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EPIFANIA DEL SIGNORE (06/01/2015): RIVESTIAMOCI DELLA LUCE DI CRISTO

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RIVESTIAMOCI DELLA LUCE DI CRISTO

PADRE ANTONIO RUNGI

EPIFANIA DEL SIGNORE (06/01/2015)

La solennità dell’Epifania, della manifestazione di Cristo a tutta l’umanità quale unico redentore e salvatore, ci invita a rialzarci, a rivestirci di luce, ad abbandonare tutte le tenebre, di qualsiasi genere, che possono oscurare il cuore e la mente di ogni persona e del genere umano. Infatti sono tantissime le tenebre che avvolgono questo mondo, in questo nostro tempo segnato da tanti avvenimenti negativi, frutto dell’oscurità più totale che si è affermata nella mente dell’uomo moderno. Fare spazio alla luce, al positivo, alla gioia significa fare spazio a Gesù Cristo, come i re Magi, questi scienziati del tempo di Cristo, questi intellettuali e saggi che, mossi dalla curiosità della stella cometa, si incamminano per « vedere » fino a che punto quel punto di luce acceso nell’universo avesse portato il sapere umano. Ebbene il punto dove si ferma questa stella nuova ed inattesa, inaspettata, fu la grotta di Betlemme, ai piedi di Gesù bambino, la novità assoluta di allora e di sempre, perché Cristo fa nuove tutte le cose, in ogni tempo ed in ogni epoca.
Il tema della luce, che è poi nella sacra scrittura segno ed espressione della fede, accompagna la liturgia di questa bellissima solennità che concluede tutte le feste. Se è vero che dopo l’Epifania si riprendono i ritmi soliti della vita quotidiana, almeno nel nostro Paese, è pur vero che da domani in poi la vera festa del cuore, dell’anima, della vita interiore non va via, permane, anzi accresce ed aumenta in consistenza in quanto i frutti spirituali di questo periodo di Natale che abbiamo vissuto si vedono a distanza. Dalle tante celebrazioni, a partire dalla messa di mezzanotte di Natale, alla festa della Santa Famiglia, al Te Deum di ringraziamento di fine anno, alla celebrazione della solennità della Madre di Dio, nel primo giorno del nuovo anno, e agli altri momenti di festa e celebrazioni varie, è stato un inno continuo alla luce che viene dal cielo e rischiara le tenebre della nostra mente e della nostra storia, in quanto a noi viene la Luce stessa che è Gesù.
Questa luce attesa da secoli è preannunciata dai profeti ed ha una particolarità tutta sua che Isaia, nel testo della prima lettura di oggi, ce ne far godere gli effetti e i riflessioni sul nostro modo di pensare e di agire. E’ la cavalcata dei Re Magi verso Betlemme, già anticipata dal grande profeta dell’era messianica. Egli guarda lontano e vede sorgere questa luce, che diraderà le tenebre e metterà ordine nel cose di questo mondo, tutto prenderà un nuovo indirizzo, in quanto viene la luce del Signore e la gloria di Dio risplenderà su questo mondo. Tutti i popoli della terra, se si faranno guidare da questa stella, da questa luce, potranno essere sereni e tranquilli e vivere in pace e prosperità, ad assaporare la gioia della salvezza, che Cristo viene a portare all’umanità intera.
In poche espressioni è san Paolo Apostolo nel brano della sua lettera agli Efesini che ci fa comprendere esattamente il senso della celebrazione odierna: « che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo ». Nessuno, quindi, è escluso dal piano della salvezza del genere umano che Gesù Cristo porta a compimento nel mistero della sua morte e risurrezione, che l’Epifania ci anticipa nei suoi aspetti liturgici, al punto tale che in questa giornata si legge l’Annuncio della Pasqua, per indicare il punto di partenza e di arrivo di ogni valida azione liturgica e di ogni festa cristiana.
Cercare Gesù, incontrare Gesù, annunciare Gesù questa è la gioia più grande di ogni autentico cristiano. I tre santi magi che incontrano Gesù, dopo aver scrutato il cielo per tanti anni, lo fanno non nella stella cometa che pure compare nel firmamento del cielo, ma lo incontrano sulla terra. Quasi a dire che quel Gesù che era in cielo, è disceso sulla terra, poi ha vissuto qui, ha sofferto qui, è morto qui, condannato al patibolo per mani assassine, ma è risorto qui, per poi ascendere da dove era disceso ed andarci a preparare un posto, perché dove è Lui saremo anche noi membra del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, nella quale siamo entrati a far parte mediante il meraviglioso dono e sacramento del Battesimo. Come i santi re magi che incontrano Gesù dobbiamo gioire sinceramente nel profondo del cuore e dobbiamo essere sempre persone di gioia. Chi non incontra Gesù vive nella tristezza perenne, come ha vissuto Erode che è morto disperato perché ha cercato, inutilmente, di uccidere la speranza e la vita dell’umanità che era e che è Gesù Cristo. Anche oggi queste figure e personaggi pericolosi esistono su tutto il globo terrestre, capaci di azzerare nel cuore di intere nazioni la gioia e la speranza di vivere, perché criminali nella mente, nel cuore e nell’azione. Ecco perché i magi, una volta incontrato Cristo, la luce, la pace, la fede, non rincontreranno Erode, lo evitano deliberatamente, perché hanno trovato quello che cercavano, la vera scienza e sapienza incarnata.
L’esempio dei Magi possa costituire per tutti noi, cristiani del XXI secolo, che da pochi giorni hanno iniziato il loro cammino nel nuovo anno, un forte richiamo a cercare sempre la luce e la verità, ad essere dalla parte dell’amore e non dell’odio, dalla parte di Dio e non di senza Dio e degli oppositori di Dio. La fede vera ci deve spronare a cercare quella luce della mente, del cuore e dell’agire che ci porta costantemente ad essere testimoni e messaggeri di Cristo nel nostro tempo, con tutte i suoi pregi e i suoi limiti.
Sia questa la preghiera per l’Epifania 2015 che ho composto per la circostanza e che vi invito a recitarla in questo giorno santo, ricco di significati religiosi, spirituali, umani e sociali:
Prostrati davanti a Te Gesù Bambino,
come i Re Magi venuti dall’Oriente,
noi oggi ti ringraziamo per averci scelti,
prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati nella carità.
Ti ringraziamo di tutto l’amore
che porti all’umanità, della misericordia
che effondi su di noi abbondantemente
in ogni momento della nostra esistenza.
Non siamo degni di così grande amore,
che dalla Grotta di Betlemme
giunge fino al sepolcro vuoto del Calvario
nel giorno solenne della tua Pasqua
di morte e risurrezione.
Dona, Signore, ai nostri giorni
la fede necessaria per affrontare
le tempeste dell’esistenza,
per risorgere continuamente in Te,
che sei la grazia e la gioia in eterno.
Manda noi, quali tuoi messaggeri di speranza,
fino agli estremi confini del mondo,
dove più dura si fa la lotta
per la sopravvivenza umana,
e dove più forte
è il dolore sul volto di ogni uomo.
Fa’ che tutta la nostra vita
sia un sorriso continuo,
per portare la gioia ai tanti bambini
offesi ed umiliati dalla vita,
alle madri che subiscono
umiliazioni di ogni tipo,
alle donne che continuano
a disprezzare la loro vita,
agli uomini che continuano ad uccidere
perché senza Dio
o in nome di un falso Dio.
Fa’, o Signore, che la luce
del Vangelo della gioia,
che inizia nella Grotta,
alla presenza dei pastori
e dei sapienti del tuo tempo,
possa raggiungere il cuore
e la mente di ogni fratello
e sorella della terra,
e trasformare la loro esistenza
in una lode perenne,
a Te, che sei la Gioia Eterna.
Amen.

MARIA, MADRE DI DIO, (THEOTOKOS) NELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA ORTODOSSA

http://www.ortodoxia.it/Madre%20di%20Dio%20nella%20tradizione%20della%20Chiesa%20Ortodossa.htm

MARIA, MADRE DI DIO, (THEOTOKOS)

nella tradizione della Chiesa Ortodossa

S.Em.za Rev.ma il Metropolita Gennadios,
Arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta

