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EUROPA, RISCOPRI LA VERITÀ E LE RADICI CRISTIANE (1) – Papa Francesco

http://www.culturacattolica.it/?id=235&id_n=36512

EUROPA, RISCOPRI LA VERITÀ E LE RADICI CRISTIANE (1)

Autore: Papa Francesco Curatore: Oliosi, Don Gino
Fonte: CulturaCattolica.it
venerdì 28 novembre 2014

AL PARLAMENTO EUROPEO
Signor Presidente, Signore e Signori Vice Presidenti,
Onorevoli Eurodeputati,
Persone che lavorano a titoli diversi in quest’emiciclo,

Cari amici,
vi ringrazio per l’invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell’Unione Europea e per l’opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri. Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del Parlamento, per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di tutti i componenti dell’Assemblea.
La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato da quei giorni in Europåa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che allora dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che «l’Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia»[1].
Accanto a un’Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno « eurocentrico ». A un’Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l’immagine di un’Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.
Nel rivolgermi a voi quest’oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un messaggio di speranza e di incoraggiamento.
Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa – insieme a tutto il mondo – sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita.
Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea, i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente.
Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che esiste fra queste due parole: « dignità » e « trascendente ».
La “dignità” è una parola-chiave che ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si contraddistingue per l’indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. La percezione dell’importanza dei diritti umani nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a formare la coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente»[2], dando luogo proprio al concetto di “persona”.
Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell’impegno dell’Unione Europea in ordine a favorire la dignità della persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi.
Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge di dignità?
Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.
Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa.
Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale [3]. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.
Parlare della dignità trascendente dell’uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato [4]; soprattutto significa guardare all’uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore.
Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.
A ciò si associano alcuni stili di vita un po’ egoisti, caratterizzati da un’opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico [5]. L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale l’assolutizzazione della tecnica»[6], che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi»[7]. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità [8].
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un’Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?
Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un’immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello « spirito umanistico » che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona.
Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell’Unione Europea. Parimenti sono convinto che un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e lepotenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza»[9].
Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti.
Il motto dell’Unione Europea è Unità nella diversità, ma l’unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.
D’altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono un’autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio di tutti. Occorre ricordare sempre l’architettura propria dell’Unione Europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l’aiuto vicendevole e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.
In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza [10].
Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone.
Dare speranza all’Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D’altra parte, sottolineare l’importanza della famiglia non solo aiuta a dare prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani, spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non c’è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di sostenerli.
Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni educative: scuole e università. L’educazione non può limitarsi a fornire un insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità creative dell’Europa in vari campi della ricerca scientifica, alcuni dei quali non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative di energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell’ambiente.
L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura»[11]. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.
Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d’altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.
Parimenti, è necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.
Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori Deputati,
La coscienza della propria identità è necessaria anche per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno chiesto di entrare a far parte dell’Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell’area balcanica per i quali l’ingresso nell’Unione Europea potrà rispondere all’ideale della pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti del passato. Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.
A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l’identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell’Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità personale e collettiva»[12], vi esorto [perciò] a lavorare perché l’Europa riscopra la sua anima buona.
Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo»[13]. Il compito dell’anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non ancora esente dai conflitti.
Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!
Grazie.
________________________________________
NOTE SUL SITO

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PARLAMENTO EUROPEO – STRASBURGO 2014

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/november/documents/papa-francesco_20141125_strasburgo-parlamento-europeo.html

VISITA DEL SANTO PADRE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO D’EUROPA

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PARLAMENTO EUROPEO

Strasburgo, Francia

Martedì, 25 novembre 2014

Signor Presidente, Signore e Signori Vice Presidenti,
Onorevoli Eurodeputati,
Persone che lavorano a titoli diversi in quest’emiciclo,
Cari amici,

vi ringrazio per l’invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell’Unione Europea e per l’opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri. Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del Parlamento, per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di tutti i componenti dell’Assemblea.
La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato da quei giorni in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che allora dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che «l’Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia»[1].
Accanto a un’Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno « eurocentrico ». A un’Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l’immagine di un’Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.
Nel rivolgermi a voi quest’oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un messaggio di speranza e di incoraggiamento.
Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa – insieme a tutto il mondo – sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita.
Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea, i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente.
Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che esiste fra queste due parole: « dignità » e « trascendente ».
La “dignità” è una parola-chiave che ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si contraddistingue per l’indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. La percezione dell’importanza dei diritti umani nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a formare la coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente»[2], dando luogo proprio al concetto di “persona”.
Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell’impegno dell’Unione Europea in ordine a favorire la dignità della persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi.
Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge di dignità?
Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.
Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (µ????), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa.
Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale [3]. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.
Parlare della dignità trascendente dell’uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato [4]; soprattutto significa guardare all’uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore.
Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.
A ciò si associano alcuni stili di vita un po’ egoisti, caratterizzati da un’opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico [5]. L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale l’assolutizzazione della tecnica»[6], che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi»[7]. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità [8].
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un’Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?
Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un’immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello « spirito umanistico » che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona.
Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell’Unione Europea. Parimenti sono convinto che un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e lepotenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza»[9].
Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti.
Il motto dell’Unione Europea è Unità nella diversità, ma l’unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.
D’altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono un’autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio di tutti. Occorre ricordare sempre l’architettura propria dell’Unione Europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l’aiuto vicendevole e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.
In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza [10].
Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone.
Dare speranza all’Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D’altra parte, sottolineare l’importanza della famiglia non solo aiuta a dare prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani, spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non c’è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di sostenerli.
Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni educative: scuole e università. L’educazione non può limitarsi a fornire un insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità creative dell’Europa in vari campi della ricerca scientifica, alcuni dei quali non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative di energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell’ambiente.
L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura»[11]. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.
Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d’altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.
Parimenti, è necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.

Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori Deputati,
La coscienza della propria identità è necessaria anche per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno chiesto di entrare a far parte dell’Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell’area balcanica per i quali l’ingresso nell’Unione Europea potrà rispondere all’ideale della pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti del passato. Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.
A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l’identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell’Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità personale e collettiva»[12], vi esorto [perciò] a lavorare perché l’Europa riscopra la sua anima buona.
Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo»[13]. Il compito dell’anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non ancora esente dai conflitti.
Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!

Grazie.

