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Sinodo della Parola “viva, tagliente ed efficace”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-15184?l=italian

Sinodo della Parola “viva, tagliente ed efficace”

Parla il Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma

di Miriam Díez i Bosch

ROMA, martedì, 19 agosto 2008 (ZENIT.org).- La Parola di Dio non è ridotta alla Bibbia ed è una Parola viva perché non è un testo.

A spiegarlo è padre Roberto Fornara, ocd, Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma (www.ocd.it), docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica Teresianum e la Pontificia Università Gregoriana nonché Direttore della Rivista di Vita Spirituale.

Il Sinodo vorrebbe favorire la riscoperta piena di stupore della Parola di Dio che è viva, tagliente ed efficace. Cosa si intende?

P. Fornara: La triplice annotazione prende spunto da Eb 4,12. La Parola è «viva», anzi «vivente» (zôn), perché non è un testo (il cristianesimo non è religione del Libro!), ma la persona viva del Verbo, per cui lascolto della Parola non si concepisce al di fuori di unesperienza orante di relazione con Cristo.

Si parla poi della Parola «efficace» (energès, piena di «energia», di «forza viva»). Noi occidentali, tendenti a considerare la parola come flatus vocis, dobbiamo ricuperare il concetto ebraico di dabar, parola e atto, che presiede alla logica della creazione del mondo: «Dio disse…» e tutte le cose furono fatte.La stessa efficacia creatrice, la Parola la esercita penetrando nel cuore dell

uomo, «più tagliente» (tomóteros) di ogni spada a doppio taglio. Supera le barriere dellesteriorità e dellapparenza, fa la verità in noi, penetra nellintimo, è «lama di luce» (come si esprimevano i medievali), perché illumina il cammino e perché ci illumina, mettendo a nudo ciò che in noi appartiene allo Spirito e ciò che, appartenendo alla carne, ha bisogno di conversione.

In questo «taglio», la spada della Parola ci fa male: il Signore ferisce e risana. Maria stessa – nella profezia di Simeone – comprese che la sua vita sarebbe stata attraversata dalla spada della Parola: ferita e gioia, ferita orientata alla gioia piena.

Qual è il legame tra Bibbia e spiritualità?

P. Fornara: La Parola di Dio (non la Bibbia) è sorgente della vita spirituale, vita secondo lo Spirito e vita dello Spirito in noi.

Dei Verbum 12 cita unespressione di san Girolamo secondo cui la Scrittura devessere letta e interpretata con lo stesso Spirito con cui fu scritta: lo Spirito allorigine dellispirazione biblica è lo stesso Spirito che ne opera linterpretazione e la vivificazione.

Nella Bibbia sono spesso accomunati il «soffio» e la «parola» divini; lo Spirito continua a soffiare perché la Parola diventi carne nel credente: è questa la vita spirituale. È litinerario della lectio divina, dalla lectio (studio, lettura attenta della Bibbia, da cui attingere la Parola) alla contemplatio (divento io stesso quel templum, quel tabernacolo che contiene la Parola e la comunica, talmente ne sono impregnato: non sono più io che vivo, ma Cristo – Parola del Padre – vive in me nella forza dello Spirito; cf Gal 2,20).

Il legame tra Parola e spiritualità, di cui siamo oggi più coscienti e convinti, è indispensabile per evitare derive razionalistiche nellinterpretazione biblica o sentimentalistiche e devozionistiche nel modo di concepire e vivere la vita spirituale.

Quali frutti ha portato il documento conciliare Dei Verbum nelle comunità cattoliche?

P. Fornara: È evidente la maggiore importanza della Parola di Dio nella vita delle comunità; penso al diverso respiro biblico della riflessione teologica, della predicazione e della catechesi, come pure alla maggiore formazione biblica del clero, dei religiosi e dei laici, o alla crescente importanza della lectio divina, sia personale che comunitaria.

Rispetto al 1965, possiamo usufruire di un numero molto più grande di traduzioni e di strumenti per la lettura della Bibbia. Leredità della Dei Verbum ci ha permesso di ricuperare molto terreno nei confronti delle comunità riformate, da sempre molto più centrate sulla Parola.

Tuttavia, molto resta ancora da fare, sia nel lavoro formativo, sia nella dimensione orante e spirituale, sia sotto laspetto più missionario di evangelizzazione. Alla presentazione dellInstrumentum laboris, mons. Eterovic, segretario generale del Sinodo, ricordava i dati di una recente indagine: solo il 38 % degli italiani praticanti (27 % se si considerano gli italiani adulti) avrebbe letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi. Oltre il 50 % considera la Scrittura difficile da comprendere. La gente ha bisogno di essere introdotta e guidata ad unintelligenza ecclesiale della Bibbia.

Concretamente, qual è stato il contributo dei santi carmelitani alle Sacre Scritture?

P. Fornara: I santi del Carmelo riformato (soprattutto i tre dottori della Chiesa) vivono nel periodo che va dal Concilio di Trento al Vaticano II, definito «esilio della Parola» dalla vita del popolo di Dio. Eppure tutti provano una sete grandissima di abbeverarsi alle sorgenti della Parola. Vivono, in modi diversi, un cammino di lectio, fedeli alla Regola del Carmelo.

Teresa dAvila si nutre di una sola parola delle Scritture più che di mille letture spirituali, e capisce che questo la preserva da «devozioni alla balorda». Giovanni della Croce dà importanza sia allo studio esegetico, sia allaccoglienza del linguaggio simbolico della Scrittura. Teresa di Gesù Bambino è maestra di unermeneutica spirituale della Bibbia, alla ricerca del volto di Cristo. Elisabetta della Trinità è forse la più contemplativa, non ascoltando la Parola per fare quello che le viene chiesto, ma per gustare, contemplare e adorare la Bellezza divina.

Tutti vivono il contatto con la Parola in una dimensione orante e con una tonalità affettiva. Si respira in tutti una certa passività” verso una Parola da non usare o comprendere, ma da ascoltare, accogliere, servire e lasciar operare. Io spero che dal Sinodo emerga una nuova coscienza passiva, una consegna, un abbandono totale alla Parola di Dio, una fede grande nella potenza della Parola che opera ciò che significa. Stupore, insieme alla docilità dellascolto obbediente, è forse latteggiamento di cui abbiamo maggiore necessità.

Publié dans:dalla Chiesa, ZENITH |on 6 octobre, 2008 |Pas de commentaires »

Cardinal Danneels: la liturgia si comprende con il cuore

dal sito:

http://www.cardinalrating.com/cardinal_22__article_7464.htm

Cardinal Danneels: la liturgia si comprende con il cuore
Sept 14, 2008
Intervento al Congresso Internazionale di Liturgia.

BARCELLONA, martedì, 9 settembre 2008 (ZENIT.org).- Secondo il Cardinale belga Godfried Danneels, per comprendere la liturgia non è sufficiente la ragione, ma serve anche il cuore.

Il porporato è intervenuto al Congresso Internazionale di Liturgia, svoltosi il 4 e il 5 settembre a Barcellona per celebrare i 50 anni del Centro di Pastorale Liturgica dell’Arcidiocesi catalana (www.cpl.es).

Per il presidente della Conferenza Episcopale del Belgio, la liturgia è un mistero, per cui non tutto deve essere compreso, perché non ha bisogno di una comprensione “puramente cognitiva”, ma si tratta di “comprendere con il cuore”.

Dopo aver sottolineato che “il rinnovamento liturgico ha apportato un cambiamento importante nel rapporto tra Chiesa e civiltà, Chiesa e mondo, Chiesa e cultura”, ha ricordato come la cultura liturgica prima del Concilio Vaticano II fosse caratterizzata dalla distanza tra il sacerdote e il popolo, esemplificata dalla “disposizione materiale dello spazio” e soprattutto dall’“impiego del latino”.

“La partecipazione attiva è un dono del Concilio alla Chiesa”, ha affermato l’Arcivescovo di Malines-Bruxelles, ma “come ogni raggio di sole causa anche ombra, può nascere una sorta di appropriazione della liturgia da parte della comunità locale o del celebrante”.

“E’ positivo slegare la liturgia dal suo carattere intoccabile, ma non per questo diventa proprietà di una comunità locale o di un sacerdote individuale”, ha avvertito nel corso del Congresso.