In questa meditazione, carissimi fratelli, ”Maria, Madre di Dio, (Theotokos) nella tradizione della Chiesa Ortodossa”, non è possibile affrontare l’argomento, in poco tempo, un tema, senza dubbio importantissimo per la cristianità, in tutta la sua vastità e conseguente complessità, ma senz’altro cercherò di affermare la grande verità che la Chiesa Ortodossa proclama, cosa che viene dimostrata dalla prassi della sua spiritualità liturgica che è in verità l’interpretazione dello spirito e della dottrina dei suoi Santi Padri.
Il suo grande inneggiatore Giovanni Damasceno esclama: “Veramente, Maria è superiore a tutta la creazione”.
Questa profonda devozione per Maria è certamente diversa dall’adorazione data soltanto alla Santissima Trinità.
Epifanio risponde meravigliosamente:”per Maria dobbiamo dare devozione, per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: adorazione”.
In questo momento, ricordo un inno meraviglioso che canta la Chiesa Ortodossa durante il solenne mattutino del 15 agosto: “nella sua persona, Maria,Vergine Immacolata,si sono sconfitte le norme della natura:….Vergine dopo il parto,e viva dopo la morte”.
È verità indiscutibile la Liturgia Ortodossa, non è avara di elogi verso la “THEOTOKOS”; ne canta l’eccezionale ruolo nell’economia della salvezza.
Maria, novella Eva, è “all’origine d’una nuova progenie di uomini, comunicanti alla vita di Dio”.
Con inni, che elevano l’anima del fedele vicino al nostro Signore e Creatore dell’umanità, canta la Chiesa Ortodossa anche la glorificazione corporale di cui la Theotokos fu oggetto dopo la sua morte.
In essa “vede lo scopo e il compimento di tutta la creazione, pronta, finalmente, a ricevere il Salvatore.
Maria è la “Madre di Dio” la Theotokos; è colei che,in nome di tutta la nostra stirpe, ha accolto il Dio liberatore”.
Di grande importanza è il cosiddetto inno Akathistos, il quale è glorificazione della Madre di Dio e riassume tutta la Teologia Mariana centrata sul mistero.
San Giovanni Damasceno nel suo libro,”OKTOICHOS”, oggi usato nelle funzioni dei Vesperi e dei Mattutini,scrive così per la Madonna: “Cantiamo, fedeli, la gloria dell’universo. La porta del cielo, la Vergine Maria, il Fiore della stirpe umana e la madre di Dio, colei che è il cielo e il tempio della divinità, colei che ha atterrato le barriere del peccato, che è la conferma della nostra fede.
Il Signore che da lei è nato, combatte per noi. Sii pieno di forza e coraggio,o popolo di Dio,perché Egli, l’Onnipotente, ha vinto i nemici”.
Questo importantissimo pensiero del grande teologo della Chiesa Indivisa San Giovanni Damasceno si immerge in un clima di azione di grazia.
In occasione della grande festa dell’Esaltazione della Croce, la chiesa Ortodossa, con esultanza canta: “Tu sei Madre di Dio, il paradiso mistico, in cui Cristo è germogliato spontaneamente; per Lui è stato piantato nel mondo l’albero vivificante della Croce”.
La Teologia, la Liturgia, l’Eortologia, l’Innografia e l’Iconografia, camminano insieme e possiamo dire quasi sempre, che l’una evidenzia l’altra in modo che un punto oscuro da una parte trova la risposta Ortodossa, la chiarezza e la precisione come dicono i Padri orientali, in un’altra.
Ascoltiamo sant’Ignazio riguardo a Maria: “Uno solo è il medico del corpo e dello Spirito, generato e ingerito, Dio manifestatosi in carne, vita vera nella morte, da Maria e da Dio, prima passibile e poi impassibile, Gesù Cristo il Signore nostro”.
Nel periodo pre-Niceno, la Mariologia in Oriente Ortodosso, si può ricapitolare in tre punti:
1°) La maternità Divina, 2°) La perpetua verginità 3°) Il parallelismo Eva – Maria.
È verità incontestabile che la Vergine Maria fa parte dell’umanità; è una gloria dell’umanità “ della quale condivide la sorte, tutta la sorte”.
Cooperando, così, alla grazia, l’umanità può dirsi vittoriosa sul male: veramente, una creatura di Dio. Come noi, ha risposto totalmente “sì” a Dio e diventa la “nuova Eva”, per mutare il corso della storia dell’umanità.
Infatti, con la vergine Maria, abbiamo una nuova creazione dell’uomo, che nasce non “dalla carne e dal sangue, ma da Dio”.
È senza dubbio, l’uomo nuovo che nasce verginalmente dalla vasca battesimale, diventando membro del regno dei cieli.
Perciò, Maria, si identifica con la Chiesa, il sacro luogo dove si compie l’unione tra creatura e Creatore, tra l’umano e il Divino.
Ricordo qui un testo di San Clemente di Alessandria che dice: o prodigio mistico! Uno è il Padre di tutti; uno è anche il Verbo e lo Spirito Santo….e una sola è, nello stesso tempo madre e vergine, e a me piace chiamarla “Chiesa” e “questa madre soltanto non ebbe latte, perché e la sola che, dopo il parto, non può chiamarsi donna, perché è, contemporaneamente, Vergine e Madre”; e continua San Clemente: “Come Vergine è incorrotta, ma come Madre è sposa diletta, che raccoglie i propri figli li nutre con latte Santo…”.
Vediamo con ammirazione che la vergine Maria diventa così, “guida” per l’uomo; e la “Odigitria”; è un modello perfetto, dimostrando all’uomo che lui deve arrivare dove essa è già arrivata: alla deificazione (Theosis), cioè all’unione perfetta con Dio, alle nozze mistiche tra la creatura e il Creatore.
Perciò Iddio si fa uomo, perché ama questa sua creatura, che ricapitola in sé tutto il creato: “Microcosmo”, come dicono i padri Capadoci, “ in quanto partecipa del mondo sensibile col corpo, e di quello soprasensibile con l’anima, e l’uomo che veramente ama Dio deve trasformarsi in Lui, cooperando alla Grazia”.
Con Essa riprende il dialogo interrotto nell’Eden con l’uomo, fatto “ad immagine secondo la somiglianza” di Dio, come dice Genesi.
È la scena dell’annunciazione a Nazaret. Iddio parla all’uomo per mezzo dell’Arcangelo Gabriele e chiede il suo consenso libero a queste nozze mistiche tra il Creatore e la creatura umana.
Maria, conscia (di appartenere) che lei fa parte dell’umanità, conscia che Essa appartiene alla natura di Adamo, non soltanto ascolta e custodisce la parola di Dio, ma anche dal suo libero consenso; risponde con libertà totalmente si a Dio e così prende essenziale parte alla salvezza dell’uomo, diventando la nuova Eva, mutando così il corso della storia dell’umanità, “pur ereditando la mortalità ereditaria, patrimonio di tutta l’umanità; essa mette fine, con la propria autodeterminazione, alla corruzione e alla morte”.
Mentre Adamo ed Eva avevano ascoltato le parole di Satana, Maria, chiedendo soltanto come può compiersi il mistero, ascolta e custodisce la parola di Dio.
Il verbo si fa carne e Maria con la sua preziosa parte dell’economia divina, dona all’umanità la redenzione e la grazia Divina.
Quando al Salvatore dirà una voce del pubblico: ” beato il seno che ti ha allattato; beato il ventre che ti ha portato”, Egli risponderà che “beatitudine maggiore è per la Madre Divina l’aver ascoltato la parola di Dio e averla custodita”, come riferisce l’evangelista San Luca.
In quanto alla maternità Divina, la Teologia Mariana Ortodossa rimane fedele alla dottrina del III° concilio Ecumenico di Efeso.
Matteo, richiamandosi al testo di Isaia, dice: ”Concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emanuele ciò che significa “Dio è con noi”.
Se Colui che viene generato è Dio, chi lo genera è Madre di Dio.
Nella visita che la Vergine fece ad Elisabetta, narrata da Luca, la madre del precursore chiamò la Vergine “Madre del mio Signore”.
Lo stesso Luca descrivendo il mistero dell’annunciazione, chiama il Salvatore “Figlio dell’Altissimo”, “Figlio di Dio”; implicitamente chiama Maria “Madre dell’Altissimo”, “Madre di Dio”.
San Paolo ai Galati scrive: “…mandò Iddio il proprio figlio, fatto da una donna…”.
I Padri Apostolici si basano sulla stessa base: “Nato dal Padre prima dei secoli”; “nato dalla Vergine nel tempo”.
San Gregorio il teologo diceva: “Chi non considera Maria come madre di Dio è fuori dalla divinità”, cioè dalla chiesa.
È verità indiscutibile che l’uomo per arrivare alla sua Theosis (deificazione) è incoraggiato dalla Santa presenza continua di questa creatura sublime, vera creatura come noi.
Nel suo cammino, allora, verso Dio, l’uomo conosce molto bene che un’altra creatura come lui figlia di Adamo e di Eva, come lui stesso è già asceso verso il cielo, verso Dio.
Così la “Vergine, ha reso possibile i nostri contatti con Dio, contatti non soltanto mistici, ma fisici, perché la carne umana del Cristo è reale, non fantastica”.
La presenza della Vergine Maria, significa in verità nell’Oriente Ortodosso, presenza di Dio.
Secondo la tradizione Ortodossa Orientale, non può esistere alcun rito religioso senza l’invocazione di Maria; non può esistere alcuna Chiesa senza l’icona di Essa.
San Giovanni Damasceno, questo grande teologo della chiesa indivisa, magistralmente ricapitola il pensiero Patristico sulla Teologia della maternità Divina nella tradizione orientale: “Nel senso propriamente vero e reale noi confessiamo Madre di Dio la santa Vergine. Come, infatti, è Dio vero colui che da Essa è nato, vera madre di Dio è colei che ha generato il vero Dio, che da Essa si è incarnato”.
E quando diciamo che Dio è nato da Essa non intendiamo certo dire che la divinità del verbo incominciò ad esistere da essa; ma perché lo stesso Dio verbo che prima dei secoli e fuori del tempo è stato generato dal Padre ed è senza alcun principio col Padre e con lo Spirito Santo, negli ultimi giorni per la nostra salvezza, prese dimora nel suo seno, senza alcun mutamento, s’incarnò e nacque da essa.
La Santa Vergine, dunque, non ha generato un uomo semplice, ma Dio vero.
E non puramente Dio, ma Incarnato.
Non però che abbia portato dal cielo il corpo, passando da essa come da un canale, ma da Essa ha preso il corpo consustanziale a noi, dandogli la sussistenza nella propria persona.
Lo stesso San Giovanni Damasceno, nella sua famosa opera “la Fede Ortodossa” così riferisce: “Il Suo nome, Maria, contiene tutto il mistero dell’economia, poiché se colei che l’ha messo al mondo è madre di Dio, il generato da lei è interamente Dio, ed è interamente uomo”.
La proclamazione della divina maternità è ripetuta incessantemente.
La spiritualità liturgica è testimone di questa verità cristiana, verità che ha stretta relazione con le altre verità cristiane, come per esempio con la Santissima Trinità ecc.
Sempre San Giovanni Damasceno nel suo libro liturgico “Oktoichos” riafferma incessantemente questo mistero che contempla e proclama con grande stupore e commozione spirituale: “Come non stupiremmo – dice – per il tuo divino e umano parto, o degna di ogni venerazione”.
“È veramente giusto dicono San Basilio e San Giovanni Crisostomo – proclamare beata te, Theotokos, che sei beatissima, tutta pura e madre del nostro Dio.
Noi magnifichiamo te, che sei più onorabile dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini, che in modo immacolato partoristi il verbo di Dio, o vera madre divina”.
Maria, considerando il suo rapporto con la Trinità, è chiamata “Tutta pura”, “Immacolata”, “piena di grazia”, “senza macchia”.
Considerando dall’altra parte il suo rapporto con il popolo, con la chiesa, viene considerata “mediatrice della salvezza”, “mediatrice della vita”, “ancora della fede”, “bando dei fedeli”, “sola difesa”, “consolazione”, “muro inespugnabile”, “protettrice”.
È vero, miei cari fratelli, che tutto, ciò che si dice della Theotokos supera la nostra capacità di comprensione.
L’Innologia Ortodossa risponde così: “Tutti i tuoi misteri superano ogni intelletto, ogni glorificazione, o Madre di Dio. Sigillata con la purezza, custodita con la verginità, fosti riconosciuta madre senza falsità che partoristi il Dio vero”.
Maria, identificando la sua volontà della volontà di Dio, liberamente e coscientemente, con fedeltà e ubbidienza, e così mettendo se stessa al servizio del disegno divino della salvezza dell’uomo, costituisce anche oggi, per l’intero mondo cristiano, l’unico e più vivo esempio di fedeltà, di umiltà e obbedienza a Dio, mostrando al cristiano qual è la sua chiamata.
Maria, costituisce l’unico, più luminoso, esempio per la Chiesa di Cristo, oggi divisa in tante chiese e confessioni, mostrando a loro che accettando la parola di Dio con fedeltà, umiltà e ubbidienza, realizzano una vera vocazione che avrà come fine quella gioiosa fine che ha avuto Maria con l’accettazione della parola di Dio, cioè la vera gioia della sua umiltà con Dio e la gioia profonda ella salvezza dell’uomo, trasmettendo così questa sua vera eterna gioia dell’universo.
Veramente, Maria rimane per noi un eccellente irrepetibile esempio di una fedele, umile, ubbidiente Diaconessa della volontà di Dio che rappresenta la salvezza della sua prima amabile creatura, cioè dell’uomo.
Chi è andato a Ravenna senz’, altro ha visto la cappella arcivescovile della città. Tra le altre belle cose esiste un bellissimo mosaico che rappresenta Maria (Theotokos) come Diaconessa.
In realtà, Maria “quando venne la pienezza del tempo” serve al mistero della salvezza del genere umano.

Conclusione
Dopo questa esposizione concludiamo così:
Per l’uomo di oggi, come creatura di Dio, per le nostre chiese, che provengono dallo stesso unico fondatore, l’unica linea, preziosa e sicura per il nostro futuro, è la linea che ha seguito Maria, la Theotokos.
Con le sue parole: “Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.
Una linea, piena di speranza e di fedeltà, con la quale è riuscita ad avere la grazia di Dio: “Non temere Maria perchè hai trovato grazia presso Dio” e così diventa Madre di Dio.
Con la sua linea che caratterizza la fedeltà, l’umiltà, l’obbedienza, la diaconia, la testimonianza e la santità, Maria ha amato la più profonda gioia: “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù, sarà grande e chiamato figlio dell’altissimo… e il suo regno non avrà fine”.
Maria, creatura come noi che riceve particolare valore e prestigio altissimo diventando Madre di Dio, grazie alla sua linea – vita – comportamento di fedeltà, di umiltà,di libertà, di diaconia, di testimonianza e di santità, e veramente grazie alla sua obbedienza alla legge di Dio: “Lo Spirito Santo scenderà sopra di te, su te stenderà la sua ombra, la potenza dell’Altissimo”, Maria vince la paura, vince i sospetti, vince le incertezze, vince i diversi personali ostacoli, e così testimonia all’uomo di oggi, come anche alla “Chiesa divisa”, qual è il nostro dovere riguardo alla parola di Dio, quale linea dobbiamo seguire per realizzare la volontà di Dio: ”Che tutti siano una cosa sola”.
Maria, la Theotokos, è per l’uomo, il modello ideale per arrivare alla salvezza, che è vita eterna.
Maria, la Theotokos, è anche madre nostra, è per la “Chiesa divisa” il modello ideale per testimoniare al mondo la sua genuina missione e giustificare la sua esistenza che è la salvezza dell’uomo, per cui Cristo è nato, è stato crocefisso ed è resuscitato.
Maria, la Theotokos, cioè la Madre di Dio, con la sua santa vita, con il suo meraviglioso comportamento, con la sua fede genuina, con il suo vero amore e con la sua ricca carità ci fa sentire maggiormente il dovere e la responsabilità che abbiamo nella Chiesa di Cristo, come vescovi, come sacerdoti, come religiosi, come laici, tutto il pleroma per la divisione della Chiesa indivisa, che è il nostro maggiore peccato ed ha avuto il carattere di peccato originale.
Finisco con questo meraviglioso testo di San Gregorio il Teologo, affermando con chiarezza: “O speranza buona, Vergine Madre di Dio, noi invochiamo la tua unica e valida protezione. Muoviti a compassione per un popolo che si trova nelle angustie, supplica il misericordioso Iddio affinché le nostre anime siano liberate da ogni sventura. Fervida avvocata, muro inespugnabile dei fedeli, fonte di misericordia, rifugio del mondo, o Signora Theotokos, previeni le nostre suppliche e liberaci dai pericoli, perché tu sei la sola che può molto presto proteggere. Dall’altra parte, o sempre Vergine, Theotokos, per tuo mezzo siamo divenuti partecipi della divina natura, poiché ci hai dato Dio incarnato per noi. Perciò noi, per dovere e devoto affetto te magnifichiamo”.
Ed ancora noi fedeli ed ubbidienti alle cose che non possono essere risolte dal nostro intelletto, dalla nostra logica, perché esiste il mistero, facendosi silenzio ad essa con devozione e venerazione cantiamo a te, Vergine, Theotokos, che sei la nostra vera speranza, la nostra vera consolazione, la nostra vera protezione e la nostra quotidiana preghiera, l’inno delle tue meraviglie: “È veramente giusto proclamare beata te, Theotokos, che sei beatissima, tutta pura e madre del nostro Dio, noi magnifichiamo te, che sei più onorabile dei Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, che in modo immacolato partoristi il verbo di Dio, o vera Madre di Dio.”

