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di S.Eminenza Card. Albert Vanhoye
novembre 2007
Esercizi Spirituali
La vocazione e la conversione di Pietro
Esprimo tutta la mia gioia di stare in mezzo a voi, in Sardegna. È la prima volta che vengo qui dopo aver tanto sentito parlare con ammirazione di questa bella Isola da parte di molta gente. E sono lieto di mettermi al vostro servizio per questi Esercizi Spirituali. Il tema è «Discepoli di Cristo con San Pietro San Paolo»: una preparazione lontana all’anno paolino (con il complemento di san Pietro)
La disposizione principale per cominciare bene gli Esercizi è la fiducia nell’amore personale del Signore. Dovete essere convinti che il Signore vi aspetta qui e ha preparato per ciascuno di voi delle grazie preziose. Grazie di luce, di discernimento. grazie di purificazione, grazie di coraggio, grazie anzitutto di unione con Lui nell’amore e per la missione.
La fiducia deve essere accompagnata dalla disponibilità ad accogliere le grazie, una disponibilità che si manifesta con un impegno serio per accogliere la parola di Dio, l’ispirazione dello Spirito Santo. Per sentire la voce di Dio ci vuole raccoglimento, silenzio… fedeltà ai momenti di preghiera e di meditazione della Parola di Dio.
Cominciamo meditando sulla vocazione di Pietro, per rinnovarci nel senso della nostra vocazione, grazia fondamentale, manifestazione bellissima dell’amore di Dio per voi.
LA VOCAZIONE DI PIETRO
Troviamo un bel racconto della vocazione di Pietro e dei primi 4 apostoli nel Vangelo di Luca, al capitolo 5.
La cornice è quella del ministero di Gesù: un ministero che suscitava già l’entusiasmo delle folle, perché, come dirà più tardi Pietro, Gesù «passava beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (Atti degli Apostoli 10, 38). Luca ricorda che Gesù «insegnava nelle sinagoghe, tutti ne facevano grandi lodi» (Luca 4, 15). Egli proclamava la Buona Novella anche in altri luoghi, come è il caso nel capitolo 5: «Un giorno, mentre, levato in piedi Gesù stava presso il lago di Genesaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, [Gesù] vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca» (Luca 5, 13). Potete contemplare questa scena suggestiva, e desiderare anche voi di essere ammaestrati da Cristo.
Segue poi l’episodio della vocazione dei 4 primi apostoli, in cui è Gesù a prendere l’iniziativa: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: « Prendi il largo, e calate le reti per la pesca »» (v. 4). È una strana richiesta da parte di Gesù.
I pescatori hanno appena terminato il loro lavoro, sono tornati dalla pesca «e lavavano le reti». Sono stanchi, e anche scoraggiati, perché hanno faticato tutta la notte senza prendere nulla. Non è proprio il momento di rimettersi a pescare. Eppure Gesù dice a Simon Pietro: «Prendi il largo». È una parola dinamica, Gesù comunica un dinamismo. Come risponde Pietro? Per prima cosa gli fa constatare a situazione: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». È una situazione di stanchezza e di amara delusione. Poi però Pietro.ha un’ispirazione che viene chiaramente da Dio,un’ispirazione di fede in Gesù: «Ma sulla tua parola, getterò le reti». È uno splendido atteggiamento di fede. Pietro si fida della parola di Gesù: «Sulla tua parola, getterò le reti». Tutte le circostanze vanno in senso contrario: dopo una notte intera di sforzi inutili, non era ragionevole ripartire. malgrado la stanchezza e senza vera speranza; il solo risultato umanamente prevedibile era un esaurimento completo, nient’altro. Pietro però non esita. (Un bell’esempio per noi, per la nostra missione: unione a Cristo nella fede e missione). lI miracolo dimostra poi la validità e la fecondità di questo atteggiamento di fede cieca: «Avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci, e le reti si rompevano; allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero, e riempirono tutte e due le barche, al punto che quasi affondavano». Vediamo la sovrabbondanza data da Dio ai pochi sforzi umani quando sono basati sulla fede. Il contrasto è fortissimo, tra la sterilità degli sforzi umani durante tutta una notte e la fecondità dell’attività basata sulla fede. (Chiedetevi se la vostra attività per il ministero è veramente basata sulla fede. Sicuramente avrete avuto esperienze analoghe di iniziative…)
L’episodio ha chiaramente un valore simbolico, educativo: Gesù ha fatto l’educazione dell’apostolo Pietro, dandogli due lezioni che ribadirà più tardi: «Senza di me non potete fare nulla», dirà Gesù nel discorso dopo la cena (Giovanni 15, 6); invece «chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto» (ib.).
