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LA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE (PONTIFICIO COLLEGIO GRECO SANT’ATANASIO – ROMA)

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PONTIFICIO COLLEGIO GRECO SANT’ATANASIO – ROMA

(Chiesa Cattolica di Rito Bizantino)

LA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

MARTEDÌ 2 FEBBRAIO 2010

Per annunciare ad Adamo che ho visto Dio fatto bambino

« Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui celebrato veramente con grande solennità ». Così la pellegrina Egeria, nella seconda metà del iv secolo, ci dà testimonianza della celebrazione a Gerusalemme, nella basilica della Risurrezione, della festa dell’Incontro del Signore, con la proclamazione del vangelo di Luca (2, 22-40). La festa del 2 febbraio è una delle Dodici Grandi feste dell’anno liturgico, e così la considera Egeria paragonandola quasi alla Pasqua. Tra i secoli v e vi viene celebrata ad Alessandria, Antiochia e Costantinopoli e, alla fine del vii secolo è introdotta a Roma da un Papa di origine orientale, Sergio i, che vi introdurrà anche le feste della Natività di Maria (8 settembre), dell’Annunciazione (25 marzo) e della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto). Con il titolo di « incontro » (hypapànte) la Chiesa bizantina in questa festa vuol soprattutto sottolineare l’incontro di Gesù con l’anziano Simeone, cioè l’Uomo nuovo con l’uomo vecchio, e l’adempimento dell’attesa di tutto il popolo di Israele rappresentato da Simeone e Anna. La festa ha un giorno prefestivo e un’ottava. L’ufficiatura del giorno, molto ricca dal punto di vista cristologico, sottolinea il mistero dell’incontro del Verbo di Dio incarnato con l’uomo, « il nuovo bambino », « il Dio prima dei secoli » – come lo cantavamo a Natale – viene incontro all’uomo. Uno dei tropari del vespro è entrato anche come canto di offertorio della liturgia romana: « Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è divenuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mattino ». Nei testi dell’ufficiatura ci viene offerta tutta una raccolta di immagini bibliche applicate alla Madre di Dio con un retroterra chiaramente cristologico. Tipiche e bellissime risultano confessioni cristologiche in un costante gioco di contrasti: « Colui che portano i cherubini e cantano i serafini » eccolo « nelle braccia di Maria » e « nelle mani del santo vegliardo ». E Simeone, « portando la Vita, chiede di essere sciolto dalla vita », con un riferimento conclusivo direttamente pasquale: « Lascia che io me ne vada, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli fatto bambino ». L’ufficiatura del vespro prevede anche tre letture veterotestamentarie. La prima è tratta dai libri dell’Esodo (13) e del Levitico (12), con la presentazione e consacrazione a Dio dei primogeniti collegata alla festa della Presentazione di Gesù nel tempio il quarantesimo giorno dopo la sua nascita. Le altre due letture sono tratte dal profeta Isaia (6 e 12), con il tema della santità di Dio e della sua salvezza portata all’uomo.
La stessa icona della festa si fonda sui testi dell’Esodo, con la presentazione dei primogeniti, e soprattutto sul vangelo di Luca con l’incontro del Bambino con Simeone. L’icona mette in luce particolarmente l’incontro di Dio con l’uomo insistendo ancora una volta sul mistero dell’Incarnazione. La distribuzione iconografica è molto chiara: Gesù bambino al centro, poi ai lati, più vicini, Maria e Simeone, e poi Giuseppe e Anna. In fondo l’altare e il baldacchino che lo copre, richiamando la disposizione tipica dell’altare cristiano: baldacchino, altare ed evangeliario sopra. Bisogna sottolineare ancora la somiglianza tra Simeone e Anna, per disposizione e caratteristiche iconografiche, e Adamo ed Eva nell’icona pasquale della discesa di Cristo agli inferi: con lo stesso sguardo Simeone e Adamo, e Anna ed Eva si rivolgono a Cristo sia nell’una che nell’altra delle icone. In quella del 2 febbraio è Simeone che si china per accogliere e abbracciare Cristo; in quella della Pasqua è Cristo che si china per accogliere e abbracciare Adamo. L’icona della festa dell’Incontro diventa così preannuncio dell’altro grande incontro: quando l’Uomo nuovo, Cristo scende nell’Ade per riscattarne l’uomo vecchio, Adamo. La festa del 2 febbraio è dunque una festa dal carattere fortemente pasquale, e della risurrezione è un annunzio evidente. « Gioisci, Madre di Dio Vergine piena di grazia: da te infatti è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebre. Gioisci anche tu, o giusto vegliardo, accogliendo fra le braccia il liberatore delle anime nostre che ci dona anche la risurrezione ». Questo tropario della festa, che si conclude con la frase « ci dona anche la risurrezione », riecheggia i versi conclusivi del tropario pasquale, che recita « e a coloro che sono nei sepolcri ha fatto il dono della vita ». Così la festa dell’Incontro di Gesù bambino con l’anziano Simeone è la festa dell’incontro di Dio, per mezzo dell’incarnazione del Figlio, con l’umanità, con ogni uomo. Incontro che ha luogo nel Tempio, cioè nella vita ecclesiale di ogni cristiano, di ognuno di noi.

di P. Manel Nin, Rettore P.C.Greco

QUELLA SERA DI NATALE DEL 1886 – PAUL CLAUDEL: COLPITO DAL CANTO DEL MAGNIFIICAT…

http://www.stpauls.it/madre/1111md/incontri.htm

(forse l’ho già messo, ma è bello e lo propongo – o ripropongo)