BENEDETTO XVI, ANGELUS 2011 – SULLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2011/documents/hf_ben-xvi_ang_20110320_it.html

BENEDETTO XVI

ANGELUS – SULLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

Piazza San Pietro

Domenica, 20 marzo 2011

Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore che mi ha donato di vivere nei giorni scorsi gli Esercizi Spirituali, e sono grato anche a quanti mi sono stati vicini con la preghiera. L’odierna domenica, la seconda di Quaresima, è detta della Trasfigurazione, perché il Vangelo narra questo mistero della vita di Cristo. Egli, dopo aver preannunciato ai discepoli la sua passione, “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (Mt 17,1-2). Secondo i sensi, la luce del sole è la più intensa che si conosca in natura, ma, secondo lo spirito, i discepoli videro, per un tempo breve, uno splendore ancora più intenso, quello della gloria divina di Gesù, che illumina tutta la storia della salvezza. San Massimo il Confessore afferma che “le vesti divenute bianche portavano il simbolo delle parole della Sacra Scrittura, che diventavano chiare e trasparenti e luminose” (Ambiguum 10: PG 91, 1128 B).
Dice il Vangelo che, accanto a Gesù trasfigurato, “apparvero Mosè ed Elia che conversavano con lui” (Mt 17,3); Mosè ed Elia, figura della Legge e dei Profeti. Fu allora che Pietro, estasiato, esclamò: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt 17,4). Ma sant’Agostino commenta dicendo che noi abbiamo una sola dimora: Cristo; Egli “è la Parola di Dio, Parola di Dio nella Legge, Parola di Dio nei Profeti” (Sermo De Verbis Ev. 78,3: PL 38, 491). Infatti, il Padre stesso proclama: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (Mt 17,5). La Trasfigurazione non è un cambiamento di Gesù, ma è la rivelazione della sua divinità, “l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce” (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 357). Pietro, Giacomo e Giovanni, contemplando la divinità del Signore, vengono preparati ad affrontare lo scandalo della croce, come viene cantato in un antico inno: “Sul monte ti sei trasfigurato e i tuoi discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria e annunciassero al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre” (Roma 1901, 341).
Cari amici, partecipiamo anche noi di questa visione e di questo dono soprannaturale, dando spazio alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio. Inoltre, specie in questo tempo di Quaresima, esorto, come scrive il Servo di Dio Paolo VI, “a rispondere al precetto divino della penitenza con qualche atto volontario, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana” (Cost. ap. Pænitemini, 17 febbraio 1966, III, c: AAS 58 [1966], 182). Invochiamo la Vergine Maria, affinché ci aiuti ad ascoltare e seguire sempre il Signore Gesù, fino alla passione e alla croce, per partecipare anche alla sua gloria.

J. V. BAINVEL – LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ LA SUA DOTTRINA E LA SUA STORIA – 2007

http://www.floscarmeli.net/modules.php?name=News&file=article&sid=754

J. V. BAINVEL – LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ LA SUA DOTTRINA E LA SUA STORIA – 2007

INTRODUZIONE

Il culto del sacro Cuore di Gesù, quale è riconosciuto e praticato dalla Chiesa, non si fonda né riposa sulle rivelazioni di santa Margherita Maria, così come la festa del Corpus Domini non si fonda su quelle della beata Giuliana di Mont-Cornillon.
Nell’uno, come nell’altro caso, la Chiesa ha riguardato il culto in se stesso e nella sua diffusione ed Essa si è pronunziata sul culto, senza però pronunziarsi sulle rivelazioni. Tuttavia, le rivelazioni hanno influito molto sul movimento verso la devozione. Santa Margherita Maria, come la beata Giuliana, è stata certamente lo strumento provvidenziale. La devozione al sacro Cuore, quale la Chiesa l’ha accolta e fatta sua, è la stessa che la santa dice di esserle stata rivelata da Gesù, quella ch’essa ebbe missione di propagare.
È questo un fatto evidente.
La constatazione del fatto, per se stessa, non implica un giudizio fermo e decisivo sulle visioni della santa. Ma obbliga a studiarle da vicino, perché esse dominano tutta la storia della devozione, e perché la devozione si presenta come un fatto storico, quanto e forse più che come una verità teologica. Santa Margherita Maria ha, per dir così, come accesa la fiaccola: questa ha alimentato la devozione, e l’ha trasmessa agli altri. Di mano in mano, il culto si è diffuso, fino a divenire un culto cattolico, un culto pubblico nella Chiesa, avente le sue feste e le sue pratiche autorizzate. Altri, prima di lei, avevano avuto la devozione al sacro Cuore ed avevano lavorato per propagarla. Ma il culto, che è divenuto il culto pubblico del sacro Cuore, ha avuto il suo primo focolare nel cuore della santa.
Dunque, per ben conoscere la questione, è necessario, innanzi tutto, di sapere ciò che è la devozione secondo la santa, e come essa ce la presenta. Solamente dopo aver fatto questo, si può farne la teologia e studiarne lo sviluppo storico. Il nostro lavoro comprenderà dunque tre parti, e cioè:
I. – La devozione al sacro Cuore, secondo santa Margherita Maria.
II. – La teologia della devozione al sacro Cuore.
III. – Lo sviluppo storico della devozione al sacro Cuore.

PARTE PRIMA
LA DEVOZIONE AL SACRO CUORE
SECONDO SANTA MARGHERITA MARIA

CAPITOLO PRIMO
GLI SCRITTI DI SANTA MARGHERITA MARIA E LE GRANDI APPARIZIONI
Si può dire con tutta verità che, sia negli scritti, come nella vita della santa, tutto converge direttamente o indirettamente, verso il sacro Cuore. È molto bene perciò di farsene una idea chiara e precisa. Due questioni ci si presentano: l) Che cosa abbiamo in fatto di scritti della santa? – 2) Quanta sicurezza abbiamo, di possedere realmente il testo della santa?

I. – GLI SCRITTI
Gli scritti sono raccolti quasi tutti in Vie et Oeuvres. Qualcuno si trova nel primo tomo delle Contemporaines, altri occupano il tomo secondo, altri, finalmente, non sono stati conosciuti e identificati che dal 1876, e hanno dovuto aspettare, per trovare il loro posto, la terza edizione della Vie et Oeuvres di Mons. Gauthey.
Prescindendo da un esame strettamente analitico e dalle questioni relative alla pubblicazione degli scritti di Santa Margherita Maria, è necessario e conveniente ricordare per sommi capi, gli editori delle opere della santa.
Le editrici di Paray hanno riprodotto con cura (la parte qualche leggero errore o correzione di dettaglio) gli autografi, quando sono stati conosciuti. Per il resto, hanno dovuto ricorrere ai testi stampati o alle copie manoscritte. Il P. di Galliffet aveva pubblicato la Mémoire della santa; Languet aveva dato molti testi forniti dalle Contemporaines; Croiset aveva inserito nel suo Abregé lunghi frammenti di lettere: gli editori del B. de la Colombière, avevano unito, alle note di ritiro spirituale, un biglietto della santa, e il racconto della grande apparizione che il Padre aveva trascritto.
Ma in quel tempo non venne a nessuno l’idea di pubblicare, gli scritti della santa, tali come sono, mancanti di ortografia e di stile letterario. Ciascuno ritoccava il testo che pubblicava. Si ritoccava perfino copiando; le Contemporaines, accomodavano, a piacer loro, i testi che trascrivevano per le suore o per Mons. Languet; Mons. Languet faceva lo stesso in vista del pubblico. Quando non si faceva per incoscienza, si ritoccavano quasi per istinto[1].
E ciò si rileva confrontando i testi stampati con gli autografi e anche confrontando i testi stampati fra di loro; non se ne trovano due che si somiglino esattamente.
In compenso però, questo confronto ci prova che i ritocchi non sono che nella forma. Vi si riscontrano delle soppressioni spiacevoli, e delle trasposizioni infelici; ma il pensiero non è stato mai falsato. In sostanza, non sono stati fatti che dei ritocchi di grammatica o di stile.
In quanto alle lettere, scritte al P. Croiset, il manoscritto d’Avignone è esatto, meno qualche soppressione. Fra le altre garanzie, abbiamo l’autografo della seconda lettera. L’edizione di Tolosa è imperfetta, ma ci dà il testo del manoscritto. Quando se ne allontana, lo indica spesso, ma non sempre[2].
La lettera, o frammento di lettera, CXXXII (CXXXIV)[3] dà maggiore incertezza. Lo stile ha una fermezza virile, il tono è di una decisione e una sicurezza molto rare nella santa; lo sviluppo ha una portata e una impronta tutta oratoria. Questi dati e altri ancora fanno pensare al B. de la Colombière. Di più, fra le diverse edizioni si riscontra con qualche cambiamento di parole, una differenza nell’ordine dei paragrafi e a tutto questo si unisce il vago della designazione del destinatario. Così siamo condotti a domandarci se non avessimo là un’eco della santa, visibilmente fedele, piuttosto che il suono stesso della sua voce.
Si vorrebbe ritrovare in questa lettera quella che il B. de la Colombière dice avere scritto a uno dei suoi amici di Francia, per raccomandargli l’amabile devozione del sacro Cuore e per spingerlo a farsene l’apostolo. Certo, e su quel tono che dovette parlargli. Però le promesse sono di una ampiezza, di una precisione che non s’incontrano in altri scritti della santa avanti gli ultimi anni della sua vita. Di più, il P. Croiset le dà come di Margherita Maria, ciò che non permette più di dubitare. In ogni modo, risulta evidente che le cose espresse e le espressioni medesime, nell’insieme, sono della santa.
Questa conclusione, che s’impone per il più dubbio dei documenti, presentatici dalle editrici di Paray, a parte sempre l’eccezione già segnalata della lettera CXXXI (CXXXIII), s’impone a più forte ragione per tutto il resto. Noi abbiamo negli scritti editi di Margherita Maria, il suo pensiero e, salvo qualche dettaglio secondario, le espressioni sue proprie.
Senza far tante critiche, basta leggere per esserne convinti. Vi sono delle cose che non s’inventano né si imitano. Ogni lettore non prevenuto è invaso da quella unzione penetrante, e soave dell’ardente carità del Salvatore, che Margherita Maria prometteva agli apostoli del sacro Cuore, in nome di Gesù medesimo. È una delle ragioni, che ce la farà citare largamente. A chi, infatti, a chi chiederemo il racconto di queste esperienze intime, se non a quella che le ha provate? Chi può meglio iniziarci alla devozione del sacro Cuore di lei, che l’apprese dallo stesso Gesù, che l’ha vissuta nella sua pienezza, che ha ricevuto missione di propaganda?
***
Le visioni di Margherita Maria non si contano. In più d’una si riscontrano dei tratti utili per conoscere la devozione al sacro Cuore; ce ne serviremo all’occasione.
Ma non è la devozione privata di Margherita Maria che ci preme di studiare principalmente, né le sue relazioni personali col sacro Cuore; così ci fermeremo, senz’altro, alle grandi rivelazioni che le furono fatte in vista del culto pubblico che nostro Signore voleva stabilire per mezzo suo-

II. – LA PRIMA DELLE GRANDI APPARIZIONI
Margherita Maria nella sua lettera al p. Croiset, in data 3 novembre 1689, segnala come « prima grazia speciale » avente un rapporto diretto con la sua missione e col culto del sacro Cuore, quella che ricevette nel giorno di San Giovanni Evangelista. Ella non ce ne indica l’anno, ma dovette essere il 1673.
A somiglianza di Santa Gertrude, fu ammessa, in simile giorno, a «riposare per più ore su quel sacro petto» e ricevé da quest’amabile Cuore delle grazie così preziose che il solo ricordo bastava, come ella dice, a «metterla fuori di sé».
La santa, aggiunge che non stima «necessario lo specificarle», ma ne ha conservato molto vivamente «il ricordo e l’impressione».
Ne parla pure in questi termini alla Madre de Saumaise, in una lettera scritta nel gennaio 1685[4]. «Lo Sposo divino, dice ella, mi fece la grazia incomprensibile e di cui sono così indegna, di farmi riposare sul suo seno, col suo discepolo prediletto e di darmi il suo cuore, la sua croce e l’amar suo». Ma, fortunatamente, abbiamo ancora qualcosa di meglio di queste allusioni e impressioni personali in cui, infine, niente indica una missione speciale. La Mémoire scritta per ordine del P. Rolin, ci dà dei dettagli preziosi e precisi.
Margherita Maria si trovava innanzi al Santissimo Sacramento. Nostro Signore la fece riposare molto a lungo sul suo petto divino; le scoprì le meraviglie del suo amore e i segreti inesplicabili del suo sacro Cuore, «segreti, dice ella, che Gesù le aveva tenuto nascosti sino allora». Egli le mostrò il suo Cuore e le disse: «Il mio Cuore è sì appassionato d’amore per gli uomini, e in particolare per te, che, non potendo più contenere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le espanda per mezzo tuo e che si manifesti a loro, per arricchirli dei suoi preziosi tesori. Nel mio Cuore vi è tutto quello che abbisogna per ritrarli dalla perdizione. «Io ti ho scelta, soggiunse, per il compimento di questo gran disegno, siccome un abisso d’indegnità e d’ignoranza,affinché tutto sia fatto da me». Segue qui una di quelle scene simboliche frequenti nelle vite dei santi. Gesù prese il cuore della sua serva e lo mise nel suo adorabile. Lo ritrasse poi come una fiamma ardente, in forma di cuore e lo rimise al suo posto, dicendo fra le altre cose: «Sino ad ora tu non ti sei chiamata che mia schiava; ma io ti do il nome di diletta discepola del mio sacro Cuore».
Così il sacro Cuore si rivela, si mostra appassionato d’amore per gli uomini; vuol manifestarsi loro e arricchirli dei suoi tesori di santificazione e di salute. Margherita Maria è lo strumento che egli ha scelto per i suoi disegni.

