Archive pour la catégorie 'Educazione'

COME TRATTIAMO I NOSTRI FIGLI?

http://www.zenit.org/article-35340?l=italian

COME TRATTIAMO I NOSTRI FIGLI?

È necessario proporre un nuovo modello formativo che possa risolvere la crisi educativa delle nuove generazioni e ricordare ai genitori le proprie responsabilità verso i figli

Don Anderson Alves
ROMA, Tuesday, 29 January 2013 (Zenit.org).
Attualmente si avverte sempre più una crisi educativa, una “intensa” crisi educativa. Ad un livello generale è possibile constatare che la soglia media di educazione è drasticamente diminuita con la conseguenza di grosse difficoltà nella realizzazione del processo di formazione dei giovani.
Sia i bambini che gli adolescenti imparano sempre meno. L’autorità dei docenti tende a offuscarsi e i giovani, nel pieno di un’apparente energia fisica, avvertono un senso di solitudine e di disorientamento. Ciò accade proprio in un’epoca d’incredibile sviluppo della pedagogia. Mai come in questi tempi ci sono state tante persone a studiare questa scienza con il risultato di così tante teorie pedagogiche. E, soprattutto, la crisi si è intensificata in un periodo di sviluppo materiale, proprio nelle società del benessere.
La nostra tesi quindi è che una delle principali cause della crisi attuale nell’educazione non sia la mancanza di risorse, ma qualcosa di più profondo: ovvero il fatto che non sappiamo più come trattare i nostri figli.
Sino alla metà del secolo scorso, si aveva un’idea ben chiara di cosa fossero i figli: innanzitutto un dono di Dio, un regalo datoci per essere curato con attenzione e affetto, ma anche molta responsabilità. La paternità veniva considerata, dunque, una speciale partecipazione al potere creatore di Dio, e di conseguenza i figli erano trattati con rispetto e la vita accolta con allegria e generosità.
Ciò era dovuto al fatto che il nostro modo di vivere sino ad allora era segnato dagli insegnamenti della cultura giudaico-cristiana. Si seguiva l’esempio di personaggi come Anna (1, Sam. 1), una donna sterile che chiese più volte a Dio un figlio. Dio realizzò il suo desiderio, ascoltando le sue ferventi orazioni, e la donna andava ogni anno al tempio di Israele per ringraziarlo del dono ricevuto. Anna era quindi pienamente cosciente del fatto che la vita umana venisse da Dio e ritornasse a Dio, essendo nulla impossibile a Lui.
A partire dalla rivoluzione del 1968, però, sorse una nuova cultura che abbandonò totalmente la visione biblica. Sigmund Freud sognava un giorno in cui la generazione dei figli si sarebbe separata dalla struttura familiare; un’idea questa che a partire dal 1968 cominciò ad essere sempre più frequente. Da allora, infatti, si infuse nei giovani l’idea che i figli fossero un ostacolo, qualcosa di limitante la propria libertà personale.
I figli cominciarono pertanto ad essere considerati una minaccia e la gravidanza una sorta di malattia da evitare ad ogni costo. Oggi, invece, alle persone, in particolare quelle che non sono più così giovani, è stata inculcata l’idea che i figli siano un “diritto”.
Tra una teoria e l’altra, quindi, i figli vengono considerati o come “minaccia” o come un “diritto”, mai come un dono. E da ciò emergono i problemi più gravi.
Negli Stati Uniti, secondo i dati raccolti dal Census Bureau e dall’American Community Survey, 15 milioni di bambini (uno su tre) cresce senza il padre e altri 5 milioni senza la madre. In Gran Bretagna, invece, nel 2012, avere un padre risulta nella top 10 dei regali chiesti a Babbo Natale. Anche in Italia sono oltre 2 milioni e 800 mila i bambini inseriti in famiglie monogenitoriali: 2 milioni e 400 mila circa vivono senza padre e altri 400 mila senza madre [1].