INCONTRI CON MARIA

 di MARIA DI LORENZO

QUELLA SERA DI NATALE DEL 1886

PAUL CLAUDEL:: COLPITO DAL CANTO DEL MAGNIFIICAT, «IN UN ISTANTE IL MIO CUORE FU TOCCATO E IO CREDETTI»…

«C’è una cosa, Dio supremo, che Tu non puoi fare. / Ed è di impedire che io Ti ami». L’amore radicale, oseremmo dire bruciante, che il poeta nutre nei confronti di Dio è espresso da due versi fulminanti in cui la supplica si fa assoluta. Paul Claudel nella primavera del 1900, all’età di 32 anni, si era presentato all’abbazia benedettina di Solesmes, e qualche mese più tardi a quella di Ligugé, per un ritiro. Maaveva compreso di non essere fatto per la vita monastica. «Fu un momento molto crudele nella mia vita», scrive a Louis Massignon nove anni dopo. «Benché non sia piaciuto a Dio di farmi uno dei suoi preti, amo profondamente le anime», dirà ad André Gide con cui, insieme a Jacques Rivière, fonderà La Nouvelle Revue française (1909).
Da questo momento Claudel decide di praticare la letteratura come una sorta di sacerdozio. Sente che è questa la sua missione. E per guadagnare le anime a Dio mette in scena le questioni morali e spirituali proprie del cattolicesimo testimoniando i piani divini attraverso le realtà terrestri. A tutt’oggi è riconosciuto come uno dei massimi autori francesi del Novecento e le sue opere teatrali sono ancora rappresentate con successo in tutto il mondo.
Una vocazione unica. Era nato a Villeneuve- sur-Fère il 6 agosto 1868 – giorno della Trasfigurazione, come lui stesso noterà anni più tardi – e alla nascita viene consacrato alla Vergine, come primo maschio. A Villeneuve resta solo due anni, poiché il padre, che era conservatore delle ipoteche, è costretto dal suo lavoro a continui trasferimenti, finché nel 1882, a 13 anni, si trasferisce a Parigi con la madre e le sorelle.
Al liceo Louis Le Grand è un allievo molto brillante: legge Baudelaire, scopre con passione Goethe, ma è verso il poeta Arthur Rimbaud che sente di avere una sorta di « filiazione spirituale », forse perché percepisce nel precoce genio letterario, sotto le apparenze di una vita da maudit, la sua stessa sete bruciante di assoluto. Anche Paul è un ribelle. Tutto gli dà noia. Tutto in quei primi anni giovanili, imbevuto com’è di idee positiviste, gli risulta intollerabile, la morte come la vita, la solitudine come la compagnia. Comincia a cercare delle risposte che sazino la sua fame esistenziale. Simpatizza con il movimento anarchico del suo tempo e inizia a frequentare i Martedì letterari di Mallarmé.
Dai quattordici ai vent’anni vive il tempo difficile della crisi adolescenziale. «Chi sono io?», si chiede il giovanissimo Paul, e non sa trovare risposta. In questo periodo, abbandonate le pratiche religiose dell’infanzia, non ha punti fermi nella sua vita. È introverso e solitario. Nessuno, in famiglia come nella cerchia di amici, sospetta la crisi profonda in cui è immerso. Legge molto, ma confusamente: i romanzi di Hugo, di Zola, La vie de Jésus di Renan. Al liceo Louis Le Grand imperversa la moda del positivismo materialista di Taine e di Renan che invece di placare acuisce la sua inquietudine interiore. Del mondo ha una visione tanto cupa e disperata che non ha il coraggio di comunicare ad anima viva. La prima luce gli viene dalla lettura dei versi di Rimbaud, poi accadrà quello che sarà l’evento decisivo della sua vita.
A diciotto anni, la sera di Natale del 1886, Paul va ad ascoltare i Vespri a Notre- Dame e lì avviene il « giro di boa », una conversione così potente che imprimerà un segno fortissimo non solo alla sua anima, ma finirà per avvolgere e racchiudere tutta la sua esperienza letteraria. Colpito dal canto del Magnificat durante la funzione dei Vespri, avverte il sentimento vivo della presenza di Dio. «In un istante – scrive – il mio cuore fu toccato e io credetti».
Claudel in quell’istante si è sentito chiamato inequivocabilmente alla scrittura. Si può dire che solo ora comincia la sua attività letteraria, che non sarà mai disgiunta dal suo percorso di fede, ma costituirà un tutt’uno con esso, divenendone per questo strumento di conoscenza e di espressione artistica.
Tre anni dopo pubblica l’opera teatrale Testa d’oro. «Certamente – gli dirà Mallarmé – il teatro è in lei». Ma Paul in quegli anni decide di impegnarsi soprattutto nel diritto e nelle scienze politiche; superato un concorso, comincia a lavorare presso il Ministero degli affari esteri. Viene nominato viceconsole e mandato a New York, successivamente a Boston (1893). Lì stabilisce quella che sarà la sua regola di vita: sveglia ogni mattina alle 6 per pregare o recarsi a Messa; lavori personali fino alle 10, il resto del tempo dedicato alla diplomazia.
Scrive due nuove pièces, La città e Lo scambio, in cui esprime la sua scoperta della città e della società del profitto. Sente di aver trovato nel poema e soprattutto nel teatro la sua personale forma espressiva. Il suo stile è impetuoso, passionale, quasi violento, a tratti impenetrabile. Pensiamo per esempio al primo abbozzo del dramma La giovane Violaine che nasce da una antitesi potente, e irrisolta, tra cielo e terra, tra l’attaccamento profondo alle cose del mondo e il desiderio ineludibile di Dio, che nessuna brama terrena, appagata o no, può mai riuscire a saziare.
Un’opera magistrale per il sì di Maria. A 27 anni s’imbarca per la Cina. Su consiglio del suo confessore, porta con sé le due « summe » di Tommaso d’Aquino, che leggerà per cinque anni. Qui scrive la prima parte di Conoscenza dell’Est, la sua prima opera in prosa, che i contemporanei definiscono come il massimo traguardo raggiunto dalla lingua francese. Nel 1909 lascia la Cina per andare a Praga: qui termina L’Annonce faite à Marie, una delle più belle pièces teatrali di tutti i tempi, che sarà rappresentata per la prima volta al Théâtre de l’Oeuvre di Parigi nel 1912, ricevendo un’accoglienza trionfale da un pubblico costituito soprattutto di giovani.
La pièce s’incentra su un tema particolarmente caro a Claudel: ogni essere umano vive nel mondo per volontà di Dio che ha affidato a ciascuno una missione specifica sulla terra. È un compito unico che ciascuno ha per sé, diverso da tutti gli altri, ma che concorre alla fine all’armonia di tutto il creato. Lo stesso titolo dell’opera ne spiega la portata: l’annuncio dell’Angelo a Maria fu il segno concreto della volontà divina che chiamava la giovane a una missione nel mondo che avrebbe non solo sconvolto la sua vita, ma cambiato radicalmente le sorti dell’intera umanità. È stato il manifestarsi, limpido e concreto, di una vocazione. L’Annuncio parte da questo dato per porre in luce l’errore che può compiere l’essere umano di fronte a questo, ritenendo che la propria vocazione dipenda in ultima analisi esclusivamente da se stessi.
Dopo la cessazione dall’attività diplomatica avvenuta nel 1935, Claudel si ritira nel suo castello di Brangues per dedicarsi intensamente all’esplorazione dei segreti e dei misteri di quella che per lui è la fonte di ogni poesia e di ogni grazia, la Bibbia, scrivendo numerosi commenti alla Sacra Scrittura: Introduction au Livre de Ruth (1937), Un poète regarde la croix (1938), Le Cantique des cantiques (1948-1954), L’Apocalypse (1952), solo per citare i più noti. Per il teatro realizza altre pièces, come La crisi meridiana, La scarpina di raso e l’oratorio drammatico Il libro di Cristoforo Colombo. Ma rimane L’Annuncio a Maria l’opera che Claudel amava di più. Quando, nel 1955, venne rappresentata alla Comédie française, si organizzò la replica nel suo appartamento. La prima ebbe luogo il 17 febbraio, di fronte al Presidente della Repubblica. Ma solo cinque giorni più tardi il cuore di Paul Claudel cedette. Morì infatti il 23 febbraio 1955, poco dopo aver ricevuto la Comunione. Le ultime parole che il figlio maggiore intese dalla sua bocca furono: «Non ho paura».

