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PAPA FRANCESCO A CUBA, NEGLI STATI UNITI INCONTRO CON LE FAMIGLIE, 22 SETTEMBRE

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150922_cuba-famiglie.html

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO A CUBA, NEGLI STATI UNITI D’AMERICA
E VISITA ALLA SEDE DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

(19-28 SETTEMBRE 2015)

INCONTRO CON LE FAMIGLIE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione, Santiago (Cuba)

Martedì, 22 settembre 2015

Siamo in famiglia. E quando uno sta in famiglia si sente a casa. Grazie famiglie cubane, grazie cubani per avermi fatto sentire in tutti questi giorni in famiglia, per avermi fatto sentire a casa. Grazie per tutto questo. Questo incontro con voi è come “la ciliegina sulla torta”. Concludere la mia visita vivendo questo incontro in famiglia è un motivo per rendere grazie a Dio per il “calore” che promana da gente che sa ricevere, che sa accogliere, che sa far sentire a casa. Grazie a tutti i cubani.
Ringrazio Mons. Dionisio García, Arcivescovo di Santiago, per il saluto che mi ha rivolto a nome di tutti, e la coppia che ha avuto il coraggio di condividere con tutti noi i suoi aneliti e i suoi per vivere la famiglia come una “chiesa domestica”.
Il Vangelo di Giovanni ci presenta come primo avvenimento pubblico di Gesù le Nozze di Cana, nella festa di una famiglia. Lì è con Maria sua madre e alcuni dei suoi discepoli. Condividevano la festa familiare.
Le nozze sono momenti speciali nella vita di molti. Per i “più veterani”, genitori, nonni, è un’occasione per raccogliere il frutto della semina. Dà gioia all’anima vedere i figli crescere e poter formare la propria famiglia. È l’opportunità di vedere, per un istante, che tutto ciò per cui si è lottato ne valeva la pena. Accompagnare i figli, sostenerli, stimolarli perché possano decidersi a costruire la loro vita, a formare la loro famiglia, è un grande compito per i genitori. A loro volta, i giovani sposi sono nella gioia. Tutto un futuro che comincia. E tutto ha “sapore” di casa nuova, di speranza. Nelle nozze sempre si incontrano il passato che ereditiamo e il futuro che ci attende. C’è memoria e speranza. Sempre si apre l’opportunità di ringraziare per tutto ciò che ci ha permesso di giungere fino ad oggi con lo stesso amore che abbiamo ricevuto.
E Gesù comincia la sua vita pubblica proprio in un matrimonio. Si inserisce in questa storia di semina e raccolto, di sogni e ricerche, di sforzi e impegno, di lavori faticosi che hanno arato la terra perché dia il suo frutto. Gesù comincia la sua vita pubblica all’interno di una famiglia, in seno ad una comunità domestica. Ed è proprio in seno alle nostre famiglie che Egli continua ad inserirsi, continua ad esser parte. Gli piace stare in famiglia.
È interessante osservare come Gesù si manifesta anche nei pranzi, nelle cene. Mangiare con diverse persone, visitare diverse case è stato per Gesù un luogo privilegiato per far conoscere il progetto di Dio. Egli va a casa degli amici – Marta e Maria –, ma non è selettivo, non gli importa se ci sono pubblicani o peccatori, come Zaccheo. Va a casa di Zaccheo. Non solo Egli agiva così, ma quando inviò i suoi discepoli ad annunciare la buona novella del Regno di Dio, disse loro: «Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno» (Lc 10,7). Matrimoni, visite alle famiglie, cene, qualcosa di speciale avranno questi momenti nella vita delle persone perché Gesù preferisca manifestarsi lì.