Il rischio attuale è che gli adulti ritengano i propri figli una specie di “merce”, un sogno consumistico da realizzare in un momento perfettamente determinato. I figli sono ogni volta di più un frutto di calcoli e non piuttosto di amore. Ciò lascia una ferita profonda nei figli stessi.
Soprattutto il non considerare più i figli come dono di Dio ma averli attraverso un risultato tecnico, costituisce un passo significativo verso la destrutturazione delle famiglie e la distruzione dell’educazione. Di fatto succede spesso che i genitori, paradossalmente, tentino di iper-proteggere i figli, cercando di sollevarli da qualsiasi pericolo, ma, al tempo stesso, non hanno nessuna voglia di trovare del tempo per dedicarsi al difficile compito di educarli. I bambini vengono mandati ancora prima a scuola e i professori devono impegnarsi a trasmettere valori che i bambini avrebbero dovuto ricevere invece a casa.
C’è poi un altro grave pericolo: gli adulti cercano di aver figli più per ricevere da questi ultimi un’approvazione che per trasmettere loro un amore totale, gratuito e disinteressato. Molte volte, però, nelle famiglie, succede qualcosa di orribile: i genitori finiscono per comportarsi come bambini, lamentandosi della loro infanzia, e i figli finiscono per comportarsi come adulti, obbligati da tali atteggiamenti [2]. Con un tale ribaltamento dei ruoli nessuno si assume la propria responsabilità familiare, e ciò si riflette sul rendimento dei giovani nelle scuole e Università.
Su questo punto possiamo forse tornare a dare un’occhiata al libro che ha formato la civiltà occidentale: il Vangelo. Esso ci racconta solo una scena dell’adolescenza di Gesù e del suo “processo educativo”. Quando Gesù aveva dodici anni, fu portato al tempio da Maria e da Giuseppe per partecipare alla festa della Pasqua (Lc 2). Quando la famiglia stava per far ritorno a casa, Maria e Giuseppe si distrassero e Gesù, da vero adulto, rimase nel tempio discutendo con i dottori della legge. Rincontratolo, Maria lo riprese, pur sapendo chi le stesse di fronte allo stesso Figlio di Dio: “Figlio che hai fatto? Ecco io e tuo padre ti cercavamo angosciati”. E Gesù dopo aver manifestato la piena consapevolezza della sua identità divina – “Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” – fa ritorno a casa i genitori e “stava loro sottomesso”.
Davvero impressionante! Maria e Giuseppe non fuggirono dalle proprie responsabilità educative pur sapendo bene che quell’adolescente che avevano di fronte era il Figlio di Dio. E Gesù, vero Figlio di Dio, ritorna a casa con la sua famiglia obbedendo loro in tutto sino all’età di trent’anni. Vediamo così che nella famiglia di Nazareth nessuno rifugge dalle proprie responsabilità, uniti da un vero amore che emerge nell’autorità, nell’umiltà e nel servizio, non nell’autoritarismo o nell’indifferenza.
Sembra perciò che per recuperare il senso di una vera educazione, per affrontare la grave crisi attuale, dobbiamo aiutare le famiglie a considerare la vita come un dono di Dio e, di conseguenza, a trattare i propri figli con diligenza, non delegando tutta la responsabilità educativa ad estranei o a mere intuizioni.
Il compito è arduo, ma può essere realizzato in pieno, specialmente alla luce della fede che per secoli ha illuminato la nostra società. In sostanza, dobbiamo ritornare a seguire il modello della Sacra Famiglia andando al di là dei parametri contraddittori di una “rivoluzione” che ci ha portato soltanto ad un’esaltazione dell’egoismo e dell’irresponsabilità e al conseguente aumento della sofferenza dei più deboli.
*
NOTE
[1] Per i dati cfr.: http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_b.rss?id_oggetto=252815
[2] Cfr. G. CUCCI, La scomparsa degli adulti, «La Civiltà Cattolica», II, 220-232, quaderno 3885, 5/5/2012.
* Don Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis, Brasile. E’ dottorando in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma

Publié dans:Educazione, famiglia |on 30 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

PARLARE AI PICCOLI FIN DAL CONCEPIMENTO

http://www.zenit.org/article-34735?l=italian

PARLARE AI PICCOLI FIN DAL CONCEPIMENTO

I grandi benefici del dialogo tra mamme e figli che inizia fin dall’utero materno

Rachel Abdalla

ROMA, Thursday, 27 December 2012 (Zenit.org).
È molto importante camminare al fianco di Gesù fin da piccoli per l’accrescimento della fede. È quotidianamente che loro imparano i valori cristiani e accrescono la fede nella persona di Gesù Cristo, attraverso gli esempi che osservano dei loro genitori ed educatori.
I primi sette anni di vita costituiscono una fase fondamentale dell’esistenza umana, e sono considerati il momento più importante della formazione del carattere, della personalità, dell’affettività e dei valori; momento nel quale la formazione psicologica del bambino si sviluppa e tutte le esperienze vissute vengono assimilate e serviranno come base di condotta per il resto della sua vita.
Ma, come realizzare questo cammino quando il bambino si trova ancora nelle pancia della mamma?
Tutto inizia dal concepimento! Il bambino si sta formando all’interno di sua madre, ovvero nel più intimo del suo essere, dove risiede il bene Divino dell’amore, che sta generando questa nuova vita.
In questo momento della formazione, la madre è responsabile dello sviluppo fisico  del suo bambino, alimentandolo adeguatamente affinché venga nutrito; ma è anche responsabile della nutrizione emozionale e spirituale che inizia in questo momento.
La fede è qualcosa che trascende l’intendimento, ma che può essere sentita e vissuta fin dal concepimento dell’essere umano, dal momento che la creatura è un frutto del Creatore e, pertanto, parla e capisce la stessa lingua.
Per questo, bisogna fare in modo che, tutti i giorni, il bambino ascolti la voce di sua madre e la sua devozione a Dio, in modo che anche lui sia devoto al Signore.
La madre deve conversare con il suo bambino, raccontargli tutto quello vede, con gli occhi e con il cuore, riguardo le meraviglie realizzate dal Creatore!
Tentare di spiegargli il colore del cielo, come è la natura e come sono fatti gli arcobaleni; parlargli degli uccellini che volano, della varietà dei pesci nel mare e della bellezza degli animali.
Parlargli anche della sensazione del freddo e del caldo; della pioggia che cade dal cielo e delle nuvole che l’hanno formata….
E, principalmente, parlare dell’amore che nutre per il suo bambino e di quanto lo sta aspettando.
Il bambino conoscerà in questo modo il mondo per mezzo di quello che la madre gli racconta, attraverso le emozioni che questa gli trasmette nel descriverlo.
Questa percezione esisterà sempre, e farà sì che il bambino, nella sua vita, riesca a credere in ciò che non può vedere ma che, di fatto, esiste, perché ha imparato ad avere fede, ad aspettare per vedere quello che ancora non è visibile agli occhi, ma che può già essere sentito attraverso il cuore.
Questo esercizio deve avvenire anche dopo la nascita. In questo modo, il vincolo tra la madre, il figlio e Dio, sarà sicuramente rinforzato.
[Traduzione dal portoghese a cura di Claudia Parigi]
*Rachel Abdalla è la Fondatrice e il Presidente dell’Associazione Cattolica “I piccolini del Signore” e Cordinatrice della Catechesi per la famiglia nella parocchia Nossa Senhora dos Dores a Campinas, San Paolo; presenta il “Programma Piccolini del Signore”, all’interno del proggeto “Popolo di Dio” dell’ arcidiocesi di Campinas, su Radio Brasil Campinas; è membro dell’ Equipe do Trabalho de “Ambiente Virtual da Formacao” dell’ arcidiocesi di Campinas.
Sito: www.pequeninosdosenhor.org

