COSÌ CATTOLICO, COSÌ BIBLICO, COSÌ MODERNO ( Alessandro Manzoni)
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COSÌ CATTOLICO, COSÌ BIBLICO, COSÌ MODERNO
DI MARINA VERZOLETTO
silvia giacomoni,Alessandro Manzoni. Quattro ritratti stravaganti, Guanda, 2008,
«Amare Manzoni non è di moda; è come amare la moglie». La battuta di Silvia Giacomoni dà il tono al dibattito nella riunione mensile per il « Libro del mese », che questa volta vede presente l’autrice. I Quattro ritratti stravaganti sono stati originariamente disegnati dalla Giacomoni per accompagnare il ciclo di letture manzoniane che il compianto Carlo Rivolta tenne nel 2006 su iniziativa di don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità: quattro serate nell’ambito del Progetto Italia Telecom, in cui Manzoni veniva presentato con percorsi originali, capaci di avvicinarlo al pubblico contemporaneo e di richiamare le radici « manzoniane » di quell’anima caritativa di Milano che forse si sta perdendo. I temi scelti furono l’umiltà («Io sono Alessandro Manzoni e nient’altro»), la paura («Non era nato con un cuor di leone»), la conversione («La grazia di Dio»), la carità («Il pane del perdono»).
Alla Giacomoni interessava in particolare la ricerca della carità nella scrittura: se la scrittura è comunicazione, implica il mettere in comune, ossia una forma di carità nei confronti del lettore; e premeva indagare la vicenda misteriosa della conversione di Manzoni. A don Colmegna, interessavano i motivi della paura, o meglio, del perché i preti non devono aver paura dei potenti, e della carità nel senso più pieno e consueto. Ne uscì, in quelle serate e ora nel libro, un Manzoni sorprendentemente attuale, un ritratto a più facce che forse snobba gli specialisti accreditati ma invoglia a rileggere i Promessi sposi.
La sorpresa per questo Manzoni così moderno e poco « ottocentesco », spiega la stessa Giacomoni, è anche conseguenza dei molti luoghi comuni che ancora affliggono la cultura letteraria nazionale. A partire dall’unità d’Italia si è identificata la letteratura italiana con quella filorisorgimentale, anticlericale e quindi antireligiosa. Ne consegue, per esempio, l’ignoranza delle corrispondenze bibliche, dovuta al fatto che i critici italiani perlopiù ignorano le Scritture e quindi non sono in grado di cogliere i riferimenti che invece per gli scrittori nati nel Settecento erano d’uso quotidiano. Proprio per questo costante riferimento alla Scrittura Manzoni era anzi considerato «non cattolico». Seguendo le vicende redazionali dei Promessi sposi si nota che nel Fermo e Lucia ci sono citazioni bibliche esplicite, ma non c’è ancora lo spirito biblico dei Promessi sposi, che rende superflue le citazioni stesse. Sarebbe interessante poter ricostruire i tempi degli studi biblici di Manzoni e metterli in correlazione con le diverse stesure del romanzo; e valutare in tal senso se e quanto influsso abbia avuto la dimestichezza con le Scritture della moglie calvinista.
Questo rilievo conduce la discussione sui temi del rapporto tra scrittura e vita: alla boutade pirandelliana «o si vive o si scrive» la Giacomoni oppone l’esempio della bibliografia anglosassone, con la sua costante produzione di saggi biografici. Come rileva don Rizzolo, l’antipatia degli studenti nei confronti dei Promessi sposi è dovuta, oltre che all’obbligo di una lettura imposta, all’ignoranza rispetto all’umanità dell’autore. Disincarnato dal contesto biografico e storico, il testo diventa muto per il lettore. Tanto più se si tratta di autore come Manzoni che, rileva Parazzoli, come Leopardi appare segnato da ambiguità e ambivalenze: una personalità da leggere a livelli diversi, dunque adattissima a diventare protagonista di un ritratto biografico a più facce. La struttura del libro sembra a Parazzoli di particolare interesse: il metodo del montaggio di citazioni sortisce un effetto cubista, per cui i quattro ritratti sono come quattro episodi che si sovrappongono, quattro prospettive simultanee dalle quali l’opera di Manzoni viene smontata e rimontata.
Non una manzonista ma un’affezionata di Manzoni, la Giacomoni ha scelto i testi da montare seguendo percorsi del tutto personali: la conoscenza diretta, derivante dalla familiarità con l’Ottocento milanese conseguente agli studi su Cattaneo; la collaborazione con Angelo Stella e Gian Marco Gaspari alla Casa del Manzoni; il contributo di testi da parte di Giuseppe Polimeni dell’Università di Pavia. Il criterio fondamentale è stato partire dalle persone che erano state più vicine a Manzoni e poi progressivamente allargare l’orizzonte, arrivando per esempio a Goethe come caso illustre di ricezione nell’alta cultura europea. Quanto alla ricorrenza dei riferimenti biblici, alla domanda di Parazzoli se siano stati ricercati per una particolare sensibilità dell’autrice dopo il lavoro sulla Bibbia condotto per Salani la Giacomoni replica vivacemente: «Non ho dovuto cercare i riferimenti biblici, mi sono, per così dire, saltati addosso!». Comunque, dalla consuetudine con il testo biblico nasce uno degli episodi più emozionanti del libro: nel terzo « ritratto », la narrazione delle vicende biografiche di Manzoni a partire dalla morte di Enrichetta Blondel, narrazione condotta come una parafrasi del libro di Giobbe. In effetti l’autrice ha dovuto costruirsi un datario della biografia manzoniana, al fine di curare le corrispondenze tra gli episodi che ricompaiono nei diversi ritratti. In tal modo le è balzata agli occhi l’impressionante sequenza di lutti e rovesci che inizia nel 1833 e prosegue fino alla morte del Manzoni, crudelmente preceduta di tre settimane da quella del figlio maggiore Pietro, che nessuno ebbe il coraggio di riferirgli.
Secondo Alessandro Zaccuri, ad avvicinare i Promessi sposi e la Bibbia e a condannarli a una comune disaffezione e incomprensione è anche la circostanza di essere letti a pezzi piuttosto che nella loro integrità. Impressiona ed è molto forte in Manzoni il fatto di arrivare alla Bibbia attraverso la liturgia, ossia attraverso l’ascolto. In effetti la liturgia, rileva la Giacomoni, fu una presenza costante nella vita quotidiana del giovane Alessandro.
La particolare struttura narrativa si manifesta anche in una scelta tipografica rilevata da Aldo Giobbio e che, a prima vista, può sembrare una carenza editoriale: l’assenza di variazioni tipografiche che identifichino le citazioni. Scelta intenzionale, invece, così come il confinamento delle note a fine volume, affinché il testo sia letto come un racconto unico e non come un collage frammentario. Altri dettagli emergono dalle molte sfaccettature dei quattro ritratti: per esempio la questione della « castità » di Lucia, che nella prima redazione del romanzo non era così verginale, anzi recava una carica di fisicità di cui resta traccia nella resistenza al «risciacquo in Arno» delle sue espressioni linguistiche. Giobbio è diffidente riguardo alla piena ortodossia cattolica dei Promessi sposi, che gli appaiono piuttosto come un romanzo a doppia chiave: il vero finale sarebbe un’impasse totale, sulla quale la peste interviene come deus ex machina. Una nota di dubbio, che rende comunque omaggio al temperamento di storico del Manzoni e al metodo di contestualizzazione biografica di Silvia Giacomoni.
Marina Verzoletto