[1] GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Parlamento Europeo, 11 ottobre 1988, n. 5.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, 8 ttobre 1988.
[3] Cfr Benedetto XVI, Caritas in veritate, 7; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 26.
[4] Cfr Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 37.
[5] Cfr Evangelii gaudium, 55.
[6] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 71.
[7] Ibid.
[8] Cfr Evangelii gaudium, 209.
[9] BENEDETTO XVI, Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico, 7 gennaio 2013.
[10] Cfr Evangelii gaudium, 231.
[11] Francesco, Udienza Generale, 5 giugno 2013.
[12] Gaudium et spes, 34.
[13] Cfr Lettera a Diogneto, 6.

L´EUROPA S´È SMARRITA. E GIOVANNI PAOLO II LE INSEGNA LA STRADA – di Sandro Magister

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L´EUROPA S´È SMARRITA. E GIOVANNI PAOLO II LE INSEGNA LA STRADA

Ecco i passaggi chiave delle istruzioni che il papa dà al Vecchio Continente. Accompagnate da una domanda inquietante: Il Figlio dell´Uomo, quando verrà, vi troverà la fede?

di Sandro Magister

ROMA – Ci sono voluti quasi quattro anni e 130 pagine di testo perché Giovanni Paolo II tirasse le conclusioni del sinodo dei vescovi del 1999 sull´Europa.
Queste conclusioni sono scritte nell´esortazione apostolica « Ecclesia in Europa », resa pubblica sabato 28 giugno e disponibile integralmente nel sito web del Vaticano.
In essa, il papa analizza la situazione della Chiesa in Europa alla luce dell´Apocalisse, il libro del Nuovo Testamento che «dischiude alla comunità credente il senso nascosto e profondo delle cose che accadono».
E come tra le sette Chiese dell´Apocalisse ve ne furono di povere di fede, lo stesso accade – dice il papa – per le Chiese dell´Europa d´oggi. Nel paragrafo 47 dell´ »Ecclesia in Europa » Giovanni Paolo II scrive preoccupato:
«´Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?´ (Lc 18, 8). La troverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? È un interrogativo aperto che indica con lucidità la profondità e drammaticità di una delle sfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare».
Giovanni Paolo II invita i cattolici d´Europa a «svegliarsi e rinvigorire ciò che sta per morire» (Ap 3,2) e dà le istruzioni perché «promuovano un nuovo annuncio del Vangelo».
Ma per la sua lunghezza, l´ »Ecclesia in Europa » rischia di essere letta da pochissimi. Eppure non mancano in essa passaggi che meritano attenzione. Qui di seguito ne sono riportati i principali, con tra parentesi quadra il numero del paragrafo da cui sono tratti.

SMARRIMENTO DELLA MEMORIA
[7] Il tempo che stiamo vivendo appare come una stagione di smarrimento. [...] È smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane, accompagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia. Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all’Europa escludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo.

APOSTASIA SILENZIOSA
[9] Alla radice dello smarrimento della speranza sta il tentativo di far prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo. Questo tipo di pensiero ha portato a considerare l’uomo come il centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio ma Dio che fa l’uomo. L’aver dimenticato Dio ha portato ad abbandonare l’uomo, per cui non c’è da stupirsi se in questo contesto si è aperto un vastissimo spazio per il libero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gnoseologico e morale, del pragmatismo e finanche dell’edonismo cinico nella configurazione della vita quotidiana. La cultura europea dà l’impressione di una « apostasia silenziosa » da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse.

CULTURA DI MORTE
[9] In tale orizzonte, prendono corpo i tentativi, anche ultimamente ricorrenti, di presentare la cultura europea a prescindere dall’apporto del cristianesimo che ha segnato il suo sviluppo storico e la sua diffusione universale. Siamo di fronte all’emergere di una nuova cultura, in larga parte influenzata dai mass media, dalle caratteristiche e dai contenuti spesso in contrasto con il Vangelo e con la dignità della persona umana. Di tale cultura fa parte anche un sempre più diffuso agnosticismo religioso, connesso con un più profondo relativismo morale e giuridico, che affonda le sue radici nello smarrimento della verità dell’uomo come fondamento dei diritti inalienabili di ciascuno. I segni del venir meno della speranza talvolta si manifestano attraverso forme preoccupanti di ciò che si può chiamare una « cultura di morte ».

SPERANZE ARTIFICIALI
[10] Ma, come hanno sottolineato i padri sinodali, l’uomo non può vivere senza speranza: la sua vita sarebbe votata all’insignificanza e diventerebbe insopportabile. Spesso chi ha bisogno di speranza crede di poter trovar pace in realtà effimere e fragili. E così la speranza, ristretta in un ambito intramondano chiuso alla trascendenza, viene identificata, ad esempio, nel paradiso promesso dalla scienza e dalla tecnica, o in forme varie di messianismo, nella felicità di natura edonistica procurata dal consumismo o quella immaginaria e artificiale prodotta dalle sostanze stupefacenti, in alcune forme di millenarismo, nel fascino delle filosofie orientali, nella ricerca di forme di spiritualità esoteriche, nelle diverse correnti del New Age.

IL SECOLO DEI MARTIRI
[13]. Ma intendo attirare l’attenzione in particolare su alcuni segni emersi nella vita propriamente ecclesiale. Innanzitutto, con i padri sinodali, voglio riproporre a tutti, perché non sia mai dimenticato, quel grande segno di speranza costituito dai tanti testimoni della fede cristiana, vissuti nell’ultimo secolo, all’Est come all’Ovest. Essi hanno saputo far proprio il Vangelo in situazioni di ostilità e persecuzione, spesso fino alla prova suprema del sangue.
Questi testimoni, in particolare quanti tra di loro hanno affrontato la prova del martirio, sono un segno eloquente e grandioso, che ci è chiesto di contemplare e imitare. Essi ci attestano la vitalità della Chiesa; ci appaiono come una luce per la Chiesa e per l’umanità, perché hanno fatto risplendere nelle tenebre la luce di Cristo; in quanto appartenenti a diverse confessioni cristiane, risplendono anche come segno di speranza per il cammino ecumenico, nella certezza che il loro sangue è anche linfa di unità per la Chiesa.