Publié dans:Educazione, famiglia |on 27 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

IL NICHILISMO, L’“OSPITE INQUIETANTE” CHE SI AGGIRA PER L’EUROPA

dal sito:

http://www.zenit.org/article-25725?l=italian

IL NICHILISMO, L’“OSPITE INQUIETANTE” CHE SI AGGIRA PER L’EUROPA

Per il Card. Bagnasco, alla radice della crisi educativa vi è la “sfiducia nella vita”

ROMA, venerdì, 25 febbraio 2011 (ZENIT.org).- “C’è un ospite inquietante che si aggira per l’Europa: è il nichilismo” che “conforma pensieri, cancella prospettive e orizzonti”. E’ quanto ha detto il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), nel presentare il 24 febbraio, all’Università Pontificia Salesiana di Roma, la Nota pastorale della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020”.
Nel suo intervento il porporato ha posto diverse problematiche, ed ha invitato a “chiedersi non tanto cosa posso fare per i giovani, quanto cosa siamo noi adulti.  Perché siamo punti di riferimento, maestri di vita, sia con le parole che con la testimonianza delle opere”. Per questo ha incoraggiato a “una messa in discussione” a “una verifica del proprio modo di essere”. 
L’Arcivescovo di Genova ha quindi voluto ricordare che “l’atteggiamento di fondo della Chiesa verso il mondo è la simpatia”, tanto che il mistero dell’Incarnazione potrebbe essere interpretato come “la simpatia di Dio verso l’umanità ferita dal peccato e dalla morte”.
Dunque “è la passione per Cristo che spinge i credenti alla passione per l’umanità” e qui si trova “il nostro principio fondativo per servire il mondo”.  Ma se questa motivazione si affievolisce, si perde “la motivazione di essere il sale e la luce della storia”. Per questo ha detto Bagnasco, il Santo Padre non si stanca di esortarci a “non distrarre lo sguardo dal volto di Cristo”.
Il porporato ha però sottolineato che alla radice della emergenza educativa vi è la “sfiducia nella vita”. Anche se un’altra causa si può rintracciare anche in “uno snervamento della ragione”.
E “su questa esposizione senza difese – ha continuato il Presidente della CEI –, si concentra il fuoco  incrociato degli interessi più diversi, economico-commerciali, ideologici. Il risultato interiore è una emotività che, rispetto ai tempi passati, è molto più sollecitata e incontrollata, a cui corrisponde uno spazio di riflessione molto più modesto, fino a cristallizzare la non-distinzione tra intelligenza e impressionabilità”. 
Citando il filosofo Jacques Maritain il Cardinale Bagnasco ha ricordato che “i giovani attendono altro: il loro cuore non invoca questo male di vivere, al contrario guarda e aspira altrove con la nativa speranza che l’avventura della vita sia promettente e piena di sole, ricca di significati, degna di essere vissuta lasciando qualcosa di meglio e di grande”.
L’opera educativa, ha proseguito, “esige un rapporto personale di fedeltà tra soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione educativa, anche in forza del fatto che il lavoro educativo s’innesta nell’atto generativo e nell’esperienza di essere figli: non si finisce mai di essere figli, per questo possiamo essere padri ed educatori”. E quindi “ogni genitore di fronte al figlio, così come ogni educatore di fronte al giovane, non deve chiedersi ‘cosa posso fare per lui?’, ma ‘chi sono io?’”.
Da qui anche la necessità di educare alle domande, alla verità, alla ragione, all’umano e alla fede pensata.
“La questione dei cosiddetti ‘valori non negoziabili’ – ha proseguito – , con tutto ciò che ne consegue,  demarca questa linea di confine, questo crinale oltre il quale l’uomo perde se stesso e la società diventa disumana. Non essere pienamente consapevoli di questa scommessa e non starci con le ragioni della ragione confermata e illuminata dalla fede, significherebbe un grave peccato di omissione verso Dio e verso l’uomo”.
E “la nota espressione – cultura della vita e cultura della morte – non è una forma letteraria usata dal Magistero per la sua forza suggestiva, ma descrive lucidamente la realtà che viviamo: si tratta del futuro dell’uomo – ha concluso –. Ridimensionare o silenziare, non prendere in mano con decisione e grande impegno la questione, sarebbe mancare all’appuntamento a cui il Signore ci chiama”.