“Il soggetto della liturgia è Cristo e non la comunità celebrante. Ciò che serve, quindi, non è mettere in pratica alcune disposizioni, ma un processo educativo in cui i credenti imparino a entrare in un mistero che li supera: un’azione di Dio a loro favore prima che un’azione dell’uomo a favore di Dio”.

Portando l’esempio della celebrazione dell’Eucaristia, il porporato ha sottolineato che “non siamo creatori, ma custodi e servitori dei misteri che ci vengono dati e che derivano da un’altra realtà e sono precedenti a noi”.

Il Cardinale ha confessato che “coltivare l’autentico atteggiamento liturgico risulta particolarmente difficile in un tempo di trasformazioni e ‘decostruzioni’ di ispirazione tecnica” come quello attuale.

Constatando che la dimensione contemplativa nelle persone non è più evidente nella nostra epoca, ha quindi suggerito di “impararla”.

“E’ merito del Concilio aver reso la liturgia più comprensibile, in particolare grazie all’uso della lingua volgare”, ha affermato.

Comprendere ciò che si fa è un’“esigenza fondamentale della celebrazione”, perché “l’incomprensibilità della liturgia, prima del Concilio, non era solo una conseguenza della lingua usata nelle celebrazioni”.

Non tutto, ha ricordato il Cardinal Danneels, deve essere tradotto e compreso: “Ci sono termini che appartengono alla ‘lingua materna’ del cristiano e non possono essere tradotti, come ‘resurrezione’, ‘eucaristia’, ‘misericordia’, ‘peccato’”.

“Si dice che certe immagini bibliche non sono più comprensibili nella nostra cultura: non ci sono più pastori né greggi per l’uomo delle città di oggi. Tali asserzioni devono essere poste seriamente in discussione: ogni poesia utilizza parole e immagini che non esistono nella vita quotidiana. Non è necessario aver visto un angelo per sapere di cosa si tratti”, ha aggiunto.

Per questo, “l’eliminazione o l’abbreviazione non sono una buona risposta. Un processo educativo lento e paziente di formazione biblica e liturgica è molto più adeguato”

Publié dans:dalla Chiesa, liturgia |on 15 septembre, 2008 |Pas de commentaires »

Il cardinale vicario Agostino Vallini: Un itinerario di fede e di speranza

dal sito:

http://www.cardinalrating.com/cardinal_207__article_7391.htm

Un itinerario di fede e di speranza

Sept 02, 2008
Il cardinale vicario Agostino Vallini racconta il suo primo pellegrinaggio a Lourdes a capo della diocesi di Roma.

(Radio Vaticana) Un itinerario di fede e di speranza capace di portare la pace nei cuori: è questa una delle realtà presenti nel pellegrinaggio che sta compiendo la diocesi di Roma a Lourdes e che si concluderà il prossimo 30 agosto. Il cammino spirituale diventa quest’anno, in occasione del 150.mo anniversario delle apparizioni della Madonna, un momento importante di riflessione ma anche di preghiera e raccoglimento. Elena Mandarano ha raccolto il commento del cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, che ieri ha aperto ufficialmente il pellegrinaggio con la Santa Messa.

R. – Il messaggio della Madonna a realizzare la propria vita secondo il Vangelo è un messaggio attuale ancora oggi. La gente è affamata di questo messaggio di Lourdes, tant’è vero che viene con tanto desiderio di vita nuova.

D. – Il tema pastorale di quest’anno è “Venite alla fonte e lavatevi”. Qual è il significato?

R. – Fa riferimento al messaggio della Madonna che invitava Bernardette a scavare lì, vicino alla Grotta. E lei bevve a quell’acqua, un’acqua non soltanto fisica ma anche un’acqua spirituale che vuol dire purificazione, adesione al Signore con cuore limpido e sincero.

D. – Maria Madre, quindi, che indica le orme di Cristo…

R. – Ci siamo messi alla scuola di Maria. Adesso, pian piano, cercheremo di percorrere questo cammino di purificazione, abbeverarci a quest’acqua: non solo all’acqua della fonte, non solo alle piscine ma – direi – anche all’acqua del Sacramento della penitenza, all’acqua della carità. Io spero che il cammino spirituale possa portare veramente grande frutto. E poi, c’è anche questa grande attesa per la visita del Santo Padre: io ho portato ai pellegrini la benedizione del Papa, che ho incontrato qualche giorno fa, e loro pregano e vedo che a Lourdes il riferimento al prossimo viaggio apostolico del Santo Padre è veramente atteso.

D. – Eminenza, questo è il suo primo pellegrinaggio come vicario di Roma. Che significato riveste per lei?

R. – Devo dire che io sono stato a Lourdes tanti anni. La prima volta 50 anni fa, e oggi ritorno con una nuova responsabilità, con il desiderio di un bagno di fiducia, di conforto, di sostegno. Ho bisogno io stesso di purificarmi a quest’acqua, di diventare migliore nel cuore, nello spirito, di essere pronto al servizio in collaborazione umile, ma anche generosa con il Santo Padre. Quindi, vengo anch’io a scuola di Maria e spero di potere apprendere quanto più è possibile la scienza dell’amore, della fede e della speranza. Così, servendo il regno di Dio.

Publié dans:dalla Chiesa |on 2 septembre, 2008 |Pas de commentaires »

Torniamo ai classici, sarà un progresso

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-15262?l=italian

Torniamo ai classici, sarà un progresso

Parla il Direttore delle Edizioni Studio Domenicano

di Antonio Gaspari RIMINI, venerdì, 29 agosto 2008 (ZENIT.org).- Cè una crisi di lettori, sono sempre meno i soldi destinati ai libri, viviamo in tempi di decadenza, eppure secondo padre Giorgio Carbone O.P., Direttore delle Edizioni Studio Domenicano (EDS), è proprio in periodi di crisi che rinasce il desiderio e la necessità della lettura dei classici.

Intervistato da ZENIT, al Meeting di Rimini, padre Carbone ha spiegato che in un momento in cui i lettori sembrano una categoria in via di estinzione, la ESD intende promuovere la lettura attraverso una serie di piccoli testi in formato tascabile che non superino le 200 pagine e che possano così incuriosire qualsiasi persona.

I temi scelti riguardano l’attualità, come nel caso delle questioni di Bioetica, oppure sono tratti dalla filosofia, dallo studio e dalla storia. Laltro obiettivo è quello di divulgare la letteratura dei padri della Chiesa. “In un periodo di crisi credo che sia urgente tornare ai classici

ha sottolineato padre Carbone . I classici non deludono mai. Infatti ledizione italiana della prestigiosissima collana Sources Chrétiennes e laltra collana i Talenti che si propone di introdurre in Italia i classici di varie culture finora non hanno deluso”.Il Direttore della ESD ha aggiunto che “in momenti di crisi bisogna andare allessenziale, e proporre ai lettori cose che possono dare senso come gli autori classici, pensiamo a Tertulliano, San Giovanni Cristostomo, SantAgostino, San Tommaso DAquino”.

Secondo il padre domenicano, “le nuove generazioni conoscono poco questi autori, in alcuni casi solo qualche citazione, ma non ne conoscono le opere, il nostro obiettivo è quello di rendere fruibili queste opere classiche ad un costo accessibile”.

Padre Carbone ha raccontato che un titolo che è andato molto bene è quello di Tertulliano, “Difesa del Cristianesimo”, il cui titolo originale in latino è “Apologeticum”. Si tratta della prima apologia del cristianesimo scritta in lingua latina. Prima di Tertulliano esistevano altre opere apologetiche ma erano in greco.

Tertulliano, vissuto nel terzo secolo dopo Cristo, è il primo teologo che ha scritto in lingua latina, e ha spiegato il confronto tra le religioni pagane e le verità cristiane. Rimane un autore di grande attualità perché fa vedere i fondamenti ragionevoli e razionali della fede cristiana.

Il Direttore delle ESD ha segnalato a ZENIT un altro titolo molto valido per la sua qualità, che riscosse un grande successo nella sua epoca, ed è decisivo perché costituisce il primo esempio di una formula editoriale conosciuta come confessioni.

