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La Chiesa, Pentecoste permanente (Ortodossia)

ci sono molte citazioni, per vederle andare sul sito:

http://www.orthodoxia.it/theodoros/teol_pentecoste.php

Padre Justin (Popovic)
La Chiesa, Pentecoste permanente

Chi è dunque, il Dio-Uomo, il Cristo? Chi è Dio in Lui, e chi è l’uomo? In cosa sarà possibile riconoscere Dio nell’uomo, e in cosa l’uomo in Dio? Quali doni Dio ci ha concesso nel e con il Dio-Uomo? Tutto ciò, è lo Spirito Santo a svelarlo: è dunque lo « Spirito di verità » che ci rivela la Verità circa Dio in Lui, circa l’uomo, e riguardo a tutto ciò che è stato donato per mezzo di Lui. Che significa questo? Ciò supera di molto quello che gli occhi umani hanno mai potuto vedere, quello che le orecchie hanno potuto sentire, ciò che il cuore ha mai potuto intuire 1.

Per mezzo della sua vita terrestre, nella nostra carne, il Dio-Uomo ha fondato la Chiesa, il suo corpo divino-umano. In questo modo ha preparato la discesa, la vita e l’attività dello Spirito Santo nel corpo della Chiesa, anima di questo stesso corpo. Nel giorno della Santa Pentecoste, lo Spirito Santo è disceso nel corpo divino-umano della Chiesa per dimorarvi in eterno come anima vivificante 2. Già gli Apostoli, per mezzo della loro fede nel Dio-Uomo, il Signore Gesù Cristo Salvatore del mondo, Dio e uomo perfetto, costituivano il corpo divino-umano della Chiesa. Ora, questa discesa, come del resto l’intera attività dello Spirito Santo nel corpo divino-umano della Chiesa, è possibile solo per mezzo e grazie al Dio-Uomo 3: »Per opera sua, lo Spirito Santo è entrato nel mondo » 4. Nell’economia divino-umana della salvezza tutto è condizionato dalla Persona divino-umana del Signore Gesù Cristo; niente potrebbe prodursi al di fuori di questa categoria della divino-umanità. Persino l’attività dello Spirito Santo nel mondo non potrebbe essere dissociata dall’opera divino-umana della salvezza compiuta dal Cristo. Tra tutti i doni eterni della Trinità e dello stesso Spirito Santo, la Pentecoste appartiene alla Chiesa dei santi Apostoli, alla santa Tradizione apostolica, alla santa gerarchia apostolica, a tutto ciò che è apostolico e divino-umano.

Il « giorno dello Spirito Santo » 5 – che inizia con l’alba della Pentecoste – si diffonde, inarrestabile, nella Chiesa attraverso la pienezza indicibile dei doni divini e delle divine potenze vivificanti 6: nella Chiesa ogni cosa esiste per mezzo dello Spirito Santo, dal minimo dettaglio a ciò che è fondamentale. Quando il sacerdote benedice l’incensiere prima di accingersi ad incensare, prega il Signore Gesù di « far discendere la grazia dello Spirito Santo », e quando si procede al rinnovamento dell’indicibile mistero divino della santa Pentecoste, durante la consacrazione di un vescovo, con il proposito di conferirgli tutta la plenitudine della grazia, appare evidente come l’intera vita si trovi posta sotto lo Spirito Santo. Indubbiamente, è in virtù dello Spirito Santo che Cristo è nella Chiesa – parimenti lo Spirito Santo dimora nell’anima 7. Sin dall’apparire dell’economia divino-umana della salvezza, lo Spirito Santo è stato sigillato nelle fondamenta della Chiesa, nella fondamenta del corpo di Cristo, portando a compimento l’Incarnazione: Lo Spirito Santo che ha prodotto dalla Vergine l’Incarnazione del Verbo (toû Logou ktisan tèn sarkosin) 8.

In realtà, i santi Misteri e le sante virtù costituiscono, in piccolo, un « giorno del Spirito Santo »: difatti, da tali Misteri e virtù discende fino a noi lo Spirito Santo. Vi scende sostanzialmente (ousiodôs) 9 – vale a dire veramente e realmente attraverso tutte le sue energie divine e sostanziali, Lui che è « il tesoro della divinità », « il mare aperto della grazia », « la grazia e la vita di ogni essere ».
La Buona Novella del Nuovo Testamento resta in eterno: il Signore per mezzo del Spirito Santo dimora in noi e noi in Lui. Ne è testimone la presenza dello Spirito stesso in noi: per mezzo dello Spirito santo, viviamo nello Spirito allo stesso modo in cui lo Spirito vive in noi: questo lo sappiamo proprio secondo lo Spirito Santo che ci è donato; grazie allo Spirito, l’anima umana accede all’autentica e veritiera conoscenza di Cristo: ciò che è in Dio, nel Dio-Uomo lo sappiamo attraversalo Spirito che ci è dato 10.

Per conoscere il Dio-Uomo, il Cristo, l’Uno della Santa Trinità, ci è necessario l’aiuto delle altre due sante Persone, l’aiuto di Dio Padre e dello Spirito Santo 11. Lo Spirito Santo è lo Spirito di sapienza 12: se l’uomo lo riceve ottiene la saggezza divina; ma lo Spirito Santo è anche lo Spirito di rivelazione 13: grazie alla sapienza divina, lo Spirito rivela e mostra al cuore del credente il mistero del Dio-Uomo Gesù, affinché colui che porta lo Spirito (lo pneumatoforo) possa pervenire all’autentica conoscenza di Cristo. Nessun spirito umano, malgrado i suoi sforzi, è in grado di conoscere il mistero di Cristo in tutta la sua perfezione e pienezza divina salvifica: soltanto e unicamente lo Spirito Santo può rivelarlo allo spirito umano e questo è il motivo per il quale è chiamato « Spirito di rivelazione » 14. Infatti, è in virtù dell’illuminazione del suo spirito che all’Apostolo fu possibile annunciare questa Buona Novella: « Nessuno può chiamare Gesù Cristo Signore, se non è nello Spirito Santo » 15. In quanto « Spirito di verità » e in quanto « Spirito di rivelazione », lo Spirito Santo ci inizia ad ognuna delle verità sulla Persona divino-umana di Cristo e sulla sua economia divino-umana della salvezza; è Lui che viene ad insegnarvi tutto ciò che proviene da Cristo 16. Per questo motivo tutto il Vangelo di Cristo è chiamato « Rivelazione », con tutte le sue realtà divino-umane; conseguentemente, qualsiasi azione sacra nella Chiesa, qualsiasi opera, servizio, mistero e atto, niente di tutto ciò è possibile se non per mezzo dell’invocazione, dell’ »epiclesi » della potenza e della grazia dello Spirito Santo.

Quindi, in tutte le innumerevoli realtà e manifestazioni divino-umane, l’intera vita della Chiesa è condotta e guidata dallo Spirito Santo, che è lo Spirito del Dio-Uomo, Gesù Cristo 17. Perciò, nel santo Vangelo, è detto che colui che non ha lo Spirito di Dio non Lo possiede 18. Immergendosi al pari di un cherubino nel mistero divino-umano della Chiesa come in tutto l’ amabilissimo mistero di Dio, san Basilio il Grande può annunciare questa veritiera Buona Novella: « lo Spirito Santo edifica la Chiesa di Dio (To Pneûma to Hagion architektoneî Ekklesian Theoû) » 19.

La santa Pentecoste ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della sua prima discesa; lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione di Dio Verbo, permettendo che il Dio Verbo divenisse, nel corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende sulla carne del Dio-Uomo per dimorare nel suo corpo che è la Chiesa. Tra questi due avvenimenti si svolge l’economia salvifica, una e indivisibile: lo Spirito Santo discende sull’intero corpo della Chiesa per dimorarvi completamente nella vita ecclesiale. Come nel corpo dell’uomo niente può esistervi senza l’anima che lì dimora, così nel corpo della Chiesa niente potrebbe avere esistenza senza lo Spirito Santo che è l’anima della Chiesa- così sarà per tutti i secoli e per tutta l’eternità. In verità, la Chiesa si trova costantemente nel « giorno dello Spirito Santo »: lo Spirito Santo è infatti eternamente presente in essa, in quanto forza vivificante e immortale, ed è Lui a discendere continuamente sui cristiani: esso discende attraverso i santi Misteri, le sante virtù, i Misteri divini, attraverso ogni Kyrie eleison pronunciato, come attraverso ogni sospiro di nostalgia per Cristo.

Il « giorno dello Spirito Santo » è dunque il giorno in cui si festeggia la Chiesa; parimenti, è il giorno di festa per ogni cristiano. Difatti, chi è il cristiano? Un uomo che possiede lo Spirito Santo: « Colui che possiede lo Spirito Santo è da Lui » 20. Attraverso lo Spirito Santo, Cristo è rivelato e riconosciuto; e dal momento che il Dio-Uomo, il Cristo, è la Chiesa, non possono esserci cristiani fuori della Chiesa, né senza Chiesa- e quindi fuori dallo Spirito Santo, né senza lo Spirito Santo. Il mistero dei misteri – il mistero della Santa Trinità – si trova totalmente nella Chiesa; in essa, tutto proviene dal Padre, nel Figlio e attraverso lo Spirito Santo. Questo è il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è il regno del Padre, per il Figlio e nello Spirito Santo.

Il « giorno del Salvatore » 21 rivela divinamente e nel modo più perfetto all’uomo tutto il mistero, tutto il senso e il fine della carne, che è quello di vivere nel Dio-Uomo, alla destra della Divinità trinitaria. Il giorno della Santa Pentecoste ci rivela altresì il mistero, il senso e il fine dello spirito umano che è quello di santificarsi, di perfezionarsi, di rendersi compiuto, di divino-umanizzarsi e, infine, di acquisire lo spirito di Cristo. Abbiamo lo Spirito di Cristo 22. Questa buona novella, annunciata a tutti gli uomini nel giorno di Pentecoste, è realmente immortale, in quanto nel corpo divino-umano della Chiesa, lo spirito umano è chiamato a trasfigurarsi nello spirito divino, l’intelletto umano nell’intelletto divino, l’anima umana nell’ anima divina, la coscienza umana nella coscienza divina, la volontà umana nella volontà divina. Privato dello Spirito Santo, l’intelletto umano non è altro che malattia, morte e inferno, e, parimenti, l’anima, la coscienza e la volontà dell’uomo. In breve: se l’uomo non si rende perfetto, se non diviene compiuto attraverso Dio – per mezzo dello Spirito Santo – non è altro che un inferno.

