Archive pour la catégorie 'cultura della vita'

Riflessione su celibato e matrimonio : Un unico amore

dal sito:

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2011/143q01b1.html

OSSERVATORE ROMANO

22 giugno 2011

Riflessione su celibato e matrimonio

Un unico amore

di GIUSEPPE VERSALDI
La vocazione al celibato per il Regno dei cieli e la chiamata al matrimonio sovente vengono percepite, se non proprio in opposizione, almeno di difficile composizione. Da una parte, infatti, la rinuncia del celibe all’amore coniugale è vista come una rinuncia all’amore tout court e, dall’altra, la scelta di unirsi in matrimonio a volte appare come una diminuzione della purezza dell’amore. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Efeso, usa un’espressione che offre una visione risolutiva dell’apparente antinomia tra amore verginale e amore sponsale. Parlando del dovere dell’amore reciproco tra marito e moglie, l’apostolo esalta l’originale vocazione dell’uomo a lasciare il padre e la madre per unirsi a sua moglie così che  » i due diventeranno una sola carne » (Genesi, 2, 24), ma subito aggiunge: « Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! » (Efesini, 5, 32). Tale repentino rovesciamento dei termini di paragone rivela una nuova prospettiva: la grandezza dell’amore coniugale viene sì riaffermata nella sua pienezza, ma è messa in relazione di dipendenza con l’amore di Cristo per la Chiesa.
Qui sorgono alcuni interrogativi ricorrenti anche nei confronti del magistero della Chiesa: « Come può Cristo celibe essere modello degli sposi? Come potete voi celibi insegnare e dare regole circa il matrimonio di cui non avete esperienza? ». Ebbene, proprio le parole di san Paolo Indicano la risposta. L’amore di Cristo per la Chiesa è certamente insieme amore verginale e sponsale perché è amore che, per citare le parole di Benedetto XVI, « può essere qualificato senz’altro come èros, che tuttavia è anche totalmente agàpe » (Deus caritas est, 9). Un amore che è gratuito e preveniente (« non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi »: 1 Giovanni, 4, 10); incondizionato e misericordioso (« mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi »: Romani, 5, 8); sacrificato (« Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia »: 1 Pietro, 1, 18-19). Caratteristiche, queste, che apparentemente non sembrano connotare l’amore coniugale comunemente inteso che è sì dono di sé, ma in una reciprocità che comporta un mutuo aiuto e una vicendevole gratificazione.
Eppure, proprio perché l’amore coniugale possa realizzarsi non come esperienza esaltante, ma temporanea, bensì perseverare come progetto per tutta la vita, è necessario che anche i coniugi siano capaci di un amore preveniente e gratuito così che, almeno uno, sia capace di amare anche quando l’altro non lo ama; di un amore incondizionato e misericordioso perché, almeno uno, sia capace di perdono quando il coniuge, vinta la sua debolezza, si pente; di un amore sacrificato perché, almeno uno, sappia sopportare le sofferenze dell’attesa senza rassegnarsi alla sconfitta. E in tutto questo il modello è proprio Cristo che così ha amato la sua Chiesa come sposa e « ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata » (Efesini, 5, 25-27).
Ha ragione, dunque, Benedetto XVI quando afferma che « in fondo l’amore è un’unica realtà, seppure con diverse dimensioni » (Deus caritas est, 8). Nel suo pieno significato l’amore è amore agapico, cioè amore capace di integrare la passione (èros) e la donazione (agàpe) così da poter soddisfare il cuore umano qualunque sia la sua vocazione. In questo senso, l’amore verginale e l’amore coniugale non possono che attingere a un’unica fonte e avere un unico modello che è Cristo.
Certo esiste una diversa modalità nelle due vocazioni, ma proprio la comune sorgente ne garantisce la complementarietà. Il carisma del celibato per il Regno può aiutare gli sposi a non assolutizzare l’amore umano e, in attesa della definitiva comunione con Dio-Amore, a sopportare il peso e il prezzo del dono di sé nonostante le debolezze dell’esperienza coniugale. Anche chi, già qui in terra, è chiamato a consacrarsi all’amore indiviso di Dio può imparare dagli sposi la concretezza e l’attualità dell’amore che non può rivolgersi solo a Dio che non vede, ma deve manifestarsi come effetto anche verso il prossimo che vede. In tal modo non si cade nell’illusione che per amare Dio sia necessario non amare nessuno di quell’amore con cui Cristo ci ha amati. La reciproca illuminazione arricchisce entrambe le vocazioni e abbellisce l’intera Chiesa nella sua missione di testimoniare nel mondo l’amore di Dio.