Ricordo nella mia diocesi precedente che molte famiglie mi spiegavano che l’unico momento che avevano per stare insieme era normalmente la cena, di sera, quando si tornava dal lavoro, e i più piccoli finivano i compiti di scuola. Era un momento speciale di vita familiare. Si commentava il giorno, ciò che ognuno aveva fatto, si metteva in ordine la casa, si sistemavano i vestiti, si organizzavano gli impegni principali per i giorni seguenti, i bambini litigavano… era il momento. Sono momenti in cui uno arriva anche stanco, e qualche discussione, qualche litigata tra marito e moglie succede, ma non c’è da aver paura; io ho più paura delle coppie che mi dicono che mai, mai hanno avuto una discussione; raro, è raro. Gesù sceglie questi momenti per mostrarci l’amore di Dio, Gesù sceglie questi spazi per entrare nelle nostre case e aiutarci a scoprire lo Spirito vivo e operante nelle nostre case e nelle nostre cose quotidiane. È in casa che impariamo la fraternità, impariamo la solidarietà, impariamo il non essere prepotenti. È in casa che impariamo ad accogliere e apprezzare la vita come una benedizione e che ciascuno ha bisogno degli altri per andare avanti. È in casa che sperimentiamo il perdono, e siamo invitati continuamente a perdonare, a lasciarci trasformare. E’ interessante: in casa non c’è posto per le “maschere”, siamo quello che siamo e, in un modo o nell’altro, siamo invitati a cercare il meglio per gli altri.
Per questo la comunità cristiana chiama le famiglie con il nome di chiese domestiche, perché è nel calore della casa che la fede permea ogni angolo, illumina ogni spazio, costruisce la comunità. Perché è in momenti come questi che le persone hanno cominciato a scoprire l’amore concreto e operante di Dio.
In molte culture al giorno d’oggi vanno sparendo questi spazi, vanno scomparendo questi momenti familiari, pian piano tutto tende a separarsi, isolarsi; scarseggiano i momenti in comune, per essere uniti, per stare in famiglia. E dunque non si sa aspettare, non si sa chiedere permesso, non si sa chiedere scusa, non si sa ringraziare, perché la casa diventa vuota, non di persone, ma vuota di relazioni, vuota di contatti umani, vuota di incontri, tra genitori, figli, nonni, nipoti, fratelli…. Poco tempo fa una persona che lavora con me mi raccontava che sua moglie e i figli erano andati in vacanza e lui era rimasto solo, perché gli toccava lavorare in quei giorni. Il primo giorno la casa stava tutta in silenzio, “in pace”, era felice, niente in disordine. Il terzo giorno, quando gli ho chiesto come stava, mi ha detto: “Voglio già che ritornino tutti”. Sentiva che non poteva vivere senza sua moglie e i suoi figli. E questo è bello, questo è bello.
Senza famiglia, senza il calore di casa, la vita diventa vuota, cominciano a mancare le reti che ci sostengono nelle difficoltà, le reti che ci alimentano nella vita quotidiana e motivano la lotta per la prosperità. La famiglia ci salva da due fenomeni attuali, due cose che succedono al giorno d’oggi: la frammentazione, cioè la divisione, e la massificazione. In entrambi i casi, le persone si trasformano in individui isolati, facili da manipolare e governare. E allora troviamo nel mondo società divise, rotte, separate o altamente massificate sono conseguenza della rottura dei legami familiari; quando si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone. E così uno si dimentica di come si dice papà, mamma, figlio, figlia, nonno, nonna… Si perde la memoria di queste relazioni che sono il fondamento. Sono il fondamento del nome che abbiamo.