Durante il servizio divino del « giorno dello Spirito Santo », la santa Pentecoste viene chiamata « la festa del compimento ». Come si giustifica una tale espressione? Perché è con la Santa Pentecoste che si porta a compimento la Rivelazione: è infatti l’economia divino-umana della salvezza che si compie, è l’eterna Verità, l’eterna Giustizia con la Vita eterna. Ciò che ci viene mostrato in occasione di tale festività è la Buona Novella divino-umana colta nella sua totalità: qui la Santa Trinità è tutto in tutti, poiché la trasfigurazione, la cristificazione, la divino-umanizzazione, la divinizzazione, la trinitizzazione provengono dal Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo. – E donde fu l’origine? Fu a Natale, nella mangiatoia…un neonato che scappò in Egitto…Quale cammino percorso da Betlemme all’Ascensione e sino al giorno dello Spirito! Il Bambino Gesù ci ha dato la Trinità intera – e con essa tutto, in ogni cosa. Nel suo indicibile amore per l’uomo, si è consegnato in quanto Chiesa, in quanto corpo divino-umano e attraverso di Lui e in Lui è tutta la Santa Trinità che ci è stata data. Per questo motivo dopo gli otto articoli del Simbolo della fede che ci rivelano interamente la verità divina circa il Signore Gesù Cristo e la Santa Trinità, viene un nono articolo che ci annuncia la Buona Novella della vita immortale in seno alla Chiesa. « La festa del compimento »: essa ci istruisce sul senso di tutte le altre feste, attraverso le feste che ci hanno permesso di rivivere l’esistenza del Salvatore: il Natale, la Teofania, l’Annunciazione, la Trasfigurazione, la Passione, la Resurrezione e l’Ascensione. Per quale motivo è avvenuto tutto ciò? Era necessario alla fondazione della Chiesa, perché in essa potesse venire la salvezza del mondo, per mezzo della sua cristificazione, della divino-umanizzazione, della spiritualizzazione, della divinizzazione, della trinitarizzazione.

Il Dio-Uomo, il Signore Cristo, in quanto Egli stesso Chiesa, ci ha aperto la via che può condurci alla Verità eterna e alla Vita eterna: questa è la Vita nella Santa Trinità. Ora, questa vita nella Santa Trinità non è altro che il manifestarsi della nostra trinitarizzazione per mezzo della grazia e delle virtù: è infatti con l’aiuto dei santi Misteri e delle sante virtù che è possibile vivere per il Dio-Uomo, il Signore Gesù Cristo, e, per Lui, in Dio Padre e nello Spirito Santo, e parimenti, nelle membra del corpo divino-umano della Chiesa, come già annunciava il Salvatore: « Io sono nel Padre mio, e che voi siete in me ed io in voi »23. Dunque, l’amore divino-umano è questa grande forza capace di realizzare la trinatirizzazione: tale amore fa risiedere, nelle membra della Chiesa, il Signore Gesù Cristo 24; e con e per Lui, Dio Padre e Dio lo Spirito Santo 25 – tutta la vita proviene così dal Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo.

Simultaneamente al manifestarsi della trinitarizzazione avviene il dispiegarsi della cristificazione e della spiritualizzazione. Attraverso questa triplice manifestazione, l’uomo raggiunge il culmine della virtù, compiendo i comandamenti del Salvatore. Or dunque, tali comandamenti sono le virtù, ovvero la fede, la speranza, la preghiera, il digiuno, l’umiltà, la benevolenza, la bontà 26 …In tutto ciò, il supremo maestro è lo Spirito Santo; è Lui infatti che, a motivo del Signore Gesù Cristo e per il Signore Salvatore, ci inizia a « tutto » quello che è Chiesa, e Dio in essa, e uomo in essa. Nella Chiesa infatti tutto è rapportato al Dio-Uomo; in essa, ogni cosa proviene da Lui, tutto si muove a partire dal suo incomparabile amore per l’umanità. In essa, Egli è l’Alpha e l’Omega. (…)

Se il Signore Gesù Cristo è divenuto Chiesa è stato allo scopo di dare a tutti coloro che fossero giunti a far parte del suo corpo la vita eterna per mezzo dello Spirito Santo e, attraverso di Lui, per la Santa Trinità – poiché la vita eterna è anche la conoscenza della Santa Trinità, ovvero un essere vissuti nella Santa Trinità 27. Per la Chiesa=Dio-Uomo, tutto ciò che appartiene a Dio diviene dell’uomo e tutto ciò che è dell’uomo diviene di Dio. Questa è la Buona Novella proclamata dal Signore Gesù per mezzo delle parole che rivolge al Padre che è nei cieli: Ogni cosa mia è tua, e ogni cosa tua è mia 28. Tutto ciò che appartiene all’uomo può quindi divinizzarsi nel corpo divino-umano della Chiesa di Dio per divenire santo, « ricevendo lo Spirito Santo » 29 che si trova interamente nella Chiesa, a causa del Dio-Uomo.
Presente nella Chiesa come anima di questo corpo divino-umano, lo Spirito Santo agisce ininterrottamente in essa: è lo Spirito infatti che reca testimonianza al Signore Gesù come Salvatore e come salvezza 30, è sempre Lui che guida alla verità 31, per iniziare a tutto ciò che proviene da Cristo 32; inoltre, è lo Spirito che unisce nella sostanza tutti i membri della Chiesa in un’unità divino-umana 33, che parla per bocca dei santi Apostoli e dei veri fedeli 34; è sempre Lui che porta a compimento tutti i miracoli 35 e che opera i santi Misteri e le sante virtù. Ciò è provato dal Vangelo del Signore Gesù, ovvero dal Nuovo Testamento e dalla tradizione ortodossa, presa nel suo insieme.
Se lo Spirito Santo possiede una biografia e una storia terrena, queste sono indubbiamente gli « Atti degli Apostoli », poiché tale testo rappresenta la prima storia della Chiesa, come essa è stata fondata, realizzata, condotta e diretta dallo Spirito Santo. Qui infatti è reso manifesto come lo spirito umano può entrare in contatto con lo Spirito Santo, come può assimilarLo e collaborare con Lui e, infine, elevarsi sino alle sommità divino-umane per mezzo dello Spirito Santo, attraverso i santi Misteri e le sante virtù. Del resto, la regola di vita divino-umana è questa: Poiché è parso buono allo Spirito Santo e a noi 36. Noi uomini sempre al secondo posto, Dio certo al primo, tale è la regola di tutto ciò che è proprio del Dio-Uomo, e, in primo luogo, del suo Corpo divino-umano- la Chiesa; prima Dio, poi l’uomo.Sempre in tale direzione, mai in senso contrario; mai io, poi Dio – è questa infatti la parola d’ordine di ogni genere di demonismo e di miope umanismo.

Quindi, appare chiaro che gli Atti degli Apostoli sono degli Atti divino-umani: sono infatti gli atti che il Signore Gesù produce nell’uomo, come sono, allo stesso modo, gli atti dell’uomo prodotti per mezzo dello Spirito Santo. Ora, tutto è creato umanamente e tutto è divinamente innalzato. Ciò che si compie nel giorno dello Spirito Santo è il battesimo della Chiesa attraverso lo Spirito Santo: battesimo conferito nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Cosicché è nella Chiesa che si può aprire, per ogni uomo, la via della trinitarizzazione, una via dove tutto viene dal Padre per il Figlio, nello Spirito Santo. Tale via della trinitarizzazione è in realtà la via della divinizzazione, la via della divino-umanizzazione. Qui si realizza la Buona Novella annunciata dall’apostolo Pietro il Teoforo: nella Chiesa ci sono date tutte le potenze divine necessarie per la vita eterna e la pietà, ed è con il loro aiuto che abbiamo parte alla natura divina (theias koinonoi physeos) 37.

Gli « Atti degli Apostoli » ci mostrano e ci provano questa divina verità, secondo la quale, la vita nella Chiesa è una vita nello e per lo Spirito Santo, una vita calata nei dogmi evangelici e innanzitutto nel dogma della risurrezione. I cristiani sono tali quando vivono il dogma della resurrezione approfonditamente – e questo avviene per la grazia dello Spirito Santo e per la loro volontà che applicano nell’esercitare le virtù. La vita evangelica, la vita apostolica non sono altro che un vivere i santi dogmi, le sante verità evangeliche. Sono ancora gli « Atti degli Apostoli » che ci forniscono il materiale utile per condurre una siffatta vita. Sotto i nostri occhi si compie nella Chiesa la trasfigurazione per opera dello Spirito Santo, la trasfigurazione divino-umana dell’uomo -a cominciare dagli Apostoli. Secondo la testimonianza di san Giovanni Crisostomo, quando i santi Apostoli ricevettero, nel giorno della santa Pentecoste, lo Spirito Santo, divennero diversi dagli altri esseri umani: « Ogni perfetta virtù è venuta a regnare in loro » 38.