«Grande stupore infatti l’aveva preso…»
Pietro è impressionato, si capisce. Luca parla in proposito di thambos. Questa parola greca non designa un semplice «stupore», come dice la traduzione, ma uno spavento religioso, lo spavento che prova l’uomo nel contatto con il sacro, con il divino. Non è una qualsiasi paura, ma un sentimento specifico, un fremito religioso, come quello di Mosè nell’episodio del roveto ardente. Mosè si velò la faccia, (Esodo 3, 6) per non vedere. O, ancora meglio, come Isaia, quando ebbe la sua visione di Dio e dei serafini nel tempio (Isaia 6). Pietro ha proprio una reazione simile a quella di Isaia, cioè si sente indegno, si sente peccatore di fronte alla santità divina manifestata dal prodigio.
«Ahimé, esclamava Isaia, io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono!». In modo analogo, Pietro dice: «Signore, allontánati da me perché sono un peccatore!». L’autenticità del contatto personale con Dio e con Cristo si manifesta in questa reazione, cioè nella viva percezione della propria indegnità, della propria impurità.
Ci dobbiamo chiedere se abbiamo questa percezione, o se siamo forse diventati troppo familiari, in senso peggiorativo, con le realtà divine, cioè se abbiamo perso il rispetto profondo di Dio, perché questo è un pericolo nella vita sacerdotale e spirituale: le cose abituali perdono di rilievo, assueta vilescunt, e quindi si ricevono quasi con indifferenza. Ogni giorno il Signore ci offre il suo Corpo e il suo Sangue, e, poiché lo fa ogni giorno, noi non siamo più impressionati, è una cosa quotidiana. Rischiamo di essere insensibili al contatto con il Signore, e quindi incapaci di una relazione profonda con Lui. Mi pare che dobbiamo riflettere molto su questa parola di Pietro: «Signore, allontànati da me,perché sono un peccatore». La Chiesa ci educa in questo senso, perché prima della Comunione ci fa sempre dire: «Signore, non sono degno…». Però anche questo diventa una formula consueta che passa come tante altre cose, senza lasciare più un segno. (Gli EE. sono fatti per ridarci una coscienza, un’occasione di riprendere coscienza più viva del nostro contatto con la santità di Dio. È una grazia fondamentale da chiedere).
Per Pietro questa percezione della propria indegnità, della propria impurità, era allo stesso tempo una condizione perché egli potesse ricevere in modo giusto la grazia della vocazione, cioè senza essere tentato di attribuirla alle proprie qualità, ai propri meriti, ma riconoscendo che essa era un puro dono di grazia, una manifestazione della generosità gratuita del Signore.
Soltanto una parola divina può mettere fine allo spavento religioso. Gesù dice a Pietro: «Non temere», proprio per mettere fine a questo spavento, come l’arcangelo Gabriele disse: «Non temere» a Zaccaria, che provava lo stesso sentimento, e poi anche a Maria, che era turbata dal saluto dell’angelo. «Non temere»… Quando abbiamo una impressione profonda del contatto con Dio il Signore non manca mai di intervenire per metterci nella pace, una pace profonda, che non può essere ricevuta senza il passaggio attraverso la fiducia e il seguire nel nostro cammino spirituale. E poi, Gesù definisce la vocazione di Pietro: «D’ora in poi sarai pescatore di uomini» (in greco: “di uomini sarai pescatore”) – un cambiamento di livello, un cambiamento di prospettive… Pietro riceve una vocazione analoga al suo mestiere umano, però Gesù lo mette a un altro livello, associandolo alla propria opera divina di salvezza: prendere uomini, non per opprimerli, ma al contrario per liberarli, per metterli nella libertà dello Spirito Santo. Per questa nuova missione, Pietro avrà più che mai bisogno della fede, dell’unione con Gesù nella fede: questa è la condizione assolutamente essenziale.