IL BENE PIÙ PREZIOSO
[18] Dall’assemblea sinodale è emersa, chiara e appassionata, la certezza che la Chiesa ha da offrire all’Europa il bene più prezioso, che nessun altro può darle: è la fede in Gesù Cristo, fonte della speranza che non delude, dono che sta all’origine dell’unità spirituale e culturale dei popoli europei, e che ancora oggi e per il futuro può costituire un contributo essenziale del loro sviluppo e della loro integrazione. Sì, dopo venti secoli, la Chiesa si presenta all’inizio del terzo millennio con il medesimo annuncio di sempre, che costituisce il suo unico tesoro: Gesù Cristo è il Signore; in Lui, e in nessun altro, c’è salvezza ( At 4, 12).

EUROPA GIUDEOCRISTIANA
[19] Sono molteplici le radici ideali che hanno contribuito con la loro linfa al riconoscimento del valore della persona e della sua inalienabile dignità, del carattere sacro della vita umana e del ruolo centrale della famiglia, dell’importanza dell’istruzione e della libertà di pensiero, di parola, di religione, come pure alla tutela legale degli individui e dei gruppi, alla promozione della solidarietà e del bene comune, al riconoscimento della dignità del lavoro. Tali radici hanno favorito la sottomissione del potere politico alla legge e al rispetto dei diritti della persona e dei popoli. Occorre qui ricordare lo spirito della Grecia antica e della romanità, gli apporti dei popoli celtici, germanici, slavi, ugro-finnici, della cultura ebraica e del mondo islamico. Tuttavia si deve riconoscere che queste ispirazioni hanno storicamente trovato nella tradizione giudeo-cristiana una forza capace di armonizzarle, di consolidarle e di promuoverle. Si tratta di un fatto che non può essere ignorato; al contrario, nel processo della costruzione della « casa comune europea », occorre riconoscere che questo edificio si deve poggiare anche su valori che trovano nella tradizione cristiana la loro piena epifania. Il prenderne atto torna a vantaggio di tutti. [...]
[24] L’Europa è stata ampiamente e profondamente penetrata dal cristianesimo. Non c’è dubbio che, nella complessa storia dell’Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante, consolidato sul saldo fondamento dell’eredità classica e dei molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli. La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell’evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente ed Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi. Anche nel periodo moderno e contemporaneo, quando l’unità religiosa è andata progressivamente frantumandosi sia per le ulteriori divisioni intercorse tra i cristiani sia per i processi di distacco della cultura dall’orizzonte della fede, il ruolo di quest’ultima ha continuato ad essere di non scarso rilievo.
[25] L’interesse che la Chiesa nutre per l’Europa nasce dalla sua stessa natura e missione. Lungo i secoli, infatti, la Chiesa ha avuto legami molto stretti con il nostro Continente, così che il volto spirituale dell’Europa si è andato formando grazie agli sforzi di grandi missionari, alla testimonianza di santi e di martiri, e all’opera assidua di monaci, religiosi e pastori. Dalla concezione biblica dell’uomo, l’Europa ha tratto il meglio della sua cultura umanistica, ha attinto ispirazione per le sue creazioni intellettuali ed artistiche, ha elaborato norme di diritto e, non per ultimo, ha promosso la dignità della persona, fonte di diritti inalienabili. In questo modo la Chiesa, in quanto depositaria del Vangelo, ha concorso a diffondere e a consolidare quei valori che hanno reso universale la cultura europea.
Memore di tutto ciò, la Chiesa di oggi avverte, con rinnovata responsabilità, l’urgenza di non disperdere questo prezioso patrimonio e di aiutare l’Europa a costruire se stessa rivitalizzando le radici cristiane che l’hanno originata.

NUOVA EVANGELIZZAZIONE
[45] Chiesa in Europa, la nuova evangelizzazione è il compito che ti attende! Sappi ritrovare l’entusiasmo dell’annuncio. [...] L’annuncio di Gesù, che è il Vangelo della speranza, sia il tuo vanto e la tua ragion d’essere. Continua con rinnovato ardore nello stesso spirito missionario che, lungo questi venti secoli e incominciando dalla predicazione degli apostoli Pietro e Paolo, ha animato tanti Santi e Sante, autentici evangelizzatori del continente europeo.

IL PRIMO ANNUNCIO
[46] In varie parti d’Europa c’è bisogno di un primo annuncio del Vangelo: cresce il numero delle persone non battezzate, sia per la notevole presenza di immigrati appartenenti ad altre religioni, sia perché anche figli di famiglie di tradizione cristiana non hanno ricevuto il Battesimo o a causa della dominazione comunista o a causa di una diffusa indifferenza religiosa.ÊDi fatto, l’Europa si colloca ormai tra quei luoghi tradizionalmente cristiani nei quali, oltre a una nuova evangelizzazione, in certi casi si impone una prima evangelizzazione.

ANALFABETI DELLA FEDE
[47] Ovunque, poi, c’è bisogno di un rinnovato annuncio anche per chi è già battezzato. Tanti europei contemporanei pensano di sapere che cos’è il cristianesimo, ma non lo conoscono realmente. Spesso addirittura gli elementi e le stesse nozioni fondamentali della fede non sono più noti. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse.

CHIESA ED EBRAISMO
[55] Come per tutto l’impegno della nuova evangelizzazione, anche in ordine all’annuncio del Vangelo della speranza è necessario che si abbia a instaurare un profondo e intelligente dialogo interreligioso, in particolare con l’Ebraismo e con l’Islam. [...]ÊNell’esercitarsi in questo dialogo non si tratta di lasciarsi catturare da una mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata ad un relativismo religioso che porta a ritenere che « una religione vale l’altra ».
[56] Si tratta piuttosto di prendere più viva coscienza del rapporto che lega la Chiesa al popolo ebraico e del ruolo singolare di Israele nella storia della salvezza. [...]Occorre riconoscere le comuni radici che intercorrono tra il cristianesimo e il popolo ebraico, chiamato da Dio a un’alleanza che rimane irrevocabile (Rom 11, 29),Êavendo raggiunto la definitiva pienezza in Cristo.
È, quindi, necessario favorire il dialogo con l’ebraismo, sapendo che esso è di fondamentale importanza per l’autocoscienza cristiana e per il superamento delle divisioni tra le Chiese, e operare perché fiorisca una nuova primavera nelle relazioni reciproche. Ciò comporta che ogni comunità ecclesiale abbia ad esercitarsi, per quanto le circostanze lo permetteranno, nel dialogo e nella collaborazione con i credenti della religione ebraica. Tale esercizio implica, tra l’altro, che si faccia memoria della parte che i figli della Chiesa hanno potuto avere nella nascita e nella diffusione di un atteggiamento antisemita nella storia e di ciò si chieda perdono a Dio, favorendo in ogni modo incontri di riconciliazione e di amicizia con i figli di Israele.ÊSarà peraltro doveroso, in tale contesto, ricordare anche i non pochi cristiani che, a costo a volte della vita, hanno aiutato e salvato, soprattutto in periodi di persecuzione, questi loro « fratelli maggiori ».