Nel giorno della Pentecoste, gli Apostoli furono riempiti di Spirito Santo 39 per l’eternità; divennero per sempre la fonte inesauribile della grazia dello Spirito Santo nella Chiesa, nei secoli e per l’eternità 40. Da ciò deriva l’esclusività [exaireton] del diritto posseduto dagli Apostoli: il diritto di trasmettere, di donare lo Spirito Santo ad altri uomini [Pneûma didonai hetérois] 41. Nel « giorno dello Spirito Santo », la Chiesa si riempie di tutte le divine « forze dell’alto » 42, queste forze che le permettono di compiere i più diversi miracoli, di vincere i peccati, di uccidere ogni genere di morte, di disarmare i diavoli, di fare tutto ciò che è utile agli uomini per la loro salvezza, per la loro santificazione, per la loro trasfigurazione, per la loro cristificazione, per la loro divino-umanizzazione, per la loro divinizzazione, per la loro trinitarizzazione. A testimoniare che gli Apostoli siano per la Chiesa i messaggeri della Buona Novella e del Vangelo di Cristo è il fatto che sono stati rivelati agli uomini attraverso delle lingue di fuoco che si sono ripartite su ognuno di loro 43. È giusto dire « delle lingue come di fuoco », perché non si creda che lo Spirito sia qualcosa di materiale44. La grazia che la Chiesa ha ricevuto è una e la medesima a Pentecoste e tutt’oggi 45. Invero, la Chiesa è una Pentecoste permanente, un incessante « giorno dello Spirito Santo » 46.

Tratto da La Lumière du Thabor n. 38 pp. 37-67
Trad. dal francese di Chiara Ruth Rantini
pubblicata su La Pietra n. 1 / 2001 pp. 6-18

Publié dans:feste, meditazioni, Ortodossia |on 22 mai, 2010 |Pas de commentaires »

Papa Bendetto XVI, Solennità di Pentecoste 2006,

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2006/documents/hf_ben-xvi_hom_20060604_pentecoste_it.html

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE 2006

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica Vaticana
Domenica, 4 giugno 2006

Cari fratelli e sorelle!

Il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo scese con potenza sugli Apostoli; ebbe così inizio la missione della Chiesa nel mondo. Gesù stesso aveva preparato gli Undici a questa missione apparendo loro più volte dopo la sua risurrezione (cfr At 1,3). Prima dell’ascensione al Cielo, ordinò di « non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre » (cfr At 1,4-5); chiese cioè che restassero insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14).

Restare insieme fu la condizione posta da Gesù per accogliere il dono dello Spirito Santo; presupposto della loro concordia fu una prolungata preghiera. Troviamo in tal modo delineata una formidabile lezione per ogni comunità cristiana. Si pensa talora che l’efficacia missionaria dipenda principalmente da un’attenta programmazione e dalla successiva intelligente messa in opera mediante un impegno concreto. Certo, il Signore chiede la nostra collaborazione, ma prima di qualsiasi nostra risposta è necessaria la sua iniziativa: è il suo Spirito il vero protagonista della Chiesa. Le radici del nostro essere e del nostro agire stanno nel silenzio sapiente e provvido di Dio.

Le immagini che usa san Luca per indicare l’irrompere dello Spirito Santo – il vento e il fuoco – ricordano il Sinai, dove Dio si era rivelato al popolo di Israele e gli aveva concesso la sua alleanza (cfr Es 19,3ss). La festa del Sinai, che Israele celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua, era la festa del Patto. Parlando di lingue di fuoco (cfr At 2,3), san Luca vuole rappresentare la Pentecoste come un nuovo Sinai, come la festa del nuovo Patto, in cui l’Alleanza con Israele è estesa a tutti i popoli della Terra. La Chiesa è cattolica e missionaria fin dal suo nascere. L’universalità della salvezza viene significativamente evidenziata dall’elenco delle numerose etnie a cui appartengono coloro che ascoltano il primo annuncio degli Apostoli (cfr At 2,9-11).

Il Popolo di Dio, che aveva trovato al Sinai la sua prima configurazione, viene quest’oggi ampliato fino a non conoscere più alcuna frontiera né di razza, né di cultura, né di spazio né di tempo. A differenza di quanto era avvenuto con la torre di Babele (cfr Gn 11,1-9), quando gli uomini, intenzionati a costruire con le loro mani una via verso il cielo, avevano finito per distruggere la loro stessa capacità di comprendersi reciprocamente, nella Pentecoste lo Spirito, con il dono delle lingue, mostra che la sua presenza unisce e trasforma la confusione in comunione. L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni, innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore.

Ma come entrare nel mistero dello Spirito Santo, come comprendere il segreto dell’Amore? La pagina evangelica ci conduce oggi nel Cenacolo dove, terminata l’ultima Cena, un senso di smarrimento rende tristi gli Apostoli. La ragione è che le parole di Gesù suscitano interrogativi inquietanti: Egli parla dell’odio del mondo verso di Lui e verso i suoi, parla di una sua misteriosa dipartita e ci sono molte altre cose ancora da dire, ma per il momento gli Apostoli non sono in grado di portarne il peso (cfr Gv 16,12). Per confortarli spiega il significato del suo distacco: se ne andrà, ma tornerà; nel frattempo non li abbandonerà, non li lascerà orfani. Manderà il Consolatore, lo Spirito del Padre, e sarà lo Spirito a far conoscere che l’opera di Cristo è opera di amore: amore di Lui che si è offerto, amore del Padre che lo ha dato.

Questo è il mistero della Pentecoste: lo Spirito Santo illumina lo spirito umano e, rivelando Cristo crocifisso e risorto, indica la via per diventare più simili a Lui, essere cioè « espressione e strumento dell’amore che da Lui promana » (Deus caritas est, 33). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa quest’oggi prega: « Veni Sancte Spiritus! – Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore! ». Amen.

Publié dans:feste, Papa Benedetto XVI |on 21 mai, 2010 |Pas de commentaires »

Domenica delle Palme : 28 marzo (celebrazione mobile)

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/20254

Domenica delle Palme

28 marzo (celebrazione mobile) 

Martirologio Romano: Domenica delle Palme: Passione del Signore, in cui il Signore nostro Gesù Cristo, secondo la profezia di Zaccaria, seduto su di un puledro d’asina, entrò a Gerusalemme, mentre la folla gli veniva incontro con rami di palma nelle mani.

Con la Domenica delle Palme o più propriamente Domenica della Passione del Signore, inizia la solenne annuale celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione.
La Domenica delle Palme giunge quasi a conclusione del lungo periodo quaresimale, iniziato con il Mercoledì delle Ceneri e che per cinque liturgie domenicali, ha preparato la comunità dei cristiani, nella riflessione e penitenza, agli eventi drammatici della Settimana Santa, con la speranza e certezza della successiva Risurrezione di Cristo, vincitore della morte e del peccato, Salvatore del mondo e di ogni singola anima.
I Vangeli narrano che giunto Gesù con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme (era la sera del sabato), mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina legata con un puledro e condurli da lui; se qualcuno avesse obiettato, avrebbero dovuto dire che il Signore ne aveva bisogno, ma sarebbero stati rimandati subito.
Dice il Vangelo di Matteo (21, 1-11) che questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria (9, 9) “Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”.
I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme.
Qui la folla numerosissima, radunata dalle voci dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù esclamando “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!”.
A questa festa che metteva in grande agitazione la città, partecipavano come in tutte le manifestazioni di gioia di questo mondo, i tanti fanciulli che correvano avanti al piccolo corteo agitando i rami, rispondendo a quanti domandavano “Chi è costui?”, “Questi è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea”.
La maggiore considerazione che si ricava dal testo evangelico, è che Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme, sede del potere civile e religioso in Palestina, acclamato come solo ai re si faceva, a cavalcioni di un’asina.
Bisogna dire che nel Medio Oriente antico e di conseguenza nella Bibbia, la cavalcatura dei re, prettamente guerrieri, era il cavallo, animale nobile e considerato un’arma potente per la guerra, tanto è vero che non c’erano corse di cavalli e non venivano utilizzati nemmeno per i lavori dei campi.
Logicamente anche il Messia, come se lo aspettavano gli ebrei, cioè un liberatore, avrebbe dovuto cavalcare un cavallo, ma Gesù come profetizzato da Zaccaria, sceglie un’asina, animale umile e servizievole, sempre a fianco della gente pacifica e lavoratrice, del resto l’asino è presente nella vita di Gesù sin dalla nascita, nella stalla di Betlemme e nella fuga in Egitto della famigliola in pericolo.
Quindi Gesù risponde a quanti volevano considerarlo un re sul modello di Davide, che egli è un re privo di ogni forma esteriore di potere, armato solo dei segni della pace e del perdono, a partire dalla cavalcatura che non è un cavallo simbolo della forza e del potere sin dai tempi dei faraoni.
La liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo adatto al di fuori della chiesa; i fedeli vi si radunano e il sacerdote leggendo orazioni ed antifone, procede alla benedizione dei rami di ulivo o di palma, che dopo la lettura di un brano evangelico, vengono distribuiti ai fedeli (possono essere già dati in precedenza, prima della benedizione), quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa.
Qui giunti continua la celebrazione della Messa, che si distingue per la lunga lettura della Passione di Gesù, tratta dai Vangeli di Marco, Luca, Matteo, secondo il ciclico calendario liturgico; il testo della Passione non è lo stesso che si legge nella celebrazione del Venerdì Santo, che è il testo del Vangelo di s. Giovanni.
Il racconto della Passione viene letto alternativamente da tre lettori rappresentanti: il cronista, i personaggi delle vicenda e Cristo stesso. Esso è articolato in quattro parti: l’arresto di Gesù; il processo giudaico; il processo romano; la condanna, l’esecuzione, morte e sepoltura.
Al termine della Messa, i fedeli portano a casa i rametti di ulivo benedetti, conservati quali simbolo di pace, scambiandone parte con parenti ed amici. Si usa in molte regioni, che il capofamiglia utilizzi un rametto, intinto nell’acqua benedetta durante la veglia pasquale, per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua.
In molte zone d’Italia, con le parti tenere delle grandi foglie di palma, vengono intrecciate piccole e grandi confezioni addobbate, che vengono regalate o scambiate fra i fedeli in segno di pace.
La benedizione delle palme è documentata sin dal VII secolo ed ebbe uno sviluppo di cerimonie e di canti adeguato all’importanza sempre maggiore data alla processione. Questa è testimoniata a Gerusalemme dalla fine del IV secolo e quasi subito fu accolta dalla liturgia della Siria e dell’Egitto.
In Occidente giacché questa domenica era riservata a cerimonie prebattesimali (il battesimo era amministrato a Pasqua) e all’inizio solenne della Settimana Santa, benedizione e processione delle palme trovarono difficoltà a introdursi; entrarono in uso prima in Gallia (sec. VII-VIII) dove Teodulfo d’Orléans compose l’inno “Gloria, laus et honor”; poi in Roma dalla fine dell’XI secolo.
L’uso di portare nelle proprie case l’ulivo o la palma benedetta ha origine soltanto devozionale, come augurio di pace.
Da venti anni, nella Domenica delle Palme si celebra in tutto il mondo cattolico la ‘Giornata Mondiale della Gioventù’, il cui culmine si svolge a Roma nella Piazza S. Pietro alla presenza del papa.