III. – LA SECONDA GRANDE APPARIZIONE
Dopo aver detto al P. Croiset, nella lettera suaccennata, che non stima necessario di specificare cosa alcuna, aggiunge subito: «Dopo questo, il divin Cuore mi si presentò etc…» e segue una descrizione dettagliata e il racconto d’una visione.
Ci siamo domandati se si trattasse di una scena distinta dalla precedente, o solamente di nuovi dettagli della stessa scena. Le maggiori verosimiglianze sono per una scena distinta, perché qui la santa specifica e perché le circostanze sono tutt’altre.
Ma poco importa la circostanza del tempo, purché si osservi e si noti il progresso nella manifestazione del sacro Cuore.
Noi abbiamo adesso una visione simbolica dello stesso Cuore, al di fuori del corpo che non apparisce. Egli era «come su di un trono di fiamme, più risplendente del sole, trasparente come il cristallo e con la sua piaga adorabile. Era circondato da una corona di spine sormontato da una croce». Dopo avere spiegato 1′emblema delle spine e della croce, la santa aggiunge: «Egli mi fece vedere che il suo ardente desiderio, d’essere amato dagli uomini e di ritrarli dalla via della perdizione dove Satana li precipita in gran numero, gli aveva fatto formare il disegno di manifestare agli uomini il suo Cuore, con tutti i tesori di amore, di misericordia, di grazia, di santificazione e salute che contiene».
Ma che cosa ci vuole, per aver parte a tutti questi tesori del cuore di Dio? «Onorarlo sotto la figura di questo cuore di carne». Seguono delle promesse di grazie e di benedizione per coloro che avrebbero onorato anche l’immagine di questo sacro Cuore. Questa devozione, continua la santa, ripetendo le parole di nostro Signore, è come un ultimo sforzo del suo amore, che voleva favorire gli uomini in questi ultimi secoli di una specie di redenzione amorosa, per ritrarli dall’impero di Satana e per metterli, nella dolce libertà del regno dell’amor suo. «Ecco, concluse nostro Signore, ecco i disegni per i quali ti ho scelta».
Non abbiamo qui solamente il sacro Cuore scoperto; vi è il desiderio, chiaramente manifestato, di un culto speciale, con delle promesse magnifiche, per una delle forme di questo culto (l’onore reso alla immagine); vi è lo scopo indicato da Gesù medesimo, con la missione di Margherita Maria, annunziata e specificata. Tutto questo sta per delinearsi sempre più.

IV. – LA TERZA GRANDE APPARIZIONE
Sino ad ora le grandi apparizioni ci hanno mostrato il sacro Cuore pieno di amore e di grazie, desideroso di spanderle e chiedendo un culto di amore e di onore. Noi vedremo ora questo amore come sconosciuto e implorante un culto di amore e di riparazione. È ancora la Mémoire che ci fa conoscere questa nuova apparizione.
Nessuna data. Il contesto, però, sembra indicare un primo venerdì del mese e viene notata espressamente la circostanza che il Santissimo Sacramento era esposto. Qualche autore la fissa in un giorno dell’ottava del Corpus Domini; altri il 2 luglio, festa della Visitazione, l’anno 1674 Secondo il nostro punto di vista, per altro, la data precisa importa poco.
Un giorno dunque, che il Santissimo Sacramento era esposto, nostro Signore si presentò a lei, «tutto risplendente di gloria, con le cinque piaghe che scintillavano come cinque soli… Da questa sacra umanità si sprigionavano come delle fiamme da ogni parte, ma soprattutto dal suo petto adorabile, sì che rassomigliava una fornace». Il petto si aprì, lasciando scoperto «l’amantissimo e amabilissimo Cuore, che era la viva sorgente di quelle fiamme». Nostro Signore le fece vedere le «meraviglie inesplicabili del suo puro amore, e sino a quale eccesso egli aveva amato gli uomini»; ma che, purtroppo, non riceveva in compenso che «ingratitudine e sconoscenza e ciò, le disse il divin Maestro, essergli molto più sensibile di tutto quello che aveva sofferto nella sua passione». «Se essi, aggiungeva Egli, mi dessero qualche corrispondenza di amore, stimerei poco tutto quello che ho fatto per loro e, se fosse possibile, vorrei fare ancora di più; ma essi non hanno che della freddezza e della repulsione per tutte le mie sollecitudini nel far loro del bene».
Questo amore sconosciuto domanda una riparazione, e la domanda, per primo, alla sua serva diletta. «Tu almeno, le dice, tu dammi questa consolazione, di supplire alla loro ingratitudine, per quanto puoi esserne capace». Margherita Maria gli espose allora umilmente la sua impotenza, ma: «Tieni, diss’egli, ecco con che supplire a tutto quello che ti manca». E ciò dicendo, dischiuse il suo cuore e né uscì una fiamma sì ardente, che ella credé rimanerne consunta. Non potendo più sostenerne l’ardore, gli chiese di aver pietà della sua debolezza, al che Egli rispose: «Io sarò la tua forza». Allora le indicò delle pratiche speciali, da farsi in questo spirito di amore riparatore. « In primo luogo mi riceverai nel Santo Sacramento, quante più volte ti sarà permesso dall’obbedienza… di più farai la Comunione ogni primo venerdì del mese ». Nostro Signore vuole di più che ella partecipi alla mortale tristezza a cui si sottomise nel giardino degli Ulivi, tutte le notti dal giovedì al venerdì. « Per accompagnarmi nell’umile preghiera ch’io rivolsi al Padre mio, fra tutte le mie angosce, ti alzerai fra le undici e mezzanotte, e ti prostrerai in unione a me, per un’ora, con la faccia contro terra, sia per placare la collera divina, implorando misericordia pei peccatori, sia per addolcire, in qualche modo, l’amarezza ch’io risentii per l’abbandono dei miei apostoli. Durante quel1′ ora, farai quello che io ti insegnerò « .
Qui, come ben si vede, la devozione si delinea come una devozione d’amore riparatore, verso l’amore disconosciuto; di affettuosa compassione verso l’amore sofferente e, in qualche modo, di unione amorosa a Gesù, vittima per l’amore degli uomini e implorante, per loro, misericordia e perdono. Nostro Signore non ne fa qui la domanda che a Margherita Maria; ma queste pratiche, della comunione frequente in spirito di riparazione e di amore, della comunione dei primi venerdì del mese o comunione riparatrice, dell’ Ora santa o veglia nel giardino degli Ulivi, si sono generalizzate, sin dal principio, siccome quelle che ben rispondevano allo spirito della devozione. Le ritroveremo sulla nostra via. Nostro Signore, del resto, sta per generalizzarle e precisarle da se stesso.

V. – LA GRANDE APPARIZIONE
Eccoci arrivati a quella che si può chiamare la grande apparizione fra le grandi apparizioni. Il B. de la Colombière, che vi era interessato, ne ebbe conoscenza nel primi giorni che seguirono l’avvenimento, e ne fece fare il racconto dalla santa. È questo stesso racconto che, trascritto da lui, nel suo ritiro di Londra, febbraio 1677, fu pubblicato, col giornale dei suoi ritiri spirituali, e abbandonò al pubblico il segreto delle apparizioni, senza però designare ai non iniziati, né il monastero, né la veggente. È questo stesso racconto che si ritrova, con qualche leggera, variante, nella Mémoire autographe, trascritto, molto probabilmente, dalla santa stessa, sulla edizione del B. de la Colombière[5].
L’apparizione ebbe luogo nell’ottava del Corpus Domini. L’anno non è indicato; ma siccome il B. de la Colombière si trovava a Paray, non poté essere che nel 1675 o, al più, nel 1676. Però, tutto porta a preferire la data del 1675, indicata dalle Contemporanee. Siccome d’altronde, vi sono delle ragioni, non però decisive, di credere che abbia avuto luogo la domenica, si può fissarla al 1675, come si è fatto ripetutamente. Ecco il racconto come si trova nella Mémoire autographe:
La santa era innanzi al SS.mo Sacramento, e Dio la ricolmava «delle grazie eccessive dell’amor suo», Siccome ella desiderava rendergli amore per amore, per contraccambiarne1o, in qualche modo, egli le disse: «Tu non puoi danni contraccambio più grande, che facendo quello che ti ho gIà chiesto tante volte». Nulla, però, indica chiaramente, a che cosa facciano allusione queste parole. S’intuisce che si tratti di eseguire le intenzioni del divino Maestro, con lo stabilire il culto del sacro Cuore; ma potrebbe ancora darsi che si trattasse di comunicare alla sua superiora o al suo direttore, quelle stesse intenzioni del Salvatore. Nostro Signore, del resto, sta per manifestare apertamente ciò che desidera. «Ecco, le dice, ecco questo Cuore che ha tanto amato gli uomini, che non ha risparmiato nulla, sino a esaurirsi e consumarsi per testimoniar loro il suo amore. E per riconoscenza, non ricevo, dalla maggior parte, che della ingratitudine, per le loro irriverenze e i loro sacrilegi, per la freddezza e il disprezzo che hanno per me, in questo sacramento d’amore. Ma, quello che mi è ancor più sensibile, si è che sieno dei cuori a me consacrati che agiscono così»[6].
Sin qui non si riscontra nulla di molto nuovo, in questa apparizione, tolta la menzione speciale degli oltraggi ricevuti nell’Eucaristia. Ciò che segue, però, è intieramente nuovo. Nostro Signore aggiunge: «È per questo che io ti chiedo che il primo venerdì, dopo l’ottava del SS.mo Sacramento, sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore, facendo la comunione in quel giorno, e offrendogli una riparazione d’amore, con una ammenda onorevole, per le indegnità che ha ricevuto mentre era esposto sugli altari». Nostro Signore domanda dunque un culto pubblico, che abbia la sua festa, e delle pratiche determinate. «Io ti prometto, continuò, che il mio cuore si dilaterà, per spandere con abbondanza le effusioni del suo divino amore, su coloro che gli renderanno questo amore, o procureranno che gli sia reso»[7]. Ma come stabilire questa festa? È la terza fase dell’apparizione. Nella sua Mémoire, la santa abbrevia un poco; ma, nel racconto scritto per il B. de la Colombière, la scena si anima: «Ma, Signor mio, a chi vi rivolgete voi dunque?» E Margherita Maria insiste sulla sua indegnità di miserabile creatura, di povera peccatrice. «Oh! povera innocente che sei, le rispose nostro Signore, non sai tu forse che io mi servo dei soggetti più deboli, per confondere i forti?» – «Datemi dunque, diss’ella, il mezzo di fare quello che mi comandate». – «Rivolgiti al mio servo (Gesù designò il B. de la Colombière, che era allora superiore della piccola residenza dei Gesuiti a Paray), e digli, da parte mia, di fare tutto quello che gli è possibile per stabilire questa devozione e consolare, così, il mio divin Cuore». Nostro Signore aggiunse che le «difficoltà non gli sarebbero mancate, ma devi sapere che è onnipotente chi diffida di sé e confida in me unicamente».
Con questa apparizione, la devozione al sacro Cuore entrava in una fase nuova, e ciò in due modi. Dapprima, nostro Signore domanda un culto pubblico, e, in particolare, l’istituzione di una festa. Poi i disegni di Gesù si manifestano al di fuori. Sino allora, Margherita Maria ne diceva o scriveva qualche cosa, per la sua superiora e per quelli che essa voleva consultare; ma, molto riservatamente, come si vede nelle note consegnate alla Madre de Saumaise e da lei conservate accuratamente. Invece la comunicazione fatta al B. de la Colombière, fu chiara e completa. D’allora, come meglio vedremo in seguito, i disegni di nostro Signore entrarono in via di esecuzione: la devozione al sacro Cuore cominciò a propagarsi.