Maria Di Lorenzo

BATTESIMO E PRESENTAZIONE DEL SIGNORE – Risponde padre Edward McNamara

 http://www.zenit.org/article-34950?l=italian

BATTESIMO E PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale

ROMA, Friday, 11 January 2013 (Zenit.org).

Un lettore di lingua inglese ha posto la seguente domanda a padre Edward McNamara: Nella liturgia dopo il Natale, il Battesimo del Signore precede la festa della Presentazione al Tempio. Per quale motivo? — C.T., Johannesburg, Sudafrica
Padre McNamara ha risposto nel modo seguente:
La festa della Presentazione è legata al rito ebraico della purificazione della madre, la quale doveva avvenire secondo la legge di Mosè 40 giorni dopo la nascita di un figlio maschio (Levitico 12,2-6).
Per la legge ebraica, solo la madre aveva bisogno di essere purificata, ma come figlio primogenito Gesù doveva essere riscattato (Esodo 13,11 ss). Per questo motivo, la festa della Presentazione viene dunque celebrata esattamente 40 giorni dopo Natale, ossia il 2 di febbraio.
A fornire le prime notizie riguardanti la celebrazione di questa festività è Egeria, una donna che fece un lungo pellegrinaggio in Terra Santa verso l’anno 390. Anche se non menziona l’uso di candele, Egeria racconta nel suo Itinerarium che la predica fosse ispirata dalle parole di Simeone che definiscono Gesù “luce delle genti” (cfr. Luca 2,25 ss).
Da qui dunque l’usanza di accendere torce e ceri, come chiaramente attestata solo pochi decenni dopo in Egitto (circa 440) e a Roma (tra il 450 e il 457).
Più complessa è la storia della festa del Battesimo del Signore. Le origini della festa dell’Epifania (ἐπιφάνεια in greco significa “manifestazione” o “rivelazione”) sono da cercare tra i cristiani d’Oriente. Vengono celebrate insieme tre manifestazioni della divinità di Cristo: la sua manifestazione ai Magi, il suo battesimo nel Giordano, e le nozze di Cana, con il primo miracolo compiuto da Gesù.
Anche se nel rito romano della celebrazione dell’Epifania la manifestazione di Cristo ai Magi occupa un posto privilegiato, le preghiere della Messa e l’ufficio divino conservano ancora tracce di questo precedente triplice memoriale.
A Roma, probabilmente a causa di influenze bizantine, il battesimo di Nostro Signore, pur non essendo propriamente una festa, è stato commemorato in modo particolare nell’ottava dell’Epifania a partire dal secolo VIII. I principali uffici utilizzano gli stessi salmi del 6 gennaio, ma le antifone fanno riferimento al battesimo di Gesù.
L’ottava dell’Epifania, insieme a molte altre, fu soppressa da papa Giovanni XXIII nel 1960. Ma lo stesso Pontefice decise di dare maggiore importanza alla preesistente memoria del battesimo di Cristo, trasformandolo in una commemorazione speciale del Signore celebrata il 13 gennaio, l’ex ottava dell’Epifania.
La riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II ha fissato la festa del Battesimo del Signore nella domenica dopo l’Epifania, chiudendo in questo modo ufficialmente il periodo natalizio ed inaugurando il tempo ordinario.
Prima della riforma di Giovanni XXIII, il periodo natalizio si concludeva con la Presentazione. Questa festa rimane come una sorta di appendice al Natale, come testimoniano alcune tradizioni popolari, come lasciare il presepe fino al 2 febbraio, come è prassi in piazza San Pietro.
*I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.