Publié dans:Cardinali, Educazione |on 1 mars, 2011 |Pas de commentaires »

Una prospettiva educativa e teologica al consumo: In un convegno, le ragioni dell’acquisto selvaggio

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22369?l=italian

Una prospettiva educativa e teologica al consumo

In un convegno, le ragioni dell’acquisto selvaggio

di Mariaelena Finessi

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Gli esperti la chiamano società dei consumi, a significare che sono gli acquisti a connotare in modo sostanziale il funzionamento della struttura sociale. «Si tratta di un fenomeno affrontato da molti studiosi e in molti ambiti, e che in un’accezione più critica viene anche definito consumismo, in una declinazione che lascia intendere un giudizio negativo». Così don Dario Viganò – preside dell’Istituto Pastorale Redemptor Hominis – introduce presso la Pontificia università Lateranense la giornata di studio « »Consumo, dunque sono »? Una prospettiva educativa, teologica e sociale».

Un incontro, quello del 5 maggio, suggerito dal titolo di un libro di Bauman del 2008, a cui è stato aggiunto un interrogativo con il dichiarato proposito di sondare il tema dei consumi. E, in finale, di indagare sulla realtà esistenziale dell’uomo di oggi. Una realtà caratterizzata dalla tecnologia e dai media, i quali, per dirla con le parole di Menduni «sono prodotti culturali realizzati industrialmente, riprodotti e diffusi in un gran numero di pezzi uguali o simili, che portano a conoscenza dei loro utenti, paganti o meno, determinati contenuti che spesso sono prodotti anch’essi in forma industriale, collettiva».

Dall’altro lato, gli stessi media appaiono, come scriveva Roger Silverstone nel 1999, «dei veri e propri surrogati sociali in quanto essi si sono sostituiti alle comuni casualità dell’interazione quotidiana, generando in maniera insidiosa e continua simulacri della vita». «In questo inscatolamento mediale della società – interviene Massimiliano Padula, docente di Comunicazione Istituzionale presso la Lateranense – , non sono più chiari i confini tra consumo e consumismo».

«Individualità e socialità perdono la loro forza distintiva per mescolarsi in un omogeneizzato socio-culturale sempre più evidente in Occidente, il quale è stato in grado di imporsi e di imporre il proprio modello in tutto il mondo e ad aspetti diversi della vita». Quello stesso Occidente che ha cioè « McDonaldizzato » il mondo, per usare un’espressione di Ritzer, suggeritagli dal noto fast food che ha saputo mettere radici ovunque con una crescita esponenziale.

E in una realtà siffatta, finiamo «col vivere una specie di falso dilemma: da una parte – spiega Chiara Palazzini, CeSNAF – si coltivano intensamente gli affetti, ma nessuno vuol sentir parlare di legami; d’altra parte si stringono ogni giorno legami che tengono lontani gli affetti». «L’uomo ha senso nel riconoscimento da parte dei simili. Venendo meno il quale – chiarisce monsignor Sergio Lanza -, si affida agli oggetti di consumo e fatalmente finisce con l’essere esso stesso oggetto. Ecco perché è necessario intervenire con una pedagogia energica. In fondo, la spontaneità, lasciata a se stessa non produce roseti ma rovi».