V. – IL MESSAGGIO AL RE
Con queste tre o quattro grandi apparizioni, la devozione al sacro Cuore si è costituita da se stessa. Non rimane ora che propagarla. Vedremo come ciò si fece, poco a poco, nei quindici anni che visse ancora Margherita Maria. Sembra che non vi sieno state altre nuove rivelazioni per tredici o quattordici anni, se ne eccettuiamo le promesse di cui parleremo. Nel 1689, però nuovi orizzonti si dischiudono. Gesù vuole che si faccia proposta al re della nuova devozione, che Luigi XIV si consacri al sacro Cuore; che l’onori pubblicamente, che gli consacri una cappella espressamente costruita, e che faccia mettere la sua immagine nelle armi reali e sugli stendardi.
La santa osa appena parlare di questo nuovo desiderio del sacro Cuore, anche con la sua intima confidente, la Madre de Saumaise, tanto sembra andare al di là delle possibilità umane. Ella tuttavia lo effettua, secondo l’impulso che le ne è dato. Fu il 17 giugno 1689, venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini (oggi festa del sacro Cuore), che le fu fatta questa nuova rivelazione. Quali furono le circostanze precise che l’accompagnarono? La santa non ce lo dice, ma ancora sotto l »influenza dei lumi ricevuti scrive: «Questo amabile Cuore regnerà, malgrado Satana e i suoi ministri». E dopo aver enumerato le grazie riservate alla Visitazione e i disegni misericordiosi del sacro Cuore per la salute degli uomini, aggiunge che «Gesù ha ancora più grandi disegni, che non possono essere realizzati che dalla sua onnipotenza, che può tutto quello che vuole; che egli desidera entrare con pompa e magnificenza nella casa dei principi e dei re, per esservi tanto onorato quanto fu oltraggiato, disprezzato e umiliato nella sua passione». Bisogna che Egli abbia altrettanta gioia, nel vedere i grandi della terra abbassati e umiliati, dinanzi a Lui, quanta fu l’amarezza che Egli provò, nel vedersi annientato ai loro piedi». La santa ha udito a questo proposito, delle parole precise destinate al re: «Fa’ sapere al figlio primogenito del mio sacro Cuore… che, come la sua nascita temporale fu ottenuta per la devozione ai meriti della mia santa infanzia, così otterrà la nascita alla grazia e la gloria eterna; per la consacrazione che egli farà di se stesso al mio Cuore adorabile, che vuoI trionfare del suo, e per suo mezzo del cuore dei grandi della terra». Qui il messaggio si precisa: «Egli vuole regnare nel suo palazzo, esser dipinto sui suoi stendardi e scolpito sulle armi». «Ella, aggiunge la santa, Ella deve ridere, mia buona Madre, della mia semplicità nel dirle tutto questo; ma seguo l’impulso che me ne è dato». Conchiude col domandare il segreto; ma il segreto non può essere che relativo, poiché si tratta di un messaggio che deve trasmettersi. Ella vi ritorna sopra, perciò (28 agosto 1698), e dilucida qualche punto. «L’eterno Padre, volendo compensare le amarezze e le angosce di cui il Cuore adorabile del suo divin Figlio era stato abbeverato nella casa dei principi della terra, fra le umiliazioni e gli oltraggi della sua passione, vuole stabilire il suo regno nella corte[8] del nostro gran monarca». Si vede che il tono si sublima col soggetto e Dio vuol dunque servirsi del re per l’esecuzione dei suoi disegni… Che cosa si deve fare? «Un edificio, dove sarebbe esposto il quadro del divin Cuore, per ricevervi la consacrazione e gli omaggi del re e di tutta la sua corte».
Il sacro Cuore ha scelto il re come suo fedele amico, per fare autorizzare, dalla Santa Sede, la messa in onor suo e ottenerne tutti gli altri privilegi, che devono accompagnare la devozione di questo sacro Cuore.
In compenso di ciò, egli fa al monarca le più magnifiche promesse di beni temporali e spirituali, per la terra e pel cielo. «Felice lui, conclude la santa, se porrà le sue compiacenze in questa devozione, che gli procurerà un regno eterno di gloria, e di onore, nel sacro Cuore di nostro Signore Gesù Cristo, il quale si prenderà cura d’innalzarlo e renderlo grande nel cielo, innanzi al Padre suo, quanto più questo gran Monarca ne prenderà per rialzare, dinanzi agli uomini, gli obbrobri e gli annientamenti che questo Cuore divino ha sofferto».
Ma come fare arrivare il messaggio al re? Dio conta perciò sul P. della Chaise. «Egli non avrà fatto mai altra azione più utile alla gloria di Dio, più vantaggiosa all’anima sua, e di cui egli, e tutta la sua santa congregazione siano più abbondantemente ricompensati». L’impresa è difficile, ma Dio è al disopra di tutto. La Madre de Saumaise, aveva proposto di scriverne alla superiora di Chailloit, siccome la più adatta a ben avviare la cosa. L’idea fu approvata.
Poco dopo, il 15 settembre 1689, la santa ne scrisse ancora al P. Croiset; ma, siccome essa non gli aveva confidato ancor nulla delle sue visioni, così si contenta di lanciare l’idea, e, pur dicendo di lasciare agire la potenza di questo Cuore adorabile, cerca di mettere il suo corrispondente in traccia di mezzi pratici.
La prova non fu fatta, o non ebbe buon esito, presso Luigi XIV. L’idea però non era morta e i devoti del sacro Cuore continuarono a sperare che i disegni del Cuor di Gesù sarebbero realizzati. La basilica di Montmartre, lo stendardo di Patay, la consacrazione del 1873 a Paray le-Monial sono per essi, nello stesso tempo che un principio di realizzazione, anche una promessa per l’avvenire. Bisogna ricordare ciò per comprendere la devozione del sacro Cuore nel passato, bisogna pur ricordarlo per spiegare il suo carattere sociale nel presente e le sue prospettive per l’avvenire.

VII. – VISIONE DEL 2 LUGLIO 1688
Per realizzare i disegni del sacro Cuore, occorrevano degli strumenti. Per cominciare, nostro Signore aveva scelto una suora della Visitazione e un Gesuita e volle che le Visitandine e i Gesuiti fossero, come d’ufficio, gli apostoli della nuova devozione. Senza escludere nessuna buona volontà, anzi facendo appello a tutte, diede nondimeno incarico a qualcuno di lavorarvi più efficacemente. Ne fece per loro come un dovere di vocazione, promettendo, se fossero stati fedeli all’avuta missione, una più larga parte dei tesori racchiusi nel sacro Cuore.
La scelta divina era già stata quasi annunziata e se ne sono raccolti più di mille indizi. Ma nulla è così chiaro come le parole della santa. Senza fermarsi ai preliminari, tocchiamo, senz’altro, il punto principale.
Il giorno della Visitazione del 2 luglio 1688, Margherita Maria aveva avuto la felicità di passare l’intera giornata dinanzi al SS.mo Sacramento, e il suo Sovrano, come essa dice, «si degnò di gratificare la sua miserabile schiava con molte grazie particolari del suo Cuore amoroso». Le fu rappresentato un luogo molto eminente, spazioso e di bellezza ammirabile nel centro del quale si ergeva un trono in fiamme. Essa vi vide l’amabile Cuore di Gesù, con la sua ferita. Questa ferita proiettava raggi così ardenti e luminosi, che il luogo ne era tutto illuminato e riscaldato. Questa volta il sacro Cuore non era solo. La santa Vergine era da un lato e dall’altro si trovava San Francesco di Sales con il B. de la Colombière. Poi venivano le figlie della Visitazione con i loro buoni angeli accanto, tenendo ciascuno un cuore in mano, probabilmente i cuori dei loro protetti. La santa Vergine, dice la veggente, la invitava con le sue parole materne: «Venite mie figlie dilette, avvicinatevi, perché io voglio rendervi depositarie di questo prezioso tesoro». Segue qualche commentario dal quale risulta chiaramente che il Cuore di Gesù è tutto Gesù e che il dono del Cuore è il dono stesso di Gesù, con tutto il suo amore, tutti i suoi meriti e tutte le sue ricchezze. Continuando a parlare alle figlie della Visitazione, questa regina di bontà disse, mostrando il divin Cuore: «Ecco quel tesoro divino che vi è manifestato particolarmente». Gesù ama il loro istituto «come il suo caro Beniamino», e lo «vuole favorire di questo dono di preferenza a ogni altro». Ma esse non lo hanno già per loro sole; bisogna «che si facciano dispensatrici di questa moneta preziosa», che «cerchino di arriccihirne il mondo, senza tema che venga loro a mancare; perché più ne prenderanno, più troveranno da prenderne». Ecco la parte delle Visitandine, ben chiaramente indicata dalla loro amabile Madre e mediatrice.
Questa Madre di bontà si rivolse allora al B. de la Colombière e gli disse: «E tu, servo fedele del mio divin Figliuolo, tu hai gran parte di questo tesoro prezioso; perché, se è stato assegnato alle figlie della Visitazione di farlo conoscere, amare e distribuire agli altri, è riservato ai Padri della Compagnia di fame vedere e apprezzare l’utilità e il valore affinché se ne tragga profitto, ricevendolo col rispetto e la riconoscenza dovuta a sì gran benefizio».
Insomma, come le Visitandine devono essere una continuazione di Margherita Maria, i Gesuiti lo devono essere del B. de la Colombière. Saranno ricompensati come lui, poiché «a misura che essi consoleranno per siffatto modo, il divin Cuore, questo stesso Cuore, sorgente d’i benedizioni e di grazie, le spanderà così abbondantemente sulle funzioni del loro ministero, che produrranno dei frutti al di là delle loro fatiche e delle loro speranze, anche per la salute e perfezione di ciascuno di loro».
La scena si chiude con un magnifico discorso di San Francesco di Sales. Egli invita le sue figlie a venire ad attingere le acque della salute alla sorgente medesima di ogni benedizione, e spiega loro come la nuova devozione, lungi dall’esser contraria alle loro costituzioni, che già uscirono da quel divin Cuore, presenta loro un mezzo facilissimo di ben soddisfare a ciò che loro è prescritto nel primo articolo del loro direttorio, il quale contiene, in sostanza, tutta la perfezione del loro Istituto: Che tutta la loro vita e tutti i loro esercizI sieno per unirsi a Dio.
«È d’uopo perciò, diss’egli, che questo Cuore sia la vita che ci anima e l’amor suo sia il nostro esercizio continuo, siccome il solo che può unirci a Dio per aiutare con la preghiera e i buoni esempi la santa Chiesa e la salute del prossimo. Per questo pregheremo nel Cuore, e per il Cuore di Gesù, che vuol rinnovare la sua mediazione fra Dio e gli uomini. I nostri buoni esempi saranno di vivere conformemente alle massime e alle virtù di questo divin Cuore e coopereremo alla salute del prossimo, propagando questa santa devozione. Cercheremo pure di spandere il buon odore del sacro Cuore di Gesù, in quello dei fedeli, affine di essere la gioia e la corona di questo amabile Cuore».
Idee analoghe, ma ispirate da nuovi lumi; si ritrovano in un’altra lettera alla Madre de Saumaise, il 17 giugno 1689. Era il venerdì dopo l’ottava del SS.mo Sacramento: Margherita Maria ha veduto la devozione del sacro Cuore come «un bell’albero, destinato, da tutta l’eternità alla Visitazione», affinché ogni casa  » potesse raccoglierne frutti a seconda del suo gusto e del piacere suo». Si tratta di frutti di «vita e di salute eterna»; ma questi frutti non sono riserbati unicamente per le Visitandine; esse devono distribuirli «a tutti quelli che desidereranno mangiarne, senza tema che possano venire a mancar loro».
Segue il messaggio per il re, di cui si è già fatto menzione. Poi Margherita Maria passa ai Gesuiti, la cui missione le si presenta sempre come complemento di quella della Visitazione. Essa attribuisce questa missione alle preghiere del B. de la Colombière, come attribuisce quella delle Visitandine a San Francesco di Sales. In grazia sua, la Compagnia di Gesù sarà gratificata insieme alla Visitazione «di tutte le grazie e privilegi particolari della devozione del sacro Cuore ». Questo divin Cuore promette loro di spandere «con profusione le sue sante benedizioni sulle loro opere». Esso desidera «essere conosciuto, amato e adorato particolarmente da quei buoni Padri». E, se essi cercheranno «di attingere tutti i loro lumi nella sorgente inesauribile di tutta la scienza e carità dei Santi», darà alle loro parole «l’unione della sua carità ardente» con delle grazie «sì forti e potenti che saranno come delle spade a due tagli, che penetreranno nei cuori più indolenti dei più ostinati peccatori».
«Se è vero, dice ella altrove, che questa amabilissima devozione ha avuto origine alla Visitazione, non posso a meno di credere che progredirà per mezzo dei Reverendi Padri Gesuiti. E credo che sia appunto per questo che Egli abbia scelto il beato amico del suo cuore (il B. de la Colombière) per il compimento di questo gran disegno».
Perché la santa non può impedirsi di avere quèsta convinzione? Perché nostro Signore le «ha fatto conoscere, in modo da non poterne dubitare, che era principalmente per mezzo della Compagnia di Gesù che voleva stabilire dappertutto questa solida devozione, e per essa assicurarsi un numero infinito di servi fedeli, di perfetti amici e di figli riconoscenti».
Forse in nessun’altra parte l’insieme di queste idee è così ben collegato come nella lettera del 10 agosto 1689 al P. Croiset. «Quantunque questo tesoro di amore appartenga a tutti e tutti abbiamo diritto, nondimeno è stato sempre nascosto sino al dì d’oggi, in cui si è dato particolarmente alle figlie della Visitazione, siccome quelle che devono onorare la sua vita nascosta, onde esse lo manifestino e distribuiscano agli altri. Nondimeno è riservato ai Rev. Padri della Compagnia di Gesù di far conoscere il valore e il vantaggio di questo prezioso tesoro, dove più si prende e più si ha da prendere. Non dipenderà dunque che da loro di arricchirsi abbondantemente d’ogni sorta di beni e di grazie, poiché con questo mezzo efficace che Egli offre loro, essi potranno soddisfare perfettamente, come Egli desidera, i doveri del santo ministero di carità a cui sono chiamati. Questo divin Cuore spanderà in siffatto modo la soave unzione della sua carità sulle loro parole, che penetreranno come una spada a due tagli nei cuori più induriti, per renderli sensibili all’amore di questo divin Cuore, e le anime più colpevoli e peccatrici saranno ricondotte a una penitenza salutare. Infine per questo mezzo Egli vuole spandere sull’Ordine della Visitazione e su quello della Compagnia di Gesù, l’abbondanza di questi divini tesori di grazia e salute, perché essi sappiano rendergli quello che Egli ne aspetta, vale a dire un omaggio d’amore, d’onore e di lode e lavorino, con tutte le loro forze, a stabilire il suo regno nei cuori. Per questo, Egli aspetta molto dalla vostra santa Compagnia, ed ha su di essa grandi disegni. Per questo si è servito del buon P. de la Colombière per iniziare la devozione a questo adorabile Cuore, come spero che voi sarete uno di quelli di cui si servirà per introdurla nel vostro Ordine ».
Queste assicurazioni, così spesso ripetute dalla santa, dominano la storia di questa devozione. Senza di queste, non sapremmo spiegarci come le Visitandine e i Gesuiti abbiano preso tanto a cuore il diffonderla. Ma queste ultime rivelazioni hanno anche un altro vantaggio; molti dei tratti che vi sono accennati servono mirabilmente a dare un’idea più completa e precisa della devozione al sacro Cuore.