FESTA DEL BATTESIMO DI GESÙ – OMELIA

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=27349

FESTA DEL BATTESIMO DI GESÙ

mons. Antonio Riboldi

Vangelo: Lc 3,15-16.21-22  

È bello ogni tanto frugare nei propri ricordi e trovare una memoria che forse oggi è stata cancellata, portandosi via i grandi valori ed i perché che conteneva. Piaceva a mia mamma raccontarmi la storia del mio battesimo. Lei era fermamente convinta che ogni figlio è una grande benedizioni di Dio. Si sentiva prediletta dal Signore per il numero di figli avuti in dono: sette.
Affermava: ‘Se i figli sono un dono, non possono essere considerati come una cosa propria’ quindi, ‘doveva essere Dio a chiamarli per nome, anzi a dar loro un nome’, un perché del dono, in sostanza, una vocazione. Per mamma l’essenziale era la fede. Fin quando un figlio non era battezzato lo considerava ‘un figlio senza nome’, quasi ‘senza Padre’. La sua premura era quindi di battezzarlo subito, non attendere più di qualche giorno.
Nacqui in gennaio, tempo di neve in Brianza. E così, il giorno dopo la mia nascita, presi gli accordi con il parroco, fui battezzato e mi fu dato il nome di Antonio, il santo la cui memoria si celebrava il giorno dopo il mio stesso battesimo. Finalmente mamma era sicura che, oltre ad avere il mio papà, ero ora figlio del Padre. Era come se ripetesse anche per me quello che racconta il Vangelo di oggi: « Una voce dal cielo disse: ‘Ecco il mio figlio diletto’. » Mamma trovò la sua gioia completa quando, battezzato, finalmente potè abbracciarmi non più solo come una creatura ‘qualunque’, figlio di questa terra, ma una creatura ‘che apparteneva al Cielo’.
Chiaro che poi il suo atteggiamento, la sua cura materna, sempre, era di totale rispetto, per cui nella sua ‘scaletta’ di amore e valori, metteva Dio sopra tutto e tutti, avviandoci quotidianamente alla conoscenza e all’amore del Padre. In mille modi poi vigilava che nei nostri comportamenti non venisse mai a mancare la coscienza della nostra dignità di uomo, che è nella nobiltà del cuore e nello sviluppo della nostra intelligenza, ma soprattutto della nostra fede.
Eravamo una famiglia che viveva nella povertà. Papà ebbe un incidente sul lavoro e fu licenziato. Una famiglia povera, quindi, ma dignitosa e soprattutto che viveva nella serenità della fede, che dona la certezza di una Provvidenza paterna che ci segue e sostiene, pur non togliendo le inevitabili difficoltà della vita.
Purtroppo oggi in troppi casi non è più così. Il giorno del battesimo si cerca spesso solo la festa e poi nella vita solo il benessere, e tutto finisce lì. Ed abbiamo così figli che si presentano per la Prima Comunione senza neppure sapere il Padre nostro.
Meditiamo insieme quello che diceva il grande Giovanni XXIII a proposito delle famiglie cristiane. Ne vale la pena per recuperare il grande valore di questo fondamentale Sacramento, su cui si fonda tutto il disegno della nostra esistenza. Quale spettacolo si apre allo sguardo, al contemplare il quadro meraviglioso di innumerevoli famiglie, gelose custodi delle virtù più genuine e schiettamente cristiane: ove il padre è erma e sicura guida, esempio di rettitudine, di laboriosità, di sacrificio; ove la madre, come ape industriosa, compie nel silenzio, sostenuta dalla fiducia in Dio, l’ardua missione di educatrice, di lavoratrice; ove i baldi giovani, resi più semplici e schietti al contatto con la natura, e più preservati dai pericoli, crescono puri e forti, speranza e consolazione dei genitori; ove i piccoli, come virgulti di olivo intorno alla mensa, allietano la casa, portando con sé le benedizioni del Signore. Non è un quadro immaginario, quello che abbiamo tracciato, ma una realtà, grazie a Dio tuttora viva; e di molti di questi esempi Noi medesimi ne siamo testimoni compiaciuti e commossi. »
Il Battesimo è quindi un dare senso vero al dono della vita.
Il Vangelo, oggi ci presenta Gesù che va al Giordano, per essere battezzato da Giovanni.
« In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti, dicendo: ‘Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.’. ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento »..(Lc 3, 15-16,21-22)
Giovanni Battista, in attesa di Gesù, predicava un battesimo di penitenza: l’immergersi nelle acque del Giordano era come un voler morire per rinascere.
Anche Gesù, in quanto uomo, volle essere battezzato da Giovanni.
Oggi, quando battezziamo, normalmente si bagna lievemente il capo del battezzando con l’acqua, ma il significato è lo stesso di quella immersione: è il morire dell’uomo vecchio, per rinascere come figli di Dio. Grandissimo sacramento, che dovrebbe consapevolmente ispirare tutta la nostra vita, in quanto figli del Padre.
Giovanni Battista chiamava tutti ad un cambiamento radicale della vita, in attesa del nuovo che sarebbe iniziato con la venuta e l’opera redentrice di Gesù. Gesù è venuto, ci ha salvati ed ora tocca a noi vivere nella quotidianità il nostro battesimo.
Affermava il cardinal Ballestrero, arcivescovo di Torino, nel Sinodo su ‘Vocazione e missione dei laici nella Chiesa’:
« Punto di partenza per tutti, laici e ministri, è il Battesimo, fonte inesauribile che crea nuovi figli di Dio, nuovi fratelli di Cristo, nuove creature. Con il Battesimo e dal Battesimo nasce e si sviluppa la varietà delle vocazioni, dei ministeri e dei carismi al servizio del Regno di Dio. Dal Battesimo fruiscono le ricchezze mirabili della Chiesa ».
Il Concilio ha parole ancora più solenni, parlando di noi battezzati, che danno l’ampiezza di quanto il Padre disse a suo Figlio: ‘Questi è il mio Figlio, nel quale mi sono compiaciuto’
Afferma: ‘Uno è il popolo eletto di Dio, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, comune a tutti e comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune è la grazia dei figli, comune è la vocazione alla speranza e indivisa carità… Nessuna disuguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa, per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale e al sesso ». (L:G: 32)
Il cardinale poi aggiunge: ‘Molte volte chi si battezza non lo sa e chi lo chiede non è convinto… Come mai è tenuto in così poco conto questo valore da tanti battezzati che forse considerano il Battesimo solo un rito da compiersi, ma non una rigenerazione in Cristo?’.
Come mai, ci possiamo interrogare, non ci si sente addosso la luce dell’essere figli di Dio, che è il più bel vestito che possa coprire la povertà dell’uomo? Come mai non spunta sulle labbra la gioia di dire: ‘Io sono battezzato’, ossia uno che Dio ha voluto come figlio ed ama come solo un Padre sa amare?
Credo proprio che la Festività del Battesimo di Gesù, debba oggi risvegliare la nostra coscienza e ravvivare la gioia di essere divenuti figli del Padre, che appartengono al Suo Regno. Gesù ci aiuti allora a riscoprire la bellezza della nostra vera natura di figli, per viverla intensamente, sempre, in ogni pensiero, gesto e scelta della nostra vita.