Una ricetta magica per educare tuttavia non esiste. «Spesso, ciò che dobbiamo – sottolinea con amarezza Sergio Belardinelli, coordinatore delle iniziative del Progetto culturale della Cei – è ciò che ci costa di più nella pratica. Eppure una cosa si può fare: generare il più possibile una consapevolezza che il bene e il piacere, come sostiene Platone, non sono la stessa cosa».

E far capire che la realtà, sì, esiste ma non asseconda spontanemaente i nostri desideri. «Diceva Rousseau che se il bambino vuole la mela, non devi portare la mela al bambino ma devi condurre il bambino verso la mela». Un insegnamento pedagogicamente prezioso, che abitua alla fatica di attribuire un valore ad ogni cosa, al di là del prezzo di mercato.

«Consumare – spiega Francis-Vincent Anthony, docente di Teologia alla Pontificia università Salesiana -, cioè esaurire risorse materiali, scaturisce da una visione della realtà, cioè da un modo di comprendere la persona umana e Dio». In particolare, «dietro la nostra abitudine odierna di « usa e getta », c’è una visione meccanicistica e utilitaristica della natura, che si riduce a un indiscreto uso e consumo da parte dell’uomo. Superare questa visione eccessivamente antropocentrica e ristabilire un rapporto idoneo tra il cosmo, l’uomo e Dio è il pimo passo da compiere nell’affrontare il problema del consumismo».

Tradotto, significa che per raggiungere lo scopo ultimo della propria vita è necessario imprimere un orientamento etico all’acquisizione sia dei beni materiali, sia dei piaceri della vita. «Il consumo non è male. Lo è, invece, esaurire le risorse senza nessun riguardo per la coscienza morale e la convivenza comune». Alla domanda « Consumo, dunque sono? », Anthony risponde sicuro: «Si, consumare è indispensabile per vivere; eppure una vita degna dell’uomo orientato alla gioia piena impone la necessità di regolare eticamente la soddisfazione dei propri bisogni, sacrificando anche la propria vita per il bene comune».

«Il termine « consumare » (dal latino consumere) – composto da cum (con) e sumere (prendere, usare interamente) – nella sua accezione più ampia indica « un prendere con » gli altri. In questo senso consumare è sacrificare (sacrum facere), cioè un’azione sacra. Dalla prospettiva cristiana – conclude Anthony –, l’eucaristia rappresenta eloquentemente il consumo congiunto al sacrificio da testimoniare nella vita».

Publié dans:Educazione |on 7 mai, 2010 |Pas de commentaires »

Mons. Crociata: “Educare significa abilitare alla capacità di giudicare”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21459?l=italian

Mons. Crociata: “Educare significa abilitare alla capacità di giudicare”

Intervenendo al Convegno della CEI su “La pastorale della scuola e l’istanza educativa”

ROMA, venerdì, 19 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Educare significa abilitare alla capacità di giudicare e di scegliere”. E’ quanto ha detto giovedì in occasione della messa di apertura del Convegno nazionale di pastorale della scuola, tuttora in corso di svolgimento a Roma, il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il Vescovo Mariano Crociata.

L’incontro promosso dall’Ufficio nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università della CEI ha per tema “La pastorale della scuola di fronte all’istanza educativa” e si concluderà il 20 febbraio.

“Educare – ha continuato mons. Crociata nella sua omelia, secondo quanto riferito dall’agenzia Sir – significa, o comunque comporta, accompagnare e condurre a elaborare la capacità di distinguere, e quindi di giudicare e di scegliere”.

“In questo – ha sottolineato ancora – sta una grande lezione, purtroppo spesso drammaticamente dimenticata, se non rimossa o respinta, poiché non raramente si ritiene che la persona si forma seguendo un moto di autonoma e incontrollata spontaneità priva di giudizi e di punti di riferimento”.