Si tratta di una lettera che Cipriano di Cartagine scrive al suo amico Demetriano. In questa lettera, che non è poi molto lunga, 80 pagine scarse, Cipriano rivela se stesso e racconta la sua conversione a Cristo.

Con questa lettera Cipriano di Cartagine rivela un genere letterario che SantAgostino porterà in auge.

Padre Carbone ci tiene a sottolineare che “è proprio nei tempi di crisi come furono quelli del Tardo Impero o Alto Medioevo che si ritorna ai classici”.

In merito al domenicano San Tommaso DAquino, il Direttore delle ESD ha ricordato che “è stato per la sua epoca colui che ha conosciuto maggiormente i padri della Chiesa di lingua greca”.

“Se si prendono le opere di san Tommaso, egli continuamente cita i padri di lingua greca, ed è un fenomeno singolare per i suoi tempi”, ha notato.

Circa i titoli per i giovani, padre Carbone ha suggerito “La geografia dellanima” che si troverà in libreria nel mese di settembre: un libro che il padre domenicano ha definito “affascinante perché fa comprendere la ricchezza delle facoltà della nostra anima”.

In questo volume si spiega la ricchezza e le capacità della nostra intelligenza di contemplare il bello e di ricercare il vero. Le capacità della nostra volontà di amare, di desiderare, di gioire.

Il religioso ha sostenuto che La geografia dellanima “descrive e fa apprezzare con un linguaggio molto semplice e affascinante la nostra persona. Una sorta di abc dellumanesimo cristiano”.

Lautore è padre Giuseppe Barzaghi, O.P., che insegna Teologia alla Facoltà di Teologia di Bologna, e che ogni domenica, per la messa delle 22:00, attira più di 800 giovani nella basilica di San Domenico del capoluogo emiliano.“E

un fenomeno lodato anche dal Cardinale Giacomo Biffi”, ha rilevato padre Carbone.

“Una celebrazione che ebbe inizio come una Messa di ripiego, in realtà per molti studenti universitari è diventata di riferimento proprio per la bellezza della celebrazione”, ha concluso il padre domenicano.

Publié dans:dalla Chiesa, ZENITH |on 31 août, 2008 |Pas de commentaires »

Mons. Fouad: « Voglio seminare la gioia di vivere »

dal sito della Custodia di Terra Santa, l’articolo è molto più lungo, segue sul sito:

http://www.custodia.org/spip.php?article3233&lang=it

Mons. Fouad: « Voglio seminare la gioia di vivere »

intervista:

CTS Notizie

Il 22 giugno Mons. Fouad Twal sarà insediato come nuovo Patriarca latino di Gerusalemme. Formato a Roma nella diplomazia vaticana, poi chiamato a tornare alla vita pastorale come arcivescovo di Tunisi, il futuro Patriarca di Gerusalemme vuole mettere laccento sui fondamenti spirituali della vita cristiana, e specialmente la gioia, quella di vivere in Cristo. Per Mons. Twal, in effetti, è innanzitutto la qualità della vita evangelica che permetterà alla Chiesa di Terra Santa di non essere schiacciata dalla croce che porta, e di andare avanti.

Messo on line il domenica 15 giugno 2008 a 00h00
Twal?

Sono il numero cinque di una famiglia di 9 figli, della famiglia Twal di Giordania. Ho fatto i miei studi al Seminario di Beit Jala, poi ho lavorato cinque anni nel Patriarcato come vicario, prima di essere inviato a Roma per compiere gli studi in Diritto canonico e Diritto internazionale alla Pontificia Universit

à Lateranense.

La Segreteria di Stato mi ha trovato e ha pensato che avrei potuto prestare questo servizio. Quindi ha domandato al Patriarca Beltritti se voleva rinunciare a quel giovane prete che ero allora, per inviarlo alla Pontificia Accademia Ecclesiastica [1

]. Ci ho passato due anni di specializzazione. Ero lunico arabo dellAccademia e tutti mi guardavano in una maniera po speciale. Un giorno mi hanno domandato: Ma come siete arrivato qua?. Scherzando ho risposto: Forse pensavano che possedessi un pozzo di petrolio?…”

Dove lha condotto questa carriera diplomatica al servizio della Santa Sede?

Ho cominciato come Incaricato dAffari in America centrale, in Honduras. Non conoscevo una minima parola di spagnolo. Ma era giustamente una delle ragioni per cui mi avevano mandato lì: imparare la lingua. Ci ho passato sei anni. Fu una bella esperienza, anche se a volte difficile. Ero in servizio alla Nunziatura dellHonduras. Nello stesso tempo Mons. Pietro Sambi era Incaricato dAffari in Nicaragua [2

]. In Honduras, parallelamente alle mie funzioni, ho prestato servizio nella parrocchia più povera del paese, ma veramente bella. Mi ricordo della mia prima Messa in spagnolo. Fu un poco catastrofica, a causa della lingua. Alla fine unanziana signora viene a parlarmi e mi domanda: “¿Eres turco? Sei turco?. No, no, sono arabo. In effetti in America centrale chiamavano los Turcos tutti gli arabi originari del Medio Oriente, perché anticamente arrivavano con documenti ottomani. Ho allo stesso tempo accompagnato la comunità araba di origine palestinese, celebrando per loro battesimi, matrimoni e funerali. Nonostante il servizio diplomatico non ho mai tagliato i ponti con la vita pastorale. Amo il contatto con la gente.E dopo l

Honduras?

Ci fu il ritorno in Vaticano, alla Segreteria di Stato, dal 1982 al 1985, dove mi fu affidata la cura di 19 paesi africani francofoni. La Segreteria di Stato fu per me una bella esperienza delluniversalità della Chiesa. I problemi del mondo intero arrivano lì. E la Santa Sede cerca di offrire delle risposte e delle soluzioni. Durante questi tre anni ho potuto sperimentare la saggezza della Santa Sede e la sua pazienza. Niente è urgente. Niente. I documenti possono anche arrivare con la stampigliatura Urgente, ma sono sempre studiati con calma, in profondità

.Ho conosciuto molte persone di tutto il mondo, dell

Africa naturalmente, ma anche dei paesi arabi. Ho anche incontrato dei presidenti stranieri. Questo mi ha veramente aperto alla dimensione mondiale e universale della Chiesa.

Di là sono stato nominato al Cairo. Il Vaticano vedeva il Cairo come una capitale suscettibile di riunire il mondo arabo, il continente africano e lEuropa. Ma siamo nel 1985, e a causa della visita di Sadat in Israele (nel 1977), quasi tutti i paesi arabi boicottano ancora, più o meno, l

Egitto. Questa situazione politica non ha permesso alla Nunziatura del Cairo di giocare il ruolo che la Santa Sede sperava di farle compiere nei paesi arabi.

Ed eccola di ritorno nel mondo arabo

No, perché nel 1988 sono stato nominato in Germania. Ho scoperto in questo paese una Chiesa forte, veramente forte, ricca e fiera di se stessa, e nello stesso tempo una Chiesa estremamente generosa. Ho potuto esercitare il mio tedesco partecipando alla vita pastorale di una piccola parrocchia vicina alla Nunziatura.Dopo due anni e mezzo, nel 1990, nuova partenza per lAmerica Latina, con destinazione, questa volta, il Perù. A Lima cerano migliaia e migliaia di arabi palestinesi di Beit Jala, di Beit Sahour, di Betlemme. Ero molto contento di essere il loro parroco. Mi è piaciuto tanto svolgere il servizio pastorale con loro, essere al loro fianco sia nella chiesa che nel club palestinese, dove si svolgeva ogni tipo di attività sportiva, culturale ecc. Ho conservato dei legami con un gran numero di loro, e quando vengono in Palestina a visitare le loro famiglie, passano a salutarmi. Il vescovo di Lima mi diceva: Ma come faremo con questa comunità, dopo la sua partenza?. In effetti, ero già Consigliere di Nunziatura.

Dunque era destinato a un posto di Nunzio?