Ogni vocazione fa passare ad un altro livello di esistenza e di attività; siete chiamati a fare con Cristo la sua opera di amore, un’opera divina, non lo dovete dimenticare. Non avete il diritto di ridurre le vostre ambizioni, perché esse sono state definite dal Signore: fare un’opera divina di amore, in unione e conformità al suo Cuore. Condizione fondamentale, la fede, l’adesione di fede che vi unisce a Cristo e gli consente di far passare attraverso di voi la sua forza divina per la salvezza del mondo odierno. Chiedete con insistenza la grazia di corrispondere pienamente alla vostra vocazione personale con più profonda adesione di fede a Cristo e con accettazione delle ambizioni divine su di voi, accettazione piena della missione.
(L’ultima frase esprime una perfetta risposta alla vocazione: «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Bella generosità. Questa l’avete avuta…)
Un’ultima osservazione: potete notare come in questo Vangelo Gesù s’interessi specialmente di Pietro: questi non era il solo presente; il Vangelo parla di pescatori al plurale e dice che c’erano due barche. Alla fine vengono nominati anche Giacomo e Giovanni; Gesù, però, dall’inizio alla fine si rivolge soltanto a Pietro (vv. 3. 4. 10). A Pietro dice di scostarsi un poco da terra, a Pietro dice: «Prendi il largo», e a Pietro alla fine dice: «D’ora in poi sarai di uomini sarai pescatore». È chiaro che Gesu voleva dare a Pietro una posizione di primato nell’opera di salvezza. Così questo vangelo contribuisce a confermare la nostra fede cattolica, e la nostra fedeltà al successore di Pietro. La nostra vocazione sacerdotale, per essere pienamente vissuta nella fede, deve essere in comunione ecclesiale con il successore di Pietro.
CONVERSIONE Dl SAN PIETRO
Dopo aver meditato sulla vocazione di san Pietro, meditiamo sulla sua conversione. A prima vista Pietro non aveva bisogno di conversione. La situazione di Pietro è stata molto diversa da quella di Paolo: non ha mai perseguitato la Chiesa, ma ne è stato il primo capo. Pietro ha seguito Gesù sin dall’inizio della sua vita pubblica;; non ebbe bisogno di una manifestazione folgorante di di Cristo risorto per diventare suo discepolo. Però da un altro punto di vista la situazione di Pietro era simile a quella di Paolo, nel senso che Pietro, come Paolo, era un uomo generoso che voleva fare molto per Dio. Quando Gesù lo chiamò, Pietro lasciò tutto e lo seguì. Poi si mostrò sempre generoso, come possiamo leggere nel Vangelo. Quando c era qualche risposta da dare, qualcosa da fare, vediamo che Pietro subito si presenta come il più premuroso per agire. Quando Gesù chiede ai Dodici: «Voi chi dite che io sia?», è Pietro a rispondere, con una magnifica professione di fede. Dopo il discorso sul pane di vita, quando parecchi vanno via, e Gesù chiede ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?», è Pietro a rispondere: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Quando Gesù nella notte cammina suI mare e si avvicina alla barca, i discepoli sono spaventati poiché credono di vedere un fantasma, Pietro dice: «Se sei tu, Signore, dimmi di venire a Te sull’acqua». Gesù dice di sì e Pietro scende dalla barca. Alla Trasfigurazione Pietro vuol rendersi utile e propone di fare tre tende, per Gesù, Mosè ed Elia. Al Getsemani sguaina la spada per difendere Gesù. Anche dopo Pasqua, nell’apparizione in riva al lago, Pietro si butta nell’acqua per raggiungere Gesù píù presto. La generosità di Pietro è evidente. Spesso la conversione viene intesa come il passaggio da una vita mediocre, poco generosa, a una vita veramente generosa. Molti hanno bisogno di questo genere di conversione. Pietro non ne aveva bisogno. Al contrario, la sua conversione dovette consistere,in un certo senso, nel rinunciare alla propria generosità. Potete pensare che sia una strana conversione, ma è una conversione necessaria: rinunciare alla propria generosità per fondare tutto sulla grazia di Dio, sull’amore gratuito di Dio. Una conversione fondamentale per ciascuno di noi, che dobbiamo sempre rifare. Per Pietro, la conversione non è stata istantanea. I Vangeli riferiscono parecchie tappe successive, che percorreremo rapidamente adesso. Nell’orazione potete benissimo fermarvi a una di queste tappe, quella che per voi sarà la più suggestiva.