6 GENNAIO: EPIFANIA DEL SIGNORE (s) – UFFICIO DELLE LETTURE

http://www.maranatha.it/Ore/nat/0106letPage.htm

6 GENNAIO: EPIFANIA DEL SIGNORE (s)

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaia 60, 1-22

Il Signore manifesta la sua gloria sopra Gerusalemme
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra,
nebbia fitta avvolge le nazioni;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno i popoli alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
A quella vista sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te,
verranno a te i beni dei popoli.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Madian e di Efa,
tutti verranno da Saba,
portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Tutti i greggi di Kedar si raduneranno da te,
i montoni dei Nabatei saranno a tuo servizio,
saliranno come offerta gradita sul mio altare;
renderò splendido il tempio della mia gloria.
Chi sono quelle che volano come nubi
e come colombe verso le loro colombaie?
Sono navi che si radunano per me,
le navi di Tarsis in prima fila,
per portare i tuoi figli da lontano,
con argento e oro,
per il nome del Signore tuo Dio,
per il Santo di Israele che ti onora.
Stranieri ricostruiranno le tue mura,
i loro re saranno al tuo servizio,
perché nella mia ira ti ho colpito,
ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te.
Le tue porte saranno sempre aperte,
non si chiuderanno né di giorno né di notte,
per lasciar introdurre da te le ricchezze dei popoli
e i loro re che faranno da guida.
Perché il popolo e il regno
che non vorranno servirti periranno
e le nazioni saranno tutte sterminate.
La gloria del Libano verrà a te,
cipressi, olmi e abeti insieme,
per abbellire il luogo del mio santuario,
per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi.
Verranno a te in atteggiamento umile
i figli dei tuoi oppressori;
ti si getteranno proni alle piante dei piedi
quanti ti disprezzavano.
Ti chiameranno Città del Signore,
Sion del Santo di Israele.
Dopo essere stata derelitta,
odiata, senza che alcuno passasse da te,
io farò di te l’orgoglio dei secoli,
la gioia di tutte le generazioni.
Tu succhierai il latte dei popoli,
succhierai le ricchezze dei re.
Saprai che io sono il Signore tuo salvatore
e tuo redentore, io il Forte di Giacobbe.
Farò venire oro anziché bronzo,
farò venire argento anziché ferro,
bronzo anziché legno,
ferro anziché pietre.
Costituirò tuo sovrano la pace,
tuo governatore la giustizia.
Non si sentirà più parlare di prepotenza nel tuo paese,
di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini.
Tu chiamerai salvezza le tue mura
e gloria le tue porte.
Il sole non sarà più
la tua luce di giorno,
né ti illuminerà più
il chiarore della luna.
Ma il Signore sarà per te luce eterna,
il tuo Dio sarà il tuo splendore.
Il tuo sole non tramonterà più
né la tua luna si dileguerà,
perché il Signore sarà per te luce eterna;
saranno finiti i giorni del tuo lutto.
Il tuo popolo sarà tutto di giusti,
per sempre avranno in possesso la terra,
germogli delle piantagioni del Signore,
lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria.
Il piccolo diventerà un migliaio,
il minimo un immenso popolo;
io sono il Signore:
a suo tempo, farò ciò speditamente.

Responsorio   Is 60, 1. 3
R. Alzati, vestiti di luce, Gerusalemme, perché viene colui che t’illumina: * sopra di te brilla la gloria del Signore.
V. Alla tua luce cammineranno i popoli, i re allo splendore che ti irradia:
R. sopra di te brilla la gloria del Signore.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 3 per l’Epifania, 1-3. 5; Pl 54, 240-244)

Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza
La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l’Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L’aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l’un l’altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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Epifania del Signore (06/01/2013), Omelia: Impresa costruzioni stradali a Betlemme

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=27307

Impresa costruzioni stradali a Betlemme

don Marco Pozza 

Epifania del Signore (06/01/2013)

Vangelo: Mt 2,1-12  

Come costruttori di strade. Così giaceranno nella nostra memoria quei tre uomini profumati d’Oriente e di sapienza. Sono gli ultimi a fare capolino nel presepio e, subito dopo, se ne allontanano con la stessa leggerezza e rapidità, lasciando come gesto d’altissima eredità quei piccoli gesti di una sapienza che diventa ricerca e di una ricerca che non manca di sapienza. Quella notte hanno sentito il cuore vibrare e si sono scomodati, agganciando una stella al bramire dei loro cammelli accomodati nelle stalle d’oltre Oriente: « Dov’è il Re dei Giudei? ». Disturbati magari nell’attimo esatto in cui erano riusciti a decifrare le costellazioni, hanno accantonato scienza e sapienza e sono partiti alla volta di Betlemme, barattando la sicurezza delle abitudini con l’ingenuità fanciullesca di un viaggio, fedeli al primo dovere dell’uomo ch’è da millenni quello della speranza. Nelle loro stanze d’Oriente ci si fidava dell’astrologia e ci s’inchinava di fronte alla divinità; ma pur fedeli a Zoroastro e teorici dei calcoli dei Caldei, alla vista di quella stella non capirono più nulla. Un Battito d’insopportabile gaudio accese i loro passi; disturbati nel sogno da voci angeliche – microfoni fidati per anime vaganti alla ricerca del Vero – seppero come pochi altri trafficare la ricchezza senza prendersi gioco della dottrina, fino a strappare qualche rigo dentro l’immensità luminosa dei Vangeli. Quei tre sono uomini piantati nel tempo, ma lesti a fiutare quell’inedita novità di cui raccontava quella stella. S’imbatteranno nell’inganno di Erode – « Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo » -, faranno i conti con il velarsi di quella stella, s’inginocchieranno e, alzatisi, sperimenteranno che nulla più è come prima. « E prostratisi lo adorarono » (Mt 2,11): adorarono il Bambino: e quella rimase la lezione magistrale della loro carriera di dottori. Non un Re, non un Crocifisso perdonante, non un Risorto: semplicemente un bambino, il quasi niente. E si prostrano, si fanno piccoli davanti all’infinitamente piccolo, davanti ad una scena già vista innumerevoli volte in tante case. Proprio a Betlemme, la « casa del pane »: anche Dio ora sa di pane. E pur ammantati di titoli e onori, avvertono che l’essenza del cristianesimo non risiede nell’originalità di una dottrina ma nella persona di un Dio fatto uomo in Gesù. Non nella sublimità della parola, non nell’altezza della spiritualità neppure nell’audacia dell’impegno per gli altri. Ma nella divinità di Gesù: il tutto di Dio.
I Magi. E pure noi, cercatori come loro della carne di Dio, d’ora innanzi la cercheremo là dove abita: « vederti splendere negli occhi di un bimbo / e poi incontrarti nell’ultimo povero; / vederti piangere le lacrime nostre, / oppur sorridere come nessuno » (D. M. Turoldo). Aprono i loro scrigni e offrono oro, incenso e mirra: non c’è adorazione senza regalo. Oro, incenso e mirra portano i misteriosi lettori di stelle; e non fiori, giocattoli o dolciumi. L’oro della nostra obbedienza, l’incenso della nostra adorazione, la mirra delle angosce e delle delusioni. Il prezioso, il sublime, l’austero; il nobile, il divino, il tragico: in quel bambino c’è tutto questo. S’inginocchiano, per poi rincasare.
I magi scompaiono nei gorghi dell’Oriente ma non si smarriscono, perché ormai portano una stella in fondo al cuore. La fede è un incontro che cambia la vita e ci rende capaci di sostenere il confronto con ogni opposizione: saputo di Erode, per un’altra via fecero ritorno alle loro case (Mt 2,12). Chi ha incontrato il Signore scopre che la sua vita prende una nuova direzione, che il ritorno a casa – che altro non è che un ritorno al centro di se stessi – avviene per una strada nuova, attraverso la sorpresa di gesti inattesi e di parole impensate. I gesti di quel Bambino appena sarà svezzato: uomo delle strade e amico dei pubblicani, i suoi anni nascosti e i suoi gesti pubblici, le sue mani sui malati e i suoi occhi negli occhi dei re, i suoi piedi e la polvere delle strade di Palestina, e poi il nardo che scende, il sangue che cola.
Perché Cristo è un incontro che cambia la vita. E apre una strada inedita: in barba all’arroganza di Erode e della sua discendenza nei secoli a venire.