Sì, doveva essere la tappa successiva. Ma fu allora, nel 1982, che arrivò da Roma la notizia: il Santo Padre mi ha nominato vescovo di Tunisi. Mi ha nominato, ma nello stesso tempo domanda il mio parere. Sul momento, non ho capito. Ero sul punto di essere nominato Nunzio. Il mio nome circolava per la Nunziatura del Kuwait, che doveva essere separata dalla Nunziatura dellIraq, dopo la Guerra del Golfo. Non ho capito perché, dopo tutti quegli anni passati nel servizio diplomatico, mi si facesse tornare al servizio pastorale, ma mi sono detto che bisognava accettare di non comprendere, e ho detto di sì. Più tardi ho capito il disegno della Santa Sede: pastorale e politico. Pastorale: cera un posto vacante a Tunisi da due o tre anni, e una diocesi deve avere un vescovo; politico, perché la Santa Sede voleva un vescovo arabo nella sede dove serano succeduti tanti vescovi francesi [3

]. Inoltre la Prelatura di Tunisi faceva sempre parte della Chiesa francese doltremare, mentre il Paese era diventato indipendente nel 1956. La Santa Sede voleva dunque installarvi un vescovo arabo, che parlasse la stessa lingua e avesse la stessa tradizione culturale. Mi avevano parlato di una missione di tre o quattro anni. E ci sono restato tredici anni. Avevo fatto venire otto comunità religiose, che hanno portato sangue nuovo. Abbiamo lavorato molto, restaurando la cattedrale, tutte le chiese, case e conventi. Prima della mia partenza il governo ha restituito, per il servizio dei fedeli, la chiesa di Djerba, che era stata presa durante la guerra dindipendenza.

 

Card. F.X.N. Van Thuan: La gioia del dono dell’Eucaristia

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/van_thuan_speranza2.htm

Card. F.X.N. Van ThuanLa gioia del dono dell’Eucaristia

Abbiamo spesso pensato che bisogna santificarci per poter celebrare degnamente i santi misteri: essere senza peccato, santificarsi. Ogni mattina riconosciamo che siamo peccatori per celebrare degnamente.

Pensiamo meno, invece, o non lo pensiamo affatto che la celebrazione dell’Eucaristia contribuisce a fare del prete un uomo spirituale, un santo.1. La mia esperienza personale

La celebrazione fa del prete un santo. Per questo voglio condividere con voi la mia esperienza dell’Eucaristia, l’esperienza di altre persone che ho potuto avvicinare nella mia vita e che mi hanno marcato con la loro fede, con la loro devozione all’Eucaristia.

Quando ero in seminario, la mia formazione è avvenuta sulla vita del Curato d’Ars, san Giovanni Vianney, e di Padre Pio, che mi hanno seguito nella mia vita di prete. Quando celebravo da solo in prigione, Giovanni e Pio erano sempre davanti a me e con me celebravano. Grazie alloro sacrificio e alloro amore per l’Eucaristia ho potuto sopravvivere in prigione.

Ricordo che Padre Pio celebrava la Messa non in venti, trenta minuti, ma in un’ora, un’ora e mezzo. Nessuno diceva che la Messa era lunga perché tutti erano affascinati dal modo di celebrare e anche i vescovi andavano ad assistervi. Vi sono state, però, persone cattive che si sono rivolte al Santo Uffizio perché vietasse questo modo di celebrare la Messa, e gli fu ordinato di non fare durare la Messa più di quarantacinque minuti. Padre Pio ubbidì ma, successivamente, i fedeli chiesero alla Santa Sede di concedere al Frate di celebrare la Messa come prima e Pio XII diede l’autorizzazione.

Qualcuno domandò a san Giovanni Vianney perché quando celebrava la Messa talvolta piangeva e talvolta sorrideva, ed egli rispose che sorrideva quando pensava al dono della presenza di Gesù nell’Eucaristia e piangeva quando pensava ai peccatori che non possono ricevere tale dono.

Quando fui arrestato, non mi lasciarono niente in mano, ma mi permisero di scrivere a casa per richiedere vestiti o medicine. lo chiesi che mi inviassero del vino come medicina per lo stomaco. L’indomani, il direttore della prigione mi chiamò per domandarmi se soffrissi di mal di stomaco, se avessi bisogno di medicina e, alle mie risposte affermative, mi diede un piccolo flacone di vino con l’etichetta: « medicina contro il male di stomaco ». Quello fu uno dei giorni più belli della mia vita! Così, ho potuto celebrare ogni giorno la Messa con tre gocce di vino e una goccia di acqua nel palmo della mano e con un po’ di ostia che mi davano contro l’umidità e che conservavo per la celebrazione. Poi, quando ero con altre persone di fede cattolica, venivo rifornito di vino e di ostie dai familiari che andavano a trovarli. Sia pure in modi diversi, ho potuto celebrare quasi sempre la Messa, da solo o con altri. Lo facevo dopo le 21,30, perché a quell’ora non c’era più luce e potevo organizzarmi affinché sei cattolici fossero insieme. Tutto il gruppo dormiva su un letto comune, testa contro testa, piedi fuori, venticinque per parte. Ognuno aveva a disposizione cinquanta centimetri, eravamo come sardine!

Quando celebravo e davo la comunione, sciacquavamo la carta dei pacchetti di sigarette dei prigionieri e, con il riso, la incollavamo per fame un sacchetto dove mettervi il Santissimo.
Ogni venerdì, era prevista una sessione di indottrinamento sul marxismo e tutti i prigionieri dovevano parteciparvi. Seguiva, poi, una breve pausa durante la quale i cinque cattolici portavano il Santissimo ad altri gruppi. Anch’io lo portavo in un sacchettino nella mia tasca e la presenza di Gesù mi aiutava ad essere coraggioso, generoso, gentile e a testimoniare la fede e l’amore agli altri.
La presenza di Gesù operava meraviglie perché anche tra i cattolici alcuni erano meno fervidi, meno praticanti… Vi erano ministri, colonnelli, generali e, in prigione, ciascuno ogni sera faceva un’ora santa, un’ora di adorazione e di preghiera a Gesù nell’Eucaristia. Così, nella solitudine, nella fame, una fame terribile, era possibile sopravvivere. In tale modo siamo stati testimoni nella prigione. Il seme era andato sotto terra. Come germoglierebbe? Non lo sapevamo. Ma piano, piano, uno dopo l’altro, i buddisti, quelli di altre religioni che sono talvolta fondamentalisti, e molto ostili ai cattolici, esprimevano il desiderio di diventare cattolici. Allora, insieme, nei momenti liberi, si faceva catechismo e ho battezzato e sono diventato padrino.

La presenza dell’Eucaristia ha cambiato la prigione, la prigione che è luogo di vendetta, di tristezza, di odio era diventata luogo di amicizia, di riconciliazione e scuola di catechismo. Il Governo, senza saperlo, aveva preparato una scuola di catechismo!

La presenza dell’Eucaristia è fortissima, la presenza di Gesù è irresistibile. L’ho visto io stesso e tutti i miei compagni di prigione lo hanno constatato.2. La celebrazione eucaristica ci santifica

Non essere santo per celebrare la Messa, ma celebrare la Messa per diventare santo.

a. in persona Christi

Celebrando la santa Messa diventiamo santi perché lo facciamo in persona Christi e, in persona Christi, facciamo le meditazioni, la preghiera, il ringraziamento, la lode, l’oblazione e l’intercessione.
Siamo intercessori e queste funzioni, in persona Christi, ci aiutano ad essere santi. Queste funzioni ci
rinnovano la memoria della nostra ordinazione. San Paolo ci ha detto di pensare alla nostra ordinazione, a quando abbiamo avuto l’imposizione delle mani. In persona Christi non vi è solo la memoria della nostra ordinazione ma l’identificazione con Cristo e, quando pronunciamo le parole della consacrazione, ci sentiamo più che mai figli di Maria.
Ogni mattina siamo rinnovati perché cominciamo un’alleanza nuova, sempre più nuova ed eterna, che non finisce e questa identificazione ci aiuta ad essere santi. Celebriamo e siamo operanti con Gesù. Ci santifichiamo anche perché l’Eucaristia è sorgente della nuova evangelizzazione.

b. sorgente della nuova evangelizzazione

L’Eucaristia ci aiuta a fare la nuova evangelizzazione dappertutto.