Publié dans:feste, liturgia |on 27 mars, 2010 |Pas de commentaires »

25 marzo: Annunciazione del Signore

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/20250

Annunciazione del Signore

25 marzo

Festa del Signore, l’Annunciazione inaugura l’evento in cui il figlio di Dio si fa carne per consumare il suo sacrificio redentivo in obbedienza al Padre e per essere il primo dei risorti. La Chiesa, come Maria, si associa all’obbedienza del Cristo, vivendo sacramentalmente nella fede il significato pasquale della annunciazione. Maria è la figlia di Sion che, a coronamento della lunga attesa, accoglie con il suo ‘Fiat’ e concepisce per opera dello Spirito santo il Salvatore. In lei Vergine e Madre il popolo della promessa diventa il nuovo Israele, Chiesa di Cristo. I nove mesi tra la concezione e la nascita del Salvatore spiegano la data odierna rispetto alla solennità del 25 dicembre. Calcoli eruditi e considerazioni mistiche fissavano ugualmente al 25 marzo l’evento della prima creazione e della rinnovazione del mondo nella Pasqua. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Solennità dell’Annunciazione del Signore, quando nella città di Nazareth l’angelo del Signore diede l’annuncio a Maria: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo», e Maria rispondendo disse: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola». E così, compiutasi la pienezza dei tempi, Colui che era prima dei secoli, l’Unigenito Figlio di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo e si è fatto uomo.

Per la festa dell’Annunciazione invito a leggere due brani del Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine Maria di San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716). Primo brano: i veri devoti della Santa Vergine “avranno una singolare devozione per il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo, il 25 marzo, che è il mistero proprio di questa devozione, perché questa devozione è stata ispirata dallo Spirito Santo: 1) per onorare e imitare la dipendenza ineffabile che Dio Figlio ha voluto avere da Maria, per la gloria di Dio Padre e per la nostra salvezza, dipendenza che appare particolarmente in questo mistero in cui Gesù Cristo è prigioniero e schiavo nel seno della divina Maria e in cui dipende da lei in tutte le cose; 2) per ringraziare Dio delle grazie incomparabili che ha fatto a Maria e particolarmente di averla scelta come sua degnissima Madre, scelta che è stata fatta in questo mistero” (cap. VIII).
Secondo brano: “Poiché il tempo non mi permette di fermarmi a spiegare le eccellenze e le grandezze del mistero di Gesù vivente e regnante in Maria, o dell’Incarnazione del Verbo, mi limiterò a dire in poche parole che abbiamo qui il primo mistero di Gesù Cristo, il più nascosto, il più elevato e il meno conosciuto; che è in questo mistero che Gesù, d’accordo con Maria, nel suo seno, che è per questo chiamato dai santi «la sala dei segreti di Dio», ha scelto tutti gli eletti; che è in questo mistero che ha operato tutti i misteri della sua vita che sono seguiti, per l’accettazione che ne ha fatto: «Entrando nel mondo Cristo dice: Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,5.7); e, di conseguenza, che questo mistero è un compendio di tutti i misteri, che contiene la volontà e la grazia di tutti; infine, che questo mistero è il trono della misericordia, della liberalità e della gloria di Dio” (cap. VIII).
I due testi sono collegati tra loro. In primo luogo San Luigi Maria afferma che il mistero dell’Incarnazione è il primo mistero cui i veri devoti della Santa Vergine devono rivolgere la loro attenzione. In secondo luogo, sostiene che il mistero della vita segreta di Gesù in Maria è il mistero che contiene tutti gli altri misteri, il punto di partenza per tutte le meraviglie della sua vita.
Analizziamo il primo testo e quindi il secondo.
Il Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine secondo me è un testo profetico per quanto afferma sui misteri e sulla devozione a Nostra Signora. Annuncia verità profonde che saranno approfondite solo in un’epoca futura di fioritura della Chiesa e quindi della teologia, che lo stesso santo chiama “Regno di Maria”. Oggi il significato delle sue parole non può ancora essere pienamente compreso. Per esempio, chi oserà dire di aver capito l’affermazione secondo cui Gesù Cristo, Dio stesso, fu per un tempo “schiavo di Maria” quando viveva nel suo seno? Dopo l’Annunciazione e il sì di Maria, Nostro Signore si fece carne nel suo seno. Da allora ebbe perfetta conoscenza di sua Madre. Viveva in lei come in un monastero di clausura, in contatto esclusivo e in completa dipendenza umana dalla Madonna: la più perfetta dipendenza che si possa dare sulla Terra.
Il Verbo Incarnato, completamente consapevole fin dal primo momento della sua incarnazione, scelse di vivere all’interno di una creatura. Per sua scelta visse all’interno di questo tempio e di questo palazzo, in misteriosa relazione con Nostra Signora.
Dio manifesta la sua onnipotenza nell’Incarnazione. La manifesta anche mantenendo vergine la Madonna prima, durante e dopo il parto. L’Incarnazione è un evento così straordinario che Dio avrebbe potuto disporre perché Nostro Signore nascesse pochi giorni dopo il concepimento. Ma non lo fece. Il Signore scelse di vivere per nove mesi nel seno di Maria. Volle stabilire questa forma speciale di dipendenza da lei. Scelse di avere con lei questa profonda e misteriosa relazione dell’anima. San Luigi Maria dice che scelse di diventare suo “schiavo”: un’espressione centrale in tutta la teologia mariana del santo, che può lasciarci perplessi specialmente se la riferiamo a Gesù Cristo ma che per il santo è essenziale e che dobbiamo comprendere a fondo. Schiavo? Sì. Anzi, uno schiavo ha la sua vita, respira da solo, ha almeno libertà di movimento. Gesù volle farsi più che schiavo: accettò di dipendere interamente da Nostra Signora.
Che tipo di relazione fra le anime di Gesù e della Madonna si stabilì in quel periodo? Che tipo di unione? Di per sé, il mistero è impenetrabile. Ma, almeno per avere un punto di partenza, possiamo considerare che nel mistero dell’Incarnazione Nostro Signore assume interamente la natura umana. Vero Dio, diventa anche vero uomo. Ha un’anima e un corpo come li abbiamo noi. Nella sua umanità discende da Adamo ed Eva come noi. Ma nello stesso tempo la sua anima umana aveva – anzi ha – un’unione con Dio così stretta che Gesù Cristo è e resta una persona della Santissima Trinità. C’è una sola persona di Cristo, non due, anche dopo l’Incarnazione. Com’è possible tutto questo? È un mistero. I teologi si diffondono sulla nozione di unione ipostatica, ma non sciolgono veramente il mistero.
Considerando la sua natura divina e umana, come spiegare il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. In quel momento certamente Gesù continuava a essere Dio, eppure aveva scelto di soffrire nella sua umanità un abbandono e un isolamento totale. Si sentiva completamente abbandonato nella sua umanità mentre rimaneva unito a Dio Padre e allo Spirito Santo nella sua divinità. Di nuovo, non possiamo spiegare tutto: è un mistero.
L’unione di Nostro Signore con Maria quando era nel suo seno non è naturalmente l’unione ipostatica, eppure quest’ultima ci aiuta in via analogica a capire. Se nella sua umanità Gesù poteva sentirsi abbandonato sulla croce senza compromettere la sua divinità, poteva essere come dice San Luigi Maria “schiavo” di Nostra Signora nel suo seno – s’intende, anche qui nella sua umanità. Ma rimangono molti aspetti misteriosi, su cui penso che getterà luce una teologia nuovamente capace di fiorire nel Regno di Maria, per la maggior gloria di Dio e delle anime.
Anche nell’unione mistica di Nostra Signora con ciascuno dei suoi devoti, che San Luigi Maria chiama “schiavi”, ci sono punti non ancora interamente chiariti. Eppure si tratta di qualche cosa di molto più semplice dei divini misteri dell’unione di Maria con Gesù.Se sono misteri, nessuna spiegazione li esaurisce. Possiamo dire però che la contemplazione del mistero dell’Incarnazione ci aiuta a combattere due delle principali dottrine della Rivoluzione: il panteismo e il soggettivismo.
Secondo il panteismo, tutto è uno e tutto è buono; una cosa non si distingue essenzialmente da un’altra. Tutte le creature formano una sola grande persona cosmica e collettiva. Il soggettivismo afferma che ogni persona umana è assolutamente autonoma e non ha veramente bisogno di essere unita ad altre.
La Chiesa Cattolica condanna entrambi questi errori. Afferma che ogni persona è autonoma e distinta in quanto individuo, ma che l’apertura agli altri è costitutiva e necessaria. La teologia e la filosofia spiegano come per approfondire la nozione di persona ultimamente è necessario considerare la sua relazione con Dio.
Quando la relazione di Gesù Cristo con Nostra Signora nell’Incarnazione sarà meglio compresa, si comprenderà qualcosa di più anche le pagine più misteriose dell’“Apocalisse”. È del tutto lecito pregare e sperare che un giorno sorga una nuova alba in cui gli orizzonti della teologia possano espandersi e I legami fra molti misteri, per quanto umanamente possibili, possano chiarirsi.San Luigi Maria afferma che il mistero dell’Incarnazione contiene tutti gli altri. Sappiamo che ogni giorno di festa della Chiesa porta con sé una grazia speciale. Nella giornata di oggi la prima misteriosa unione di Nostro Signore con Nostra Signore viene a noi, per così dire, con un profumo speciale.
Dobbiamo affidarci con speciale forza alla Madonna in questo giorno di festa, e chiederLe la grazia di diventare i suoi umili soggetti e “schiavi”, come fece lo stesso Bambino Gesù quando viveva nel suo seno. 