PAPA BENEDETTO: SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE – 2010 ANNO C

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100106_epifania_it.html

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Martedì, 6 gennaio 2010

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, Solennità dell’Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l’intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, pongono l’una accanto all’altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.
Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell’accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall’Oriente che vanno a farGli visita. Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l’episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E’, quindi, comprensibile che il cuore e l’anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell’evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.

In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l’evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall’Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo. In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l’esperienza stessa dei Magi.
Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l’oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell’amore che solo può trasformare il mondo.
Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l’hanno accolta Sant’Agostino ricorda: “Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti” (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).
Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s’irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell’amore, che trasfigura il mondo. Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant’Agostino: “è successo loro  come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili” (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).
Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.
Alla fine, quello che manca è l’umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!

Omelia: 1 gennaio 2013 – Maria SS. Madre di Dio

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/02-Natale-2012/Omelie/03-Maria-Madre-di-Dio-C-2013-MM.html

1 gennaio 2013 – Maria SS.  Madre di Dio

Per grazia di Dio abbiamo iniziato il nuovo anno. Vogliamo porre questo nuovo momento storico della nostra esistenza sotto il segno della benedizione divina, invocando l’intercessione di Maria SS. Madre di Dio, invocando la pace che è dono del Signore e frutto dell’impegno nostro.

« Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace »; è una benedizione solenne da parte di Dio: Dio bene-dice, e la benedizione del Signore è efficace, produce quello che annunzia.
Il volto luminoso di Dio indica la sua benevolenza, la sua misericordia, il suo sorriso che è luce.
La portata della benedizione divina è tutta compendiata nell’ultima espressione: « e ti conceda pace ». La pace, nella Bibbia, è la pienezza dei doni del Signore, è il manifestarsi della presenza tra gli uomini del Dio che salva.

In questo contesto noi celebriamo oggi la Giornata Mondiale della Pace, voluta 46 anni fa dal Papa Paolo VI.
Nel suo messaggio, il Papa Benedetto XVI, ci rivolge queste parole:
« I nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.
Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.
E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.
Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).
La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. … La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare .
La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile ».
S. Paolo nella lettera ai Galati ci ricorda: « Dio mandò suo Figlio, nato da donna ». La benedizione di Dio, il volto luminoso di Dio, la pace, hanno un solo nome: Gesù, Figlio di Dio divenuto figlio di Maria, vero uomo come noi, e vero Dio come il Padre; Egli è la nostra Pace.
Con la sua presenza tutta la storia, anche la « nostra storia » diventa « storia di salvezza ». Il nome di Gesù significa proprio: « Il Signore salva ».
Portatrice di questa benedizione è Maria, la Madre del Salvatore. Dio entra nel tempo nascendo da una donna; e questa donna è « Madre di Dio », perché non è solo madre di un corpo, ma è madre di una persona, della Seconda Persona della Trinità, il Figlio di Dio fatto uomo in lei.
Maria continua ad esercitare la sua maternità a favore di tutta l’umanità: Ella desidera generare Cristo nel cuore di ogni uomo. Se accogliamo Gesù nella nostra vita, diveniamo anche noi figli di Dio; la divina maternità di Maria si dilata così in senso universale.
« Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore »; il brano del Vangelo ci descrive lo stato d’animo di Maria di fronte agli avvenimenti che la coinvolgono. Maria è la donna del silenzio e dell’ascolto, della contemplazione e dello stupore, della ricerca e dell’accoglienza: Madre di Dio ha accolto il Figlio nel suo grembo e nel suo cuore, nel silenzio e nell’amore. Maria conserva in sé tutte queste cose; conserva gli eventi di luce e di speranza, di povertà e di buio, di rifiuto e di adorazione; conserva nel suo animo adorante la presenza amorosa del Signore. Conserva e mette insieme, compone in unità i molteplici frammenti di un mosaico che si completerà sul calvario ai piedi della Croce.
Noi abbiamo bisogno di imparare da Maria il silenzio, l’ascolto della Parola e dei fratelli, la meditazione amorosa degli eventi della storia, l’accoglienza della presenza del Signore nel nostro cuore, la capacità e la volontà di realizzare nel nostro ambiente la giustizia e la pace.
Ci accompagni la benedizione del Signore con la sua pace, ed interceda ogni giorno per noi Maria, la Vergine Madre che ci ha donato Gesù, Principe della pace ed il nostro augurio per il Nuovo Anno si realizzerà.