In Vietnam, alla frontiera con il Laos e la Cina, c’è un popolo dove parlano poco il vietnamita ma lo capiscono.
Un giorno, un prete che abitava molto lontano da loro vide venire un gruppo di queste persone a cui chiese dove andassero. Gli risposero che si recavano a domandare il battesimo. Il prete chiese se avevano
imparato il catechismo e come, poiché non esisteva un catechismo nella loro lingua. Risposero che avevano ascoltato una radio di Manila: « Sorgente della vita ». Il sacerdote sapeva che si trattava di una radio protestante, ma la radio protestante aveva fatto dei cattolici! Il parroco li invitò a restare alcuni giorni con lui per pregare e prepararsi al battesimo, ma quelli risposero di non poter rimanere più di due giorni poiché, avendo impiegato sei giorni di cammino a piedi sulle montagne per arrivare fin lì e dovendone fare altrettanti per ritornare, erano provvisti di riso solo per quel breve periodo di tempo.
In due giorni, quel gruppo di persone fu preparato al battesimo e alla comunione e poté assistere alla Messa per la prima volta. Poi fece ritorno, felice, al villaggio di provenienza.
I comunisti li perseguitavano e non davano loro il permesso di costruire una chiesa. Si misero allora d’accordo, in segreto, con altri abitanti del villaggio per dividersi il lavoro e costruire chi una porta, chi una finestra, il pavimento, il tetto. E, in una notte di luna, innalzarono la chiesetta di legno. L’indomani, la polizia cercò gli autori della costruzione e ordinò che venisse distrutta, ma tutto il villaggio di quattrocento persone fu solidale assumendosi la responsabilità della costruzione che non fu abbattuta.

I nuovi convertiti al cattolicesimo hanno sempre il vivo desiderio di portare anche ad altri la parola di Dio e per fare ciò devono ricorrere a degli stratagemmi. Infatti, sotto il regime comunista vige l’obbligo del domicilio e si deve fare la denuncia se qualcuno esce dal villaggio o vi entra anche per un giorno. Per ovviare a tali divieti, si organizzano allora delle finte risse e si indicano quali responsabili dei disordini alcune famiglie di cui si richiede l’allontanamento dal villaggio. Tali famiglie saranno, poi, quelle che porteranno il Vangelo e diventeranno i catechisti degli altri villaggi. È come al tempo degli Apostoli!

Quando uscii dalla prigione, molti vennero a trovarmi. Avevo acquistato per loro un apparecchio radio perché potessero seguire la Messa dall’emittente Veritas quando lavoravano nei campi, con i bufali. Alle nove e mezza fermavano il lavoro e si radunavano per assistere alla Messa, ascoltare la predica e prendere forze per la nuova evangelizzazione. Quella gente soffre tanto per l’evangelizzazione, ma la presenza di Gesù li aiuta.

c. L’eucaristia è forza di trasformazione.

Durante la celebrazione, bisogna immedesimarsi nei testi che si leggono, nei gesti che si compiono.
Tutti voi avete l’occasione di vedere come celebra il Papa che è talmente assorbito dalla preghiera, dalla meditazione da dimenticare tutto il resto. Spesso devono fargli un cenno di richiamo dopo la comunione perché è trasformato dalla presenza di Gesù.

Un giorno, sono stato invitato dal cardinale polacco André Deskur, amico personale del Papa. Quando eravamo a tavola mi ha detto di andare a vedere la sua piccola cappella. Sono andato ma non vi ho notato niente di particolare. Allora il cardinale Deskur mi ha fatto presente che, mentre tutto l’appartamento ha il pavimento di marmo, la cappella lo ha di legno perché lui lo ha fatto cambiare appositamente, nel timore che il Papa potesse prendersi una polmonite.

Infatti, fin da quando era monsignore, vescovo e cardinale, il Santo Padre spesso pregava, a lungo, prostrato a terra, con le braccia a croce. Il Papa pregava sette ore al giorno. Il suo segretario mi ha detto che il Papa andava sette volte nella cappella per adorare il Santissimo. È come se il papa vedesse Gesù. Sono le persone come Giovanni Paolo II quelle in cui la gente può incontrare Gesù.

Ho potuto costatare come Madre Teresa pregava nella Chiesa, davanti al Santissimo. È indimenticabile. Nelle sacrestie delle case di Madre Teresa c’è iscritto, per aiutare i sacerdoti: « Celebra ogni Messa come la tua prima Messa, come la tua unica Messa, come la tua ultima Messa ». Madre Teresa chiese di iscrivere questo sempre affinché ogni sacerdote che va per celebrare nelle loro case, ricordi questo. È una grande grazia di vedere come Madre Teresa pregava davanti al Santissimo!

La formazione che abbiamo ricevuto nel seminario ci aiuta molto. lo sono così scosso profondamente alle radici della mia anima, con il Sacris Solemnis, con Pange Lingua, con Lauda Sion. Vediamo tutta la teologia in queste parole: la fede nel Santissimo, nell’ Eucaristia…
Quando io canto il Pange Lingua

« in supremae nocte Coene
recumbens cum fratribus
observata lege plene
cibis in legalibus,
cibum turbae duodenae
se dat suis in manibus ».

Allora si sente come è Gesù presente, e « suis manibus » ci da il Santissimo!

Quando io canto, mi vengono le lacrime perché in questo momento vediamo la grazia del Signore.

« Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inaequali,
vitae vel interitus.
Mors est malis vita bonis:
Vide paris sumptionis
quam sit dispar exitus ».

Allora tutto il Lauda Sion è un trattato di teologia viva, narrativa.

E allora, cosa dovremmo fare nella nostra vita? « Eucaristizzare », « Eucaristizzare ». Rendere tutto Eucaristia affinché possiamo avere: l’uomo Eucaristico, la Chiesa Eucaristica, la terra Eucaristica, e così, tutta la vita è Eucaristica.
Il mondo Eucaristico della Chiesa, che crede, che spera, che guida, che è destinata alla risurrezione, che proclama la Trinità, che rinnova sempre il mondo, la società. Ed è questo il mio augurio e la mia preghiera per voi tutti.

Sia lodato Gesù Cristo!

Publié dans:dalla Chiesa, ZENITH |on 10 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Il Cardinale Kasper e la missione verso gli ebrei

09/04/2008, dal sito:

 

 http://www.zenit.org/article-14018?l=italian

Il Cardinale Kasper e la missione verso gli ebrei 

Risponde alle critiche sulla nuova preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei

 CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 9 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo del Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, in risposta alle reazioni da parte ebraica sulla nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei per la forma straordinaria del Rito Romano (Messale del 1962). 

L’intervento del porporato è apparso su L’Osservatore Romano (10 aprile 2008). 

di Walter Kasper*

 

La preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei ha una lunga storia. La nuova formulazione della preghiera per la forma straordinaria del Rito Romano (Messale del 1962) realizzata da Papa Benedetto XVI è stata opportuna perché alcune formulazioni sono state considerate offensive da parte ebraica e urtanti anche da parte di vari cattolici. La nuova formulazione ha portato importanti miglioramenti del testo del 1962. Ha, però, suscitato nuove reazioni irritate, sollevando questioni di principio sia presso gli ebrei che presso alcuni cristiani (1). 

Le reazioni avutesi da parte ebraica sono in gran parte motivate non in modo razionale, ma emozionale. Non si deve però liquidarle precipitosamente come causate da ipersensibilità. Pure presso amici ebrei che da decenni sono coinvolti in un intenso dialogo con cristiani, la memoria collettiva di catechesi e conversioni forzate è ancora sempre viva. Il ricordo della Shoah è per l’ebraismo odierno una traumatica caratteristica di identità che crea comunione. Molti ebrei considerano la missione verso gli ebrei una minaccia alla loro esistenza; talvolta si parla addirittura di una Shoah con altri mezzi. Bisogna dunque avere ancora una grande sensibilità nel rapporto ebraico-cristiano. 