Publié dans:feste, feste del Signore |on 24 mars, 2010 |Pas de commentaires »

2 novembre – Commemorazione di tutti i fedeli defunti

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/20550

2 novembre – Commemorazione di tutti i fedeli defunti  
 

Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali. La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Nei riti funebri la chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.

Ascolta da RadioVaticana:
   Ascolta da RadioRai:
  
 

A quanti sono morti « nel segno della fede » la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il « memento » dei morti, e nell’Ufficio divino con la breve preghiera « Fidelium animae », e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti. La commemorazione dei defunti, dovuta all’iniziativa dell’abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti. Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l’ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell’Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti.
Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l’esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, « dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno », secondo l’efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l’immagine di un edificio in costruzione.

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Scopo della commemorazione di tuttii defunti in passato era quello disuffragare i morti; di qui le Messe, la novena,l’ottavario, le preghiere al cimitero.Questo scopo naturalmente rimane;ma oggi ne avvertiamo un altro altrettantourgente: creare nel corso dell’announ’occasione per pensare religiosamente,cioè con fede e speranza, allapropria morte. Spezzare la congiura delsilenzio riguardo a essa.
Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino,si possono fare tutte le ipotesi:forse sarà bello, forse sarà brutto;forse sarà ricco, forse sarà povero, forsevivrà a lungo, forse no. Ma di nessunosi dice: forse morirà, forse non morirà.Questa è l’unica cosa assolutamentecerta della vita. Quando sentiamo chequalcuno è malato di idropisia (al tempodel santo, questa era la malattia incurabile),diciamo: « Poveretto, devemorire; è condannato, non c’è rimedio! ». Ma non dovremmo, aggiunge, direla stessa cosa di ogni uomo che nasce: »Poveretto, deve morire, non c’è rimedio »? Un poeta spagnolo dell’Ottocento,Gustavo Bécquer, paragona la vitaumana all’onda che il vento spingesul mare e che avanza vorticosamentesenza sapere su quale spiaggia andrà ainfrangersi; a una candela prossima aesaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti,ignorando quale di essi per ultimobrillerà; e conclude: « Così sono io chemi aggiro per il mondo, senza pensare,da dove vengo, né dove i miei passi micondurranno ».

Questa percezione mesta, a voltetragica, della morte è comune a tutti,credenti e non, ma la fede cristiana hauna parola nuova e risolutiva, che oggidovrebbe risuonare nella Chiesa enei cuori, una cosa semplice e grandiosa:che la morte c’è, che è il più grandedei nostri problemi, ma che Cristo havinto la morte! La morte non è più lastessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto.Essa ha perso il suo pungiglione,come un serpente il cui velenoè capace solo di addormentare la vittimaper qualche ora, ma non di ucciderla. »La morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? »(1Cor 15,55).
Il cristianesimo non si fa strada nellecoscienze con la paura della morte, macon la morte di Cristo. Gesù è venuto aliberare gli uomini dalla paura dellamorte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla.Ai cristiani angustiati per la morte dialcuni cari, san Paolo scriveva: « Fratelli,non vogliamo lasciarvi nell’ignoranzacirca quelli che sono morti, perché noncontinuiate ad affliggervi come gli altriche non hanno speranza. Noi crediamoinfatti che Gesù è morto e risuscitato;così anche quelli che sono morti, Dio liradunerà per mezzo di Gesù insiemecon lui… Confortatevi, dunque, a vicendacon queste parole » (1Tes 4,13ss).
Ma come ha vinto la morte Gesù?Non evitandola o ricacciandola indietro,come un nemico da sbaragliare. Masubendola, assaporandone tutta l’amarezza.Non abbiamo davvero un sommosacerdote che non sappia compatirela nostra paura della morte! Tre voltenei vangeli si legge che Gesù pianse e,di queste, due furono per un morto. NelGetsemani egli ha provato, come noi,“paura e angoscia” di fronte alla morte.

Che cosa è successo, una volta cheGesù ha varcato la soglia della morte?L’uomo mortale nascondeva dentro disé il Verbo di Dio, che non può morire.Una breccia è stata aperta per sempre attraversoil muro della morte. Grazie aCristo, la morte non è più un muro davantial quale tutto si infrange; è un passaggio,cioè una Pasqua. È una specie di“ponte dei sospiri”, attraverso il quale sientra nella vita vera, quella che non conoscela morte. Confortiamoci a vicenda,anche noi, con queste parole.

Autore: Domenico Agasso 

Publié dans:feste |on 1 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Il frutto dell’amore – meditazione sulla festa dei santi

dal sito:

http://www.statusecclesiae.net/status/common.php?pagina=frutto_amore_bianchi.php

Autore: Enzo Bianchi

Fonte: monasterodibose.it

Il frutto dell’amore – meditazione sulla festa dei santi

In questi ultimi decenni sono stati proclamati tanti santi e beati: mai c’è stata nella Chiesa una stagione così ricca di canonizzazioni, segno anche di un’estesa « cattolicità » raggiunta dalla testimonianza cristiana. Eppure molti, all’interno e attorno alla Chiesa, hanno la sensazione di non conoscere dei santi « vicini », di non riuscire a discernere « l’amico di Dio » – questa la stupenda definizione patristica del santo – nella persona della porta accanto, nel cristiano quotidiano. Questo forse è dovuto anche al fatto che viviamo in una cultura in cui si privilegia l’apparire, un mondo in cui – come ha detto qualcuno – « anche la santità si misura in pollici »: molti allora cercano non il discepolo del Signore, ma l’ecclesiastico di successo, l’efficace trascinatore di folle, l’opinion leader capace di parole sociologiche, politiche, economiche, etiche, la star mediatica cui si chiede una parola a basso prezzo su qualsiasi evento, facendolo apparire il più eloquente a prescindere dalla consistenza della sua sequela del Signore. Ma è proprio in questa ambigua ricerca della santità attorno a noi che ci viene in aiuto la festa di tutti i santi, la celebrazione della comunione dei santi del cielo e della terra. Sì, al cuore dell’autunno, dopo tutte le mietiture, i raccolti e le vendemmie nelle nostre campagne, la Chiesa ci chiede di contemplare la mietitura di tutti i sacrifici viventi offerti a Dio, la messe di tutte le vite ritornate al Signore, la raccolta presso Dio di tutti i frutti maturi suscitati dall’amore e dalla grazia del Signore in mezzo agli uomini. La festa di tutti i santi è davvero un memoriale dell’autunno glorioso della Chiesa, la festa contro la solitudine, contro ogni isolamento che affligge il cuore dell’uomo: se non ci fossero i santi, se non credessimo « alla comunione dei santi » – che non certo a caso fa parte della nostra professione di fede – saremmo chiusi in una solitudine disperata e disperante. In questo giorno dovremmo cantare: « Non siamo soli, siamo una comunione vivente! »; dovremmo rinnovare il canto pasquale perché, se a Pasqua contemplavamo il Cristo vivente per sempre alla destra del Padre, oggi, grazie alle energie della risurrezione, noi contempliamo quelli che sono con Cristo alla destra del Padre: i santi. A Pasqua cantavamo che la vite era vivente, risorta; oggi la Chiesa ci invita a cantare che i tralci, mondati e potati dal Padre sulla vite che è Cristo, hanno dato il loro frutto, hanno prodotto una vendemmia abbondante e che questi grappoli, raccolti e spremuti insieme formano un unico vino, quello del Regno. Noi oggi contempliamo questo mistero: i morti per Cristo, con Cristo e in Cristo sono con lui viventi e, poiché noi siamo membra del corpo di Cristo ed essi membra gloriose del corpo glorioso del Signore, noi siamo in comunione gli uni con gli altri, Chiesa pellegrinante con Chiesa celeste, insieme formanti l’unico e totale corpo del Signore. Oggi dalle nostre assemblee sale il profumo dell’incenso, segno del legame con la Chiesa di lassù, la Gerusalemme celeste che attende il completamento del numero dei suoi figli ed è vivente, gloriosa presso Dio, con Cristo, per sempre. Ecco il forte richiamo che risuona per noi oggi: riscoprire il santo accanto a noi, sentirci parte di un unico corpo. E’ questa consapevolezza che ha nutrito la fede e il cammino di santità di molti credenti, dai primi secoli ai nostri giorni: uomini e donne nascosti, capaci di vivere quotidianamente la lucida resistenza a sempre nuove idolatrie, nella paziente sottomissione alla volontà del Signore, nel sapiente amore per ogni essere umano, immagine del Dio invisibile. Il santo allora diviene una presenza efficace per il cristiano e per la Chiesa: « Noi non siamo soli, ma avvolti da una grande nuvola di testimoni » (Ebr 12,1), con loro formiamo il corpo di Cristo, con loro siamo i figli di Dio, con loro saremo una cosa sola con il Figlio. In Cristo si stabilisce tra noi e i santi una tale intimità che supera quella esistente nei nostri rapporti, anche quelli più fraterni, qui sulla terra: essi pregano per noi, intercedono, ci sono vicini come amici che non vengono mai meno. E la loro vicinanza è davvero capace di meraviglie perché la loro volontà è ormai assimilata alla volontà di Dio manifestatasi in Cristo, unico loro e nostro Signore: non sono più loro a vivere, ma Cristo in loro, avendo raggiunto il compimento di ogni vocazione cristiana, l’assunzione del volere stesso di Cristo: « Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, o Padre » (Lc 22,42). Sostenuti da quanti ci hanno preceduto in questo cammino, scopriremo anche i santi che ancora operano sulla terra perché il seme dei santi non è prossimo all’estinzione: caduto a terra si prepara ancora oggi a dare il suo frutto. « Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? » (Is 43,19).

Publié dans:feste, meditazioni |on 31 octobre, 2009 |Pas de commentaires »

Agostino Trapé (agostiniano): La preghiera (sulla festa di tutti i santi)

dal sito:

http://agostinotrape.it/varie/pdf/Usmai_75_Conferenza-La_preghiera.pdf

OMELIA: La preghiera Agostino Trapè O.SA.