E gli angeli magnificano il tuo amore per noi (di Manuel Nin) (O.R.)

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2012/114q01b1.html

L’Ascensione del Signore nella tradizione bizantina

L’Osservatore Romano 17 maggio 2012)

E gli angeli magnificano il tuo amore per noi

di MANUEL NIN

L’Ascensione del Signore si celebra il quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione, cioè il giovedì della sesta settimana di Pasqua. L’icona è anche quella della sua seconda venuta. L’immagine è divisa in due parti ben distinte. Nella superiore si vede Cristo su un trono, ascendente e immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. In quella inferiore l’icona colloca la Madre di Dio in mezzo ai discepoli, tra cui Pietro a destra e Paolo a sinistra, e due angeli in bianche vesti.
Cristo presiede la Chiesa formata dagli apostoli e la sua preghiera dall’Ascensione fino al suo ritorno. Nell’icona questo è molto evidente, e l’atteggiamento di Maria è sempre lo stesso: la preghiera. Lei non guarda in alto, ma di fronte: per ricordare alla Chiesa la necessità della veglia, dell’attesa, della preghiera. Ma l’icona è anche immagine della Chiesa nata dalla croce di Cristo, suggerita dal disegno della croce formata dall’asse verticale che va da Cristo a Maria e dall’asse orizzontale che separa gli angeli dagli apostoli: rappresentazione della Chiesa che vive nella preghiera e della testimonianza degli apostoli mentre è nell’attesa del ritorno del suo Signore.
I testi dell’ufficiatura sottolineano come il Signore, ascendendo in cielo esalta l’umanità: « Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l’hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo le celesti schiere degli incorporei, sbigottite per il prodigio, estatiche stupivano e, prese da tremore, magnificavano il tuo amore per gli uomini ».
L’Ascensione del Signore nei testi liturgici della festa è sempre pegno della sua promessa e della missione dello Spirito Santo: « Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall’eternità, nel suo seno dimora. Signore, quando gli apostoli ti videro sollevarti sulle nubi, gemendo nel pianto, pieni di tristezza, o Cristo datore di vita, tra i lamenti dicevano: O Sovrano, non lasciare orfani i tuoi servi che tu, pietoso, hai amato nella tua tenera compassione: mandaci, come hai promesso, lo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre ».
Tutta l’economia della nostra salvezza, il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, è riassunto in un tropario del vespro, che lo presenta con l’immagine della povertà assunta dal Signore nel suo farsi uomo: « Signore, compiuto il mistero della tua economia, hai preso con te i tuoi discepoli e sei salito sul Monte degli Ulivi: ed ecco, te ne sei andato oltre il firmamento del cielo. O tu che per me come me ti sei fatto povero, e sei asceso là, da dove mai ti eri allontanato, manda il tuo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre ».
Un altro tropario del vespro si serve del salmo 23, come nella notte di Pasqua: « Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l’un l’altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria. Ma perché sono rossi i suoi vestiti? Viene da Bosor, cioè dalla carne. E tu, dopo esserti assiso in quanto Dio alla destra della Maestà, ci hai inviato lo Spirito Santo per guidare e salvare le anime nostre ».
Ascensione del Signore e sua seconda venuta. Diversi testi del mattutino sottolineano questo doppio aspetto: « Uccisa la morte con la tua morte, o Signore, hai preso con te quelli che amavi, sei salito al santo Monte degli Ulivi, e di là sei asceso al tuo Genitore, o Cristo, portato da una nube. Agli apostoli che continuavano a guardare dissero gli angeli: Uomini di Galilea, perché restate sbigottiti per l’ascensione del Cristo, datore di vita? Così egli stesso verrà di nuovo sulla terra per giudicare tutto il mondo, quale giustissimo giudice ».

Custodia di Terra Santa – Omelia per la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce (2008)

http://it.custodia.org/default.asp?id=2761&id_n=8369

Omelia di Fra Artemio Vìtores per la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce

14 settembre 2008

Fratelli e sorelle:

Celebriamo oggi la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. La sua origine è la solennità liturgica con la quale il 14 settembre del 335 furono inaugurati a Gerusalemme i grandiosi edifici sacri fatti costruire dall’Imperatore Costantino nei luoghi stessi del Calvario e del Sepolcro glorioso di Cristo. Questa festa celebrata sempre con grande solennità e con numerose manifestazioni di gioia, sostituiva nella mente cristiana la festa ebraica dei Tabernacoli, che si celebra appunto in questa epoca. Molti degli elementi di questa festa ebraica sono passati alla liturgia cristiana della Dedicazione della Chiesa. Questa era la festa della Dedicazione della Chiesa per eccellenza: la Basilica del Santo Sepolcro. I testi biblici che abbiamo ascoltato ci parlano del valore salvifico della Croce. Gesù, per la sua umiliazione fino alla morte e alla morte di croce, è stato esaltato fino al diventare il Signore del cielo e della terra. Tutti coloro che guardano e seguono la Croce di Cristo saranno guariti e avranno la vita eterna.

La croce, centro della nostra fede
Oggi celebriamo festa dell’Esaltazione della Santa Croce; tutti i giorni orniamo la croce, la baciamo, la portiamo al collo, la esaltiamo… Noi cristiani, siamo matti? Lo aveva annunciato Paolo: la croce è “scandalo per i giudei e stoltezza per i greci”. Il “Vangelo della Croce” era, e continua ad essere, un assurdo totale per il mondo (cf. 1Cor 1,18-25). E, tuttavia, noi celebriamo la festa della croce di Cristo, cantiamo il “Vexilla Regis”. Lo stesso Padre nostro San Francesco, diceva a chi lo vedeva piangere: “Piango la Passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo” (Leggenda dei Tre Compagni, V,14: FF 1413). Perché questo? Perché per noi la croce di Gesù è il centro e il fondamento della nostra fede, perché Cristo è morto per il nostro amore e per la nostra salvezza. Cristo, dice Paolo, “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me » (Gal 2,20). Cristo è morto perché noi abbiamo la vita: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (GV 3,16). “Per riscattare lo schiavo – cantiamo nell’Exultet, nel Annuncio Pasquale, – hai consegnato il Figlio”.