Nel frattempo le spiegazioni date sulla riformulata preghiera del Venerdì Santo hanno potuto eliminare i malintesi più grossolani. Già il puro fatto che la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 nella forma ordinaria del Rito Romano, quindi, adoperata di gran lunga nel maggior numero dei casi resti pienamente in vigore, dimostra che la riformulata preghiera del Venerdì Santo, adoperata soltanto da una parte estremamente piccola di comunità, non può significare un passo indietro rispetto alla Dichiarazione Nostra ætate del Concilio Vaticano II. Ciò vale ancora di più per il fatto che la sostanza della Dichiarazione Nostra ætate è compresa anche nella Costituzione, documento di più alto livello formale, sulla Chiesa Lumen gentium (n. 16); perciò, per principio, non può essere messa in questione. Inoltre, a partire dal Concilio c’è stato un gran numero di prese di posizione dei Pontefici, anche del Papa attuale, che si riferiscono alla Nostra ætate e che confermano l’importanza di questa Dichiarazione. 

Diversamente dal testo del 1970, la nuova formulazione del testo del 1962 parla di Gesù come il Cristo e la Salvezza di tutti gli uomini, quindi anche degli ebrei. Molti hanno inteso questa affermazione come nuova e non amichevole nei confronti degli ebrei. Ma essa è fondata sull’insieme del Nuovo Testamento (cfr 1 Timoteo, 2, 4) e indica la differenza fondamentale, nota ovunque, che permane sia per i cristiani, sia per gli ebrei. Anche se non se ne parla esplicitamente nella Nostra ætate, né nella preghiera del 1970, non si può estrapolare la Nostra ætate dal contesto di tutti gli altri documenti conciliari e nemmeno la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 dall’insieme della liturgia del Venerdì Santo che ha come oggetto appunto quella convinzione della fede cristiana. La nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1962, quindi, non dice nulla di veramente nuovo, ma esprime soltanto ciò che già finora era presupposto come ovvio, ma evidentemente, in tanti dialoghi, non era stato tematizzato a sufficienza (2). 

Nel passato la fede in Cristo, che differenzia i cristiani dagli ebrei, si è trasformata spesso in un «linguaggio del disprezzo» (Jules Isaac) con tutte le gravi conseguenze che ne derivavano. Se oggi ci impegniamo per un rispetto reciproco, esso può fondarsi solo nel fatto che riconosciamo reciprocamente la nostra diversità. Perciò non aspettiamo dagli ebrei che concordino sul contenuto cristologico della preghiera del Venerdì Santo, ma che rispettino che noi preghiamo da cristiani secondo la nostra fede, come naturalmente anche noi facciamo nei confronti del loro modo di pregare. In questa prospettiva ambedue le parti hanno ancora da imparare. 

La vera questione controversa è: devono i cristiani pregare per la conversione degli ebrei? Ci può essere una missione verso gli ebrei? Nella preghiera riformulata non si trova la parola conversione. Ma è indirettamente inclusa nell’invocazione di illuminare gli ebrei affinché riconoscano Gesù Cristo. In più, c’è il fatto che il Messale del 1962 contiene titoli per le singole preghiere. Il titolo della preghiera per gli ebrei non è stato modificato; esso suona come prima: Pro conversione Judæorum, «Per la conversione degli ebrei». Molti ebrei hanno letto la nuova formulazione nell’ottica di questo titolo, e ciò ha suscitato la reazione già descritta. 

In risposta a ciò, si può far notare che la Chiesa Cattolica, a differenza di alcuni cerchi evangelicali, non conosce una missione verso gli ebrei organizzata e istituzionalizzata. Con tale richiamo, però, il problema della missione verso gli ebrei di fatto non è ancora chiarito teologicamente. Questo è proprio il merito della nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo, che, nella sua seconda parte, presenta una prima indicazione per una sostanziale risposta teologica. 

Si parte ancora una volta dal capitolo 11 della Lettera ai Romani, che è fondamentale anche per la Nostra ætate (3). La salvezza degli ebrei è per Paolo un profondo mistero dell’elezione mediante la grazia divina (9, 14-29). I doni di Dio sono senza pentimento, e le promesse di Dio fatte al suo popolo, nonostante la disobbedienza di questo, non sono state revocate da Dio (9, 6; 11, 1.29). L’indurimento d’Israele torna a salvezza dei pagani. I rami selvatici dei pagani sono stati innestati sul ceppo santo d’Israele (11, 16s). Dio ha però la potenza di innestare di nuovo i rami tagliati (11, 23). Quando la pienezza dei pagani sarà entrata nella salvezza, sarà salvato tutto l’Israele (11, 25s). Israele rimane quindi portatore della promessa e della benedizione. 

Paolo parla, nel linguaggio dell’apocalittica, di un mistero (11, 25). Con ciò si intende esprimere qualcosa di più del fatto che gli ebrei sono spesso per gli altri popoli un enigma e che la loro esistenza è per altri ancora una testimonianza di Dio. Con il termine «mistero» Paolo intende l’eterna volontà salvifica di Dio, la quale si manifesta nella storia attraverso la predicazione dell’Apostolo. Si riferisce concretamente a Isaia, 59, 20 e Geremia, 31, 33s. Con ciò fa riferimento al raduno escatologico dei popoli in Sion, promesso dai profeti e da Gesù, e alla pace universale (shalom) che poi sorgerà (4). Paolo vede tutta la sua opera missionaria tra i pagani in tale prospettiva escatologica. La sua missione dovrebbe preparare il raduno dei popoli, il quale, poi, quando vi entrerà il numero completo dei pagani, tornerà a salvezza per Israele e farà sorgere la pace escatologica per il mondo. 

Si può dunque dire: non a motivo della missione verso gli ebrei, ma a seguito della missione verso i pagani Dio realizzerà alla fine, quando il numero completo dei pagani sarà entrato nella salvezza, la salvezza d’Israele. Solo Colui che ha indurito la maggior parte d’Israele, può anche scioglierne l’indurimento. Lo farà, quando «il liberatore» uscirà da Sion (11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12) (5). 

La riformulata preghiera del Venerdì Santo esprime questa speranza in una preghiera di intercessione rivolta a Dio (6). Con questa preghiera la Chiesa ripete, in fondo, l’invocazione del Padre nostro «Venga il tuo regno» (Matteo, 6, 10; Luca, 11, 2) e l’acclamazione liturgica protocristiana «Maranà tha», «Vieni, Signore Gesù, vieni presto» (1 Corinzi, 16, 22; Apocalisse, 22, 20; Didaché, 10, 6). Tali preghiere per la venuta del Regno di Dio e per la realizzazione del mistero della salvezza, secondo la loro natura, non sono un appello rivolto alla Chiesa a compiere un’azione missionaria verso gli ebrei. Anzi, esse rispettano tutta la profondità abissale del Deus absconditus, della Sua elezione per grazia, dell’indurimento, come della Sua misericordia infinita. Con la sua preghiera la Chiesa, dunque, non assume la regia della realizzazione del mistero imperscrutabile. Non lo può affatto. Piuttosto mette del tutto il quando e il come di tale realizzazione nelle mani di Dio. Solo Dio può far sorgere il Suo Regno, nel quale tutto l’Israele sarà salvato e la pace escatologica toccherà il mondo. 

Per sostenere quest’interpretazione ci si può riferire a un testo di san Bernardo di Clairvaux, che dice che non siamo noi a doverci occupare degli ebrei, ma che Dio stesso se ne occuperà (7). Quanto sia giusta questa interpretazione risulta ancora dalla dossologia che conclude il capitolo 11 della Lettera ai Romani: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (11, 33). Questa dossologia manifesta ancora una volta che si tratta della glorificazione adorante di Dio e della sua elezione imperscrutabile mediante la grazia, e non di un appello a qualsiasi azione, neanche alla missione. 

L’esclusione di una missione mirata e istituzionalizzata verso gli ebrei non significa che i cristiani debbano stare con le mani in mano. Missione mirata e organizzata da un lato e testimonianza cristiana dall’altro lato vanno distinte. Naturalmente, i cristiani devono, dove è opportuno, dare ai fratelli e alle sorelle maggiori nella fede di Abramo (Giovanni Paolo II) testimonianza della propria fede e della ricchezza e bellezza della loro fede in Cristo. Ciò ha fatto anche Paolo. Durante i suoi viaggi missionari Paolo si è recato ogni volta prima nella Sinagoga, e solo quando lì non vi ha trovato la fede, è andato dai pagani (Atti degli Apostoli, 13, 5.14s.42-52; 14, 1-6 e altri; fondamentale Romani, 1, 16). 