La famiglia è scuola di umanità, scuola che insegna a mettere il cuore nelle necessità degli altri, ad essere attenti alla vita degli altri. Quando viviamo bene nella famiglia, gli egoismi restano piccoli – ci sono, perché tutti abbiamo un po’ di egoismo –; ma quando non si vive una vita di famiglia si generano quelle personalità che possiamo definire così: “io, me, mi, con me, per me”, totalmente centrate su sé stesse, che ignorano la solidarietà, la fraternità, il lavoro in comune, l’amore, la discussione tra fratelli. Lo ignorano. Nonostante le molte difficoltà che affliggono oggi le nostre famiglie nel mondo, non dimentichiamoci, per favore, di questo: le famiglie non sono un problema, sono prima di tutto un’opportunità. Un’opportunità che dobbiamo curare, proteggere e accompagnare. E’ un modo di dire che sono una benedizione. Quando incominci a vivere la famiglia come un problema, ti stanchi, non cammini, perché sei tutto centrato su te stesso.
Si discute molto oggi sul futuro, su quale mondo vogliamo lascare ai nostri figli, quale società vogliamo per loro. Credo che una delle possibili risposte si trova guardando voi, questa famiglia che ha parlato, ognuno di voi: vogliamo lasciare un mondo di famiglie. E’ la migliore eredità: lasciamo un mondo di famiglie. Certamente non esiste la famiglia perfetta, non esistono sposi perfetti, genitori perfetti né figli perfetti, e, se non si offende, io direi suocera perfetta. Non esistono, non esistono. Ma questo non impedisce che siano la risposta per il domani. Dio ci stimola all’amore e l’amore sempre si impegna con le persone che ama. Per questo, abbiamo cura delle nostre famiglie, vere scuole del domani. Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri spazi di libertà. Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri centri di umanità.
E qui mi viene un’immagine: quando, nelle Udienze del mercoledì, passo a salutare la gente, tante tante donne mi mostrano la pancia e mi dicono: “Padre, me lo benedice?”. Io ora vi propongo una cosa, a tutte quelle donne che sono “incinte di speranza”, perché un figlio è una speranza: che in questo momento si tocchino la pancia. Se c’è qualcuna qui, lo faccia. O quelle che stanno ascoltano alla radio o alla televisione. E io, a ciascuna di loro, ad ogni bambino o bambina che è lì dentro ad aspettare, do la benedizione. Così che ognuna si tocca la pancia e io le do la benedizione, nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo. E auguro che nasca bello sano, che cresca bene, che lo possa allevare bene. Accarezzate il bambino che state aspettando.
Non voglio concludere senza fare riferimento all’Eucaristia. Avrete notato che Gesù vuole utilizzare come spazio del suo memoriale una cena. Sceglie come spazio della sua presenza tra noi un momento concreto della vita familiare. Un momento vissuto e comprensibile per tutti, la cena.
E l’Eucaristia è la cena della famiglia di Gesù, che da un confine all’altro della terra si riunisce per ascoltare la sua Parola e nutrirsi con il suo Corpo. Gesù è il Pane di Vita delle nostre famiglie, vuole essere sempre presente nutrendoci con il suo amore, sostenendoci con la sua fede, aiutandoci a camminare con la sua speranza, perché in tutte le circostanze possiamo sperimentare che Egli è il vero Pane del cielo.
Tra pochi giorni parteciperò insieme alle famiglie del mondo all’Incontro Mondiale delle Famiglie, e tra meno di un mese al Sinodo dei Vescovi che ha per tema la Famiglia. Vi invito a pregare. Vi chiedo per favore di pregare per queste due intenzioni, perché sappiamo tutti insieme aiutarci a prenderci cura della famiglia, perché sempre più sappiamo scoprire l’Emmanuele, cioè il Dio che vive in mezzo al suo popolo facendo di ogni famiglia e di tutte le famiglie la sua dimora. Conto sulla vostra preghiera. Grazie!