CHIESA E ISLAM
[57] Si tratta pure di lasciarsi stimolare a una migliore conoscenza delle altre religioni, per poter instaurare un fraterno colloquio con le persone che aderiscono ad esse e vivono nell’Europa di oggi. In particolare, è importante un corretto rapporto con l’Islam. Esso, come è più volte emerso in questi anni nella coscienza dei vescovi europei, deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti, e con fiducia nel progetto di salvezza di Dio nei confronti di tutti i suoi figli.ÊÈ necessario, tra l’altro, avere coscienza del notevole divario tra la cultura europea, che ha profonde radici cristiane, e il pensiero musulmano.
A questo riguardo, è necessario preparare adeguatamente i cristiani che vivono a quotidiano contatto con i musulmani a conoscere in modo obiettivo l’Islam e a sapersi confrontare con esso; tale preparazione deve riguardare, in particolare, i seminaristi, i presbiteri e tutti gli operatori pastorali.

RECIPROCITÀ
[57] È peraltro comprensibile che la Chiesa, mentre chiede che le istituzioni europee abbiano a promuovere la libertà religiosa in Europa, abbia pure a ribadire che la reciprocità nel garantire la libertà religiosa sia osservata anche in Paesi di diversa tradizione religiosa, nei quali i cristiani sono minoranza.
In questo ambito, si comprende la sorpresa e il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l’unica ammessa e promossa. La persona umana ha diritto alla libertà religiosa e tutti, in ogni parte del mondo, devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana.

LITURGIA E MISTERO
[70] Alcuni sintomi rivelano un affievolimento del senso del mistero nelle stesse celebrazioni liturgiche, che ad esso dovrebbero introdurre. È, quindi, urgente che nella Chiesa si ravvivi l’autentico senso della liturgia.

PECCATO E SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
[76] Con l’Eucaristia, anche il sacramento della Riconciliazione deve svolgere un ruolo fondamentale nel recupero della speranza: l’esperienza personale del perdono di Dio per ciascuno di noi è, infatti, fondamento essenziale di ogni speranza per il nostro futuro. Una delle radici della rassegnazione che assale molti oggi va ricercata nell’incapacità di riconoscersi peccatori e di lasciarsi perdonare, una incapacità spesso dovuta alla solitudine di chi, vivendo come se Dio non esistesse, non ha nessuno a cui chiedere perdono.
Perciò è necessario che nella Chiesa in Europa il sacramento della Riconciliazione venga rivitalizzato. Va ribadito, tuttavia, che la forma del Sacramento è la confessione personale dei peccati seguita dall’assoluzione individuale. Questo incontro tra il penitente e il sacerdote deve essere favorito, in qualsiasi forma prevista del rito del Sacramento. Di fronte alla diffusa perdita del senso del peccato e all’affermarsi di una mentalità segnata da relativismo e soggettivismo in campo morale, occorre che in ogni comunità ecclesiale si provveda a una seria formazione delle coscienze.ÊI padri sinodali hanno insistito perché si riconosca chiaramente la verità del peccato personale e la necessità del perdono personale di Dio tramite il ministero del sacerdote. Le assoluzioni collettive non sono un modo alternativo di amministrare il sacramento della Riconciliazione.

FAMIGLIA E COPPIE DI FATTO
[90] La Chiesa in Europa, in ogni sua articolazione, deve riproporre con fedeltà la verità del matrimonio e della famiglia. [...] Non pochi fattori culturali, sociali e politici concorrono, infatti, a provocare una crisi sempre più evidente della famiglia. [...] Il valore dell’indissolubilità matrimoniale viene sempre più misconosciuto; si chiedono forme di riconoscimento legale delle convivenze di fatto, equiparandole ai matrimoni legittimi; non mancano tentativi di accettare modelli di coppia dove la differenza sessuale non risulta essenziale.

DIVORZIATI E RISPOSATI
[93] La Chiesa è chiamata a venire incontro, con bontà materna, anche a quelle situazioni matrimoniali nelle quali è facile venga meno la speranza. In particolare, di fronte a tante famiglie disfatte, la Chiesa si sente chiamata non ad esprimere un giudizio severo e distaccato, ma piuttosto ad immettere nelle pieghe di tanti drammi umani la luce della parola di Dio, accompagnata dalla testimonianza della sua misericordia. È questo lo spirito con cui la pastorale familiare cerca di farsi carico anche delle situazioni dei credenti che hanno divorziato e si sono risposati civilmente. Essi non sono esclusi dalla comunità; sono anzi invitati a partecipare alla sua vita, facendo un cammino di crescita nello spirito delle esigenze evangeliche. La Chiesa, senza tacere loro la verità del disordine morale oggettivo in cui si trovano e delle conseguenze che ne derivano per la pratica sacramentale, intende mostrare loro tutta la sua materna vicinanza.

ABORTO ED EUTANASIA
[95] Con il calo della natalità vanno ricordati altri segni che concorrono a configurare l’eclissi del valore della vita e a scatenare una specie di congiura contro di essa. Tra questi va tristemente annoverata, anzitutto, la diffusione dell’aborto, anche utilizzando preparati chimico-farmacologici che lo rendono possibile senza dover ricorrere al medico e sottraendolo a ogni forma di responsabilità sociale; ciò è favorito dalla presenza nell’ordinamento di molti Stati del Continente di legislazioni permissive di un gesto che rimane un abominevole delitto e costituisce sempre un disordine morale grave. Né si possono dimenticare gli attentati perpetrati attraverso interventi sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l’uccisione o mediante un utilizzo scorretto delle tecniche diagnostiche pre-natali, messe al servizio non di terapie precoci a volte possibili, ma di una mentalità eugenetica, che accetta l’aborto selettivo.
Va pure menzionata la tendenza, che si registra in alcune parti dell’Europa, a ritenere che possa essere permesso porre fine consapevolmente alla propria vita o a quella di un altro essere umano: di qui la diffusione dell’eutanasia mascherata, o attuata apertamente, per la quale non mancano richieste e tristi esempi di legalizzazione.