La prima tappa è quella descritta in Matteo 16, oppure in Marco 8; viene dopo la professione di fede di Pietro fatta nelle vicinanze di Cesarea di Filippo. Pietro ha detto: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» e Gesù: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei Cieli». Quindi Pietro ha ricevuto una rivelazione divina. Gesù prosegue dicendo: «Io ti dico: tu sei roccia, e su questa roccia edificherò la mia Chiesa». «Roccia» è una traduzione più esatta della parola aramaica usata da Gesù «Kefa»; Gesù ha preso questo nome di cosa e ne ha fatto un nome di persona, che ha ha Simone. La parola aramaica, grecizzata con una esse finale, si trova nel IV vangelo (Gv 1, 42) e più volte nelle lettere di san Paolo. In greco è stata tradotta con il maschile Pétros (che significa sasso), perché la parola femminile pietra non conveniva come nome per un uomo. Pietro e pietra originariamente era la stesa parola: «Tu sei roccia, il tuo nome sarà roccia, e su questa roccia edificherò la mia Chiesa». ( S.Agostino ne ha fatto una conclusione, dicendo che la pietra non è l’apostolo, ma la sua fede in Cristo. Conclusione sbagliata: la roccia è Pietro).
Quindi Pietro è stato così stabilito in una dignità molto alta. Subito dopo Gesù comincia ad annunciare la sua passione. Dovrà soffrire molto, e venire ucciso. Pietro non è d’accordo, prende Gesù in disparte e comincia «a rimproverarlo». Gli dice (in Mt «protesta», in Mc «rimprovera»): «Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai!» (Mt 16, 22).
Qual è il motivo di Pietro? È un motivo generoso, un motivo di amore. Pietro vuol bene a Gesù immensamente, e per questa ragione non accetta l’eventualità che Gesù sia umiliato, condannato e ucciso. Non vuole questo perché ama Gesù. Pietro è pronto a combattere per risparmiare a Gesù le umiliazioni e le sofferenze. Quindi, il suo atteggiamento è generoso. Però questa generosità, per quanto sincera, non è buona perché non è sottomessa alla grazia di Dio, al disegno divino di salvezza: è una generosità umana che non corrisponde all’amore che viene da Dio.
Di conseguenza Gesù deve dichiarare a Pietro che egli ha bisogno di conversione. Gesù esprime questa esigenza di conversione con parole molto dure. Dice: «Vai via da me (vattene via, dietro a me) Satana! Tu mi sei d’intralcio, perché non hai i pensieri di Dio, ma quelli degli uomini». Che contrasto con le parole anteriori: «Beato te, Simone…», «I1 Padre mio te l’ha rivelato…», «Tu sei roccia, e su questa roccia edificherò la mia Chiesa». Satana in ebraico significa «avversario», un nome dato al diavolo. Vediamo dunque che una stessa persona può avere successivamente ispirazioni divine e poi pensieri completamente privi di validità spirituale. Non perché uno ha ricevuto e trasmesso un’ispirazione divina, il suo valore personale è garantito… Il valore personale dipende da una conversione, non dipende da un carisma. È possibile fare miracoli e non essere personalmente graditi a Dio. Gesù lo dice chiaro e tondo in Matteo 7, 22. La conversione personale è necessaria, e la conversione è più difficoltosa dell’esercizio dei carismi straordinari. (cfr «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, noi abbiamo profetato nel tuo nome e cacciato i demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome. Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuto. Allontanatevi da me, voi operatori di iniquità»: l’unione a Cristo…). Pietro aveva bisogno di conversione, doveva cambiare mentalità radicalmente. Stava a livello umano, un livello che ha il suo valore. Però, quando si tratta di entrare nella vita spirituale e apostolica, il livello umano non è adeguato; la vita spirituale e la missione richiedono un altro livello.