Saluto finale dalla terrazza antistante la chiesa:

Vi saluto. Vi ringrazio… l’accoglienza, il calore… I cubani sono davvero gentili, buoni, e ti fanno sentire a casa. Tante grazie! E voglio dire una parola di speranza. Una parola di speranza che forse ci farà girare la testa indietro e in avanti. Guardando indietro: memoria. Memoria di quelli che ci hanno portato alla vita, e specialmente, dei nonni. Un gran saluto ai nonni. Non dimentichiamoci dei nonni. I nonni sono la nostra memoria vivente. E guardando in avanti: i bambini e i giovani, che sono la forza di un popolo. Un popolo che ha cura dei suoi nonni e che ha cura dei suoi bambini e dei suoi giovani, ha il trionfo assicurato! Dio vi benedica. Lasciate che vi dia la benedizione, ma ad una condizione. Dovrete pagare qualcosa: vi chiedo di pregare per me. Questa è la condizione. Vi benedica Dio Onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Addio e grazie!

 

LETTERA AI GENITORI – CARD. C.M.MARTINI

http://www.dehoniane.it:9080/komodo/trunk/webapp/web/files/riviste/archivio/02/200213427a.htm

CARD. CARLO MARIA MARTINI,

ARCIVESCOVO DI MILANO

Milano, 24 giugno 2002,

Lettera ai genitori

« Vi scrivo per condividere con voi una preoccupazione. Mi sembra di intravedere in molti ragazzi e giovani uno smarrimento verso il futuro, come se nessuno avesse mai detto loro che la loro vita non è un caso o un rischio, ma una vocazione… Non dovete dunque temere: il Signore chiama solo per rendere felici. Ecco perché oso disturbarvi. Mi sta a cuore la felicità vostra e dei vostri figli ». Vicino ormai alla conclusione del suo ministero pastorale alla guida dell’arcidiocesi di Milano (il 15 febbraio scorso ha compiuto 75 anni e rassegnato le dimissioni), il card. Carlo Maria Martini ha voluto scrivere una Lettera ai genitori, dal titolo Per chi ama i suoi figli e il futuro della Chiesa (24 giugno 2002).
Il tratto della cura e della vicinanza affettuosa pervade la lettera, che inquadra le fatiche e le preoccupazioni della condizione di genitori nella prospettiva di una vocazione benedetta da Dio e di una grazia, suggerendo purificazioni e priorità e comunicando fiducia e speranza.
Per la festa di San Carlo dell’anno scorso ho scritto una lettera ai preti sul futuro delle vocazioni. Ora, prima di concludere il mio ministero a Milano, vorrei dire una parola su questo argomento anche a tutti i genitori, ma allargando il più possibile gli orizzonti nel quadro della vita di famiglia e nell’ambito di ogni vocazione cristiana. Vi scrivo queste cose nella festa della Natività di san Giovanni Battista, che ci parla della gioia di un papà e di una mamma di avere un figlio a cui Dio ha assegnato una grande missione. Su questi temi avevo già parlato ai genitori in alcune brevi pagine delle lettere di Natale degli scorsi anni e ora busso di nuovo con discrezione alla vostra porta.
Avrete tempo per leggere anche questa lettera? Avrete un momento di calma per condividere qualche mia preoccupazione e considerare qualche mia proposta?
Chi sa come è stata la vostra giornata? Forse dopo ore di lavoro non facile e non senza tensioni, avete affrontato il viaggio di ritorno a casa che è stato più lungo ed esasperante del solito per un ingorgo, per un ritardo, per un qualsiasi imprevisto; e per finire può essere che appena entrati in casa abbiate incrociato lo sguardo risentito della figlia adolescente per un permesso negato e l’irrequietezza del più piccolo con i suoi capricci e la scoraggiante approssimazione nel finire i compiti.
E io oso ancora disturbarvi…!
Dovete credere che mi muove a questo scritto proprio un affetto, una cura per la vostra famiglia, il desiderio di dirvi ancora una volta la mia vicinanza e la mia ammirazione per il vostro compito educativo, così affascinante e talora così logorante.
Vi scrivo per condividere con voi una preoccupazione. Mi sembra di intravedere in molti ragazzi e giovani uno smarrimento verso il futuro, come se nessuno avesse mai detto loro che la loro vita non è un caso o un rischio, ma è una vocazione.
Ecco, vorrei parlarvi della vocazione dei vostri figli e invitarvi ad aprire loro orizzonti di speranza. Infatti i vostri figli, che voi amate tanto, sono amati ancor prima, e d’amore infinito, da Dio Padre: perciò sono chiamati alla vita, alla felicità che il Signore annuncia nel suo Vangelo. Dunque il discorso sulla vocazione è per suggerire la strada che porta alla gioia, perché questo è il progetto di Dio su ciascuno: che sia felice.
Non dovete dunque temere: il Signore chiama solo per rendere felici. Ecco perché oso disturbarvi. Mi sta a cuore la felicità vostra e dei vostri figli. E per questo mi stanno a cuore tutte le possibili scelte di vita: il matrimonio e la vita consacrata, la dedizione al ministero del prete e del diacono, l’assunzione della professione come una missione… Tutte possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall’amore e non dall’egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo.
Vi scrivo, dunque, per dirvi con quale affetto vi sono vicino e condivido la vostra cura perché la vita dei vostri figli che tanto amate non vada perduta.