Publié dans:carismi (i), cultura della vita |on 5 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

La convivenza umana è inscindibile dalla custodia della terra

dal sito:

http://www.zenit.org/article-23413?l=italian

La convivenza umana è inscindibile dalla custodia della terra

I Vescovi italiani nel messaggio per la Giornata per la salvaguardia del creato

ROMA, venerdì, 20 agosto 2010 (ZENIT.org).- Esiste un legame profondo e inscindibile che intercorre fra la convivenza umana e la custodia della terra. E’ quanto affermano i Vescovi italiani nel messaggio per la 5ª Giornata per la salvaguardia del creato, che si celebrerà il 1° settembre sul tema “Custodire il creato, per coltivare la pace”.

“La Sacra Scrittura – si legge nel testo – ha uno dei punti focali nell’annuncio della pace, evocata dal termine shalom nella sua realtà articolata: essa interessa tanto l’esistenza personale quanto quella sociale e giunge a coinvolgere lo stesso rapporto col creato”.

L’uno e l’altro Testamento convergono “nel sottolineare lo stretto legame che esiste tra la pace e la giustizia”. Nella prospettiva biblica, dunque, “l’abbondanza dei doni della terra offerti dal Creatore fonda la possibilità di una vita sociale caratterizzata da un’equa distribuzione dei beni”.

“Benedetto XVI – ricordano i Vescovi – ha segnalato più volte quanti ostacoli incontrino oggi i poveri per accedere alle risorse ambientali, comprese quelle fondamentali come l’acqua, il cibo e le fonti energetiche”.

“Spesso, infatti, l’ambiente viene sottoposto a uno sfruttamento così intenso da determinare situazioni di forte degrado, che minacciano l’abitabilità della terra per la generazione presente e ancor più per quelle future”.

“Questioni di apparente portata locale – continua il messaggio – si rivelano connesse con dinamiche più ampie, quali per esempio il mutamento climatico, capaci di incidere sulla qualità della vita e sulla salute anche nei contesti più lontani”.

Inoltre, sottolineano i presuli, “è cresciuto il flusso di risorse naturali ed energetiche che dai Paesi più poveri vanno a sostenere le economie delle Nazioni maggiormente industrializzate”.

Anche le guerre – come del resto la stessa produzione e diffusione di armamenti, con il costo economico e ambientale che comportano – “contribuiscono pesantemente al degrado della terra, determinando altre vittime, che si aggiungono a quelle che causano in maniera diretta”.

Dunque, sostengono i Vescovi italiani, “pace, giustizia e cura della terra possono crescere solo insieme e la minaccia a una di esse si riflette anche sulle altre”.

Oggi, si legge poi nel messaggio, “la stessa pace con il creato è parte di quell’impegno contro la violenza che costituirà il punto focale della grande Convocazione ecumenica prevista nel 2011 a Kingston, in Giamaica”.

“Celebriamo, dunque, la quinta Giornata per la salvaguardia del creato – concludono i Vescovi – in spirito di fraternità ecumenica, nel dialogo e nella preghiera comune con i fratelli delle altre confessioni cristiane, uniti nella custodia della creazione di Dio”.

Publié dans:cultura della vita, dalla Chiesa |on 23 août, 2010 |Pas de commentaires »

“E se ci lasciaste vivere?” : 25 mila persone alla Marcia per la vita a Parigi

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21199?l=italian

“E se ci lasciaste vivere?”