Tale testimonianza è richiesta oggi anche a noi. Deve avvenire certo con tatto e rispetto; sarebbe però disonesto se i cristiani nell’incontrare amici ebrei tacessero sulla propria fede o addirittura la negassero. Attendiamo altrettanto dagli ebrei credenti nei nostri confronti. Nei dialoghi che io conosco, quest’atteggiamento è del tutto normale. Un dialogo sincero tra ebrei e cristiani, infatti, è possibile solo, da un lato, sulla base della comunanza nella fede nell’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, e nelle promesse fatte ad Abramo e ai Padri, e, dall’altro, nella consapevolezza e nel rispetto della differenza fondamentale che consiste nella fede in Gesù quale Cristo e Redentore di tutti gli uomini. 

L’incomprensione diffusa della riformulata preghiera del Venerdì Santo è un segnale di quanto grande sia ancora il compito che ci sta davanti nel dialogo ebraico-cristiano. Le reazioni irritate che sono sorte dovrebbero, quindi, essere un’occasione per chiarire e approfondire ancora le basi e gli obiettivi del dialogo ebraico-cristiano. Se si potesse avviare in questo modo un approfondimento del dialogo, l’agitazione sorta porterebbe alla fine davvero a un risultato positivo. Si deve certo essere sempre consapevoli che il dialogo tra ebrei e cristiani resterà, per sua natura, sempre difficile e fragile e che esige in grande misura sensibilità da entrambi le parti. 

*Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo

Note 

1) Una sintesi delle prime reazioni pro e contra si trova in: Il Regno n. 1029, 2008, 89-91. Oltre a tali prime reazioni nei mass media, è pervenuta alla Commissione per i Rapporti religiosi con l’ebraismo una serie di prese di posizione dettagliate e particolareggiate, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti d’America, dalla Germania e dall’Italia, tra gli altri da R. Di Segni, La preghiera per gli ebrei, in «Shalom» 2008, n. 3, 4-7. 

2) Ciò non vale per il Dialogo ebraico-cristiano internazionale in cui questa questione è sorta già dopo la Dichiarazione Dominus Iesus (2000). La Commissione per i Rapporti religiosi con l’ebraismo ne ha tenuto conto e ha organizzato a questo scopo colloqui di esperti ad Ariccia (Italia), Lovanio (Belgio) e Francoforte (Germania); il prossimo colloquio è programmato da lungo tempo a Notre Dame (Indiana, Stati Uniti d’America). 

3) Quanto all’interpretazione rimando soprattutto all’ampio commentario, ricco anche per la nostra questione, di Tommaso d’Aquino, Super ad Romanos, capitolo 11, lectio 1-5. Commentari più recenti: E. Peterson, Der Brief an die Römer (Ausgewählte Schriften, 6), Würzburg, 1997, 312-330, specialmente 323; E. Käsemann, An die Römer (Handbuch zum Neuen Testament, 8a), Tübingen 1973, 298-308; H. Schlier, Der Römerbrief (Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, 6), Freiburg i. Br., 1997, 320-350, spec. 337-341; O. Kuss, Der Römerbrief, 3. Lieferung, Regensburg, 1978, 809-825; U. Wilckens, Der Brief an die Römer (EKK, VI/2), Zürich-Neukirchen, 1980, 234-274, spec. 252-257. Basilare il documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (2001). Inoltre F. Mussner, Traktat über die Juden, München, 1979, 52-67; J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Torino, 2000; J. M. Lustiger, La promesse, Paris, 2002; W. Kasper, L’antica e la nuova alleanza nel dialogo ebraico-cristiano, in Nessuno è perduto. Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione, Bologna 2005, 95-119. A ciò si aggiunge una gran quantità di letteratura più recente, la maggior parte di lingua inglese, sulle questioni del dialogo ebraico-cristiano. 

4) Importanti sono passi come Isaia, 2, 2-5; 49, 9-13; 60; Michea, 4, 1-3 e altri. In merito: J. Jeremias, Jesu Verheißung für die Völker, Göttingen 1959. 

5) Con questo si affronta la questione teologica più fondamentale dell’attuale dialogo ebraico-cristiano: c’è una sola alleanza o ci sono due alleanze parallele per ebrei e cristiani? Tale questione tratta dell’universalità della salvezza, dal punto di vista cristiano irrinunciabile, in Gesù Cristo. Cfr la sintesi della letteratura più antica in J. T. Pawlikowski, Judentum und Christentum, in «Theologische Realenzyklopädie», 18 (1988), 386-403; Pawlikowski, a causa degli interventi miei e di altri, ha sviluppato la sua posizione in modo essenziale e ha riferito ampiamente circa lo stato attuale della discussione in Reflections on Covenant and Mission in: Themes in Jewish-Christian Relations, ed. E. Kessler and M. J. Wreight, Cambridge (Inghilterra), 2005, 273-299. 

6) La preghiera ha modificato questo testo nella misura in cui parla dell’entrata dei pagani «nella Chiesa», cosa che non si trova così in Paolo. Da ciò alcuni critici ebrei hanno concluso che si trattasse dell’entrata d’Israele nella Chiesa, cosa che non si dice nella preghiera. Nel senso dell’apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l’entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l’unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato. 

7) Bernardo di Clairvaux, De consideratione, III, 1, 3. In merito anche: Sermones super Cantica Canticorum, 79, 5.

Publié dans:dalla Chiesa, ZENITH |on 9 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Albert Cardinal Vanhoye: Dio cerca la comunione con l’uomo

dal sito:

http://www.cardinalrating.com/cardinal_217__article_6653.htm

Albert Cardinal Vanhoye  Dio cerca la comunione con l’uomo 

Feb 12, 2008 

Nelle meditazioni quaresimali al Papa e alla Curia di lunedì mattina

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 11 febbraio 2008 (ZENIT.org).- La gloria di Cristo sta nell’aver amato sino alla fine, ristabilendo la comunione tra l’uomo e il Dio, ha detto questo lunedì il Cardinale Albert Vanhoye negli esercizi spirituali al Papa e alla Curia.
E’ questo quanto ha affermato il porporato gesuita, già Segretario della Pontificia Commissione Biblica, nelle riflessioni in vista della Quaresima che ruoteranno attorno al tema “Accogliamo Cristo nostro Sommo Sacerdote”, ispirato alla Lettera agli Ebrei.

Stamani, nella Cappella “Redemptoris Mater” del Palazzo Apostolico, il Cardinale ha tenuto due meditazioni sui temi “Dio ci ha parlato nel suo Figlio” e “Cristo è Figlio di Dio e fratello nostro”.

Il Dio della Bibbia non è un Dio muto – ha sottolineato all’inizio il Cardinale Vanhoye, secondo quanto riportato nella sintesi della “Radio Vaticana” –, è un Dio che parla agli uomini per entrare in comunicazione, in comunione con loro.

Il nostro Dio – ha proseguito –, vuole stabilire e approfondire dei rapporti personali con noi. Una volontà di comunicazione che risulta in modo eloquente quando il Signore parla a Mosé nel roveto ardente.

“E’ molto interessante vedere in che modo Dio si autodefinisce – ha continuato –. Dice a Mosé: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’. Dio non si autodefinisce con la sua onnipotenza, né con la sua onniscienza, ma si definisce con relazioni personali con alcuni uomini privi di importanza”.

Dio, ha sottolineato il porporato, avrebbe avuto tanti motivi per non parlare più al suo popolo, che gli era stato infedele, ma invece cerca questa relazione.

Anche Gesù, ha aggiunto, quando parla alla Samaritana compie un gesto straordinario, vista l’inimicizia tra giudei e samaritani, ma perché questa è la volontà di Dio, una volontà di comunicazione.

L’autore della Lettera agli Ebrei, ha detto il Cardinale Vanhoye, ci mostra due periodi nella comunicazione della Parola di Dio e due specie di mediatori: nel primo, Dio ha parlato per mezzo dei profeti; mentre nel secondo periodo, quello escatologico, c’è l’intervento decisivo di Dio per mezzo del Suo Figlio, il mediatore perfetto.

Nelle meditazioni di lunedì mattina, il Cardinale Vanhoye si è soffermato sui due aspetti del nome di Cristo, presentati dalla Lettera agli Ebrei: Egli è Figlio di Dio, ma anche nostro Fratello, perché prende la forma umile della esistenza umana.