La famiglia è una vocazione
La prima vocazione di cui voglio parlarvi è la vostra, quella di essere marito e moglie, papà e mamma.
Perciò la mia prima parola è proprio per invitarvi a prendervi cura del vostro volervi bene come marito e moglie: tra le tante cose urgenti, tra le tante sollecitazioni che vi assediano, mi sembra che sia necessario custodire qualche tempo, difendere qualche spazio, programmare qualche momento che sia come un rito per celebrare l’amore che vi unisce.
L’inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l’altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita.
L’amore che vi ha persuasi al matrimonio non si riduce all’emozione di una stagione un po’ euforica, non è solo un’attrazione che il tempo consuma. L’amore sponsale è la vostra vocazione: nel vostro volervi bene potete riconoscere la chiamata del Signore. Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio.
Vorrei pertanto invitarvi a custodire la bellezza del vostro amore e a perseverare nella vostra vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili. Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l’umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità.
Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui vivete, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza della vostra vocazione. È necessario reagire all’inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.
Vi invito pertanto a pregare insieme, già questa sera, e poi domani e poi sempre: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per voi, i vostri figli, i vostri amici, la vostra comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra di voi.
Vi invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come una visita a un santuario, una Messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del vostro matrimonio, quella del battesimo dei vostri figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.
Vi invito a trovare il tempo per parlare tra voi con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedervi scusa, rallegrarvi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E vi invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.
Vi invito ad avere fiducia nell’incidenza della vostra opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall’impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo.
La vostra vocazione a educare è benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore vi fa: accoglietela con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non perdetevi d’animo, non c’è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio.
E affidate spesso i vostri figli alla protezione di Maria, non tralasciate una decina del rosario per ciascuno di loro: abbiate fiducia e non perdete la stima né di voi stessi né dei vostri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione.

L’educazione: collaborazione alla gioia dei figli
La gioia che desiderate per voi e per i vostri figli è un misterioso dono di Dio: giunge a noi come la luce amica delle stelle, come una musica lieta, come il sorriso di un volto desiderato. La collaborazione che i genitori possono offrire alla gioia dei figli è l’educazione cristiana. L’educazione non è un meccanismo che condiziona, ma l’accompagnamento di una giovane libertà perché, se vuole, giunga al suo compimento nell’amore. Educare è dunque un servizio umile, che può conoscere il fallimento; è però anche una impresa formidabile di cui un uomo e una donna possono gioire con inesprimibile intensità.
L’educazione cristiana è il paziente e tenace lavoro che prepara il terreno al dono della gioia di Dio. Infatti la luce delle stelle non si vede se il bagliore sfacciato delle luminarie nasconde la notte, la musica lieta non avvolge di consolazione quando il frastuono del rumore è assordante e non si ha tempo per un volto amico nella eccitazione di una folla in delirio. Per disporre alla gioia è dunque necessaria una purificazione che non va senza fatiche.
Voglio alludere almeno ad alcune delle purificazioni che mi sembrano particolarmente necessarie oggi.
La purificazione degli affetti significa introdurre alla gioia che è sconosciuta a chi immagina i rapporti tra l’uomo e la donna come una via per ridurre l’altro a strumento per la propria gratificazione e rassicurazione: allora gli affetti degenerano a passione, possessività, sensualità.
Lo spirito di servizio e la disponibilità al sacrificio introducono alla gioia che si rallegra di vedere gli altri contenti, le iniziative funzionare bene, le comunità ordinate e vivaci. È una gioia sconosciuta a chi impigrisce nell’inconcludenza. Come mi stringe il cuore considerare lo sperpero di tempo, di risorse giovani e affascinanti, di intelligenza e denaro che vedo compiersi da parte di tante compagnie dei nostri ragazzi! Come è urgente reagire all’inerzia e alla malavoglia per edificare una vita lieta!
La purificazione dalla paura del futuro è urgente per introdurre alla gioia della definitività. Una vita si compie quando si definisce in una dedizione: la scelta definitiva deve essere desiderata come la via della pace, come l’ingresso nell’età adulta e nelle sue responsabilità. Siano benedetti quei genitori che con la fedeltà del loro volersi bene insegnano che la definitività è una grazia e non un pericolo da temere, né una limitazione della libertà da ritardare il più possibile. Pericolosa e fonte di inquietudine è invece la precarietà, la provvisorietà, lo smarrimento che lasciano un giovane parcheggiato nella vita, incerto sulla sua identità e spaventato del suo futuro.