25 mila persone alla Marcia per la vita a Parigi

di Elisabetta Pittino

ROMA, venerdì, 29 gennaio 2010 (ZENIT.org).-“E se ci lasciaste vivere?” hanno urlato all’unisono una mamma e il suo bambino in pancia. Questo è stato lo slogan della VI Marcia europea per la vita di Parigi per l’anno 2010. La risposta è stata quella di 25 mila persone, in gran parte giovani, che hanno marciato per la vita nella capitale francese domenica 17 gennaio.

Nascono nuove associazioni, si rinforzano quelle esistenti, aumentano le delegazioni europee, arrivano quelle oltreoceano.

Sempre più Vescovi d’Oltralpe si espongono per difendere la vita umana. E’ come una “ola” si moltiplicano marce pro vita in tutta Europa: Dublino, Berlino, Amsterdam, Bruxelles, Londra, Strasburgo, Bordeaux e chissà forse anche a Roma.

Tutto questo il 17 gennaio 2010 quando a Parigi da Place de La Republique a Place de l’Opera si è mossa la VI Marcia per la vita organizzata dal Collettivo “En marche pour la Vie” (in Marcia per la vita), già Collettivo “30 anni, basta!”, che raggruppa le maggiori associazioni pro ‘vie’ francesi.

È un’iniziativa per i nostri tempi: una marcia dove i vari pro-life d’Europa si sono trovati e si sono esposti per difendere la vita umana fin dal concepimento.

E’ stato entusiasmante camminare per le strade di Parigi con striscioni di tutti i tipi, in tutte le lingue, sfidando gli insulti di quelli che non erano d’accordo. È l’Europa che ritrova la sua unione, la sua anima, il suo perché.

Una manifestazione che segna la fine del tempo del silenzio, della sudditanza alla cultura di morte.

Il Collettivo francese, nato nel 2005 per i 30 anni della legge francese sull’aborto, ha proposto già da allora la Marcia, perché si sentisse la voce dei “dissidenti” pro vita e pro donna. La Marcia di Parigi è presto diventata marcia europea

Quella del 2010 è stata la marcia più partecipata dal 2005 ad oggi.

La giovane delegazione italiana del Movimento per la Vita (MPV) è alla sua terza partecipazione: quest’anno eravamo in 23, quasi tutti dalla Lombardia, la maggior parte da Bergamo.

A guidare la delegazione italiana Leo Pergamo, responsabile giovani MPV nazionale, Diego Negrotti, responsabile giovani FederVita Lombardia, e la sottoscritta, consigliere nazionale MPV e vicepresidente FederVita Lombardia, in qualità di portavoce del MPV italiano.

Dall’Italia c’era anche l’associazione “Voglio Vivere” con Julio Loredo, un habitué della Marcia parigina.

Quest’ anno il tema della Marcia è stato coniugato con “l’ informazione alla donna e la sua sofferenza in seguito all’aborto: consenso informato della donna prima dell’intervento abortivo e sindrome post aborto”.

Un dossier di sensibilizzazione su “Donna e aborto”, scaricabile da internet, è stato distribuito, insieme ai vari volantini. Sempre sul sito del Collettivo (http://enmarchepourlavie.info/) c’è una petizione per promuovere il “Diritto all’ informazione alle donne incinte”, per tutelare la dignità della donna.

Le donne non abortiscono mai liberamente, sono sempre costrette da qualcosa, anche da una legge. Pochi le informano, quasi nessuno le aiuta, generalmente, né prima né dopo questo dramma. E’ fondamentale organizzare manifestazioni come quella di Parigi. E’ una speranza. Lasciamo vivere la donna, come chiede. Lasciamo vivere il figlio.

“La donna incinta – si legge sul sito -, ha un urgente bisogno di una reale solidarietà dell’intero corpo sociale. E’ tempo che la società faccia una scelta di speranza, abolendo l’aborto… e fornendo tutti i mezzi necessari per accogliere la vita”.