“Noi abbiamo più che un avvocato, ma un fratello che intercede presso Dio – ha spiegato il porporato – ; un fratello che ha promesso di annunciarci, dopo la sua glorificazione, il nome del Padre e che adesso lo annuncia. Un fratello che non si dimentica di noi nella sua gloria, perché la sua gloria è proprio il frutto stesso della sua solidarietà con noi”.

Il Figlio, ha ribadito, viene definito per mezzo della sua relazione con il Padre. E’ dunque ben superiore agli angeli che pure sono mediatori tra noi e Dio.

Il Cardinale Vanhoye ha quindi rivolto il pensiero al mistero pasquale: “La gloria di Cristo non è la gloria di un essere ambizioso o soddisfatto delle proprie imprese, né la gloria di un guerriero che abbia sconfitto i nemici con la forza delle armi, ma è la gloria dell’amore, la gloria dell’aver amato sino alla fine, di aver ristabilito la comunione tra noi peccatori e suo Padre”.

Cristo è con il Padre, Signore del cielo e della terra – ha concluso – . Cristo glorificato ha il potere di porre fine alla vecchia creazione, perché ha inaugurato la nuova creazione per mezzo della Sua Risurrezione.

Iniziati domenica pomeriggio alle ore 18, gli esercizi spirituali si concluderanno sabato prossimo 16 febbraio. In questi giorni, sono sospese tutte le udienze pontificie, compresa quella generale di mercoledì 13 febbraio.

Publié dans:dalla Chiesa |on 2 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Verso Pasqua: La Terra Santa chiama, i cattolici rispondono

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano/home_it.htm 

VERSO PASQUA 

Inviata una lettera ai vescovi di tutto il mondo.
La sfida: un «movimento di carità
» che aiuti davvero i cristiani e, insieme,
promuova pace e giustizia per tutti gli abitanti della tormentata regione.
 

La Terra Santa chiama, i cattolici rispondono    

La «Colletta del Venerdì Santo»
a sostegno delle comunità cristiane, nei luoghi della vita terrena di Gesù:
il cardinale Sandri rilancia l’appello, a nome del Papa. 

Da Roma, Mimmo Muolo 


(« Avvenire », 16/2/’08) 

Le diocesi di tutto il mondo sono invitate a sostenere la comunità cattolica di « Terra Santa ». Il nuovo appello, rivolto a nome del Papa, è contenuto in una « Lettera » inviata dal cardinale Leonardo Sandri ai vescovi dei cinque continenti, in vista della tradizionale « Colletta » del Venerdì Santo. Un’iniziativa, scrive il prefetto della « Congregazione per le Chiese orientali » nella « missiva » (pubblicata integralmente da « L’Osservatore Romano »), che «assume uno speciale rilievo». Essa, infatti, «è collocata dai Sommi Pontefici in un giorno tanto significativo per attestare la comune appartenenza alla Terra che nel fluire della storia rimane la « silenziosa testimone della vita terrena del Salvatore », secondo una felice espressione di Papa Benedetto XVI».
Sandri auspica a tal proposito che l’invito «riceva costante accoglienza da parte di tutte le Chiese locali, perché possa crescere il movimento di carità» coordinato, «per mandato del Papa», dalla « Congregazione » di cui è prefetto. Il fine della « Colletta » è infatti, quello di «garantire alla Terra Santa, in modo ordinato ed « equo », il sostegno necessario alla vita ecclesiale ordinaria e a particolari necessità». Tra «le urgenze da affrontare», la « Lettera » ricorda «l’inarrestabile fenomeno dell’emigrazione, che rischia di privare le comunità cristiane delle migliori risorse umane. Nulla dobbiamo lasciare di intentato per garantire che, accanto alle « monumentali » testimonianze storiche del cristianesimo, siano sempre le comunità vive a celebrare il mistero di Cristo, nostra pace».
Per questo il porporato esorta alla preghiera «costante e tenace» per la pace. È infatti «l’assenza di una stabile pace ad acuire nei « Luoghi Santi » antichi problemi e povertà e a generarne di nuovi. I cristiani che vi abitano – scrive Sandri – meritano, pertanto, la prioritaria attenzione della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e comunità ecclesiali, le quali hanno sempre bisogno del vivente carisma delle origini e della singolare vocazione ecumenica e « interreligiosa » di cui essi sono portatori».
Attraverso i risultati della « Colletta », dunque, «la comunità latina raccolta attorno al
« Patriarcato di Gerusalemme » e alla « Custodia Francescana », ma anche le altre Chiese orientali cattoliche, secondo prudenti e collaudate norme pontificie, potranno beneficiare della carità di tutti i cattolici, non in termini occasionali, bensì con la sufficiente sicurezza e continuità che consenta di guardare con speranza al futuro». Gli effetti, però, non si limitano alla comunità cattolica. Tramite essa, infatti, ricorda ancora la « Lettera », «la carità si espanderà senza distinzione religiosa, culturale e politica, soprattutto a favore delle giovani generazioni che, per citare solo il più apprezzato tra i servizi ad esse offerti, potranno continuare ad usufruire della qualificata e diffusa opera educativa cattolica».
Il cardinale conclude «presentando, fin da ora, la profonda gratitudine del Santo Padre per il sostegno a una causa di così vitale importanza per la Chiesa e per l’umanità. È un grazie condiviso – scrive – dalla nostra Congregazione e da tutte le Comunità latine e orientali di Terra Santa».
In effetti costante è stata, specie negli ultimi tempi, l’attenzione di Benedetto XVI alle necessità di tali Chiese. Il 9 giugno 2007, durante la visita alla « Congregazione per le Chiese Orientali » nel 90° di fondazione, auspicò: «Possano le Chiese e i discepoli del Signore rimanere là dove li ha posti per nascita la « Divina Provvidenza »; là dove meritano di rimanere per una presenza che risale agli inizi del cristianesimo. Nel corso dei secoli essi si sono distinti per un amore incontestabile e inscindibile alla propria fede, al proprio popolo e alla propria terra». A distanza di pochi giorni, poi, per altre due volte – il 17 giugno da
Assisi e il 21 giugno 2007, nel corso dell’udienza alla « Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali » (« Roaco ») – il Papa ripeté il suo appello per la pace in Medio Oriente.
I sussidi vengono distribuiti alle diocesi, agli ordini religiosi e ad altre istituzioni ecclesiastiche presenti in Libano, Siria, Iraq, Giordania, Egitto e particolarmente in Israele e nei « Territori palestinesi ». Nella distribuzione degli aiuti, speciale attenzione viene data alle istituzioni educative, quali le scuole cattoliche e l’
« Università di Betlemme ». Inoltre, nel corso del 2007, sono stati anche destinati 500mila dollari per la realizzazione di dieci appartamenti a Betlemme e altri 500mila per la ricostruzione di una scuola « melchita » a Maghar.
 

Publié dans:dalla Chiesa, Pasqua |on 26 février, 2008 |Pas de commentaires »

Gli interrogativi più profondi dell’uomo

Liturgia delle ore: sabato 16 febbraio 2008 

 

 

Seconda Lettura 

Dalla costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Nn. 9-10)

Gli interrogativi più profondi dell’uomo


Il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio. Inoltre l’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli. Per questo si pone degli interrogativi.
In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. E’ proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; dall’altra parte si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato a una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe (cfr. Rm 7, 14 segg.). Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società. Certamente moltissimi, che vivono in un materialismo pratico, sono lungi dall’avere la chiara percezione di questo dramma, o per lo meno, se sono oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Molti credono di trovare pace in una interpretazione della realtà proposta in assai differenti maniere. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione della umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell’uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del loro cuore. Né manca chi, disperando di dare uno scopo alla vita, loda l’audacia di quanti, stimando vuota di ogni senso proprio l’esistenza umana, si sforzano di darne una spiegazione completa solo col proprio ingegno. Con tutto ciò, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali: cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere? Cosa valgono queste conquiste a così caro prezzo raggiunte? Che reca l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?
Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi (cfr. At 4, 12). Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di sopra di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cfr. Eb 13, 8). 

Publié dans:dalla Chiesa, liturgia |on 16 février, 2008 |Pas de commentaires »
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