Tuttavia, ha precisato, “non c’è crescita e maturazione umana, e neanche realizzazione sociale e professionale, senza il prezzo della fedeltà, della fatica e del lavoro assiduo e oneroso, senza la capacità di sacrificarsi e di rinunciare a qualcosa di sé o, semplicemente, a se stessi”.

Nell’aprire i lavori nella mattinata di giovedì il Segretario della Commissione episcopale per l’Educazione cattolica, la Scuola e l’Università, mons. Michele Pennisi, aveva detto invece che “bisogna rivendicare la libertà di educazione non come una battaglia per difendere privilegi confessionali, ma come una battaglia civile che garantisca un vero pluralismo e un’autentica laicità, valorizzando le scuole paritarie cattoliche o di ispirazione cristiana come luogo educativo per la società civile, essenziale per il bene comune”.

Il Vescovo di Piazza Armerina aveva poi osservato “che non è accettabile la tesi che considera come un mondo separato ed estraneo alla missione propria della comunità cristiana la scuola pubblica, sia essa paritaria che statale, fondata sull’autonomia e quindi aperta al territorio”.

Il presule aveva quindi sollecitato un maggior sostegno da parte delle autorità statali e degli enti locali, perché “l’apporto degli insegnanti di religione, il servizio delle scuole paritarie e dei centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana rappresentano punti di forza del sistema educativo integrato d’istruzione e di formazione”.

Dal canto suo don Cesare Bissoli, docente emerito di Catechesi biblica presso la Pontificia Università Salesiana, intervenendo questo venerdì ha ricordato che “Gesù non ha mai fatto il guru solitario, ma è stato veramente uomo della gente, anzi delle singole figure, e sovente povere, marginali ed emarginate” e che “ha sempre curato il singolo, pur incontrando la massa”.

Il biblista, intervenuto sulla figura dell’educatore nei Vangeli, ha poi fatto notare che quello di Gesù era uno “stile” educativo “certamente suggestivo e attraente, fatto di dedizione amorosa, totale e fedele, oggi qualificato con la categoria dell’ospitalità, di una santità ospitale”.

Secondo don Cesare Bissoli, “nell’arte educativa di Gesù lo scopo è il fattore decisivo, è la sua eredità maggiore, perché il fine per lui non era una teoria del bene, alla maniera kantiana, ma il volto del Padre da svelare agli uomini”.

Successivamente è intervenuto anche don Riccardo Tonelli, docente emerito di Pastorale giovanile presso l’Università Pontificia Salesiana, il quale ha sottolineato che “la pastorale, orientata verso l’integrazione tra la fede e la vita, ha bisogno del supporto culturale di una educazione, orientata a far maturare in umanità”.

“Nello stesso tempo – ha detto –, la pastorale dialoga con l’educativo, offrendo quella ispirazione radicale che sostiene, incoraggia e valuta la ricerca autonoma e competente”.

“Noi accogliamo abitualmente le ragioni di senso e di speranza, le prospettive di futuro e gli inviti alla responsabilità nel presente – ha spiegato don Tonelli – attraverso quella relazione che assicura un dialogo tra i giovani con le generazioni che li hanno preceduti”.

Siamo “in emergenza”, invece, “quando si rompe questa relazione e non sappiamo più dove andare a ritrovare le ragioni per vivere e per sperare”.

“Per vivere abbiamo però bisogno almeno di sopravvivere”, ha poi fatto notare il sacerdote: “E così spesso queste ragioni le accogliamo dal primo venuto, da colui che grida più forte o che possiede attributi speciali per sedurre e incantare. L’esito è quello che vediamo e che tanto preoccupa”.

Di qui, ha concluso, la necessità di “ricostruire una figura di educazione, che sappia immaginare contenuti al servizio della vita e della speranza, all’interno di una rinnovata e ricostruita relazione intergenerazionale”.

Publié dans:Educazione, Scuola, Università  |on 20 février, 2010 |Pas de commentaires »

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