VIII. – RIASSUNTO E CONCLUSIONE
Si è potuto osservare, più sopra, una parola un po’ strana, nel piccolo discorso di San Francesco di Sales. «Preghiamo, dice egli, nel Cuore e col Cuore di Gesù, che vuol farsi di nuovo mediatore fra Dio e gli uomini». L’espressione è familiare alla santa per quanto possa sembrare ardita. Sino dal 1685 noi la sentiamo parlare di una mediazione speciale del sacro Cuore fra Dio e gli uomini. Scrive infatti alla Madre Greyfié. «Egli mi ha fatto conoscere che il suo sacro Cuore è il santo dei santi, il santo d’amore, che voleva essere ora conosciuto, per essere mediatore fra Dio e gli uomini, perché Egli è onnipotente, per accordar loro la pace, allontanando da loro i castighi che i nostri peccati ci hanno attirato, e ottenendoci misericordia».
In un suo biglietto in data 21 giugno 1686, a Suor Maria Maddalena des Escures, il giorno stesso in cui la comunità di Paray si era consacrata al culto del sacro Cuore, la santa scriveva: «Il gran desiderio di nostro Signore che il suo sacro Cuore sia onorato con qualche omaggio particolare si è per rinnovare nelle anime i frutti della sua Redenzione, facendo di questo sacro Cuore come un secondo mediatore fra Dio e gli uomini». Qui la parola vi si trova, con la spiegazione che le conviene; ma quando anche manca la parola, si sente che l’idea è sempre presente. È in questo senso, infatti, che essa parla «di un ultimo sforzo» dell’amore di Gesù, nella manifestazione del suo divin Cuore; di una «redenzione amorosa» per la mediazione di questo sacro Cuore; di una nuova effusione, per il dono unico del «Cuore di Dio», di «tutti i tesori d’amore, di misericordia, di grazia, di santificazione e salute» che contiene. Sarebbe ben facile raccogliere nelle opere della santa, mille espressioni della medesima idea. Quelle che più meritano di esser notate, le abbiamo già fatte notare più sopra. Se ne troveranno altre, quando parleremo delle promesse del sacro Cuore.
Per la santa è dunque un grande avvenimento, nella storia del mondo la manifestazione del sacro Cuore. È come un’ha novella, che comincia, per tutti quelli che vorranno mettersi sotto la protezione di questo Cuore divino. Non già che Gesù non fosse già nostro, con tutti i suoi tesori, per mezzo della Incarnazione e della Redenzione; ma vi è qui come un nuovo passo di Gesù verso di noi, e come una nuova offerta di tutto quello che è, di tutto quello che ha, con questo suo dono del Cuore. Sembra quasi che Gesù si concentri nel suo Cuore, per darci tutto se stesso nell’ offrircelo.
E il carattere proprio di questa offerta è di essere un’offerta tutta d’amore. Certamente l’Incarnazione, la Redenzione, tutti i benefici di Gesù, erano di già l’effetto di un amore appassionato ed erano già stati presentati come tali da Gesù medesimo, da San Giovanni, da San Paolo, da tutta la tradizione cristiana. Ma, nella manifestazione del sacro Cuore a Margherita Maria, si rivela una nuova manifestazione d’amore, così viva ed appassionata, che diviene un nuovo, pressante invito ad amare. Il dono del sacro Cuore è come l’amore di Gesù che si avvicina a noi. La devozione a questo Cuore adorabile, è dunque il culto di quest’amore, l’omaggio che si fa al suo Cuore appassionato d’amore è un omaggio fatto a Gesù; noi andiamo al Cuore, per arrivare a Gesù, amandolo sempre più ardentemente.
Si comprende, perciò, tutta l’importanza che Margherita Maria annetteva alla nuova devozione, tutta la importanza che ha realmente. Non è una devozione inventata dall’uomo, non è che la risposta a una nuova manifestazione dell’amore divino. Quando si riflette a tutto questo, si capisce ancora come Monsignor Bougaud abbia potuto scrivere: «La devozione al sacro Cuore è, certamente, la rivelazione più importante che abbia irradiato la Chiesa, dopo quelle della Incarnazione e della Eucaristia. È la maggiore esplosione di luce che si sia avuta dopo la Pentecoste»[9]. Queste parole hanno bisogno d’interpretazione; certo non bisogna attribuire ad esse tutto il rigore teologico[10], ma, ben comprese, esprimono sempre un pensiero vero.
Così, secondo Margherita Maria, il sacro Cuore riassume tutto Gesù; il dono del sacro Cuore è, per così dire, un nuovo dono di Gesù agli uomini, un nuovo avvicinarsi di Gesù a noi. Veramente non si potrebbe dare una idea più grandiosa e più giusta di questa devozione.

NOTE
[1] Un tratto raccontato dalla Madre de Saumaise, ci fa toccare sul vivo con quanta facilità incosciente, si copiavano i testi. Nostro Signore le fece vedere un giorno le croci e le pene interiori che il B. de la Colombière soffriva nel paese dove i superiori lo avevano mandato. « Essa venne tosto a rendermene conto, – dice Madre di Saumaise – presentandomi un biglietto da fargli avere e che conteneva delle cose molto consolanti che Gesù Cristo le aveva dettato. E siccome io ricevei, qualche tempo dopo, delle lettere da questo gran servo di Dio, compresi dalle domande che egli faceva, aver egli gran bisogno che si pregasse per lui. Siccome ciò poteva riferirsi a qualche cosa di cui questa virtuosa suora aveva avuto conoscenza, mi credei obbligata di mandargli il suddetto biglietto, che copiai senza aver fatto parola con alcuno di tutto questo. Nondimeno essa venne a trovarmi e mi disse che nel copiare, aveva cambiato qualche cosa e che nostro Signore voleva che ci si attenesse a quello che Egli aveva fatto scrivere. E volendolo io rileggere, per vedere quello che io avevo cambiato, trovai di aver sostituito qualche parola assai somigliante ma che aveva pertanto assai minor forza ».

[2] Per il momento il manoscritto è smarrito.
[3] Il numero tra parentesi si riferisce, alla seconda edizione del 1876. quello fuori alla prima edizione del 1867.
[4] È questa la data accennata da Mons. Gauthey; le religiose di Paray come Languet. avevano letto: 1689.
[5] È ancora possibile che il racconto redatto dal B. de la Colombière, fosse stato conservato dalla santa fra le sue carte.
[6] Nel testo descritto dal B. de la Colombière si legge: «Ma ciò che mi disgusta maggiormente si è che sono dei cuori a me consacrati». Ciò ha maggior forza ed è curioso che la santa stessa abbia addolcito la frase.
[7] Nel primo racconto mancano le parole: procureranno che gli sia reso: Non è che a partire dal 1685 che la santa ha fermato l’intenzione sull’apostolato al sacro Cuore.
[8] Le editrici di Paray hanno letto: «nel cuore»
[9] Histoire de la B. Marguerite Marie, c. XIV, pag, 331
[10] Per quanto secondo lo storico, le rivelazioni di Paray possono essere autorizzate, sono sempre, però, rivelazioni private, senza valore ufficiale e le cui garanzie e autorità non potrebbero essere confrontate con le rivelazioni fatte autenticamente all’umanità. Del resto la rivelazione è chiusa per sempre sino dalla fine dei tempi apostolici.

Publié dans:feste del Signore |on 26 juin, 2014 |Pas de commentaires »

LAUDA SION – SEQUENZA DEL CORPUS DOMINI

http://sursumcorda-dominum.blogspot.it/2010/06/il-lauda-sion-salvatorem.html

LAUDA SION – SEQUENZA DEL CORPUS DOMINI

Il Lauda Sion Salvatorem è una preghiera della tradizione cristiana cattolica. In essa, dopo la lode all’Eucaristia, viene espresso il dogma della transustanziazione e spiegata la presenza completa di Cristo in ogni specie. È ritenuto tra i vertici della poesia religiosa di ogni tempo, per profondità dottrinale e sapienza estetica. Alcuni versi richiamano, quanto al contenuto ed alle espressioni utilizzate, l’inno Pange Lingua.

Testo latino

Lauda Sion Salvatórem
Lauda ducem et pastórem
In hymnis et cánticis.
Quantum potes, tantum aude:
Quia major omni laude,
Nec laudáre súfficis.
Laudis thema speciális,
Panis vivus et vitális,
Hódie propónitur.
Quem in sacræ mensa cœnæ,
Turbæ fratrum duodénæ
Datum non ambígitur.
Sit laus plena, sit sonóra,
Sit jucúnda, sit decóra
Mentis jubilátio.
Dies enim solémnis ágitur,
In qua mensæ prima recólitur
Hujus institútio.
In hac mensa novi Regis,
Novum Pascha novæ legis,
Phase vetus términat.
Vetustátem nóvitas,
Umbram fugat véritas,
Noctem lux elíminat.
Quod in cœna Christus gessit,
Faciéndum hoc expréssit
In sui memóriam.
Docti sacris institútis,
Panem, vinum, in salútis
Consecrámus hóstiam.
Dogma datur Christiánis,
Quod in carnem transit panis,
Et vinum in sánguinem.
Quod non capis, quod non vides,
Animósa firmat fides,
Præter rerum ordinem.
Sub divérsis speciébus,
Signis tantum, et non rebus,
Latent res exímiæ.
Caro cibus, sanguis potus:
Manet tamen Christus totus,
Sub utráque spécie.
A suménte non concísus,
Non confráctus, non divísus:
Integer accípitur.
Sumit unus, sumunt mille:
Quantum isti, tantum ille:
Nec sumptus consúmitur.
Sumunt boni, sumunt mali:
Sorte tamen inæquáli,
Vitæ vel intéritus.
Mors est malis, vita bonis:
Vide paris sumptiónis
Quam sit dispar éxitus.
Fracto demum Sacraménto,
Ne vacílles, sed memento,
Tantum esse sub fragménto,
Quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
Signi tantum fit fractúra:
Qua nec status nec statúra
Signáti minúitur.
Ecce panis Angelórum,
Factus cibus viatórum:
Vere panis fíliórum,
Non mittendus cánibus.
In figúris præsignátur,
Cum Isaac immolátur:
Agnus paschæ deputátur
Datur manna pátribus.
Bone pastor, panis vere,
Jesu, nostri miserére:
Tu nos pasce, nos tuére:
Tu nos bona fac vidére
In terra vivéntium.
Tu, qui cuncta scis et vales:
Qui nos pascis hic mortales:
Tuos ibi commensáles,
Cohærédes et sodales,
Fac sanctórum cívium.
Amen.

Traduzione letterale in italiano

Allelúja. Loda o Sion il Salvatore,
loda la Guida e il Pastore
in inni e cantici.
Quanto puoi tanto ardisci:
perché (Egli è) superiore ad ogni lode,
e (tu) non basti a lodarlo.
Come tema di lode speciale,
il Pane vivo e datore di vita
viene oggi proposto,
il quale, alla mensa della sacra cena,
alla schiera dei dodici fratelli,
non si dubita dato.
La lode sia piena, sia risonante,
sia lieto, sia appropriato
il giubilo della mente,
poiché si celebra il giorno solenne,
nel quale di questa mensa si ricorda
la prima istituzione.
In questa mensa del nuovo Re,
la nuova Pasqua della nuova legge
pone fine al vecchio tempo.
La novità (allontana) la vetustà,
la verità allontana l’ombra,
la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece durante la cena
comandò da farsi
in suo ricordo.
Ammaestrati coi sacri insegnamenti,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salute.
Ai cristiani vien dato come dogma
che il pane si cambia in carne,
e il vino in sangue.
Ciò che non comprendi, ciò che non vedi,
ardita assicura la fede,
contro l’ordine delle cose.
Sotto specie diverse,
(che sono) solamente segni e non cose,
si nascondono cose sublimi.
La carne (è) cibo, il sangue bevanda:
eppure Cristo resta intero
sotto ciascuna specie.
Da colui che (lo) assume, non spezzato,
non rotto, non diviso:
(ma) intero è ricevuto.
(Lo) riceve uno, (lo) ricevono mille:
quanto questi tanto quello;
né ricevuto si consuma.
(Lo) ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi,
ma con ineguale sorte:
di vita o di morte.
È morte per i malvagi, vita per i buoni:
vedi di pari assunzione
quanto sia diverso l’effetto.
Spezzato finalmente il Sacramento,
non tentennare, ma ricorda
che tanto c’è sotto un frammento
quanto si nasconde nell’intero.
Nessuna scissura si fa della sostanza;
si fa rottura solo del segno:
per cui né lo stato né la dimensione
del Segnato è sminuita.
Ecco il pane degli angeli
fatto cibo dei viandanti:
vero pane dei figli
da non gettare ai cani.
Nelle figure è preannunciato,
con Isacco è immolato,
quale Agnello pasquale è designato,
è dato qual manna ai padri.
Buon pastore, pane vero,
o Gesù, abbi pietà di noi:
Tu nutrici, proteggici,
Tu fa’ che noi vediamo le cose buone
nella terra dei viventi.
Tu, che tutto sai e puoi,
che qui pasci noi mortali:
facci lassù Tuoi commensali,
coeredi e compagni
dei santi cittadini.
Amen.
Alleluia.

