gesù e noi a continuare sino alla fine il nostro cammino. 


Tutti: 

Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo. 

Stabat mater dolorosa,
iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Filius.

Publié dans:liturgia |on 16 mars, 2008 |Pas de commentaires »

Le due letture dell’ Ufficio delle letture della Domenica delle Palme:

Le due letture dell’ Ufficio delle letture della Domenica delle Palme: 

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 10, 1-18

La nostra santificazione per mezzo del sacrificio di Cristo
Fratelli, poiché la legge possiede solo un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono continuamente di anno in anno, coloro che si accostano a Dio. Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che i fedeli, purificati una volta per tutte, non avrebbero ormai più alcuna coscienza dei peccati? Invece per mezzo di quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati, poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
— poiché di me sta scritto nel rotolo del libro —
per fare, o Dio, la tua volontà (Sal 39, 7-9).
Dopo aver detto: Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati. Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi (Sal 109, 1). Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Questo ce lo attesta anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto:
Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro
dopo quei giorni, dice il Signore:
io porrò le mie leggi nei loro cuori
e le imprimerò nella loro mente,
soggiunse:
E non mi ricorderò più dei loro peccati
e delle loro iniquità (Ger 31, 33-34).
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più bisogno di offerta per il peccato. 
 

Seconda Lettura 

Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994)

Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele
Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.
Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E’ disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.
Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé.
Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.
Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele». 

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Purificare le attività umane nel mistero pasquale

Ufficio delle letture 8.3.08

Seconda Lettura
Dalla costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. (Nn. 37-38)

Purificare le attività umane nel mistero pasquale


La Sacra Scrittura, con cui è d’accordo l’esperienza di secoli, insegna agli uomini che il progresso umano, che pure è un grande bene dell’uomo, porta con sé una grande tentazione: infatti, sconvolto l’ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi guardano solamente alle cose proprie, non a quelle degli altri; e così il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l’aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano.
Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta affermano che tutte le attività umane, che son messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo. Redento, infatti da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l’uomo può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Di esse ringrazia il Benefattore e, usando e godendo delle creature in povertà e libertà di spirito, viene introdotto nel vero possesso del mondo, quasi al tempo stesso niente abbia e tutto possegga: «Tutto», infatti, «è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23).
Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso, e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come l’uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé. Egli ci rivela che «Dio è amore» (1 Gv 4, 8), e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da lui resi certi, che è aperta a tutti gli uomini la strada della carità e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani. Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita. Sopportando la morte per noi tutti peccatori, egli ci insegna col suo esempio che è necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia. Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, tuttora opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra. Ma i doni dello Spirito sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta della dimora celeste col desiderio di essa, contribuendo così a mantenere vivo nell’umanità; altri li chiama a consacrarci al servizio degli uomini sulla terra, così da preparare attraverso tale loro ministero la materia per il regno dei cieli. In tutti, però, opera una liberazione, affinché, mediante il rinnegamento dell’egoismo e la valorizzazione umana delle forze terrene, si orientino decisamente verso quel futuro, nel quale l’umanità stessa diverrà un’oblazione accetta a Dio.

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Dal trattato «L’orazione» di Tertulliano, sacerdote: Ostia spirituale

giovedì della III settimana del tempo ordinario, 

Ufficio  delle letture, liturgia delle ore; 

 

Seconda Lettura
Dal trattato «L’orazione» di Tertulliano, sacerdote
(Cap. 28-29;  CCL 1, 273-274)

Ostia spirituale


L’orazione è un sacrificio spirituale, che ha cancellato gli antichi sacrifici. «Che m’importa», dice, dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Chi richiede da voi queste cose? » (cfr. Is 1, 11).
Quello che richiede il Signore, l’insegna il vangelo: «Verrà l’ora», dice, «in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.  Dio infatti è Spirito» (Gv 4, 23) e perciò tali adoratori egli cerca. 
Noi siamo i veri adoratori e i veri sacerdoti che, pregando in spirito, in spirito offriamo il sacrificio della preghiera, ostia a Dio appropriata e gradita, ostia che egli richiese e si provvide.
Questa vittima, dedicata con tutto il cuore, nutrita dalla fede, custodita dalla verità, integra per innocenza, monda per castità, coronata dalla carità, dobbiamo accompagnare all’altare di Dio con il decoro delle opere buone tra salmi e inni, ed essa ci impetrerà tutto da Dio.
Che cosa infatti negherà Dio alla preghiera che procede dallo spirito e dalla verità, egli che così l’ha voluta? Quante prove della sua efficacia leggiamo, sentiamo e crediamo!
L’antica preghiera liberava dal fuoco, dalle fiere e dalla fame, eppure non aveva ricevuto la forma da Cristo.
Quanto è più ampio il campo d’azione dell’orazione cristiana! La preghiera cristiana non chiamerà magari l’angelo della rugiada in mezzo al fuoco, non chiuderà le fauci ai leoni, non porterà il pranzo del contadino all’affamato, non darà il dono di immunizzarsi dal dolore, ma certo dà la virtù della sopportazione ferma e paziente a chi soffre, potenzia le capacità dell’anima con la fede nella ricompensa, mostra il valore grande del dolore accettato nel nome di Dio.
Si sente raccontare che in antico la preghiera infliggeva colpi, sbaragliava eserciti nemici, impediva il beneficio della pioggia ai nemici. Ora invece si sa che la preghiera allontana ogni ira della giustizia divina, è sollecita dei nemici, supplica per i persecutori. Ha potuto strappare le acque al cielo, e impetrare anche il fuoco. Solo la preghiera vince Dio. Ma Cristo non volle che fosse causa di male e le conferì ogni potere di bene. 
Perciò il suo unico compito è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti.
Pregano anche gli angeli, prega ogni creatura. Gli animali domestici e feroci pregano e piegano le ginocchia e, uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano il cielo non a fauci chiuse, ma facendo vibrare l’aria di grida nel modo che a loro è proprio. Anche gli uccelli quando si destano, si levano verso il cielo, e al posto delle mani aprono le ali in forma di croce e cinguettano qualcosa che può sembrare una preghiera.
Ma c’è un fatto che dimostra più di ogni altro il dovere dell’orazione. Ecco, questo: che il Signore stesso ha pregato.
A lui sia onore e potenza nei secoli dei secoli. Amen
. 

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