Pietro aveva pensieri umani di grandezza. Non era il solo: gli evangelisti riferiscono due volte che tra i Dodici sorse una discussione su chi di essi fosse il più grande: la prima volta in Matteo 18, 14, e brani paralleli in Marco 9,33-37 e Luca6 9,46-48. Gesù allora aveva espresso la necessità di una conversione: prendendo un bambino aveva detto: «Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli». Diventare bambini ripugna a noi adulti, però è indispensabile. Nel corso dell’Ultima Cena c’è di nuovo :questa discussione (Luca 22, 24). L’evangelista non dice se Pietro ci abbia preso parte in modo speciale. Pietro era più incline a difendere Gesù che non a difendere il proprio posto. Lui l’aveva, il primo posto, ma non insisteva su questo punto. Tuttavia nel Vangelo di Luca vediamo che Gesù, dopo questa discussione, fa una. dichiarazione speciale a Simon Pietro. Egli gli dice: «Simone, Simone, ecco, Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Luca 22, 3132). Gesù di nuovo accenna alla necessità di una conversione, e prevede che questa conversione avrà luogo, di modo che Simon Pietro possa poi confermare i suoi fratelli.
Pietro però non vedeva la necessità di convertirsi, non ne sentiva il bisogno. Era convinto di essere un discepolo sincero, generoso. Pietro allora disse «Signore, con Te sono pronto ad andare in prigione e alla morte» (Luca 22, 33). Pietro manifesta la propria generosità, che sembra perfetta. Che cosa potrebbe essere più perfetto dell’essere pronto ad andare in prigione con Gesù e a morire con Lui? Gesù pero risponde: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi». Ecco dove conduceva questa generosità umana. Tutto questo è molto sconcertante.
Possiamo capire meglio il problema spirituale leggendo il Vangelo di san Giovanni. Vediamo in esso la generosità di Pietro e il genere di conversione di cui aveva bisogno. Nel capitolo tredici del racconto dell’ultima cena, Gesù si alza da tavola, depone le vesti e, preso un asciugamano, se lo cinge intorno alla vita e comincia a lavare i piedi dei suoi discepoli. Viene dunque da Simon Pietro, ma Pietro non è d’accordo. Domanda con stupore: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Gesù risponde: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo» (Giovanni 13,7). Pietro, invece, dice: «Non mi laverai mai i piedi». Pietro non vuole che il Signore si abbassi davanti a lui. Non vuole questa umiliazione. Per lui Gesù deve essere il Signore, il Messia glorioso, vittorioso. Per amore nei suoi confronti, Pietro vorrebbe Gesù al di sopra di tutti. Pietro non capiva l’ordine dell’amore. Egli voleva salvare Cristo, invece di accettare di essere salvato da Cristo. «In questo sta l’amore, dice san Giovanni: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ci ha amati, e ha mandato il suo Figlio come strumento di perdono per i nostri peccati» (1Giovanni 4, 10). Chi non accetta questo, si chiude all’amore che viene da Dio.. Per motivi che sembrano nobili, si chiude alla grazia. Lo dice Gesù, in maniera molto risoluta: «Gli rispose Gesù: « Se non ti laverò, non avrai parte con me »» (Giovanni 13, 8). È veramente una minaccia tremenda per Pietro, che vuole tanto bene a Gesù, sentire questo: «Se non ti laverò, non avrai parte con me…». Sarà la separazione, sarà la rottura… Allora Pietro si rassegna, ma si rassegna facendo di nuovo il generoso, perché non ha ancora capito. Dice: «Signore, allora non solo i piedi, ma anche le mani, e il capo» (13,9). Di nuovo si mette avanti, fa il generoso – è quasi divertente -questa generosità è sbagliata. Non ha capito, e lo si vede più avanti nel Vangelo, nello stesso capitolo, quando Gesù dice, dopo la partenza di Giuda: «Figlioli, ancora per poco sono con voi. Voi mi cercherete, ma come ho già detto ai giudei lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire» (13,33). Gesù deve tracciate la via da solo. Nessuno lo può precedere, perché è Lui che deve salvare, nessuno può andare con Lui sulla croce. «Dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro è contrariato: egli vuol bene a Gesù, vuole andare con Lui. E dunque gli chiede: «Signore dove vai?». Gesù risponde: «Dove io vado,per ora tu non puoi seguirmi. Mi seguirai più tardi» (13,36). C’è un calendario nella vita spirituale, tappe che si devono percorrere successivamente, e che non è possibile anticipare. «Tu non puoi seguirmi ora. Mi seguirai più tardi»: quando Gesù avrà tracciato la via, allora sarà possibile seguirlo (e Gesù dirà a Pietro due volte: «seguimi» Gv 19,22). Ma Pietro di nuovo esprime il suo dissenso: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per Te». Di nuovo la sua generosità: dare la propria vita per Gesù. Un ideale bellissimo, ma Gesù deve rispondere, come negli altri Vangeli: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte» (Giovanni 13, 38). La generosità sbagliata, che è una forma sottile di superbia, conduce al rinnegamento.