Sorelle venerate, la festa di tutti i santi che abbiamo celebrato ieri, la commemorazione dei fedeli defunti che celebriamo oggi, richiamano al nostro pensiero la meravigliosa ed esaltante visione della comunione dei santi. Tante volte recitando il simbolo abbiamo fatto la professione di fede su questa verità: credo lo Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la Comunione dei Santi. Se non tutte le volte, molte certamente ci saremo soffermati a pensare a queste misteriose parole: la Comunione dei Santi, cercando di approfondirne il significato. Forse ci siamo accorti che capitava a noi ciò che capita al viandante che guarda l’orizzonte e lo vede arretrare a mano a mano che avanza; o a chi tenti di scrutare gli abissi del mare che ha l’impressione che diventino sempre più profondi quanto più lo sguardo cala a fondo per cogliere tutta la profondità del mare. In realtà questa verità sulla Comunione dei Santi è una verità che esprime nella maniera più chiara, più bella, più profonda l’insondabile mistero della Chiesa. La Chiesa è il regno di Dio, la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa è il popolo di Dio; ma la Chiesa è anzitutto « Comunione ». Queste parole « Comunione dei Santi « possono avere tre significati, e forse tutti e tre insieme. Comunione dei Santi può significare la comunione dei beni, prendendo la parola « sanctorum » nel significato di « cose sante », cioè la comunione dei beni nella Chiesa. Questo significato è vero, perché tutti nella Chiesa -sia che combattano ancora, come noi combattiamo, per giungere alla meta della salvezza, sia che godano il trionfo della salvezza nel cielo, sia che attendano di giungere alla mèta ultima ma già sono sicuri di raggiungerla -partecipano degli stessi beni, cioè del bene essenziale, insostituibile, divino della carità e della grazia. E’ questo bene che allarga la nostra comunione con la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; è questo bene che ci rende partecipi della comunione di Cristo Redentore. Comunione dei santi può significare che tutti nella Chiesa terrena, tutti coloro che sono partecipi della fede in Cristo, della speranza e della carità, costituiscono una comunione, un’intima partecipazione e convivenza di vita e sono santi. Anche questo significato è vero. Noi siamo santi, non per nostro merito, ma per il dono della grazia che ci ha giustificato e che ci giustifica. Quindi considerare la comunione dei santi, la comunione di tutti i cristiani raccolti nell’unità della Chiesa è una beatificante realtà. Ma questa espressione « communio sanctorum » può significare ancora la comunione dei santi che vivono beati nel cielo. Tre possibili significati, forse tutti e tre ricordati con la professione di fede. In tal caso, diventando sinonimo di quella che la precede, « credo nella Chiesa cattolica », Comunione dei Santi diventa l’espressione più alta del mistero della Chiesa, l’espressione più alta della rivelazione di Dio, che ha voluto gli uomini partecipi della vita, del mistero della Trinità. Difatti l’evangelista S. Giovanni, che nella sua prima lettera annunzia l’incarnazione del Verbo, quello che gli apostoli hanno visto, hanno toccato con mano del Verbo della vita, si esprime così: Queste cose ve le annunciamo perché voi abbiate la società, la comunione, la « Koinonia » insieme a noi e la nostra comunione sia col Padre e col suo Figlio. Ora, sorelle venerate, è in questa visione della comunione della Chiesa, che è appunto comunione dei santi, che appaiono alcuni aspetti fondamentali della teologia della preghiera. Questa mattina abbiamo detto qualcosa di questa stupenda teologia; avevo individuato alcune proprietà su cui poi non ho potuto insistere; anzi su due particolarmente non ho detto neppure una parola. Non l’ho detta perché mi ripromettevo di dirla questa sera. Voi ricorderete che tra i punti che avevo dato nel programma ce ne erano due che suonavano così: socialità della preghiera e cristocentricità della preghiera, o con una parola più barbara « cristicità » della preghiera. Ora queste due proprietà della teologia della preghiera emergono dal dogma della Comunione dei Santi. Che cosa vuol dire Comunione dei Santi? Vuol dire anche questo: comunione di preghiera. La preghiera che passa tra tutti i membri della comunione della Chiesa, sia peregrinante qui in terra sia beata nel cielo sia ancor sofferente ma sicura della salvezza nel purgatorio, la preghiera che raggiunge tutte le anime come le onde del mare che si allargano e occupano tutta l’estensione del mare. Socialità della preghiera vuol dire che noi possiamo pregare per gli altri e rendere gli altri partecipi dei frutti della nostra preghiera; vuol dire che gli altri possono pregare per noi e renderci partecipi dei frutti della loro preghiera.
Sorelle venerate, è una visione consolante, questa, specialmente per chi si sente povero, fragile, peccatore, bisognoso di sostegno. Il pensiero che altre anime qui in terra, che i beati lassù nel Cielo, che le anime care del purgatorio interpongono la loro intercessione presso il Signore per sostenere il nostro cammino, che ci rendono partecipi dei loro meriti, che, diventati amici di Dio, interpongono la loro intercessione presso l’Amico a nostro favore, è una verità esaltante, una verità confortante, capace da sola di tirarci fuori da qualunque scoraggiamento e di reggerci sul ciglio di qualunque abbattimento, quando le difficoltà da superare in certe ore, in certi momenti della nostra vita, diventano molte e gravi e pesanti.
La socialità della preghiera, una verità teologica fondamentale e una sorgente perenne di gioia; ma è anche una sorgente perenne di apostolato, il primo dovere del nostro apostolato. In forza di questa grande verità esiste l’apostolato della preghiera, esiste la possibilità, che anzi è, poi, la prima di tutte le possibilità che noi abbiamo a favore dei nostri fratelli, di aiutare gli altri. La nostra preghiera per i peccatori, la preghiera per gli infedeli, la preghiera per i sofferenti, la preghiera per i titubanti, per coloro che hanno bisogno di ritrovare la verità e chiarire a se stessi le loro idee è il mezzo primo e più efficace dell’apostolato. E questo è possibile solo perché viviamo nella Comunione dei Santi. Ma v’è un’altra prerogativa teologica della preghiera che emerge dallo sfondo meraviglioso della Comunione dei Santi. E’ quella che ho chiamato la cristocentricità. Voglio dire che la nostra preghiera è fatta in Cristo e che Cristo la fa in noi. Cristo è il cardine, la forza della Comunione dei Santi, per cui la nostra preghiera non salisce a Dio se non attraverso il Cristo e la grazia del Signore non scende a noi se non attraverso il Cristo. A questo punto vorrei servirmi di una citazione agostiniana che, pur senza la citazione della fonte, è passata nella liturgia. Dice S. Agostino che Cristo prega per noi, prega in noi, è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Perciò, continua il santo, non dire nulla senza Cristo e Cristo non dirà nulla senza di te. Preghiamo per mezzo di Cristo, preghiamo in Cristo, e Cristo stesso prega in noi. Un orizzonte della preghiera incentrata nel Cristo che, simile a quello della Comunione dei Santi, è realmente insondabile. La nostra preghiera deve salire al Padre per mezzo di Cristo. Lui è il Figlio che il Padre ama, che il Padre ascolta e noi non possiamo arrivare a Lui se non per mezzo del Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini. Io non posso, in questo momento, soffermarmi sul concetto della mediazione, ma basti questo accenno per ricordare che solo attraverso il Cristo noi possiamo arrivare a Dio. Tra Dio creatore e noi creature e per di più creature peccatrici non c’è altro ponte, non c’è altro pontefice che Cristo. Un’espressione della Città di Dio può riassumere questo pensiero: senza il Cristo, senza la sua mediazione, nessuno è stato mai liberato, nessuno è mai liberato, nessuno sarà mai liberato; le sponde dell’eternità e del tempo non possono essere ravvicinate, il contatto tra creatore e creatura non può essere effettuato se non per mezzo di Cristo. Per questa ragione ogni volta che preghiamo, particolarmente nella preghiera pubblica, ogni volta che preghiamo in nome della Chiesa, noi interponiamo sempre l’intercessione di Cristo. Dopo ogni preghiera la conclusione è sempre la stessa: noi ci volgiamo al Padre e gli chiediamo che ascolti la nostra preghiera per intercessione del Figlio. Ma c’è di più: Cristo prega in noi come nostro capo. Come sarebbe bello trattenersi su questo punto per sottolineare la presenza di Cristo in noi. Ma la dottrina della Chiesa corpo mistico di Cristo, così cara a S. Paolo, cosìcara al S. P. Agostino, così cara a Pio XII che l’ ha illustrata in una mirabile enciclica, e ripresa e contenuta nel Concilio Vaticano II, questa dottrina mirabile della Chiesa, corpo mistico di Cristo può darci la chiave per capire come mai Cristo prega in noi. E non è questa una certezza che dilata nella gioia la nostra fede, la nostra vita interiore? Perché quando sappiamo che Cristo vive in noi e prega in noi, allora abbiamo la certezza che l’oceano che ci separa da Dio sarà varcato e che la nostra voce arriverà al Padre delle misericordie, a Dio che è essenzialmente Padre e quindi essenzialmente buono. Io vorrei che voi sottolineaste questo avverbio che io ho usato. Dio essenzialmente Padre, Dio essenzialmente buono. Ma la nostra voce non giunge a Lui se non per mezzo di Cristo; e quando giunge per mezzo di Cristo, allora dalla sua infinita bontà scende la misericordia su ciascuno di noi. Cristo è pregato da noi. Ed è questa un’altra considerazione o per dir meglio un altro aspetto della teologia della preghiera. Noi abbiamo in Cristo colui che prega per noi perché è il nostro mediatore, colui che prega in noi perché è il nostro capo, colui che è pregato da noi, cioè colui che ci concede quello che noi gli chiediamo. Lo chiediamo per mezzo di Cristo uomo, mediatore tra Dio e gli uomini, e lo chiediamo a Cristo Dio e Lui, la stessa persona divina, concede a noi quello che noi chiediamo a Dio perché egli è Dio Verbo incarnato. Con questa teologia del Cristo che prega per noi, che prega in noi, che è pregato da noi potremo considerare chiuso il panorama immenso della teologia della preghiera proposto da S. Agostino. E’ un panorama eminentemente cattolico, è un panorama di tutta la tradizione della Chiesa, è un panorama su cui dobbiamo fissare, oggi soprattutto, il nostro sguardo, la nostra attenzione, perché la preghiera ci appaia nella sua realtà, nella sua profondità, nella sua necessità, nella sua efficacia, nella sua bellezza. La preghiera non ha solo un valore spirituale, un valore teologico, un valore filosofico; ma anche -e non meno -un valore apologetico. E quando dico un valore apologetico voglio dire che attraverso la nostra preghiera, attraverso la vostra vita orante, attraverso la convinzione che la preghiera è l’anima della vita cristiana e della nostra vita religiosa noi esercitiamo un’azione di apostolato e facciamo una grande apologia della Chiesa; scriviamo la pagina più bella dell’apologetica che oggi la Chiesa attende da noi. Bisogna convincere di nuovo il mondo, perché sta dimenticandolo, bisogna convincere il mondo che la preghiera è una forza, e una forza per reggere la nostra vita, una forza per sospingere il nostro apostolato, una forza per rendere migliore il mondo, una forza per sciogliere i problemi, che l’umanità sente ogni giorno più gravi e più urgenti. Ora, voglio sperarlo, è proprio questa profonda convinzione che noi riporteremo con noi stessi al termine di questo convegno. Avremo allora la sicurezza che, approfondendo gli aspetti filosofici, teologici, mistici e spirituali della preghiera, avremo anche approfondito questo aspetto apologetico; e la nostra azione, la nostra vita nella Chiesa sarà più efficace, più feconda, più bella, più gioiosa; come Cristo la vuole, come la Chiesa l’attende.