IMMIGRAZIONE
[101] È responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L’accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi.
[102] Occorre pure impegnarsi per individuare forme possibili di genuina integrazione degli immigrati legittimamente accolti nel tessuto sociale e culturale delle diverse nazioni europee. Essa esige che non si abbia a cedere all’indifferentismo circa i valori umani universali e che si abbia a salvaguardare il patrimonio culturale proprio di ogni nazione.

LA CHIESA NELLA NUOVA EUROPA
[114] Alle Istituzioni europee e ai singoli Stati dell’Europa chiedo insieme con i Padri Sinodali di riconoscere che un buon ordinamento della società deve radicarsi in autentici valori etici e civili il più possibile condivisi dai cittadini, osservando che tali valori sono patrimonio, in primo luogo, dei diversi corpi sociali. È importante che le Istituzioni e i singoli Stati riconoscano che, tra questi corpi sociali, vi sono anche le Chiese e le Comunità ecclesiali e le altre organizzazioni religiose. A maggior ragione, quando esistono già prima della fondazione delle nazioni europee, non sono riducibili a mere entità private, ma operano con uno specifico spessore istituzionale, che merita di essere preso in seria considerazione. Nello svolgimento dei loro compiti, le diverse istituzioni statali ed europee devono agire nella consapevolezza che i loro ordinamenti giuridici saranno pienamente rispettosi della democrazia, se prevederanno forme di sana collaborazioneÊcon le Chiese e le organizzazioni religiose.
Alla luce di quanto ho appena sottolineato, desidero ancora una volta rivolgermi ai redattori del futuro trattato costituzionale europeo, affinché in esso figuri un riferimento al patrimonio religioso e specialmente cristiano dell’Europa. Nel pieno rispetto della laicità delle istituzioni, mi auguro soprattutto che siano riconosciuti tre elementi complementari: il diritto delle Chiese e delle comunità religiose di organizzarsi liberamente, in conformità ai propri statuti e alle proprie convinzioni; il rispetto dell’identità specifica delle Confessioni religiose e la previsione di un dialogo strutturato fra l’Unione Europea e le Confessioni medesime; il rispetto dello statuto giuridico di cui le Chiese e le istituzioni religiose già godono in virtù delle legislazioni degli Stati membri dell’Unione. [...]
[116] Una e universale, pur presente nella molteplicità delle Chiese particolari, la Chiesa cattolica può offrire un contributo unico all’edificazione di un’Europa aperta al mondo. Dalla Chiesa cattolica, infatti, viene un modello di unità essenziale nella diversità delle espressioni culturali, la consapevolezza dell’appartenenza a una comunità universale che si radica ma non si estingue nelle comunità locali, il senso di quello che unisce aldilà di quello che distingue.
[117] Nelle relazioni con i pubblici poteri, la Chiesa non domanda un ritorno a forme di Stato confessionale. Allo stesso tempo, essa deplora ogni tipo di laicismo ideologico o di separazione ostile tra le istituzioni civili e le confessioni religiose.
Per parte sua, nella logica della sana collaborazione tra comunità ecclesiale e società politica, la Chiesa cattolica è convinta di poter dare un singolare contributo alla prospettiva dell’unificazione offrendo alle istituzioni europee, in continuità con la sua tradizione e in coerenza con le indicazioni della sua dottrina sociale, l’apporto di comunità credenti che cercano di realizzare l’impegno di umanizzazione della società a partire dal Vangelo vissuto nel segno della speranza. In quest’ottica, è necessaria una presenza di cristiani, adeguatamente formati e competenti, nelle varie istanze e Istituzioni europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici e attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò, conforme al bene comune.

EUROPA, NON AVERE PAURA!
[120] L’Europa ha bisogno di un salto qualitativo nella presa di coscienza della sua eredità spirituale. Tale spinta non le può venire che da un rinnovato ascolto del Vangelo di Cristo. Tocca a tutti i cristiani impegnarsi per soddisfare questa fame e sete di vita.
Per questo, la Chiesa sente il dovere di rinnovare con vigore il messaggio di speranza affidatole da Dio e ripete all’Europa: « Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente! » (Sof 3, 17). Il suo invito alla speranza non si fonda su un’ideologia utopistica; è al contrario l’intramontabile messaggio della salvezza proclamato da Cristo (Mc 1, 15). Con l’autorità che le viene dal suo Signore, la Chiesa ripete all’Europa di oggi: Europa del terzo millennio « non lasciarti cadere le braccia! » (Sof 3, 16); non cedere allo scoraggiamento, non rassegnarti a modi di pensare e di vivere che non hanno futuro, perché non poggiano sulla salda certezza della Parola di Dio!
Riprendendo questo invito alla speranza, ancora oggi ripeto a te, Europa che sei all’inizio del terzo millennio: Ritorna te stessa, sii te stessa, riscopri le tue origini, ravviva le tue radici. Nel corso dei secoli, hai ricevuto il tesoro della fede cristiana. Esso fonda la tua vita sociale sui principi tratti dal Vangelo e se ne scorgono le tracce dentro le arti, la letteratura, il pensiero e la cultura delle tue nazioni. Ma questa eredità non appartiene soltanto al passato; essa è un progetto per l’avvenire da trasmettere alle generazioni future, poiché è la matrice della vita delle persone e dei popoli che hanno forgiato insieme il Continente europeo.
[121] Non temere! Il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore. Lo conferma la constatazione che l’ispirazione cristiana può trasformare l’aggregazione politica, culturale ed economica in una convivenza nella quale tutti gli europei si sentano a casa propria e formino una famiglia di Nazioni, cui altre regioni del mondo possono fruttuosamente ispirarsi.Abbi fiducia! Nel Vangelo, che è Gesù, troverai la speranza solida e duratura a cui aspiri. È una speranza fondata sulla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Questa vittoria Egli ha voluto che sia tua per la tua salvezza e la tua gioia.