Pietro non ha capito, e perciò nel Getsemani continua nel suo progetto: Pietro vuole proteggere Gesù, lo vuole salvare. Quando vengono a prenderlo, Pietro sguaina la spada e comincia a combattere: è il suo modo di capire le cose, di intendere il destino di Gesù: Gesù deve essere il Messia glorioso, il Messia vittorioso, e quindi occorre combattere per Lui. È il modo umano di concepire il Messia, un modo molto radicato nella mentalità giudaica: e ancora oggi i giudei non accettano Gesù come il Messia perché un Messia crocifisso non si accorda con le loro idee. Nel Quarto Canto del «Servo di YHWH» (Isaia 55), il Targum, cioè la traduzione aramaica, ha cambiato il testo per escludere tutte le cose umilianti per il Messia. Applica questo canto al Messia; il testo ebraico di Isaia non parla del Messia, mentre la traduzione aranaica mette all’inizio il nome del Messia, dicendo: «Ecco il mio servo il Messia avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente» (Isaia 52, 13).
Questa frase gloriosa viene applicata al Messia, invece le cose umilianti annunciate poi dal profeta vengono applicate ad altri personaggi. Così la pensava Pietro nel suo amore per Gesù. Da che cosa proviene il rinnegamento? Da una mancanza di generosità? No, esso proviene dal fatto che Pietro è stato completamente sconcertato. Egli era pronto a dare la vita per Gesù, però combattendo. Un uomo non si lascia morire in modo passivo. Questo non è degno di un uomo. Un uomo deve combattere. Se muore combattendo, è ancora una cosa gloriosa. Pietro non poteva capire perché Gesù non si difendesse, e quindi era completamente sconcertato, e in un certo senso poteva dire senza mentire: «Non conosco questo uomo».
Non riconosceva più Gesù… Gesù, tanto «potente in opere e in parole» (Luca 24, 19), era diventato un uomo apparentemente incapace di resistenza, un uomo che si lascia prendere e umiliare. Pietro non lo conosceva più, e quindi l’ha rinnegato. Questa situazione umanamente molto penosa è stata necessaria per la sua conversione. San Luca dice che dopo il triplice rinnegamento, quando Pietro entrò nel cortile, dopo che aveva detto: «O uomo, non so quello che dici», in quell’istante, scrive san Luca, mentre ancora parlava, «un gallo cantò». Allora il Signore, voltandosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». Quindi Pietro riconobbe la verità della predizione di Gesù, «e uscito, pianse amaramente», dice il Vangelo. Lo sguardo di Gesù ha cambiato il cuore di Pietro. Pietro allora ha abbandonato per forza i pensieri umani, l’ambizione umana di salvare Gesù, per accettare la grazia che veniva in questa maniera sconcertante ma profonda. Pietro è stato convertito da questo sguardo del Signore… Ha colto il messaggio della Passione… Ha accettato i pensieri divini, ha accettato di non essere il primo in amore, ma che Gesù fosse il primo. E ha messo la sua generosità al secondo posto, molto umilmente.