Educare all’appartenenza alla Chiesa
Voi genitori sentite la responsabilità di provvedere alla felicità dei vostri figli: siete disposti a concedere molto, talora anche troppo, « purché lui sia contento ».
Questo diventa motivo di ansia, di sensi di colpa, di esasperazione quando non riuscite a ottenere dai figli che assumano, condividano le vostre indicazioni, quando risultano impraticabili le proposte che sembrano tanto ovvie ai preti, agli insegnanti, agli esperti che scrivono sui giornali.
A me sembra che sia più saggio considerare che i genitori non sono colpevoli di tutti gli errori e l’infelicità dei figli, di tutto lo squallore di certe giovinezze sciupate nell’inconcludenza o nella trasgressione. È eccessivo che un papà e una mamma si sentano colpevoli di tutto: è più prudente e rasserenante condividere la responsabilità dentro una comunità.
Quando avete portato il vostro bambino in Chiesa per chiedere il Battesimo avete dichiarato la vostra fede nel Padre che sta nei cieli e la vostra decisione che il figlio crescesse nella comunità cristiana.
Mi sembra che una conseguenza coerente della scelta di chiedere il battesimo per i propri figli sia un’opera educativa che si preoccupi di inserire in una comunità, di promuovere la partecipazione, di insinuare nei ragazzi e nei giovani un senso di appartenenza alla comunità cristiana in cui si educa alla fede, alla preghiera, alla domanda sul futuro. Una famiglia che si isola, che difende la propria tranquillità sottraendosi agli appuntamenti comunitari risulta alla fine più fragile e apre la porta a quel nomadismo dei giovani che vanno qua e là assaggiando molte esperienze, anche contraddittorie, senza nutrirsi di nessun cibo solido.
Inserirsi in una comunità può richiedere qualche fatica e non risparmia qualche umiliazione: penso alle famiglie che hanno cambiato casa e si sentono perdute nei quartieri nuovi, penso a quelle che hanno sofferto qualche incomprensione, penso a quelle appassionate dell’andare altrove per vedere gente, per praticare sport, per respirare un po’ d’aria buona. Ecco: viene il tempo in cui scegliere le priorità. Il futuro dei vostri figli ha bisogno di scelte che dichiarino che cosa è più importante.
Ritenere irrinunciabile la partecipazione alla Messa domenicale introduce a una mentalità di fede che ritiene che senza il Signore non si può fare niente di buono.
Perciò la frequenza alla messa domenicale nella vostra parrocchia, la partecipazione alle feste della comunità, l’assunzione di qualche responsabilità, la cura perché i figli frequentino l’oratorio, la catechesi, gli impegni e le iniziative dei giovani della parrocchia sono un modo per favorire questo senso di appartenenza che dà stabilità e conduce a un progressivo farsi carico della comunità che può maturare anche in una vocazione al suo servizio.

Stima per i preti e apprezzamento per la loro vita
Mi capita talora di raccogliere nei genitori una specie di paura, di apprensione al sospetto che un figlio possa orientarsi al ministero sacerdotale.
Anche i genitori dei seminaristi mi fanno intuire la loro inquietudine, come se mi domandassero: « Ma che vita aspetta mio figlio, se diventa prete? Sarà felice? Sarà solo? ».
Vorrei rispondere che la vita del prete, di oggi e di domani, come quella di ieri, è una vita cristiana: perciò chi vuol essere un bravo prete porterà la sua croce ogni giorno, come fate voi, in una dedizione che non sarà sempre gratificata da riconoscenza e da risultati, in un esercizio di responsabilità che incontrerà anche la critica e l’incomprensione, in un assedio di impegni e di pretese che sarà talora logorante.
Tuttavia non si considera abbastanza – mi sembra – ciò che rende bella la vita di un prete, bella e lieta in un modo unico.
Il prete infatti vive soprattutto di relazioni: dedica il suo tempo alle persone. Non si cura di cose, di carte, di soldi, se non secondariamente. Passa il suo tempo a incontrare gente: i bambini e gli anziani, i giovani e gli adulti, i malati e i sani, quelli che gli vogliono bene e lo aiutano e quelli che lo criticano, lo deridono, e pretendono. È una esperienza umana straordinaria. E incontra le persone non per vendere loro qualche cosa, non per trarne qualche vantaggio, non per curiosità, non come si incontra un cliente, ma per prendersi cura della loro vita, della loro vocazione alla gioia, del loro essere figli di Dio. Al prete le persone spesso aprono il loro cuore per una confidenza che non ha eguali nei rapporti umani e in questa confidenza viene seminata la Parola che dice la verità, che apre alla speranza eterna, che guarisce con il perdono.
Il prete vive una libertà straordinaria: ha consegnato se stesso alla Chiesa e perciò se è coerente con la sua vocazione, non ha apprensioni per il suo futuro, non si attacca alle cose, non si assilla per arricchire. Ha consegnato se stesso per un’obbedienza al Vescovo e proprio nell’esercitare questa obbedienza vive una grande libertà, dispone del suo tempo per servire, dispone delle sue qualità particolari per giovare alla sua comunità.
Il prete celebra per sé e per la gente i misteri della salvezza: opera delle sue mani non sono prodotti precari, fortune esposte all’incerta sorte delle cose umane. Celebrando i santi misteri offre alla gente la grazia d’entrare nella vita eterna, la comunione con Gesù. Per quanto la sua parola possa essere disattesa, per quanto possa risultare ridotto il numero di coloro che ricercano il dono offerto, il prete vive la certezza che il Regno di Dio viene proprio così, come il seme che muore per produrre molto frutto. Il prete alla fine della sua vita, volgendosi indietro, potrà provare pentimento delle sue miserie e rattristarsi della sua inadeguatezza alla missione ricevuta, ma non gli mancherà l’incomparabile consolazione di aver offerto agli uomini il pane della vita eterna e l’abbraccio del perdono di Dio.
Mi sembra opportuno ricordare ciò che rende grande e bella la vita del prete, perché l’enfasi sulle fatiche, la sottolineatura delle difficoltà non oscuri questa forma splendida di vita cristiana.
Penso che un papà e una mamma possano comprendere, al di là dei luoghi comuni e delle reazioni emotive, quale grande grazia sia il dono del sacerdozio e possano perciò rallegrarsi se un loro figlio sente l’attrattiva per questa strada: vi assicuro che non gli mancherà la gioia, se sarà un bravo prete.
In ogni caso parlare male dei preti e indicarli come responsabili di tutto quanto non va nelle comunità cristiane non può certo aiutare a migliorare le cose e tanto meno incoraggiare un giovane a farsi avanti per assumere un ministero tanto necessario per la Chiesa e tanto bello per chi lo vive bene.