IL SEGNO DELL´APOCALISSE
[122] La vicenda storica della Chiesa è accompagnata da segni che sono sotto gli occhi di tutti, ma che chiedono di essere interpretati. Tra questi l’Apocalisse pone il segno grandioso apparso nel cielo, che parla di lotta tra la donna e il drago.
La donna vestita di sole che, soffrendo, sta per partorire (Ap 12, 1-2) può essere vista come l’Israele dei profeti che genera il Messia « destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro » (Ap 12, 5; cfr Sal 2, 9). Ma è anche la Chiesa, popolo della nuova Alleanza, in balia della persecuzione e tuttavia protetta da Dio. Il drago è « il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra » (Ap 12, 9). La lotta è impari: sembra avvantaggiato il dragone, tanta è la sua tracotanza di fronte alla donna inerme e sofferente. In realtà ad essere vincitore è il figlio partorito dalla donna. In questa lotta c’è una certezza: il grande drago è già stato sconfitto, « fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli » (Ap 12, 9). Lo hanno vinto il Cristo, Dio fatto uomo, con la sua morte e risurrezione, e i martiri « per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio » (Ap 12, 11). E anche quando il drago continuerà nella sua opposizione, non c’è da temere, perché la sua sconfitta è già avvenuta.
[123] Questa è la certezza che anima la Chiesa nel suo cammino, mentre nella donna e nel drago rilegge la sua storia di sempre.

SOLITARIO-SOLIDARIO, OVVERO L’ESSENZA DI UN VIVERE INSIEME EUROPEO

dal sito:

http://www.zenit.org/article-28659?l=italian

SOLITARIO-SOLIDARIO, OVVERO L’ESSENZA DI UN VIVERE INSIEME EUROPEO

Il discorso pronunciato alla PUG da Herman Van Rompuy

ROMA, lunedì, 14 novembre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato sabato 12 novembre alla Pontificia Università Gregoriana (PUG) dal presidente del Consiglio Europeo, il belga Herman Van Rompuy.
                                                                  ***

Signore e Signori Rappresentanti della Chiesa, del mondo politico, diplomatico ed economico, e delle diverse organizzazioni, Signore e Signori Professori e Studenti,

1. L’Europa e il cristianesimo
Inizierò il mio discorso con una citazione: “Poco importa che l’Europa sia la più piccola delle quattro parti del mondo per estensione territoriale, poiché è la più considerevole di tutte per il suo commercio, le sue navigazioni, per la creatività, i lumi e l’operosità dei suoi popoli, per la conoscenza delle arti, delle scienze, dei mestieri, e ciò che è più importante, per il Cristianesimo la cui morale caritatevole tende solo al benessere della società” (fine della citazione). Chateaubriand direte voi, l’uomo del “Genio del Cristianesimo”? O forse Bossuet, il Vescovo di Meaux, anche se questa citazione non ha nulla a che fare con un sermone?
No, ho citato semplicemente il contenuto della voce “Europa” dell’Enciclopedia, voce scritta da Diderot e D’Alembert, i quali, conveniamone, non sono passati alla posterità per il loro impegno cristiano.
Ma non cadete in errore. Nel cominciare con questa citazione la conferenza, per la quale ho scelto come titolo “Solitario, Solidario”; ovvero l’essenza di un vivere insieme europeo”, non intendo esprimere alcuna nota polemica. Non è nel mio carattere, né nel mio temperamento. D’altronde, parlo qui a nome mio personale e non in quanto Presidente del Consiglio Europeo. Intendo soltanto situare il concetto “Europa” nella storia.
Non è forse lo storico Jacques Pirenne, figlio e discepolo d’Henri Pirenne, il più reputato degli storici belgi, che ha scritto, e che cito di nuovo: “L’Europa è un vero caos, formato da antichi popoli romani, la cui civiltà ha origini millenarie, e da popoli nuovi tra cui si trovano tutti i gradi di barbarie e di semi-barbarie. La Chiesa, riunendoli nel Cristianesimo, crea l’Europa. Essa non sarà un’entità politica, né un’entità economica, essa sarà esclusivamente una comunità cristiana” (fine della citazione).
È per questo che il monaco Benedetto fu proclamato nel 1964 santo patrono dell’Europa. Perché l’Europa è stata anzitutto creata dalla spiritualità.
Nel XV° secolo Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II, l’unico papa fino ad oggi ad avere scritto le sue memorie, sarà il primo ad adoperare spesso il termine “Europa” e il qualificativo “europeo” e a scrivere, nel 1458, una storia e una geografia dell’Europa, inaugurando con questo un uso più politico del termine.
L’Europa dunque, l’Europa e la formazione della coscienza occidentale, di cui il cristianesimo è stato un elemento costitutivo e di cui ha marcato profondamente le strutture. Altre correnti di pensiero si sono aggiunte, talvolta complementari, talvolta contraddittorie. Tutto questo dà oggi corpo ed anima all’ identità europea, per quanto ampia e indefinita possa essere questa nozione. Ma non è perché una nozione non può essere scientificamente definita che essa non esiste. A mio avviso è un grande errore intellettuale pensare questo.
E se, domani, l’Unione europea, la comunità dei popoli europei, desidera raggiungere, a livello globale, una più grande unità nel rispetto della libertà dei popoli, essa dovrà indubbiamente fondarsi su ciò che costituisce il suo genio, vale a dire, su una più grande solidarietà di tutti nel rispetto dell’integrità di ciascuno.

2. L’unità attorno alla persona
Voi riconoscerete qui il mio attaccamento al pensiero personalista, pensiero che secondo me può essere riassunto perfettamente con la formula del biologo Jean Rostand “Solitario, Solidario”.
Solitario, perché tutto parte dall’uomo.
Dall’uomo, indivisibile nella sua singolarità, nella sua originalità, nel rispetto che a lui si deve, qualunque sia il suo stato sociale e il suo grado di intelligenza. È scritto nella palma di Dio, come viene detto nel libro dei Salmi, e come risalta nelle grandi tragedie greche.
Ma anche dall’uomo “più che individuo”, dalla persona ovvero dall’individuo cosciente che la sua appartenenza a delle comunità è ugualmente costitutiva della sua propria persona.
Tutto parte dall’uomo. Dall’uomo e dalla donna. Attorno a lui o a lei si formano dei cerchi concentrici di comunità. Ma l’uomo ne è il centro.
L’uomo, la persona libera e responsabile, cosciente dei suoi diritti e dei suoi doveri. I doveri che si riferiscono sempre all’altro. La persona cosciente anche della sua appartenenza non a “una” comunità, ma, l’ho detto, a “delle” comunità, a una società plurale e sempre in cambiamento, perché in costante divenire.
Solitario e solidario perché, sì, tutto parte dall’uomo e dalla sua capacità di accettare l’alterità, di accogliere “il diverso” e di gettare, ogni giorno di nuovo, un ponte verso questo “altro” radicalmente diverso nella sua comprensione del mondo, ma anche radicalmente simile nella sua umanità. Solo se tale comportamento avrà successo, l’uomo, in Europa e altrove, potrà abbracciare il mondo globalizzato.