San Giovanni nel suo ultimo capitolo ci mostra l’atteggiamento di Pietro dopo la Risurrezione Gesù risorto è apparso in riva al lago, ha procurato ai discepoli una pesca miracolosa e li ha invitati a mangiare. Dopo che ebbero mangiato, dice il Vangelo, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro». Il verbo in greco è il yerbo agapan, che significa proprio amore generoso; è il verbo abituale nel Nuovo Testamento, perché l’amore di Dio è un amore generoso, l’amore di Gesù è un amore generoso, e Gesù ci comunica questo amore generoso. Noi non lo possediamo da noi stessi, ma se lo riceviamo da Lui allora lo abbiamo. Gesù fa questa domanda: «Mi ami tu generosamente più di costoro?». La risposta di Pietro è molto modesta: «Sì, Signore, Tu lo sai che ti amo teneramente». In questa risposta ci sono tre tratti significativi. Il primo è che Pietro non pretende di amare più degli altri, non risponde a questa parte della domanda, prima l’aveva preteso, quando Gesù aveva annunciato «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte e Pietro aveva allora dichiarato «Anche se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai» (Mt 26,31-33); adesso non ha più questa pretesa. Il secondo tratto: Pietro non usa il verbo agapan, ma un altro verbo, filein, che esprime amicizia, amore tenero, un verbo greco che ha anche il senso di baciare; Pietro dichiara soltanto di provare affetto tenero verso Gesù. Il terzo tratto: egli si affida perché Gesù sa: «Tu sai meglio di me qual’è la qualità del mio amore per te». Allora Gesù gli dice: «Pasci i miei agnelli». Perché Pietro non conta più su se stesso, Gesù gli può affidare una missione pastorale. Poi di nuovo gli domanda: «Simone di Giovanni mi ami tu generosamente?». Questa volta Gesù ha abbandonato il paragone. E Pietro di nuovo dice: «Sì, Signore, tu sai che io ti amo teneramente». La terza volta Gesù riprende il verbo usato da Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami teneramente?». Il Vangelo ci dice che Pietro rimase allora addolorato per il fatto che in questa terza domanda Gesù gli avesse chiesto se egli lo amava teneramente, sembrando mettere in dubbio questa prova di amore. È significativo che nondimeno nella sua risposta Pietro non insiste sulla propria convinzione bensì sulla conoscenza che Gesù possiede: «Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti amo teneramente». E Gesù gli dice: «Pasci le mie pecorelle». Pietro ha preso un atteggiamento di uomo convertito, che non mette al primo posto le proprie certezze, la propria generosità, ma si sottomette alla grazia divina, e si affida al Signore anche per le proprie affermazioni. Non dice: «Io so che ti amo generosamente», bensì dice: «Tu lo sai che ti amo teneramente» .
Mi pare che ci sia molto utile meditare su questa conversione di Pietro e chiedere al Signore la grazia di una tale conversione, che è indispensabile per il nostro vero progresso spirituale e per la nostra autentica fecondità apostolica.
Nella sua Prima Lettera, Pietro manifesta lo stesso atteggiamento, perché comincia con il ringraziare Dio: «Benedetto Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo». Dire «Benedetto Dio» è un modo di ringraziare Dio. Pietro mette il rendimento di grazie come prima disposizione fondamentale. «Nella sua grande misericordia, Egli ci ha fatto rinascere mediante la risurrezione di Gesù Cristo» (1 Pietro 1,3). Pietro si riconosce oggetto della misericordia divina, grazie alla quale è potuto rinascere nel mistero pasquale. Alla fine di questa lettera bellissima, raccomanda a tutti l’umiltà. Dice: «Rivestitevi tutti di umiltà, gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché Egli vi esalti al tempo opportuno, gettando in Lui ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di voi» (1 Pietro 5, 57).
È il frutto della conversione di Pietro, un frutto soave, un frutto saporito, un frutto di umiltà e di riconoscenza, amore riconoscente, non più pretesa superba di generosità – salvare Gesù – ma accoglienza umile, gioiosa e riconoscente della salvezza offerta dal Signore.