Tre gli appelli dei marcianti: “perché ogni nascituro sia accolto e trovi il suo posto nella famiglia umana”; “per una vera compassione verso le madri sofferenti”; “per una vera libertà fondata sul diritto alla vita”.

La marcia, come lo scorso anno, è stata preceduta, per i credenti, da una veglia di preghiera il sabato sera nella chiesa di S. Francesco Saverio: si è pregato per i bambini non nati, per le loro madri, per i medici, per la marcia, per la vita.

La preghiera, è continuata anche durante la marcia: in fondo, per ultimi, a chiudere la marcia vi era un gruppo di persone in preghiera.

L’ostilità dei media francesi si è mostrata con il silenzio quasi assoluto sull’evento. A rompere il silenzio ci han pensato gli slogan a voce alta dei marcianti.

La Marcia è laica, apartitica, aconfessionale, aperta a tutti, non violenta, nel rispetto gli uni degli altri, nel rispetto della donna che ha abortito. I politici potevano parteciparvi – la difesa della vita del resto è il nodo centrale della politica – ma non sono intervenuti sul palco.

Si tratta di una giusta precauzione per evitare che la difesa della vita sia “strumentalizzata” da un partito piuttosto che da un altro. La vita non è né di sinistra né di destra e neppure di centro. La vita è vita ed è di tutti e per tutti.

“Se fossi Presidente della Repubblica farei leggi per la vita” si è cantato a squarciagola marciando. E forse, qualcuno tra i marcianti (c’erano tanti bambini) diventerà davvero Presidente della Repubblica!

“Non una massa di cellule, ma uomo e figlio”

04/02/2008, dal sito: 

http://www.zenit.org/article-13382?l=italian 

“Non una massa di cellule, ma uomo e figlio” 

Il Cardinale Caffarra invoca la luce della cultura della vita 

BOLOGNA, lunedì, 4 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Nell’omelia per la celebrazione eucaristica del 2 febbraio, nel Santuario di San Luca, sul colle della Guardia che sovrasta Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra ha ribadito che il concepito è “uomo e figlio”, e che le tenebre della cultura della morte verranno illuminate dalla cultura della vita. 

Prendendo spunto dalla lettura del Vangelo (Gv 10,14) in cui il Signore, prendendo la posizione di chi è calpestato e ucciso, afferma “io sono il buon pastore … io offro la mia vita per le pecore”, l’Arcivescovo di Bologna ha sottolineato che “la rivelazione che Dio fa di se stesso (…) è la radice più profonda della nostra testimonianza al valore assoluto ed incondizionato della persona già concepita e non ancora nata”. 

Secondo il porporato, “la misteriosa identificazione che Cristo pone fra Sé ed il ‘piccolo’, è eminente nel caso del concepito”, per questo anche oggi “Egli è qui: è presente nella persona più povera, più debole, più indifesa che esista, quella già concepita e non ancora nata”. 

Del concepito, ha spiegato il Cardinale Caffarra, “è stato detto che è una ‘massa di cellule’, ma nella realtà egli è una persona umana. E chi dice persona umana dice ‘ciò che di più perfetto esista nell’universo’”, ha detto citando San Tommaso d’Aquino. 

L’Arcivescovo di Bologna ha quindi affermato che “di fronte al concepito non ancora nato si svelano i pensieri di molti cuori” cioè “si svela ciò che il cuore dell’uomo pensa dell’uomo; si svela quale sia la misura di cui si serve per misurare la sua dignità”. 

“Il concepito è solamente ‘uomo’ – ha sottolineato il cardinale Caffarra –, con una sola qualifica, quella di ‘figlio’. La prima basta per denotare una dignità che non ha prezzo; la seconda che merita di essere voluto ed amato”. 

“Dio ci liberi, miei cari fratelli e sorelle, dalle tenebre di una ‘cultura della morte’ e ci faccia passare alla luce di una ‘cultura della vita’”, ha quindi concluso. 

Publié dans:cultura della vita, dalla Chiesa, ZENITH |on 5 février, 2008 |Pas de commentaires »

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