Giovanni Paolo II (1989, la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste)

dal sito:

http://www.jesus.2000.years.de/holy_father/john_paul_ii/audiences/1989/documents/hf_jp-ii_aud_19890809_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 agosto 1989
 

1. La discesa dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste è il compimento definitivo del mistero pasquale di Gesù Cristo e realizzazione piena degli annunci dell’antico testamento, specialmente quelli dei profeti Geremia e Ezechiele, circa una nuova, futura alleanza che Dio avrebbe stabilito con l’uomo in Cristo e una “effusione” dello Spirito di Dio “sopra ogni uomo” (Gl 3, 1): ma essa ha anche il significato di una nuova iscrizione della legge di Dio “nel profondo” dell’“essere” umano, o come dice il profeta, nel “cuore” (cf. Ger 31, 33). Si ha così una “nuova legge”, o “legge dello Spirito”, che dobbiamo ora considerare per una più completa conoscenza del mistero del paraclito.

2. Abbiamo già messo in rilievo il fatto che l’antica alleanza tra Dio-Signore e il popolo d’Israele, costituita per mezzo della teofania del Sinai, era basata sulla legge. Al suo centro si trova il decalogo. Il Signore esorta il suo popolo all’osservanza dei comandamenti: “Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 5-6).

Poiché quell’alleanza non fa custodita fedelmente, Dio, per il tramite dei profeti, annunzia che costituirà una alleanza nuova: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni. Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore”. Queste parole di Geremia, già riportate nella precedente catechesi, sono legate alla promessa: “Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33).

3. Dunque la nuova (futura) alleanza annunciata dai profeti si doveva stabilire per mezzo di un cambiamento radicale del rapporto dell’uomo con la legge di Dio. Invece di essere una regola esterna, scritta su tavole di pietra, la legge doveva diventare, grazie all’azione dello Spirito Santo sul cuore dell’uomo, un orientamento interno, costituito “nel profondo dell’essere umano”.

Questa legge si riassume, secondo il Vangelo, nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Quando Gesù afferma che “da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 40), fa capire che essi erano contenuti già nell’antico testamento (cf. Dt 6, 5; Lv 19, 18). L’amore di Dio è il comandamento “più grande e primo”; l’amore del prossimo è “il secondo e simile al primo” (cf. Mt 22, 37-39), ed è anche condizione per l’osservanza del primo: “perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge”, come scriverà san Paolo (Rm 13, 8).

4. Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, essenza della nuova legge istituita da Cristo con l’insegnamento e l’esempio (fino a dare “la vita per i propri amici” [cf. Gv 15, 13]), viene “scritto” nei cuori dallo Spirito Santo. Per questo diventa la “legge dello Spirito”.

Come scrive l’Apostolo ai Corinzi: “È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori” (2 Cor 3, 3). La legge dello Spirito è dunque l’imperativo interiore dell’uomo, nel quale agisce lo Spirito Santo che diventa così maestro e guida dell’uomo dall’intimo del cuore.

5. Una legge così intesa è ben lontana da ogni forma di costrizione esterna dalla quale l’uomo sia soggiogato nei propri atti. La legge del Vangelo, contenuta nella Parola e confermata dalla vita e dalla morte di Cristo, consiste in una Rivelazione divina, che include la pienezza della verità sul bene delle azioni umane, e nello stesso tempo risana e perfeziona la libertà interiore dell’uomo, come scrive san Paolo: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8, 2). Secondo l’Apostolo, lo Spirito Santo che “dà vita”, perché per suo mezzo lo spirito dell’uomo partecipa alla vita di Dio, diventa allo stesso tempo il nuovo principio e la nuova fonte dell’agire dell’uomo: “perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito” (Rm 8, 4).

In questo insegnamento san Paolo avrebbe potuto appellarsi a Gesù stesso, che nel discorso della montagna avvertiva: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5, 17). Proprio un tale compimento, che Gesù Cristo ha dato alla legge di Dio con la sua Parola e col suo esempio, costituisce il modello del “camminare secondo lo Spirito”. In questo senso nei credenti in Cristo, partecipi del suo Spirito, esiste ed opera la “Legge dello Spirito”, da questo scritta “sulla carne dei cuori”.

6. Tutta la vita della Chiesa primitiva, come ci appare dagli Atti degli Apostoli, è una manifestazione della verità enunciata da san Paolo, secondo il quale “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5). Pur tra i limiti e i difetti degli uomini che la compongono, la comunità di Gerusalemme partecipa alla nuova vita che “viene data dallo Spirito”, vive dell’amore di Dio. Anche noi riceviamo questa vita in dono dallo Spirito Santo, il quale ci infonde l’amore – amore di Dio e del prossimo – contenuto essenziale del comandamento più grande. Così la nuova legge, impressa nei cuori degli uomini dall’amore come dono dello Spirito Santo, è in essi legge dello Spirito. Ed essa è la legge che libera, come scrive san Paolo: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8, 2).

7. Per questo la Pentecoste, in quanto è “l’effusione nei nostri cuori” dell’amore di Dio (cf. Rm 5, 5), segna l’inizio di una nuova morale umana, radicata nella “legge dello Spirito”. Questa morale è qualcosa di più della sola osservanza della legge dettata dalla ragione o dalla stessa Rivelazione. Essa deriva da una profondità maggiore e al tempo stesso giunge ad una profondità maggiore. Deriva dallo Spirito Santo e fa vivere di un amore che viene da Dio e che diventa realtà dell’esistenza umana per mezzo dello Spirito Santo “riversato nei nostri cuori”.

L’apostolo Paolo fu il più alto banditore di questa morale superiore, radicata nella “verità dello Spirito”. Lui che era stato uno zelante fariseo, buon conoscitore, meticoloso osservante e fanatico difensore della “lettera” dell’antica legge, diventato più tardi apostolo di Cristo, potrà scrivere di sé: “Dio . . . ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Cor 3, 6).

Publié dans:feste, Papa Giovanni Paolo II |on 29 mai, 2009 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II, (1989, per la Pentecoste)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1989/documents/hf_jp-ii_aud_19890802_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 2 agosto 1989 

1. Nella Pentecoste di Gerusalemme trova il suo coronamento la Pasqua della Croce e della Risurrezione di Cristo. Nella discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme con Maria e con la prima comunità dei discepoli di Cristo, si ha l’adempimento delle promesse e degli annunzi fatti da Gesù ai suoi discepoli. La Pentecoste costituisce la solenne manifestazione pubblica della nuova alleanza stretta tra Dio e l’uomo “nel sangue” di Cristo: “Questa è la nuova alleanza nel mio sangue”, aveva detto Gesù nell’ultima Cena (cf. 1 Cor 11, 25). Si tratta di un’alleanza nuova, definitiva ed eterna, preparata dalle precedenti alleanze, di cui parla la Sacra Scrittura. Queste, infatti, già recavano in sé l’annuncio del patto definitivo, che Dio avrebbe stretto con l’uomo in Cristo e nello Spirito Santo. La Parola divina, trasmessa dal profeta Ezechiele, già invitava a vedere in questa luce l’evento della Pentecoste: “Porrò il mio spirito dentro di voi” (Ez 36, 27).

2. Abbiamo precedentemente rilevato che, se in un primo tempo la Pentecoste era stata la festa della mietitura (cf. Es 23, 14), in seguito cominciò ad essere celebrata anche come ricordo e quasi come rinnovamento dell’alleanza stipulata da Dio con Israele dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto (cf. 2 Cor 15, 10-13). Del resto, già nel libro dell’Esodo leggiamo che Mosé “prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!”. Mosé prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!»”. (Es 24, 7-8).

3. L’alleanza del Sinai era stata stabilita tra Dio-Signore e il popolo di Israele. Prima di essa vi erano già state, secondo i testi biblici, l’alleanza di Dio col patriarca Noè e con Abramo.

L’alleanza stabilita con Mosé dopo il diluvio conteneva l’annuncio di una alleanza, che Dio intendeva stringere con tutta l’umanità: “Ecco, io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi . . . con tutti gli animali che sono usciti dall’arca” (Gen 9, 9-10). E dunque, non soltanto con l’umanità, ma con tutta la creazione che circonda l’uomo nel mondo visibile.