3. Personalismo e pluralismo
Ma non è in questo luogo, alla Pontificia Università Gregoriana, che ho bisogno di convincere. E non è un caso se l’”acclimatazione” del messaggio cristiano alle diverse civiltà è da più di quattrocento anni il modo, oserei dire il “marchio di fabbrica”, dei Gesuiti, di concepire una mondializzazione nel rispetto delle culture particolari. Una mondializzazione religiosa, attraverso la fede, la speranza e la carità, ma attraverso una fede coniugata con la ragione perché il contributo della Compagnia di Gesù alle scienze è assolutamente prodigioso.
Un bell’esempio di questo è stato il Padre Teilhard de Chardin, scienziato visionario per il quale l’unificazione e l’amore erano il motore dell’evoluzione.
Un altro bell’esempio è costituito dalle discipline umanistiche “greco-latine”, base dell’insegnamento secondario dei Gesuiti, discipline umanistiche che hanno le loro fondamenta nei contenuti delle scienze, delle arti e della retorica della Grecia antica e della Roma antica.
“Solitario, solidario” ho detto, ovvero l’essenza di un vivere insieme europeo
E quando dico “tra Europei” vorrei sottolineare che non credo, beatamente, alla nascita possibile di un uomo europeo, di un uomo o di una donna che avranno come prima identità o come identità primaria essere europeo o europea.
Anche qui credo in questa diversità che mi è cara, in queste identità plurali che fanno sì che un abitante di Roma possa considerarsi perfettamente come Romano, Italiano e Europeo, una identità non ne esclude necessariamente un’altra, una identità non necessariamente prende il sopravvento su un’altra. Io credo d’altronde che l’avvenire dell’Unione Europea risieda nella sua accettazione di una identità europea definita come identità di spirito, di “vissuto”, e non come identità di una sedicente “nazione europea”.
Mi “sento dell’Europa” con le mie radici e i miei legami nazionali, regionali e locali, prima di essere quello che alcuni definiscono “un europeo”.
Mi “sento dell’Europa” ma non ho alcuna voglia di calarmi in un mondo concettuale indifferenziato. Concepire l’uomo come un essere puramente individualista, razionale e cosmopolita, è a mio avviso un grande errore.
L’uomo, intendo uomo e donna, è un essere multiforme. Bisogna comprendere questo nel concreto. Non lo si rispetta obbligandolo a piegarsi a dei concetti astratti.
La ricchezza naturale e spirituale dell’Europa è quindi quella di più popoli, più nazioni, più culture, ma anche, insisto ugualmente, una sola e medesima civiltà fondata su dei principi cui non si può derogare e in nome dei quali si fonda l’uguaglianza uomo-donna, la democrazia politica, la separazione tra lo Stato e le Chiese. L’integrazione nelle nostre società si fa attraverso la civiltà definita qui sotto la forma di norme e di istituzioni. Questo è un fattore di unificazione in una società pluriculturale.
Ma ci occorre qualcosa in più. Ci occorre un “supplemento di anima”.