La preghiera per le vocazioni al ministero
La bellezza cristiana della vita di un bravo prete e la grazia straordinaria che rappresenta un prete santo per una comunità devono suggerire a tutti di pregare perché nelle nostre comunità non manchino i preti. La preghiera per le vocazioni al ministero sacerdotale deve essere condivisa da tutta la comunità.
Invito anche voi a pregare in famiglia e a suggerire questa intenzione di preghiera anche ai vostri figli, in obbedienza alla parola del Signore « pregate il padrone della messe che mandi operai per la sua messe »(Lc 10,2).
Come ho scritto ai preti in occasione della festa di San Carlo, questa preghiera non è una specie di delega al Signore perché faccia quello che a noi non riesce: è piuttosto un abbandonarsi intelligente e libero alla guida dello Spirito che diventa disponibilità a compiere le opere di Dio. Perciò la preghiera per le vocazioni dovrebbe essere più intensamente praticata da parte di coloro che si trovano nell’età e nelle condizioni della scelta del loro stato di vita. Vorrei che ogni adolescente o giovane comprendesse che la verità della preghiera per le vocazioni è raggiunta quando nel fondo risuona come la preghiera di Isaia: « Signore, se vuoi, manda me! » (cf. Is 6,8).

Vi invito a pregare così:
Dio, Padre onnipotente, noi ti preghiamo di mandare operai del Vangelo per la nostra santa Chiesa ambrosiana nella quale hai operato per secoli le tue meraviglie. Noi ti preghiamo per intercessione dei nostri santi vescovi, Ambrogio e Carlo, del beato cardinal Ferrari e del beato cardinal Schuster, noi ti preghiamo per intercessione di Maria, la nostra Madonnina che dall’alto del Duomo prega per la nostra Chiesa.
Noi ti preghiamo per le nostre comunità: siano popolate da persone ricche di fede, pronte al servizio, inclini alla riconoscenza per tutti quelli che si dedicano al sacro ministero.
Noi ti preghiamo di infondere nei nostri giovani il tuo Santo Spirito, perché siano attirati alla contemplazione di Gesù e alla sua sequela, possano sperimentare la gioia di una libertà che si fa dono, obbedienza, premura per la fede dei fratelli.
Noi ti preghiamo di infondere in noi tutti il tuo Santo Spirito, perché siamo forti e intelligenti nella lotta contro le tentazioni del nostro tempo e siamo perseveranti nel bene per portare a compimento la nostra vocazione e giungere alla gioia eterna e perfetta che tu prepari per i tuoi figli amati.
Amen.

Milano, 24 giugno 2002, festa della Natività di s. Giovanni Battista.

X Carlo Maria card. Martini

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