L’alleanza con Abramo aveva anche un altro significato. Dio sceglieva un uomo e con lui stabiliva un’alleanza a motivo della sua discendenza: “Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te” (Gen 17, 7). L’alleanza con Abramo era l’introduzione all’alleanza con un intero popolo, Israele, in considerazione del Messia che doveva provenire proprio da quel popolo, eletto da Dio a tale scopo.

4. L’alleanza con Abramo non conteneva una legge vera e propria. La legge divina venne data più tardi, nell’alleanza del Sinai. Dio ne fece la promessa a Mosé, salito sul monte dietro sua chiamata: “Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra . . . Queste parole dirai agli Israeliti” (Es 19, 5). Riferita la promessa divina agli anziani d’Israele, “tutto il popolo rispose insieme e disse: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo”. E Mosé tornò dal Signore e riferì le parole del popolo” (Es 19, 8).

Questa descrizione biblica della preparazione dell’alleanza e dell’azione mediatrice di Mosé mette in risalto la figura di questo grande capo e legislatore di Israele, mostrando la genesi divina del codice che egli diede al popolo, ma vuole anche fare intendere che l’alleanza del Sinai comportava impegni da ambedue le parti: Dio, il Signore, sceglieva Israele come sua particolare proprietà, “un regno di sacerdoti; una nazione santa” (Es 19, 6), ma a condizione che il popolo osservasse la legge che egli avrebbe dato col decalogo (cf. Es 20, 1 ss.), e le altre prescrizioni e norme. Da parte sua Israele si impegnò a questa osservanza.

5. La storia dell’antica alleanza ci attesta che questo impegno molte volte non è stato mantenuto. Specialmente i profeti rimproverano Israele per le sue infedeltà, e interpretano gli avvenimenti luttuosi della sua storia come castighi divini. Essi minacciano nuovi castighi, ma nello stesso tempo danno l’annunzio di un’altra alleanza. Leggiamo, per esempio, in Geremia: “Ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele (e con la casa di Giuda) io concluderò un’alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato” (Ger 31, 31-32).

La nuova – futura – alleanza verrà costituita coinvolgendo in modo più intimo l’essere umano. Leggiamo ancora: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33).

Questa nuova iniziativa di Dio concerne soprattutto l’uomo “interiore”. La legge di Dio sarà “posta” nel profondo dell’“essere” umano (dell’“io” umano). Questo carattere d’interiorità viene confermato da quell’altra parola: “la scriverò sul loro cuore”. Si tratta dunque di una legge, con la quale l’uomo si identifica interiormente. Solamente allora Dio è veramente “il suo” Dio.

6. Secondo il profeta Isaia la legge costitutiva della nuova alleanza verrà stabilita nello spirito umano ad opera dello Spirito di Dio. Infatti lo Spirito del Signore “si poserà su un virgulto che spunterà dal tronco di Iesse” (Is 11, 2), cioè sul Messia. In lui si realizzeranno le parole del profeta: “Lo Spirito del Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1). Il Messia, guidato dallo Spirito di Dio, realizzerà l’alleanza e la renderà “nuova” ed “eterna”. E ciò che preannuncia lo stesso Isaia con parole profetiche sospese sull’oscurità della storia: “Quanto a me, ecco la mia alleanza con essi, dice il Signore: il mio spirito che è sopra di te e le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre” (Is 59, 21).

7. Qualunque siano i termini storici e profetici, entro i quali si colloca la visuale di Isaia, possiamo ben dire che le sue parole trovano il pieno compimento in Cristo, nella Parola che è la sua “propria” ma anche “del Padre che lo ha mandato” (cf. Gv 5, 37); nel suo Vangelo, che rinnova, completa e vivifica la legge; e nello Spirito Santo, che viene mandato in virtù della Redenzione operata da Cristo mediante la sua Croce e la sua Risurrezione, a piena conferma di ciò che Dio aveva annunziato per mezzo dei profeti già nell’antica alleanza. Con Cristo e nello Spirito Santo si ha l’alleanza nuova, della quale il profeta Ezechiele, come portavoce di Dio, aveva predetto: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi . . . voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36, 26-28).

Nell’evento della Pentecoste di Gerusalemme la discesa dello Spirito Santo compie definitivamente la “nuova ed eterna” alleanza di Dio con l’umanità stabilita “nel sangue” del Figlio unigenito, come momento culminante del “dono dall’alto” (cf. Gc 1, 17). In quell’alleanza il Dio uno e trino “si dona” ormai non al solo popolo eletto, ma a tutta l’umanità. La profezia di Ezechiele: “Sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36, 28) trova allora una dimensione nuova e definitiva: l’universalità. Realizza compiutamente la dimensione dell’interiorità, perché la pienezza del dono – lo Spirito Santo – deve riempire tutti i cuori, dando a tutti la forza necessaria per il superamento di ogni debolezza e di ogni peccato. Trova la dimensione dell’eternità: è un’alleanza “nuova ed eterna” (cf. Eb 13, 20). In quella pienezza del dono ha il proprio inizio la Chiesa come Popolo di Dio della nuova ed eterna alleanza. Così trova compimento la promessa di Cristo sullo Spirito Santo inviato come “un altro Consolatore” (Parákletos), “perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14, 16).

Publié dans:feste, Papa Giovanni Paolo II |on 29 mai, 2009 |Pas de commentaires »

solennità di tutti i santi: Predicatore del Papa: c’è un posto da cui non vorremo tornare

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-15992?l=italian

 

 Predicatore del Papa: c’è un posto da cui non vorremo tornare 

Commento di padre Cantalamessa alla Solennità di tutti i Santi

 

 ROMA, venerdì, 31 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. predicatore della Casa Pontificia , per la Solennità di tutti i Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti.
 

* * * 

XXXI Domenica
Sapienza 3, 1-9; Apocalisse 21, 1-5.6-7; Matteo 5, 1-12 


La festa di Tutti i Santi e la commemorazione dei fedeli defunti hanno una cosa in comune e per questo sono poste l’una di seguito all’altra. Anche il brano evangelico
è lo stesso ed è la pagina delle beatitudini. Ambedue le ricorrenze ci parlano dell’aldilà. Se non credessimo in una vita dopo la morte, sarebbe vano celebrare la festa dei Santi e ancora più vano recarci al cimitero. Chi andremmo a visitare e perché accendiamo una candela o portiamo un fiore? 

Tutto dunque in questo giorno ci invita a una riflessione sapienziale: « Insegnaci a contare i nostri giorni dice un salmo e giungeremo alla sapienza del cuore ». « Si sta come d’autunno sull’albero le foglie » (G. Ungaretti). L’albero a primavera torna a fiorire, ma con altre foglie; anche il mondo continuerà dopo di noi, ma con altri abitanti. Le foglie non hanno una seconda vita, marciscono dove cadono. È così anche di noi? Qui l’analogia qui si interrompe. Gesù ha promesso: « Io sono la risurrezione e la vita, chi vive e crede in me anche se muore, vivrà« . È la grande sfida della fede, non solo dei cristiani, ma anche degli ebrei e degli islamici, di tutti coloro che credono in un Dio personale.

Quelli che hanno visto il film Dottor Zivago ricordano la celebre canzone di Lara che fa da colonna sonora. Nella versione italiana essa dice: « Dove non so, ma un posto ci sara’ da dove noi non torneremo mai… ». La canzone esprime bene il senso del celebre romanzo di Pasternac da cui è tratto il film: due innamorati che si incontrano, si cercano, ma che la sorte (siamo all’epoca tempestosa della rivoluzione bolscevica) ogni volta crudelmente separa, fino alla scena finale in cui le loro strade tornano a incrociarsi, senza però riconoscersi.

Ogni volta che mi capita di ascoltare le note di quella canzone, la mia fede mi fa quasi gridare tra me: Sì un posto c’è da dove noi non torneremo e non vorremo tornare mai. Gesù è andato a prepararcelo, ci ha aperto la via con la sua risurrezione e ci ha indicato la strada per seguirlo con la pagina delle beatitudini. Un posto in cui il tempo si fermerà su di noi per cedere il passo all’eternità; dove l’amore sarà pieno e totale. Non solo l’amore di Dio e per Dio, ma anche ogni amore onesto e santo vissuto sulla terra.

La fede non esenta i credenti dall’angoscia di dover morire, essa però la tempera con la speranza. Il prefazio della Messa di domani dice: « Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la speranza dell’immortalità futura ». A questo proposito c’è una testimonianza sconvolgente situata anch’essa in Russia. Nel 1972 su una rivista clandestina fu pubblicato un testo. Si tratta di una preghiera trovata nel taschino della giubba del soldato Aleksander Zacepa, composta pochi istanti prima della battaglia in cui perse la vita nella seconda guerra mondiale. Dice:

Ascolta, o Dio! Non una volta nella mia vita ho parlato con te, ma oggi mi vien voglia di farti festa.
Sai, fin da piccolo mi hanno sempre detto che non esisti… io stupido ci ho creduto.
Non ho mai contemplato le tue opere,
ma questa notte ho guardato dal cratere di una granata al cielo di stelle sopra di me
e affascinato dal loro scintillare,
ad un tratto ho capito come possa esser terribile l’inganno… Non so, o Dio, se mi darai la tua mano,
ma io ti dico e tu mi capisci…
Non è strano che in mezzo a uno spaventoso inferno mi sia apparsa la luce e io abbia scorto te?
Oltre a questo non ho nulla da dirti. Sono felice solo perché ti ho conosciuto. A mezzanotte dobbiamo attaccare,
ma non ho paura, tu guardi a noi.
E il segnale! Me ne devo andare. Si stava bene con te. Voglio ancora dirti, e tu lo sai, che la battaglia sarà dura: può darsi che questa notte stessa venga a bussare da te. E anche se finora non Sono stato tuo amico,
quando verrò, mi permetterai di entrare?
Ma che succede, piango?
Dio mio, tu vedi quello che mi è capitato, soltanto ora ho incominciato a veder chiaro… Salve, mio Dio, vado… difficilmente tornerò. Che strano, ora la morte non mi fa paura. (Edito in di V. Cattana, Le pi
ù belle preghiere del mondo, Mondadori 2006, p. 188).

Publié dans:feste, Santi |on 1 novembre, 2008 |Pas de commentaires »
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