4. Al di là dell’individuo
Resta da sapere se i principi di uguaglianza uomo-donna, di democrazia politica, di separazione tra le Chiese e lo Stato, in breve, se posso riassumere, se il principio moderno dei diritti dell’uomo, può costituire domani questa trascendenza, questo asse verticale cui gli Europei possono aderire, consentendo loro così, per impiegare le parole di Régis Debray, di realizzare una unione durevole orizzontale.
Ahimé, temo che il nostro tempo non sia ossessionato dalla figura dell’individuo che si costruisce da solo e che l’universalizzazione del regno dell’individuo, senza sovrastruttura filosofica e religiosa, non lasci l’uomo solo davanti al suo destino. Ebbene un “solitario non solidario” diviene ansioso e considera facilmente l’altro come un nemico. E questo è, a mio avviso, il più grande pericolo che possono correre le nostre società. Constatiamo oggi una mancanza di trascendenza, di idee e di ideali che oltrepassino l’individuo. Ebbene un asse di direzione, un senso del destino sono tanto necessari per una società quanto è necessario per l’uomo il senso donato alla propria vita.
Da questo deriva la constatazione amara di Marcel Gauchet riguardo alle nostre democrazie attuali e che cito: “La democrazia non può più perciò garantire la funzione suprema del politico che è quella di donare alla collettività il sentimento di una presa sul suo destino” (fine della citazione).
“Il” politico si dissolve allora per fare posto a “la” politica e al suo corteo di interessi e di rivendicazioni identitarie particolari, incapace di comprendere un interesse generale. Nasce così un nuovo individualismo. Questo nuovo individualismo si è sviluppato paradossalmente in un mondo occidentale con un settore collettivo, pubblico, estremamente sviluppato, che organizza e impone la “solidarietà”.
È per questo che non credo che i diritti dell’individuo o i diritti dell’uomo possano, domani, da soli costituire una trascendenza o, come dice Régis Debray, un asse verticale attorno al quale gli Europei possano ritrovarsi. Perché è rinviare l’uomo troppo a se stesso e dunque, inevitabilmente, limitarlo, rinchiuderlo, isolarlo. In una parola, renderlo troppo “solitario”.
Allora si pone di nuovo la questione di “quale asse verticale”?
Sarebbe l’“it” di Virginia Woolf, l’“Ultima Realtà” del Premio Nobel Christian De Duve, l’Inqualificabile, l’Ineffabile, l’Altro con la A maiuscola, “Dio” semplicemente, che ci oltrepassa senza sosta rivelando noi a noi stessi?
Ma la storia insegna che non si impone né un mito europeo fondatore né una trascendenza attorno alla quale riunirsi.
Almeno, forse, considerare la memoria di Auschwitz come fondamento dell’unità europea, e penso qui al titolo del giornale “Le Monde” che evoca la Shoah: “L’Europa riunita si raccoglie”. Bel titolo che qualificherei “religioso” nei due sensi etimologici del termine, “religare” per riunire e “relegere” per raccogliersi, per ri-leggere il proprio passato.
L’Europa, progetto politico, è stata la risposta alla guerra, all’orrore. L’Europa si è costruita attraverso la memoria delle tombe di milioni di innocenti. L’Europa è fondata su questo rifiuto e su questa scelta, per l’uomo, contro la barbarie e il totalitarismo.
Sappiamo ciò che non vogliamo. In nome di certi valori. Di valori che, riuniti, formano una “unione”, la nostra “unione”.
Ma cosa è questa “unione di valori”?
Al rischio di sorprendervi, dirò che essa si fonda, alla fine, su… l’amore. Perché la solidarietà è diventata, ai nostri giorni, troppo istituzionale. Concetto che, per non essere sterile, implica una nozione di condivisione e di amore. Di amore nelle sue molteplici forme. Di amore che io qualificherei gratuito, nel senso di dono. E se certamente non è possibile imporre l’amore, l’amore è per me la forza trascendente più grande che vi sia, per lo meno è possibile per ciascuno di noi, per ogni Europeo, lavorare per questo, con la speranza di divenire migliori. L’amore non è, neanche esso, astratto. L’amore ha bisogno, anch’esso, di concretezza. L’amore, come anche la fede, è morto se non si traduce in opere. Ricordiamoci Sant’Agostino, l’uomo che proclamava: “Ama e fa’ ciò che ami”; l’uomo che dichiarava “Noi siamo i tempi. Siamo buoni e i tempi saranno buoni!”.
Allora, Signore e Signori, cari Amici, era proprio qui che risiedeva l’essenza di una Europa in continua costruzione? Non in uno spirito di conquista alla maniera di Carlo Magno, di Carlo Quinto o di Napoleone, ma in piccoli passi intrapresi quotidianamente, tanto a livello filosofico, politico che economico; piccoli passi intrapresi in nome di questa “unione di valori, il cui fondamento è l’amore. Piccoli passi che, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ci mostrano, ci dimostrano che il cammino si fa camminando e che è il camminare stesso che determina la direzione del cammino. Perché se abbiamo bisogno di un’ispirazione, di una motivazione o di un’ambizione, non abbiamo però bisogno di un’utopia. Questa sarebbe anzi pericolosa perché tenderebbe a far sottomettere la realtà davanti a ciò che mai potrà essere un’altra realtà.Dunque in mancanza di grandi sogni, impossibili da realizzare, noi proviamo, dico bene “proviamo”, a mantenere politicamente, diplomaticamente ed economicamente l’Europa sulle rotaie e, per il bene di tutti, a far avanzare il treno conducendolo verso un vivere migliore, un migliore vivere in comune.
E se in effetti così fosse? Provare a perpetuare una certa idea dell’Europa, una certa idea del vivere insieme nelle nostre contrade? Oggi è più difficile rispetto a qualche decennio fa, anzi rispetto a qualche anno fa. Perché il mondo cambia. Esso si globalizza e si individualizza al contempo. E se l’economia “avanza”, l’uomo non sempre segue… Da una parte il mondo si umanizza, perché, ovunque, combatte la povertà, in particolare nei paesi detti emergenti. Ma, da un’altra parte, si spersonalizza perché il nostro destino diviene sempre più dipendente da un sistema finanziario capitalista sfrenato e senza etica. E il sentimento di impotenza che da questo nasce fa paura. Governare in questo clima è molto più difficile di prima. E stabilire un’economia al servizio dell’uomo a livello mondiale è una nuova sfida che dobbiamo raccogliere. Avendo come principio un amore per l’uomo finalizzato a realizzare un’economia che chiamerei “socialmente e umanamente” corretta. Per raccogliere questa sfida occorre, anche qui, realizzare quotidianamente azioni concrete, azioni correttrici. Ed è dai loro effetti cumulativi che deve nascere questa nuova economia che mi auguro di cuore. Non ho qui il tempo per approfondire tutti gli aspetti. Ciò che so è che abbiamo bisogno, per realizzare questo obiettivo, delle virtù di un amore che, come diceva Kierkegaard, trascende il tempo. Noi dobbiamo per questo, ciascuno di noi, superare il sentimento di immediatezza, sentimento che consiste nel credere che la storia comincia con la nostra propria nascita e che il passato e il futuro sono nozioni per sempre superate.
Permettetemi di ringraziare molto calorosamente il Reverendo Padre Fançois-Xavier Dumortier, Rettore della Pontificia Università Gregoriana, per il suo invito in questo tempio del pensiero Gesuita in Europa e nel mondo.
E quelli di voi che mi conoscono un po’ meglio sanno bene quanto sia personalmente, come antico alunno, attaccato all’insegnamento dei Gesuiti. A loro devo molto. Senza di loro, non sarei oggi ciòche sono come uomo e come intellettuale. Nella filosofia di Pericle la politica non era considerata come un vizio, ma come una vocazione, e la voce della coscienza ci veniva illustrata da Socrate e Antigone.
La politica era, sì, un’espressione dell’etica. Sicuramente l’etica ha un fondamento cristiano e io sono divenuto Europeo grazie ai Gesuiti che, in modo concreto, ci mettevano in contatto con gli alunni di altri collegi in Europa, che fossero quelli di Berlino, di Nijmegen, di Evreux o di Ginevra. Perché “viaggiare insieme” non è un po’ l’inizio del “vivere insieme”?
Sappiate allora che questa mattina sono felice di vivere questi momenti presso di voi e con voi, circondato dai ricordi di alcuni Generali della Compagnia Fiamminghi e/o Belgi come Everard Lardinois de Marcourt, primo Generale non spagnolo alla guida della Compagnia nel 1574, di Charles de Noyelle, di Pieter Jan Beckx e di Jean Baptiste Janssens.
Felice di vivere questi istanti presso di voi e con voi, in questo odore e visione della bellezza che ritrovo evidentemente a Roma, scoprendo lungo il Tevere, con mia grande sorpresa ma anche con gioia immensa questo magnifico graffito dipinto sul muro della riva destra di fronte all’isola Tiberina: “Ti amo da qui… alla fine del mondo… di nuovo qui… all’infinito”.
Mi riaffiorano alla memoria queste celebri parole di un Papa romano: “Roma, la genitrice, l’annunciatrice, la tutrice di civiltà e di eterni valori di vita” (1948).

Vi ringrazio.

Publié dans:Europa e cristianesimo |on 17 novembre, 2011 |Pas de commentaires »

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