Gesù regna dalla Croce
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32), giacché con la sua morte Gesù ha iniziato a “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). Cristo, nel Calvario, fu crocifisso per la salvezza di tutti, per la tua salvezza, per la mia salvezza, e questa è la sua gloria, il suo trionfo: è stato crocifisso come uomo, è stato glorificato come Dio”, diceva San Gerolamo. E’ quello che dicono le parole scritte in greco sull’altare della Crocifissione: “hai realizzato la salvezza dal centro della terra” (Sal 44,12), giacché dalla croce ha riunito a tutte le nazioni (cf. Gv 12,32). Il Golgota è quindi così importante che ancora oggi, come succedeva nel passato, il sacerdote incaricato di custodire il Luogo Santo del Calvario viene chiamato “Presbitero del Golgota” oppure “Custode della Croce”. La Croce ci fa conoscere Dio: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), giacché la croce è la rivelazione più evidente dell’amore di Dio. E così si capiscono le parole che cantiamo il Venerdì Santo: “Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo” (“Ecce lingum crucis…”).

Onorare il Crocifisso
Sulla Croce del Calvario non c’è un malfattore, ma “Gesù il Nazareno, il Re dei giudei” (Gv 19,19). Pilato, senza volerlo, proclama la regalità di Cristo. Egli è il Re del mondo. “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12,23), diceva Gesù. E oggi tutti i cristiani adoriamo il legno santo, il legno della croce dove è stato appeso il Figlio di Dio. “Vexilla Regis prodeunt”, canteremo, “le insigne del Re avanzano”; diremmo ancora: “l’albero decorato e radiante, ornato con la porpora reale”, cioè il sangue prezioso di Cristo. Ripetiamo le parole che San Cirillo di Gerusalemme diceva ai suoi ascoltatori, precisamente qui: “Non ci vergogniamo di confessare la nostra fede nel Crocifisso”. Facciamo sempre il segno della croce. “è un gran mezzo di difesa”. Perché il Re crocifisso qui, sul Calvario, è il nostro Re, diceva Sant’Agostino; “Al suo trono vengono gli uomini di tutte le classi e stati. A Lui vengono i poveri e i ricchi, analfabete e saggi, uomini e donne, signori e servi, adulti e bambini, A lui vengo giudei e greci, romani e barbari. Egli non dominò il mondo con il ferro, ma con il legno della croce”. Perciò, continua San Cirillo di Gerusalemme: celebriamo “la vittoria che il Signore ha riportato qui, soprattutto in questo Santo Golgota, che noi vediamo e tocchiamo con la mano… Non ti vergognare di confessare la Croce…perché la Croce non è causa infamia ma coronata di Gloria”. Non nascondere la croce, giacché, continua il Santo, “colui che è stato crocifisso è adesso sopra in cielo! Forse ci potevamo vergognare se, una volta crocifisso e posto nel sepolcro, fosse rimasto rinchiuso in esso; ma Egli, dopo essere stato crocifisso qui, sul Golgota, è salito al cielo”.

“Salve, o Croce, unica nostra speranza”
Soltanto così cominceremo a capire che croce eretta sul Calvario non è l’annuncio di un fallimento, di una vita di sofferenza e di morte, ma essa è un messaggio trionfale di vita. E potremo dire con Paolo: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14), perché “tutto posso in colui che mi da la forza” (Fil 4,13). Cantiamo: “Rifulge il mistero della croce” (“Fulget crucis mysterium!”). E con più forza: “Salve, o Croce, unica nostra speranza”.

Gesù, crocifisso, modello del discepolo
“Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”, dice Gesù (Mt 10,38). Ci chiede che gli imitiamo, che lo seguiamo, prendendo ogni giorno la nostra croce. In questo possiamo gloriarci, diceva Francesco, se portiamo “alle nostre spalle ogni giorno la santa croce del nostro Signore Gesù Cristo”, giacché, dice Pietro, “Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1Pt 2,21). Sappiamo che non è facile essere cristiano. Lo aveva predetto Gesù stesso: “Voi avrete tribolazioni nel mondo” (Gv 16,33), giacché “se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18). Ma siate sicuri: “chi perde la sua vita” “la salverà” (cf. Mc 7,35). Non dobbiamo avere paura delle opposizioni, delle persecuzioni, di niente. Lo ha detto Gesù a ciascuno di noi: “abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Arriveremo alla santità, dice il Concilio, se seguiamo “Cristo povero, umile e caricato con la croce, per meritare la partecipazione alla sua gloria” (LG 41).

Scendere dal Golgota al mondo
Oggi, qui, sul Golgota, abbiamo capito il valore della morte di Cristo in Croce: il suo amore crocifisso è stato la nostra salvezza. Non è il momento di mettersi a ridere di Gesù, come quelli personaggi del Vangelo, che gridavano: “scenda adesso dalla croce, perché vediamo e crediamo” (Mc 15, 32). Noi non possiamo fare altro che, in ginocchio, ripetere le parole di San Francesco: “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo,… e ti benediciamo, perché per la tua Santa Croce hai redento il mondo”. Amen. Ed esclamare col Centurione: “Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). E dopo, bisogna ritornare al mondo partendo da questo Calvario. Nel 1207, Francesco, – racconta San Bonaventura -, nella Chiesetta di San Damiano, “pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere di una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con le orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: “Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!” (FF 1038). Si trattava della Chiesa che “Cristo acquistò col suo sangue”, dice il testo. E così Francesco, “munendosi col segno della croce”, incominciò la sua missione. Egli poté ripetere con Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Così hanno fatto i cristiani; così hanno fatto i francescani quando, arrivati in Terra Santa, hanno visto che non c’erano Santuari, non c’erano cristiani e non c’erano le campane del Santo Sepolcro: la Chiesa di Terra Santa era completamente in rovina! Tutti hanno avuto davanti ai loro occhi, come noi, Maria, la Madonna Addolorata. La Madre stava qui, presso la Croce. Non è arrivata al Calvario per caso, ma ha percorso, passo a passo, il cammino del suo Figlio. E adesso è qui, come Madre e discepola. La Madre di Gesù e la Madre di tutti i suoi discepoli è sempre al nostro servizio.

Fra Artemio Vitores
Vicario custodiale

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