 

Publié dans:feste del Signore, Inni |on 20 juin, 2014 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II E IL CORPUS DOMINI

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GIOVANNI PAOLO II E IL CORPUS DOMINI

di don Mariusz Frukacz

6 giugno 2012

CZESTOCHOWA, (ZENIT.org)- Un giorno alla Solennità del Corpus Domini, una ricorrenza cui il beato Giovanni Paolo II era molto legato. Sull’argomento Zenit ha intervistato monsignor Stanislaw Nowak, arcivescovo di Czestochowa.
Eccellenza, come ricorda il giorno in cui Giovanni Paolo II ha rinnovato la tradizione della processione del Corpus Domini a Roma?
Mons. Stanislaw Nowak: Ricordo sempre quanto si parlava a Cracovia dei primi giorni del pontificato di Giovanni Paolo II e di quanto succedeva a Roma dopo l’elezione del cardinale Wojtyla sul Trono di San Pietro.
Soprattutto ricordo che si parlava tanto del fatto che Giovanni Paolo II avrebbe rinnovato la processione del Corpus Domini a Roma. Si diceva che il Santo Padre aveva voluto compiere questo gesto perché amava infinitamente questa processione, di cui era molto coinvolto anche in quanto vescovo di Cracovia.
Va detto, infatti, che, già come vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla attribuiva una grande importanza nella processione Corpus Domini in quanto “professione di fede in Dio sulla strada”, al centro della città. Aveva sofferto molto quando, ai tempi del comunismo, fu interrotta la grande tradizione di Cracovia – risalente a prima della seconda guerra mondiale – di svolgere la processione eucaristica fino alla piazza principale della città.
Il grande arcivescovo di Cracovia suo predecessore, Adam Sapieha, aveva guidato questa processione fino alla piazza principale, attraversando con il Santissimo Sacramento le strade della centro storico. Durante la dura era comunista, purtroppo, non fu possibile organizzare tutto questo: la processione aveva luogo soltanto sulla collina del castello di Wawel ed era vietato andare per le strade della città.
Da cardinale, quindi, Karol Wojtyla lottò tanto per riportare la processione del Corpus Domini per le strade.
Perché, dunque, la processione del Corpus Domini sulle strade della città è stata così importante per il cardinale Wojtyla?
Mons. Stanislaw Nowak: In Polonia esisteva la grande tradizione dei quattro altari durante la processione pubblica del Corpus Domini e come cardinale di Cracovia, il beato Wojtyla ha predicato la parola di Dio con grande attualità in ciascuno dei quattro altari.
Egli parlò di libertà, chiedendo il rispetto da parte dello Stato per le tradizioni cattoliche e del ripristino della Facoltà di Teologia a Cracovia. La processione del Corpus Domini, quindi, all’epoca di Wojtyla era, da un lato, una grande confessione di fede e, dall’altro, un richiamo alle autorità dello Stato a ristabilire la giustizia in Polonia.
Alla luce di questo, possiamo dire che esiste una relazione interessante fra il rinnovamento della processione del Corpus Domini a Roma e quella di Cracovia. Quando l’allora cardinale Karol Wojtyla fu eletto Papa, rinnovando e celebrando la prima processione a Roma, allo stesso tempo le autorità comuniste diedero il permesso cha la processione del Corpus Domini tornasse nella piazza principale di Cracovia. E questo, per noi polacchi fu una grande gioia.
*Mons. Stanislaw Nowak è nato l’11 luglio 1935 in Jeziorzany. Ordinato sacerdote il 22 giugno 1958 dall’Arcivescovo di Cracovia Eugeniusz Baziak, iniziò il ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Cracovia – come un vicario – in Choczni vicino a Wadowice, in Ludzmierz e Rogoznik Podhale.
Negli anni 1963-1979 è stato il padre spirituale del Seminario di Cracovia e, allo stesso tempo, ha proseguito gli studi specializzati in teologia negli anni dal 1967 al 1971 presso l’Istituto Cattolico di Parigi.
Dal 1971 è stato, poi, docente alla cattedra di Teologia della vita interiore della Pontificia Facoltà di Teologia a Cracovia e, dal 1981, alla Facoltà di Teologia della Pontificia Accademia di Teologia. Nei anni 1984-1992 mons. Nowak è stato il quarto ordinario vescovo della diocesi di Czestochowa e, dal 1992 è il primo Metropolita di Czestochowa.
Durante i miei studi a Roma ho potuto partecipare per tre volte alla processione del Corpus Domini, guidata da Giovanni Paolo II, negli anni 2001-2003, dunque nell’ultimo periodo del suo grande Pontificato.
Il Santo Padre era già un uomo che aveva patito molte sofferenze; allo stesso tempo, però, era un uomo di straordinaria forza spirituale, e per questo posso dire che, durante la processione del Corpus Domini, il beato Wojtyla ha dato una grande testimonianza dell’amore di Cristo presente nel Santissimo Sacramento.
Ricordo che una volta andai molto vicino al Santo Padre e avvertii subito la sua grande fede e il profondo amore che da lui traspariva. Quando guardò Cristo fu davvero un’emozione unica, perché amava veramente Cristo: lo ha portato con sé fino alla fine, con la Sua croce, quando, nonostante la sofferenza, guidò la processione del Corpus Domini.
Questa processione, infatti, è stata per me un’esperienza profonda, una lezione di fede, di amore e di umiltà. Credo che quando Giovanni Paolo II ha seguito Cristo per le strade della Città Eterna, dalla Basilica di San Giovanni in Laterano fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, ha insegnato a tutti a rivolgere il nostro sguardo a Cristo, imparando quindi a guardare con amore, ma anche con umiltà e pace, dentro il cuore di ogni persona che incontriamo sul cammino della nostra vita.
La solennità del Corpus Domini risale al 1264, per volontà di Papa Urbano IV che istituì la festa «affinché il popolo cristiano riscoprisse il valore del mistero eucaristico». A distanza di più di 700 anni la tradizione continua ininterrotta: Benedetto XVI, infatti, presiederà, questo giovedì, la Santa Messa sul sagrato di San Giovanni in Laterano, per poi guidare la processione del Corpo di Cristo fino alla basilica di Santa Maria Maggiore.
“Un momento importante per la fede dei cristiani e per la vita ecclesiale della Diocesi di Roma” ha dichiarato il cardinale Vicario, Agostino Vallini. Soprattutto un’occasione “per ringraziare il Signore del dono inestimabile dell’Eucaristia, per testimoniare pubblicamente la nostra fede e l’unità della Chiesa di Roma intorno al suo Vescovo”.
In vista di tale evento, ZENIT ha incontrato padre Giuseppe Midili, O.Carm., direttore dell’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma, che ci ha raccontato la storia e il significato di questa festa in cui “la Chiesa si manifesta come Corpo unico e unitario”.
****
Il Corpus Domini celebra l’Eucarestia, fulcro della fede cristiana. Qual è il significato di questa solennità?
Padre Midili: Eucaristia significa rendimento di grazie. Ogni giorno – specialmente la domenica – la Chiesa si raduna per celebrare i santi misteri e rendere grazie al Padre per il dono del Figlio, che ha offerto la sua vita in sacrificio per noi e ci ha meritato la salvezza. La solennità del Corpo e del Sangue del Signore è l’occasione liturgica di un ringraziamento speciale. La comunità cristiana si raduna per prendere coscienza che solo nell’Eucaristia trova il culmine e la fonte di tutta la sua vita. Ogni atto di fede, ogni forma di pietà, di devozione, ogni forma di autentica carità non può prescindere mai da questo sacramento, che è costitutivo del cristiano.
A quando risale la nascita di tale ricorrenza?
Padre Midili: La solennità del Corpo e del Sangue del Signore fu istituita nel 1264 da papa Urbano IV, perché il popolo cristiano potesse partecipare con speciale devozione alla Santa Messa e alla processione e così testimoniasse la fede in Gesù, che ha voluto rimanere presente sotto le specie del pane e del vino consacrati. Nel corso dei secoli questa solennità ha costituito il punto più alto di devozione eucaristica, perché ha unito l’adorazione devota a quell’evento originante imprescindibile che è la celebrazione della Messa.
La celebrazione del Corpus Domini a san Giovanni in Laterano è entrata nella tradizione della diocesi di Roma grazie a Giovanni Paolo II. Perché il beato Papa ha voluto dargli una così grande
importanza?
Padre Midili: Sin dall’anno 1979 Papa Giovanni Paolo II volle che a Roma la solennità del Corpo e Sangue del Signore si celebrasse il giovedì, perché proprio il giovedì santo Gesù radunò i suoi discepoli e durante la cena istituì il nuovo ed eterno sacrificio, il convito nuziale dell’amore. Mentre nella sera del giovedì santo si rivive il mistero di Cristo che si offre nel pane spezzato e nel vino versato, nella ricorrenza del Corpus Domini questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio.
Il Papa volle celebrare nella Cattedrale di Roma, insieme con tutti i sacerdoti e i fedeli della città, perché l’Eucaristia è mistero di comunione con Dio, ma anche tra le persone. La migliore immagine di Chiesa, infatti, è quella che si costituisce intorno al Vescovo, per celebrare i divini misteri, mangiare e bere del Corpo e Sangue del Signore, rendere grazie e così testimoniare la comunione e l’amore che Gesù ha insegnato.
Qual è il senso di celebrare questa festa nella piazza antistante la Basilica di San Giovanni?
Padre Midili: Piazza S. Giovanni è allo stesso tempo il sagrato della Basilica Cattedrale di Roma, ma è anche il luogo delle manifestazioni pubbliche per la città e per l’Italia; spesso è teatro di concerti, di eventi politici e purtroppo anche di scontri; è l’agorà degli antichi. È diventata un simbolo del nostro paese, è un sagrato-piazza.
Celebrare la Santa Messa in un luogo così significativo nel giorno della festa dell’Eucaristia ribadisce che Gesù è in mezzo al suo popolo in ogni momento della vita. Con la sua presenza egli santifica la quotidianità, vede e risana la sofferenza, è per tutti un segno di speranza. Gesù non è lontano da noi e dalla nostra vita, ma è sempre presente, si è fatto vicino. Possiamo incontrarlo nell’Eucaristia celebrata e nel pane consacrato. Egli ci viene incontro.
Il Corpus Domini è un momento fondamentale per il popolo cristiano. Soprattutto la processione, guidata dal Santo Padre, è un evento di grande impatto la cui idea centrale è che “Cristo cammina in mezzo a noi”….
Padre Midili: La Santa Messa e la processione nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore sono un unico evento, che manifesta la Chiesa come Chiesa. É la festa della comunità radunata. I credenti si ritrovano insieme per celebrare il sacrificio di Cristo e nella celebrazione rendono grazie a Dio per tutto quello che hanno ricevuto. La migliore immagine di Chiesa è quella che si raduna intorno al suo Vescovo per celebrare i santi misteri, mangiare e bere del Corpo e del Sangue del Signore, rendere grazie e così testimoniare la comunione e l’amore che Gesù ci ha insegnato.
L’adorazione è prosecuzione dell’Eucaristia celebrata, testimonianza d’amore e di fede verso Gesù, prolungamento del ringraziamento dopo ogni S. Comunione. La processione è cammino di sequela. Ancora una volta la Chiesa si identifica con il popolo in cammino, che segue il suo maestro. Si ripete l’esperienza dei discepoli di Emmaus, che percorrono un tratto di strada con Gesù e lo ascoltano mentre li istruisce. Nella processione eucaristica la comunità cammina con Gesù, ma non lo riconosce più mentre spezza il pane. Noi riconosciamo il Maestro presente in quel pane.

CORPUS DOMINI – LA FESTA

http://www.santiebeati.it/dettaglio/90912

CORPUS DOMINI

22 giugno (celebrazione mobile)

Con questa festa onoriamo e adoriamo il “Corpo del Signore”, spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini, fatto cibo per sostenere la nostra “vita nello Spirito”. L’Eucaristia è la festa della fede, stimola e rafforza la fede. I nostri rapporti con Dio sono avvolti nel mistero: ci vuole un gran coraggio e una grande fede per dire: “Qui c’è il Signore!”.

Martirologio Romano: Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: con il suo sacro nutrimento egli offre rimedio di immortalità e pegno di risurrezione.

La festività del Corpus Domini ha una origine più recente di quanto sembri. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell’Eucaristia ed è stata istituita grazie ad una suora che nel 1246 per prima volle celebrare il mistero dell’Eucaristia in una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l’idea e la celebrazione dell’Eucaristia divenne una festa per tutto il compartimento di Liegi, dove il convento della suora si trovava.
In realtà la festa posa le sue radici nell’ambiente fervoroso della Gallia belgica – che San Francesco chiamava amica Corporis Domini – e in particolare grazie alle rivelazioni della Beata Giuliana di Retìne. Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un’estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra: da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo, che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento. Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini.
La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l’ottava della Trinità. Più tardi, nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l’antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone. Ed è a Bolsena, proprio nel Viterbese, la terra dove è stata aperta la causa suddetta che in giugno, per tradizione si tiene la festa del Corpus Domini a ricordo di un particolare miracolo eucaristico avvenuto nel 1263, che conosciamo sin dai primi anni della nostra formazione cristiana. Infatti, ci è raccontato che un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino liturgico (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina.
Venuto a conoscenza dell’accaduto Papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa del Corpus Domini estendendola dalla circoscrizione di Liegi a tutta la cristianità. La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). Così, l’11 Agosto 1264 il Papa promulgò la Bolla « Transiturus » che istituiva per tutta la cristianità la Festa del Corpus Domini dalla città che fino allora era stata infestata dai Patarini neganti il Sacramerito dell’Eucaristia. Già qualche settimana prima di promulgare questo importante atto – il 19 Giugno – lo stesso Pontefice aveva preso parte, assieme a numerosissimi Cardinali e prelati venuti da ogni luogo e ad una moltitudine di fedeli, ad una solenne processione con la quale il sacro lino macchiato del sangue di Cristo era stato recato per le vie della città. Da allora, ogni anno in Orvieto, la domenica successiva alla festività del Corpus Domini, il Corporale del Miracolo di Bolsena, racchiuso in un prezioso reliquiario, viene portato processionalmente per le strade cittadine seguendo il percorso che tocca tutti i quartieri e tutti i luoghi più significativi della città.
In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa. Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all’Istituzione dell’Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l’attenzione si sposta sull’intima relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell’Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.

ASCENSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO – CHIESA ORTODOSSA

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Chiesa Ortodossa in Abruzzo e Molise

ASCENSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO – CHIESA ORTODOSSA

Kontachio
Dopo aver compiuto l’economia in nostro favore e unito le creature celesti alle terrestri, sei asceso al cielo in gloria, o Cristo Dio nostro, senza separarti da nessuna parte, ma rimanendo sempre unito e dicendo a coloro che ti amano: Io sono con voi e nessuno contro di voi.

Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. Oggi infatti ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l’altezza di tutte le potestà. L’intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su una arcana serie di azioni divine per le quali l’amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi. Pur trattandosi di misteri che trascendono la percezione umana e che ispirano un profondo timore riverenziale, non per questo vien meno la fede, vacilla la speranza e si raffredda la carità.

Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce suprema.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.

Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce suprema.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.
Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, s’erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore ed avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall’ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la
divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.
Proprio allora, o dilettissimi, il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi.
Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito.

Publié dans:feste del Signore, Ortodossia |on 30 mai, 2014 |Pas de commentaires »

L’ANNUNCIAZIONE (J. RATZINGER) – DAL LIBRO « LA FIGLIA DI SION »

http://it.mariedenazareth.com/8438.0.html?&L=4

L’ANNUNCIAZIONE (J. RATZINGER) – DAL LIBRO « LA FIGLIA DI SION »

Nel suo libro La figlia di Sion, Papa Benedetto XVI, allora Cardinale J. Ratzinger, il racconto dell’Annunciazione è fonte di numerose meditazioni. Egli, andando diritto all’essenziale, apre la via ai principali approfondimenti che il lettore trova poi a sua disposizione.

Il luogo
Anzitutto, è già importante la localizzazione che Luca presenta in voluta contrapposizione con la precedente storia di Giovanni Battista.
L’annuncio della nascita del Battista avviene nel Tempio di Gerusalemme, è fatto ad un sacerdote che sta svolgendo la sua funzione e avviene, per così dire, nell’ordinamento ufficiale, come prescritto dalla legge, in conformità al culto, al luogo e alle funzioni.
L’annuncio della nascita del Messia viene fatto a Maria, ad una donna, in un luogo insignificante della semi-pagana Galilea che né Flavio Giuseppe né il Talmud nominano. Tutto ciò era « insolito per la sensibilità ebraica.
Ora Dio si rivela dove e quando Lui vuole ». Incomincia una vita nuova, al centro della quale non vi è il tempio ma l’umanità semplice di Gesù Cristo. È Egli ora il vero tempio, la tenda dell’incontro.

Il saluto a Maria
Il saluto a Maria (Lc 1,28-32) è stato formulato con stretto riferimento a Sof. 3,14-17 : è Maria la figlia di Sion alla quale sono rivolte le espressioni di quel testo, a lei viene detto « Gioisci » ; a lei viene detto che il Signore viene a lei; è lei che viene sollevata dall’angoscia perché il Signore è con lei per salvarla. [...]
Maria rimase turbata (Lc 1,29) a questo messaggio. Il suo turbamento non deriva dalla non comprensione o da quella paura pusillanime alla quale lo si vorrebbe talvolta far risalire. Deriva dalla commozione prodotta dagli incontri con Dio, di quelle gioie incommensurabili che sono capaci di commuovere le nature più dure.
Nel saluto dell’angelo compare il motivo portante con cui Luca presenta la figura di Maria in genere: è lei, in persona, la vera Sion alla quale si sono rivolte le speranze da tutte le rovine della storia.
È lei il vero Israele, nel quale si uniscono inseparabilmente Antica e Nuova Alleanza, Israele e Chiesa.
È lei il « popolo di Dio » , che porta frutto per la potenza della grazia di Dio.

Un concepimento misterioso
Dobbiamo infine fare attenzione anche all’espressione con la quale, in modo preciso, viene descritto il mistero del nuovo concepimento e della nuova nascita: « Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo ». [...]
La prima immagine fa riferimento al racconto della creazione ( Gn 1,2) e caratterizza quindi l’avvenimento come una nuova creazione: il Dio, il cui Spirito aleggiava sugli abissi, chiamò l’essere dal nulla. Egli che, come « Spirito creatore », è la ragione di tutto ciò che è, questo Dio inaugura qui una nuova creazione. Viene perciò sottolineato con ogni energia il taglio radicale che la venuta di Cristo significa: la sua novità è tale che essa raggiunge anche il fondamento dell’essere; è tale che può venire solamente dalla potenza creatrice di Dio stesso, non da altre parti.
La seconda immagine « su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo », appartiene alla teologia cultuale d’Israele; essa rimanda alla nube che stende la sua ombra sul Tempio ed indica così la presenza di Dio. Maria appare come la tenda santa sulla quale comincia ad agire la presenza nascosta di Dio.

J. Ratzinger (Papa Benedetto XVI)
La figlia di Sion, Jaca Book, Milano 1979, p.41-43

GIOVANNI PAOLO II IN TERRA SANTA (2000) – 25 MARZO 2000 – ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/travels/documents/hf_jp-ii_hom_20000325_nazareth_it.html

PELLEGRINAGGIO GIUBILARE DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
IN TERRA SANTA (20-26 MARZO 2000)

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

SANTA MESSA NELLA BASILICA DELL’ANNUNCIAZIONE

Israele – Nazareth – SABATO, 25 MARZO 2000 – ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

«Ecco l’ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola» (Angelus).

Signor Patriarca,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Reverendo Padre Custode,
Carissimi Fratelli e Sorelle,

1. 25 marzo 2000, solennità dell’Annunciazione nell’Anno del Grande Giubileo: oggi gli occhi di tutta la Chiesa sono rivolti a Nazareth. Ho desiderato tornare nella città di Gesù, per sentire ancora una volta, a contatto con questo luogo, la presenza della donna della quale sant’Agostino ha scritto: «Egli scelse la madre che aveva creato; creò la madre che aveva scelto» (cfr Sermo 69, 3, 4). Qui è particolarmente facile comprendere perché tutte le generazioni chiamino Maria beata (cfr Lc 2, 48).
Saluto cordialmente Sua Beatitudine il Patriarca Michel Sabbah, e lo ringrazio per le gentili parole di introduzione. Con l’Arcivescovo Boutros Mouallem e tutti voi, Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, gioisco della grazia di questa solenne celebrazione. Sono lieto di avere l’opportunità di salutare il Ministro Generale Francescano Padre Giacomo Bini, che mi ha accolto al mio arrivo, e di esprimere al Custode, Padre Giovanni Battistelli, come pure ai Frati della Custodia l’ammirazione dell’intera Chiesa per la devozione con la quale svolgete la vostra vocazione unica. Con gratitudine rendo omaggio alla fedeltà al compito affidatovi dallo stesso san Francesco e confermato dai Pontefici nel corso dei secoli.
2. Siamo qui riuniti per celebrare il grande mistero che si è compiuto qui duemila anni fa. L’evangelista Luca colloca chiaramente l’evento nel tempo e nello spazio: «Nel sesto mese, l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1, 26-27). Per comprendere però ciò che accadde a Nazareth duemila anni fa, dobbiamo ritornare alla lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei. Questo testo ci permette di ascoltare una conversazione tra il Padre e il Figlio sul disegno di Dio da tutta l’eternità. «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo … per fare, o Dio, la tua volontà» (10, 5-7). La Lettera agli Ebrei ci dice che, obbedendo alla volontà de Padre, il Verbo Eterno viene tra noi per offrire il sacrificio che supera tutti i sacrifici offerti nella precedente Alleanza. Il suo è il sacrificio eterno e perfetto che redime il mondo.
Il disegno divino è rivelato gradualmente nell’Antico Testamento, in particolare nelle parole del profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato: «Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (7, 14). Emmanuele: Dio con noi. Con queste parole viene preannunciato l’evento unico che si sarebbe compiuto a Nazareth nella pienezza dei tempi, ed è questo evento che celebriamo oggi con gioia e felicità intense.
3. Il nostro pellegrinaggio giubilare è stato un viaggio nello spirito, iniziato sulle orme di Abramo, «nostro padre nella fede» (Canone Romano; cfr Rm 4, 11-12). Questo viaggio ci ha condotti oggi a Nazareth, dove incontriamo Maria, la più autentica figlia di Abramo. È Maria, più di chiunque altro, che può insegnarci cosa significa vivere la fede di «nostro padre». Maria è in molti modi chiaramente diversa da Abramo; ma in maniera più profonda «l’amico di Dio» (cfr Is 41, 8) e la giovane donna di Nazareth sono molto simili.
Entrambi ricevono una meravigliosa promessa da Dio. Abramo sarebbe diventato padre di un figlio, dal quale sarebbe nata una grande nazione. Maria sarebbe divenuta Madre di un Figlio che sarebbe stato il Messia, l’Unto del Signore. Dice Gabriele «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce … il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre … e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 31-33).
Sia per Abramo sia per Maria la promessa giunge del tutto inaspettata. Dio cambia il corso quotidiano della loro vita, sconvolgendone i ritmi consolidati e le normali aspettative. Sia ad Abramo sia a Maria la promessa appare impossibile. La moglie di Abramo, Sara, era sterile e Maria non è ancora sposata: «Come è possibile?», chiede all’angelo. «Non conosco uomo» (Lc 1, 34).
4. Come ad Abramo, anche a Maria viene chiesto di rispondere «sì» a qualcosa che non è mai accaduto prima. Sara è la prima delle donne sterili della Bibbia che a concepire per potenza di Dio, proprio come Elisabetta sarà l’ultima. Gabriele parla di Elisabetta per rassicurare Maria: «Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio» (Lc 1, 36).
Come Abramo, anche Maria deve camminare al buio, affidandosi a Colui che l’ha chiamata. Tuttavia, anche la sua domanda «come è possibile?» suggerisce che Maria è pronta a rispondere «sì», nonostante le paure e le incertezze. Maria non chiede se la promessa sia realizzabile, ma solo come si realizzerà. Non sorprende, pertanto, che infine pronunci il suo fiat: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38). Con queste parole Maria si dimostra vera figlia di Abramo e diviene la Madre di Cristo e Madre di tutti i credenti.
5. Per penetrare ancora più profondamente questo mistero, ritorniamo al momento del viaggio di Abramo quando ricevette la promessa. Fu quando accolse nella propria casa tre ospiti misteriosi (cfr Gn 18, 1-15) offrendo loro l’adorazione dovuta a Dio: tres vidit et unum adoravit. Quell’incontro misterioso prefigura l’Annunciazione, quando Maria viene potentemente trascinata nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Attraverso il fiat pronunciato da Maria a Nazareth, l’Incarnazione è diventata il meraviglioso compimento dell’incontro di Abramo con Dio. Seguendo le orme di Abramo, quindi, siamo giunti a Nazareth per cantare le lodi della donna «che reca nel mondo la luce» (inno Ave Regina Caelorum).
6. Siamo però venuti qui anche per supplicarla. Cosa chiediamo noi pellegrini, in viaggio nel Terzo Millennio Cristiano, alla Madre di Dio? Qui, nella città che Papa Paolo VI, quando visitò Nazareth, definì «La scuola del Vangelo. Qui s’impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare nel senso, tanto profondo e misterioso, di quella semplicissima, umilissima, bellissima apparizione» (Allocuzione a Nazareth, 5 gennaio 1964) prego innanzitutto per un grande rinnovamento della fede di tutti i figli della Chiesa. Un profondo rinnovamento di fede: non solo un atteggiamento generale di vita, ma una professione consapevole e coraggiosa del Credo: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est».
A Nazareth, dove Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52), chiedo alla Santa Famiglia di ispirare tutti i cristiani a difendere la famiglia contro le numerose minacce che attualmente incombono sulla sua natura, la sua stabilità e la sua missione. Alla Santa Famiglia affido gli sforzi dei cristiani e di tutte le persone di buona volontà a difendere la vita e a promuovere il rispetto per la dignità di ogni essere umano.
A Maria, la Theotókos, la grande Madre di Dio, consacro le famiglie della Terra Santa, le famiglie del mondo.
A Nazareth, dove Gesù ha iniziato il suo ministero pubblico, chiedo a Maria di aiutare la Chiesa ovunque a predicare la «buona novella» ai poveri, proprio come ha fatto Lui (cfr Lc 4, 18). In questo «anno di grazia del Signore», chiedo a Lei di insegnarci la via dell’umile e gioiosa obbedienza al Vangelo nel servizio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, senza preferenze e senza pregiudizi.

«O Madre del Verbo Incarnato, non disprezzare la mia preghiera, ma benigna ascoltami ed esaudiscimi. Amen» (Memorare).

 

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